2/10/2010
Scarse sono le notizie che abbiamo su Onofrio Loth (Napoli 1665 - 1717), i cui estremi biografici ci sono stati forniti dal Prota Giurleo, mentre il De Dominici, il quale lo conosceva personalmente, ci racconta di un apprendistato presso Giovan Battista Ruoppolo, una delle più apprezzate botteghe specializzate di fine secolo e che già in giovane età dimostrò inclinazione per la pittura” laonde riuscì valentuomo in molti generi di cose, cioè frutti, fiori, pescagione, frutti di mare, cacciagione ed altro; ma l’uva la dipinse eccellentemente, con i pampini delle viti naturalissime e fresche, ed in questa parte superò il maestro, come andrà nel comporre con bizzarria i suoi quadri”.
Fu grazie all’insegnamento del suo maestro che il Loth sviluppò le sue brillanti qualità di colorista, il suo amore per la resa oggettiva della realtà ed il suo estro decorativo.
Il biografo settecentesco ci informa inoltre che al principio del secondo decennio del Settecento il pittore si trasferisce a Roma dove fu molto apprezzato dalla locale aristocrazia.
Nato a Napoli nel 1665, fu tra gli allievi prediletti di Giovan Battista Ruoppolo ed ebbe a sua volta tre scolari di cui poco sappiamo: Ridolfo Scoppa, Nicola Indelli e Domenico Grosso.
Ridolfo Scoppa, “per proprio diletto dipinse varie cose” lo seguì e collaborò con lui a Roma, Nicola Indelli ”ebbe gran spirito nel copiare e nell’inventare e sarebbe riuscito valentuomo, ma aggravato dal peso de’ vecchi genitori e sorelle nubili ebbe a lasciare lo studio e darsi alla sollecitudine con la quale dipingeva fino a 10 quadri di 4 palmi il giorno per i bottegari di Rua Catalana”; infine Domenico Grosso, che fu influenzato anche dal Doubisson, variò molto il suo stile e dipinse non solo fiori, ma anche verdura, pollami e cacciagione, spesso anche pulcini ed inoltre si dilettò a rappresentare la parte del dottor Graziano in molte commedie che recitava durante la festa del Carnevale. Alla mostra sulla natura morta tenutasi nel 1954 a Strasburgo figurò una Cacciagione con cinque uccelli morti ed uno sfondo paesaggistico, firmata in basso a destra “Do. Grosso”, che a lungo è stato l’unico dipinto noto dei tre allievi del Loth, fino al passaggio presso la Finarte di Roma nel novembre del 1988 di due piccole nature morte a soggetto ittico, entrambe firmate D. Grosso(tav. 1 - 2)
Fu attore dilettante, scrisse varie commedie, qualche poesia ed amò la conversazione con gli uomini dotti del suo tempo.
Pare si servisse dello stesso De Dominici, che ricordiamo era anche lui un pittore, per farsi “accordare” gli sfondi dei suoi quadri “con pochi lumi e mezze tinte”.
Questa passione per la commedia non è una novità per i pittori del Seicento napoletano. Ricordiamo la stessa inclinazione in Salvator Rosa ed in Andrea Belvedere ed anche in Nicola Vaccaro, tutti abilissimi nel recitare “all’impronto”, nell’epoca in cui Andrea Perrucci dava alle stampe nella nostra città, ed era il 1699, il suo intrigante trattato “Dell’arte rappresentativa premeditata ed all’improvviso”.
Dal De Dominici veniamo a conoscenza che il Loth era bizzarro nel comporre, mentre altre notizie sull’artista ci vengono fornite dal Mazzullo e dal Michel grazie ai quali sappiamo che Onofrio entra nel 1689 nella Corporazione dei pittori.
Il suo catalogo è ancora quasi tutto da identificare, anche se la restituzione al suo pennello delle due grandi composizioni della Galleria Spada di Roma, in precedenza assegnate al Berentz, gli ha permesso, come riconosciutogli dal Salerno di occupare un posto di rilievo nel panorama della natura morta nei primi decenni del XVII secolo.
Nella città eterna egli partecipò, nel 1715, assieme ad altri artisti diretti dall’architetto e pittore Domenico Paradisi, su incarico del principe Francesco Maria Ruspoli agli arredi decorativi, oggi perduti, del piano terra del palazzo di famiglia in via del Corso. Egli dipinse frutta, fiori e putti su specchi ed una ghirlanda di fiori nell’antiporta della camera dell’udienza. Ebbe, in due tranche, pagamenti per un totale di 119 ducati.
L’anno precedente aveva eseguito, in collaborazione con Sebastiano Conca per le figure, due grandi Nature morte con putti(tav. 3 - 4), pendants, su incarico del cardinale Fabrizio Spada per le quali ebbe un compenso di 90 scudi. Questi dipinti, collocati nella stanza del palazzo detta dell’Aurora, sono oggi visibili nella pinacoteca della Galleria Spada e rappresentano una delle opere chiave della pittura di genere a Roma ad inizio secolo. Sono realizzate con una pennellata libera ed elegante, molto vicina agli esempi del Brueghel e sono state ritenute a lungo opera del Berentz, fino al reperimento dei tre documenti di pagamento, nei quali si evince che collaborò per le figure Sebastiano Conca.
In altre occasione il Loth si è avvalso della collaborazione del Trevisani, mentre tornato a Napoli tra la fine del 1715 ed il 1716, si avvalse del De Matteis per l’esecuzione di alcuni bassorilievi in chiaro scuro.
Il Loth è legato alle tematiche marinare care a Giuseppe Recco come si evince dalle poche opere che gli si possono attribuire, due Nature morte con pesci(fig. 1) del museo di Valencia, entrambe firmate, un Bodegòn de lagustas ed un Bodegón de ostras, fatte conoscere dal Pèrez Sànchez:”una excelente maestria tecnica en el dibujo de los animales y una riqueza coloristica esuberante”.
In precedenza l’Ortolani aveva fatto cenno di due dipinti di fiori, firmati e datati, in collezione De Michele a Santa Maria Capua Vetere, non più ritracciati.
Ancora prima anche lo Hoogewerff, nel 1924, aveva pubblicato due dipinti del Loth, di soggetto floreale, di cui uno con Fiori, frutta e pavone, ma senza fornire notizie più esaustive sulle due tele, soprattutto se firmate, la seconda delle quali, un Vaso di fiori, a giudizio del Causa certamente del Belvedere.
Una Natura morta di fiori e frutti presso una fontana(tav. 5 ) di collezione privata è stata di recente pubblicata dal Salerno.
La critica ha presentato una tela, in collezione privata a Cremona, una Natura morta con granchio, seppie e aragoste(fig. 2), omogenea alle composizioni del museo di Valencia, con l’impostazione della scena sullo scuro del fondo idoneo ad esaltare il riverbero delle luci, il brillìo argenteo delle squame e la corposità plastica degli elementi rappresentati.
Meno convincente la proposta di assegnare al Loth una Natura morta con granchi, pesci e funghi(tav. 6) presente anni fa sul mercato antiquariale.
Una Natura morta con giara di terracotta, pesci e crostacei(tav. 7) della collezione Molinari Pradelli, in passato attribuita a Felice Boselli, nel catalogo del 1995 è stata avvicinata dalla Muti al corpus del Nostro. La studiosa, il cui parere è stato condiviso dalla Tecce e da Spinosa, ha sottolineato la disinvolta e misurata disposizione dei pesci e dei vari crostacei e lo squarcio di orizzonte in lontananza, solcato da una luce venata da rapidi tocchi di color rosso arancio, che dichiara un allontanamento da quelle forme più arcaiche della tradizione pittorica seicentesca e nel contempo suggerisce il nome di Onofrio Loth.
L’auspicio è che quanto prima il reperimento di altre opere o documenti possa meglio focalizzare la personalità di questo artista che lavora, non solo nel Seicento, ma anche nei primi quindici anni del Settecento, fino alla sua morte improvvisa nel 1717 (e non 1715, come erroneamente segnalato in molti testi).
Bibliografia
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Salerno L. – Nuovi studi sulla natura morta italiana, pag. 97 – 98 – 99 – 110 – 116 – 117 – 168, fig. 108 – 109 – 110(anche per Domenico Grosso) - Roma 1989
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Rybko A. M. – in La pittura in Italia. Il Settecento, II, pag. 773 – Milano 1990
Cannata R. – Vicini M. L. – La Galleria di Palazzo Spada. Genesi e storia di una collezione, pag. 133 - 143 – Roma 1992
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Bortolotti L. – in Dizionario biografico degli Italiani ad vocem, pag. 181 – 182
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