0/3/2011
Oggi i tribunali si interessano ad argomenti erotici (vedi caso Ruby ed affini), una volta, almeno quelli dell’Inquisizione, si interessavano agli eretici e non faceva eccezione Napoli, anche se spesso si blatera che la città non ha conosciuto mai questa assurda giurisdizione.
Tale affermazione si basa sulla circostanza che nel 1547 i napoletani si ribellarono con violenza al tentativo di don Pedro di Toledo di introdurre l’Inquisizione spagnola. Un editto resosi necessario per il diffondersi delle dottrine valdesiane e per i tentativi di arginare alcuni episodi di intolleranza, durante i quali erano stati bruciati molti libri e chiuse tutte le Accademie.
I tumulti scoppiati per evitare l’introduzione di tribunali ecclesiastici secondo il “costume di Spagna” videro in armi oltre 50.000 persone e 300 morti nei disordini, ma nel mese di agosto dello stesso anno l’imperatore annullò il provvedimento e promulgò un’amnistia generale nei riguardi dei ribelli.
A Napoli vi è stata costantemente la presenza di due diverse Inquisizioni, una vera anomalia del Sant’Ufficio, per cui Roma non aveva il completo controllo territoriale ed il Tribunale arcivescovile godeva di un’autonomia senza eguali.
Un potere della Chiesa napoletana molto forte ed autonomo da spingere nel 1596 il cardinale Alfonso Gesualdo a chiedere l’abolizione del Tribunale delegato nel vice regno, in poche parole far scomparire la struttura locale della Congregazione romana.
Da poco la cupa atmosfera di giudizi sommari, di eretici torturati e condannati al rogo si può rivivere visitando l’antica sala dell’Inquisizione, sita nei locali del convento annesso alla chiesa di San Domenico Maggiore, restituita alla fruizione pubblica dopo secoli di oblio.
Ad essa si accede da un infrequentabile vicoletto, disseminato di siringhe di drogati e maleodorante per un piscio ubiquitario, che collega via San Sebastiano con piazza San Pietro a Maiella.
Per secoli a partire dal 1231 tra quelle mura sorde e grigie si è riunito il Tribunale dell’Inquisizione, sono passati migliaia di eretici tra i quali anche Giovan Battista Della Porta e Giordano Bruno.
La sentenza, se non si abiurava, era già segnata, ancor prima della discussione ed i metodi adoperati per ottenere la confessione facevano impallidire i futuri lager tristemente attivi nel Novecento.
A pochi passi dalla cella di San Tommaso d’Aquino, rimasta inalterata ed ammonitrice, pregna di serena beatitudine e di severe meditazioni e dalla grande sala Capitolare, a lungo adoperata come aula della Corte d’Assise, dove fino a pochi decenni orsono si sono svolti processi leggendari davanti ad una folla plaudente ed eccitata e dove sembra ancora di poter ascoltare le memorabili arringhe dei più celebri principi del foro da Leone e De Marsico, a Carnelutti.
Fu papa Gregorio IX ad istituire la spietata sezione del Tribunale dell’Inquisizione nella quale sono transitate circa 12000 persone dalle streghe, mandate in massa senza troppi complimenti al rogo, ai rari (allora) omosessuali, tra cui le cronache ci rammentano i nomi di Taddeo Imparato e Alessandro De Ayllar, alle grandi personalità della cultura accusate di eresia.
Le carte processuali, pervicacemente rintracciate dagli storici, ci permettano di conoscere le fasi del procedimento intentato nel 1574 contro il Della Porta, inquisito per i suoi studi di scienze naturali.
Egli si salvò abiurando e trasferendosi a Roma, mentre Giordano Bruno, che pure in quel convento era entrato bambino per studiare ed avvicinarsi a Dio, subì le prime accuse ed il processo, conclusosi a Roma, che lo condusse a morire arso tra le fiamme di Campo dei fiori.
Non solo eretici venivano processati e condannati, ma anche appartenenti al clero, soprattutto per peccati legati alla fornicazione ed alla concupiscenza.
Spesso i religiosi sfruttavano la confessione come bieco sistema per abbindolare candide fanciulle e convincerle a soggiacere alle loro brame.
Nel 1599 si svolse un processo paradigmatico dell’abuso del sacramento per approfittare dell’ingenuità delle penitenti.
Esso riguardò un parroco di Pollena Trocchia accusato non solo di aver approfittato delle grazie di numerose fanciulle vergini, indotte ad immolare l’integrità dell’imene a redenzione dei propri peccati veniali, ma anche di girare armato alla stregua di un boss camorristico.
Ai primi del Seicento risale un altro singolare processo conclusosi con una severa condanna nei riguardi di un frate teatino, che praticava un originale esorcismo efficace solo se praticato sulle parti intime femminili.
E concludiamo con una condanna al carcere a vita inflitta a suor Alfonsina per simulazione di santità; processo durato oltre dieci anni, con una tappa intermedia del giudizio a Roma presso la Congregazione del Sant’Ufficio ed una volta ritornato a Napoli, nonostante la strenua difesa delle religiosa che, per quanto analfabeta, si difese mettendo in mostra una profonda conoscenza della teologia, conclusosi con una sentenza di colpevolezza.
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