lunedì 28 settembre 2020

Con la morte di Juliette Greco si chiude un'epoca.

 


Juliette Gréco nel 2006



Juliette Greco è appena deceduta e nessuno ne parla. Come al solito in ritardo qualche giornale la ricorderà.
Aveva 93 anni, un po' dimenticata verso la fine, mentre fu un farò che illuminò la vita negli anni bui successivi alla seconda guerra mondiale. In quel tempo contribuì alla rinascita del desiderio di libertà e della gioia di vivere.
Amata e sostenuta da Jean Paul Sartre,  che scrisse il testo di alcune sue canzoni, divenne la musa ispiratrice dell'Esistenzialismo. La sua voce oscura e profonda dalle "boits de nuit" di Saint Germain des Près cantava la beat generation negli anni '60, infervorando gli animi di tanta gioventù.  Vestiva rigorosamente sempre di nero. Lanciò la moda del maglione a collo alto, che evidenziava il suo incarnato bianco. I suoi occhi neri ingranditi da un intenso trucco con l'eye liner catturavano l'attenzione in sintonia con la sua voce.
Era lo specchio dell'Esistenzialismo, che non fu solo una filosofia, bensì anche l'affermazione della libertà e del cameratismo. Sartre cantava e suonava il piano.
Io ricordo Juliette Greco perché ero a Parigi negli anni dal '57 al '63.
Mio padre lavorava alla Nato, in francese Otan, prima che poi De Gaulle annunciasse il ritiro della Francia dal comando supremo della Nato, trasferita in seguito a Bruxelles.
Abitavo all'Ecole Militaire, dove c'è la tomba di Napoleone. Non avevamo la televisione, ma alla radio ascoltavo spesso incantata le sue canzoni.
Juliette Greco ha segnato un'epoca e ce ne ha lasciato un ricordo indelebile.
Avrebbe meritato l'attenzione dei quotidiani impegnati viceversa a torturare il lettore con superflui e tendenziosi richiami al coronavirus e interminabili discussioni sui risultati elettorali.
 

Elvira Brunetti  




Juliétte Gréco nel 1963


giovedì 24 settembre 2020

Il mistero del tempo tra scienza, filosofia e letteratura.

 

tav.1  - L' equazione del tempo.Foro Carolino in piazza Dante, Napoli


Il tempo è una strana cosa, affermazione calzante, ma imprecisa perché il tempo non è una cosa bensì solo ciò che accade. Quanti scienziati, filosofi, studiosi si sono accaniti nell'analisi di quelle cinque lettere che ne formano la parola!
Il tempo è elastico vola nei momenti di gioia ed è lento nel dolore (fig.1).
Il tempo è il nostro compagno quotidiano e lo invochiamo numerose volte al giorno. Esiste un tempo per tutti e un tempo per ciascuno di noi. C'è il tempo dei giovani, quello dei vecchi. Aristotele (fig.2) pare che sia stato il primo a porsi il problema. Il tempo risponde al nostro quando, quindi è una misura del cambiamento umano. 

 


tav.2 - Aristotele


tav.3 - Newton

Diversamente da lui Newton (fig.3) si pone la domanda: "Esiste il tempo al di fuori della nostra visione limitata ?"
Così come per lo spazio, che risponde al dove? Newton aveva intuito che al di là di ciò che appare all'uomo c'è dell'altro.
Infine arriva il più grande di tutti Einstein (fig.4) che con la Relatività concilia le due teorie. É lunga la descrizione dell'intero iter scientifico che, partendo dal sano dubbio, attraversa quel genere di pensiero attivo e produttivo, per arrivare infine ad una visione più soddisfacente per gli studiosi: lo spaziotempo, la quarta dimensione, che in un modo per noi incomprensibile le relaziona tutte.
Il tempo non è altro che una curvatura dello spazio.

 


tav. 4 - Albert Einstein

  


tav. 5 - Copertina

Carlo Rovelli nel suo libro: "L'ordine del tempo" (fig.5) dice che la struttura temporale del mondo è più complessa del nostro passato, presente e futuro. Dobbiamo immaginarlo come una sovrapposizione di tele, di strati, non fissi, non uniformi, non assoluti; uno di questi, per esempio, è il campo gravitazionale che si flette di continuo.
Il mondo è una rete di eventi che si influenzano l'un l'altro."L'indeterminazione quantistica descrive un mondo discontinuo con una struttura granulare della materia come i puntini di un quadro di Seurat" dice Rovelli.
Noi non vediamo né nel più piccolo, né possiamo vedere il più lontano. Nella nostra visione del mondo esiste una sfocatura. Boltzmann è colui che ha visto dove l'occhio umano non arriva.
Mi sia concesso un piccolo inciso che ha a che fare con due o tre argomenti di cui parla l'autore nel suo libro, interessante, tra l'altro, per il riferimento al Mahabharata, che in piccola parte lessi tempo fa prima del mio viaggio in India.
I libri ci chiamano; guardiamo la copertina, leggiamo il titolo e subito avvertiamo una risonanza, c'è dentro qualcosa di noi, un riconoscimento e un desiderio di approfondimento.
Boltzmann muore a Duino, impiccandosi, mentre la moglie e la figlia nuotano tranquille nell'Adriatico. Solo qualche anno dopo Rilke nello stesso luogo compone le famose Elegie duinesi, di cui la prima inizia citando l'eterna corrente che tutto trascina. L'anno scorso di questi tempi io ero lì in vacanza con i miei amici francesi e visitai quel Castello arroccato su un precipizio di fronte al mare immenso di Trieste (fig.6). In quel giardino con aiuole dai fiori coloratissimi si svolse la lettura di un paio di quelle "melodie", la cui musa ispiratrice fu una certa principessa della celebre famiglia di antico lignaggio dei Tour e Taxis, che ospitò il poeta (fig.7).
 


tav. 6 - Castello Duino

 

tav. 7 - Sentiero di Rilke

Un altro richiamo al mio passato, anche questo ricordo avviene nel tempo, è stata l'entropia. Ancora mi vedo nella Certosa di Capri allora sede del liceo classico, mentre con tenacia ed entusiasmo cercavo di spiegare ai miei alunni del terzo anno quel concetto di disordine molecolare continuo, irreversibile, eppure necessario alla vita.
E poi nel libro c'è quel clima di incertezza onnipresente. Ci rivolgiamo alla scienza per avere certezze e scopriamo che " noi possiamo capire il mondo solo nel suo divenire, non nel suo essere".
Un altro mistero della vita è la nostra mente. Come funziona il nostro cervello?
In quella zona dell'Ippocampo sede della memoria, si depositano quelle che nel tempo diventano semplici tracce del nostro passato, perché le sinapsi tra i neuroni si formano di continuo e si cancellano in modo tale che le immagini obnubilate dalla polvere del tempo, come vecchi libri in un archivio, restituiscono piccole parti che senza senso ricompaiono a volte nel sogno (fig.8).
Nella prima decade del Novecento dalla sua cattedra al Collège de France Bergson infiammava il cuore e la mente dei suoi discepoli, tra cui Marcel Proust, dissertando sulla nuova idea del tempo.
Non esiste solo il tempo matematico, fisico, intendeva quello quantitativo, che conta i numeri, ce n'è uno qualitativo che concerne la durata. Esso alberga proprio nella zona sopra menzionata. Qui si forma il flusso di coscienza che affonda le sue radici nei territori più oscuri dell'inconscio, una struttura molto complicata, zona tabù dell'essere umano, sondata per la prima volta da Freud.
 

 


tav.8 -  Dalì, il tempo


tav.9 - Marcel Proust

Cosa fa Proust (fig.9), quando intuisce di essere pronto per iniziare la sua impresa letteraria, costituita da innumerevoli parole in ben sette volumi:"A la recherche du temps perdu"? Decide di ricoprire di sughero le pareti del suo pensatoio per immergersi completamente nel passato, cioè in quella piccola parte del suo cervello che darà vita alle centinaia di migliaia di rappresentazioni sensoriali di tutta l'opera. Tutto parte dal profumo di Combray e dal sapore della Madeleine, sensazioni talmente forti da generare il flusso di coscienza, che scorre lentamente, come il dipanarsi di una matassa.
Per Proust ci sono due tempi.Il tempo perduto è quello che se ne è andato, non c'è più e non tornerà più, ma per Marcel il tempo perduto è anche quello che, visto da lontano, è stato sprecato, buttato al vento. Il tempo ritrovato invece è quello del Narratore, che alla fine si rende conto di essere "artista" e dà inizio alla stesura dell'interminabile romanzo. Una fatica durata un periodo lungo, dieci anni, tutti concentrati sul suo obiettivo. Qui egli condensa il suo pensiero, la cui citazione è notevole: "La vita finalmente riscoperta e illuminata, la sola vita, dunque, pienamente vissuta, è la letteratura. Vita che, in un certo senso, abita in ogni istante in tutti gli uomini non meno che nell'artista. Ma essi non la vedono, perchè non cercano d'illuminarla".
Per concludere con la pittura, volgiamo uno sguardo all'ultima opera di Gauguin, che non è un semplice quadro, perché racchiude una riflessione filosofica, realizzata prima di morire nella Polinesia francese: "Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?" (fig.10).
Con la speranza che possa vivere fuori dal tempo! 

Elvira Brunetti

 


tav.10 - Paul Gauguin

giovedì 10 settembre 2020

Ripresa delle visite guidate: calendario

 

Visita chiostro e chiesa Donnalbina 8 febbraio 2020


Amici ed amici degli amici esultate, dopo un semestre di interruzione, causa pandemia, riprendono le mie memorabili visite guidate, che avranno cadenza quindicinale e cominceranno sabato 19 settembre con la visita alla mostra di Gemito, che si terrà al museo di Capodimonte. Appuntamento alla biglietteria alle ore 10:45, spiegazione all’esterno con l’aiuto del mio libro, che contiene a colori le foto delle opere in esposizione (portate 10 euro per l’acquisto) e poi ingressi scaglionati muniti di mascherine. Consultate il link:
http://achillecontedilavian.blogspot.com/2020/03/mostra-di-gemito-al-museo-di-capodimonte.html
Venerdì 25 settembre un evento epocale: la presentazione del mio ultimo libro: Il quartiere Avvocata tra storia ed arte, che si terrà alle ore 17:30 nell’aula magna della chiesa di S. Maria della Libera in via Belvedere al Vomero. (anche lì mascherine).
Sabato 3 ottobre visiteremo (gratuitamente) la mostra di disegni dell’ex sindaco Maurizio Valenzi, che si tiene nel chiostro della chiesa di San Domenico Maggiore, poscia visiteremo la chiesa ed il monastero. Appuntamento ore 10:45 nella piazza sotto la guglia. Consultate il link:
http://achillecontedilavian.blogspot.com/2014/12/maurizio-valenzi-sindaco-rosso-ed.html
Sabato 17 ottobre nuova visita gratuita: un affascinante percorso nel ventre di Napoli, con appuntamento alle 10:45 in piazza Mazzini. L’evento è descritto nel primo capitolo del mio ultimo libro e si può consultare sul link:
http://achillecontedilavian.blogspot.com/2020/07/un-affascinante-percorso-nel-ventre-di.html
Diffondente la notizia delle visite ai 4 venti informando amici, parenti, collaterali ed affini e ricordate per rimanere sempre informati di consultare il mio blog
www.dellaragione.eu

mercoledì 9 settembre 2020

Il quartiere Avvocata tra storia ed arte

In 1^ di copertina
Piazza Dante




Prefazione
Il quartiere Avvocata mi è particolarmente caro, perché vi sono nato e vi ho abitato per quasi 20 anni, prima che, divenuto ricco, mi trasferissi a Posillipo.
Esso è poco noto nei suoi confini agli stessi napoletani, ingloba il rione Materdei, una parte del corso Vittorio Emanuele ed una serie di scale e viottoli che, da Montesanto arrivano alle pendici del Vomero.
Conta importanti palazzi storici, un numero enorme di chiese, circa 70 ed un patrimonio di tradizioni popolari dalla mitica Mazzarella di San Giuseppe al rito del bacio al pesce di San Raffaele.
Mancava una pubblicazione esaustiva sul quartiere ed ho cercato, per i miei numerosi lettori, di colmare questa lacuna con l'aiuto fondamentale dell'amico fraterno Dante Caporali, che mi ha fornito immagini e consigli.
Auguro a tutti una proficua lettura.
Achille della Ragione


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Indice

  • Un affascinante percorso nel ventre di Napoli
  • Piazza Dante l'ombelico di Napoli
  • Le chiese di piazza Dante
  • Corbellerie e boiate a volontà
  • Via Pessina una strada due quartieri
  • Finalmente riapre la chiesa di San Potito
  • Le chiese sulla collina della Costigliola
  • Ieri “A Nfrascata” oggi via Salvator Rosa
  • Il Cavone, alias via Francesco Saverio Correra
  • Materdei tra tradizioni e modernità
  • Le chiese di Materdei 

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Napoli Il Quartiere Avvocata by kurosp on Scribd


martedì 8 settembre 2020

Umberto Giacometti chi era costui?



L'uscita di una sua breve biografia sulla Gazzetta antiquaria mi ha spinto a scrivere anch'io qualcosa  su Umberto Giacometti, un personaggio poco noto al grande pubblico, ma un vero mito nell'ambiente degli specialisti di storia dell'arte.
Ho avuto il piacere di conoscerlo negli anni Novanta, quando frequentava la Galleria Porcini, la più importante di Napoli, sita in piazza dei Martiri. Era alle prime armi, ma dopo lo studio attento dei dieci tomi del mio celebre libro: Il secolo d'oro della pittura napoletana, fu preso da un sacro fuoco, che lo ha condotto a diventare, da quando si è trasferito a Roma, fondando una sua galleria, il più importante antiquario italiano, mettendo a segno dei colpi formidabili, quando anni fa ha venduto allo Stato un famoso quadro di Micco Spadaro, il quale lo ha destinato al museo di San Martino, dove è rigorosamente negato alla fruizione, oppure quando di recente ha venduto ad un magnate della finanza un quadro del Lanfranco per più di un milione di euro.
La sua caratteristica più nobile è il suo occhio clinico, che gli permette immediatamente di assegnare un dipinto al suo vero autore.
I due più grandi specialisti del Seicento napoletano non sono, come molti credono Nicola Spinosa e Riccardo Lattuada, bensì lui, che divide lo scettro con Mauro Calbi, un mio caro amico, che condivide con me alcune parentele: sotto il profilo sanitario è anche lui un medico, il più efficiente pediatra di Napoli e dintorni ed inoltre possiede un'importante collezione di dipinti, che gareggia con la mia per importanza.
Concludo riportando alcuni passi dall'articolo comparso sulla Gazzetta antiquaria: Ogni volta che lo incontro, penso che con quella faccia sorridente e la sua esuberanza Umberto sarebbe riuscito bene come attore. In effetti, nasce in una famiglia di artisti e ha anche provato a campare dipingendo; e se quella passione non si è trasformata nel mestiere di una vita, ne ha cavato però molti insegnamenti sulla pittura sconosciuti a quelli che non hanno mai tenuto in mano un pennello. Crescendo all'ombra del Vesuvio non poteva non innamorarsi della scuola di pittura barocca napoletana di cui tra le sue mani sono passate molte opere,come quel celebre Luca Giordano che sfondò il mercato. Però, la scoperta che più lo ha emozionato rimane quel Ritorno del figliol prodigo del parmigiano Giovanni Lanfranco (che, certo, lavora anche a Napoli), capolavoro della collezione del Marchese Vincenzo Giustiniani, scovato in un’asta parigina. Intanto, sperando di replicare l’alchimia di quel colpo, recupera opere perdute, come il Cavallino visto al Tefaf. Ricordandoci che, senza la speranza, nessun uomo avrebbe creato opere d'arte.

Achille della Ragione

venerdì 4 settembre 2020

Uno sguardo alle nuove correnti di pensiero del Novecento

 

fig.1 - Claude Levi Strauss


Strutturalismo, Semiologia sembrano parole oscure, incomprensibili, difficili, eppure intriganti.
Tempo fa m'interessai a Claude Levi Strauss (Fig.1) perché il famoso antropologo francese intraprese lunghi viaggi di studio e di osservazione dei costumi e dei miti delle popolazioni amazzoniche (Fig.2). Alla fine di un'attenta analisi affermò che i miti hanno una loro struttura che non è diversa da quella dei miti greci. Fu allora che sorridendo mi dissi: "I miti si pensano tra loro". La forza seduttiva di questo nuovo metodo d'indagine quasi scientifico mi colpì. Non è il singolo elemento ma le relazioni tra le parti di un sistema che ci permettono una conoscenza migliore. 

 

fig. 2 - Copertina libro

 

fig.3 - Michel Foucault con Jean Paul Sartre

Poi venne l'attrazione per Michel Foucault (Fig.3), omosessuale deceduto per l'Aids, grande figura di intellettuale ed eminente filosofo. Ha indagato e studiato le origini del Sapere e del Potere, spingendo sulla scia di Nietzsche a riconoscere la fine dell'Umanesimo; l'uomo non è più soggetto, né oggetto di studio (Fig.4). E' l'analisi delle forze che agiscono sul singolo individuo a determinarne la vita futura, vedi le strutture di controllo della società fino ai sistemi di coercizione dei manicomi, delle carceri. Una delle ultime lezioni di Foucault dalla cattedra del College de France prima di morire riguardò ancora Socrate e il sollecito dell'invito di quest'ultimo al Sapere di noi stessi. Socrate disse:"Conosci te stesso". Nietzsche scrisse: "Diventa quello che sei".Foucault reitera con veemenza: "La cura di sè".
Avanzando poi nella ricerca degli attori importanti del Novecento, solidali con questa nuova "filosofia"  m'imbattei su Jacques Lacan (Fig.5). Pietra miliare della psicanalisi freudiana. Studioso della mente umana, mutuando dallo svizzero Fernand de Saussure, la teoria che la lingua é l'insieme di un significante e un significato, affermò che l'inconscio pure è un linguaggio strutturale. La parola è il solo strumento che con la sua rete di significanti può restituire alla coscienza  la mancanza di quello che la nostra mente per proteggerci illo tempore ha severamente censurato.
Negli anni cinquanta e sessanta questa nuova corrente di pensiero, che produceva una reinterpretazione delle vecchie discipline imperversava in Francia, dove fece diversi accoliti, mentre in Italia arrivavano solo i riflessi. 

 

fig.4 - Copertina libro


fig.5 - Jacques Lacan


fig.6 - Umberto Eco

Ma qui da noi, grazie ad un solo nome Umberto Eco (Fig.6), venuto a mancare solo da poco, la Semiologia, come disciplina a sè stante, ha avuto la sua nomea.
Ricordo, quando Umberto Eco venne a Napoli con il gruppo dei Bibliofili per una conferenza. Fu accolto da Mauro Giancaspro, allora direttore della Biblioteca Nazionale con grandi onori nell'aula magna, presenti mille persone. Incominciò a parlare veloce e con quel suo accento tipicamente piemontese, non capii granché del suo intervento. Ma una cosa ripeteva spesso: " Tutto é segno".
Allora non ero particolarmente  interessata al fenomeno, come sarà successivamente.
Per tornare a Umberto Eco nel suo capolavoro "Il Nome della Rosa ", si notano accanto agli indizi del romanzo thriller tutta una serie di rinvii continui  cioè di segni. Interessante la postilla finale con riferimento al titolo del libro, dal significato non proprio intelligibile, in italiano dal latino suona così :"La rosa primigenia esiste solo nel nome, possediamo solo nudi nomi".
E' stato un grande intellettuale, uno straordinario uomo di pensiero italiano, contraltare ostico di quelli francesi suoi contemporanei e ce n'erano all'epoca!
Basti pensare a Roland Barthes (Fig.7), vera star della cultura europea, critico attento della società di oggi, dei mezzi di comunicazione, ridicolizzò i miti borghesi. Il semiologo d'oltralpe era alla ricerca continua e affannosa dell'errore nel linguaggio e come Eco quindi ne denunciava la crisi. Di Eco si ricordi il duro attacco alla mediocrità della televisione con la sua "Fenomenologia di Mike Bongiorno" (Fig. 8).
Forse tuttavia dovrei fare un distinguo fra gli esponenti strutturalisti francesi da me menzionati. Io credo che la fama di Claude Levi Strauss sia stata un poco trascurata rispetto al riverbero di Jacques Lacan e Roland Barthes. L'importanza e la moda della psicoanalisi negli ultimi decenni del Novecento, specialmente negli States, dove tutti avevano e forse hanno ancora un "coach", così come il protagonismo a livello mediatico del Deus ex machina della attualissima semiologia del secondo, hanno fatto sì che entrambi fossero favoriti dalla notorietà. Mentre l'antropologia come scienza non ha mai goduto della stessa fortuna divulgativa. Eppure il lavoro intenso di Claude Levi Strauss, sottolineo, quasi certosino sui numerosi appunti di viaggio catalogati per poi giungere alle notevoli conclusioni attribuibili solo alla differenza tra Natura e Civiltà ("Il crudo e Il cotto"), poiché in fin dei conti la struttura umana è sempre una sola. Le credenze dell'indigeno brasiliano di oggi sono le stesse di altre civiltà. Si tratta solo di decifrarne il linguaggio.
Lacan ha approfondito l'opera mastodontica di Freud semplificando il lavoro successivo di tutta la clinica psicoanalitica. E non è poco. Oggi molti psicoanalisti sono lacaniani.

 

fig.7 - Roland Barthes e Umberto Eco
 

fig.8 - Mike Bongiorno

fig.9 - Italo Calvino a fumetti


L'ultimo sguardo è alla letteratura.
Tra gli scrittori italiani che sono stati influenzati dal "segno", vorrei ricordare Italo Calvino (Fig.9), una vita avventurosa. Nasce all'Avana e la mamma lo chiama Italo in memoria della sua origine; sposa un'argentina. Trascorre più di dieci anni a Parigi negli anni Settanta e viene in contatto con gli intellettuali dell'epoca. Scrive la sua opera emblematica: "Le città invisibili", tradotta in una trentina di lingue, l'ultima nel 2010 in bengalese. E' il racconto di un dialogo tra Marco Polo e l'imperatore dei Tartari Kublai Kan. Il veneziano narra di aver visitato tutte le città del suo vasto impero. Esse sono 55 dai nomi tutti femminili, descritte in modo fiabesco con grande dovizia di particolari. Sono città fantasiose, città del passato ricordate e città del futuro immaginate. Un poco labirinto, un poco piacere edonistico dei sensi. Un viaggio affascinante attraverso l'incertezza. Il libro è strutturato come un gioco di parole tra il lettore e l'autore.
Dopo un simile excursus vorrei motivare la ragione di questo mio articolo.
E' vero che a livello di lettura mi sono spesso interessata degli autori menzionati. Ma l'input è stata la mia visita guidata alla mostra su Joan Mirò (Fig.10), avvenuta ultimamente a Napoli. Il titolo era "Mirò il linguaggio dei segni". In tanti anni di amore per la sua arte, dato il legame con i Surrealisti, miei compagni di pensiero intriganti, non avevo mai fatto tale associazione mentale. Scattò la molla dell'interesse per la linguistica e verificai che il segno sviluppa immagini successive del tutto personali. Noi non sappiamo cosa significassero quei segni per Mirò, ma il pittore catalano ha voluto comunicare con noi attraverso le sue opere. Quindi quei significanti per ognuno di noi avranno il loro significato. Questa è la svolta dell'arte moderna: il coinvolgimento personale. È L'osservatore che  crea l'arte. L'artista sollecita solo. L'arte è vita, ma soprattutto libertà, perciò affascina. Sulle pareti delle antiche grotte rupestri nasce il segno, come origine del processo di comunicazione fino ad oggi.

 
Elvira Brunetti
elvirabrunetti@yahoo.it
 

fig.10 - Il linguaggio dei segni


Le chiese di Materdei

 

tav.1 - Chiesa S. Agostino degli Scalzi (facciata)

La chiesa di S. Agostino degli Scalzi (fig.1), conosciuta anche come S. Maria della verità è  l’edificio sacro più celebre del quartiere.  
 A partire da Carlo Celano si è ritenuta (erroneamente) la sua origine legata ad una piccola edicola, detta di Santa Maria dell'Oliva per via della presenza di oliveti in zona, la quale fu sostituita dalla nuova chiesa. Tuttavia testimonianze storiche c'indicano che i due edifici sacri erano posti in due luoghi diversi: Cesare d'Engenio Caracciolo riporta che questa edicola sorgeva dove oggi si erge la chiesa di San Potito.  
La storia di Santa Maria della Verità comincia quando il consigliere Scipione De Curtis, accusato di gravi reati contro il Re di Spagna, si recò a pregare presso l'edicola di Santa Maria dell'Oliva affinché fosse scagionato dalle accuse promettendo in caso di grazia che avrebbe fatto erigere un edificio sacro.  
Una volta ottenuta la grazia, si adoperò affinché fosse costruito un monastero, il cui luogo fu scelto di fronte al palazzo di Carlo Carafa, duca di Nocera, dove sarà ospitato il convento dei Carmelitani Scalzi. De Curtis però volle che la sacra effigie della Madonna dell'Oliva fosse collocata nel nuovo tempio, da dedicare alla Madonna della Verità in onore della verità affermatasi nella questione giudiziaria.       
La chiesa fu eretta da Giovan Giacomo di Conforto (già operativo nella vicina chiesa di Santa Teresa) a partire dal 1603 e consacrata nel 1653 dall'arcivescovo di Sorrento Antonio Del Pezzo. Fu restaurata dopo i terremoti del 1688 e del 1694 da Arcangelo Guglielmelli, nella seconda metà del Settecento da Giuseppe Astarita (che nel 1751 disegnò il pavimento) e nel 1850 da Costantino Pimpinelli (autore dei fregi neoclassici dei pennacchi della cupola e delle decorazioni delle volte dei transetti). Durante il decennio francese, per costruire il nuovo corso Napoleone che avrebbe direttamente collegato il Museo Nazionale e la reggia di Capodimonte, la chiesa si trovò ad una quota superiore rispetto alla nuova strada a causa degli enormi lavori di sbancamento della ripida collina dove il monastero sorgeva. In seguito saranno costruiti anche degli edifici che nasconderanno la chiesa alla nuova strada.    
La storia della chiesa si lega a quella di Giacomo Leopardi nel giorno della sua morte, il 14 giugno 1837: è in questo monastero che Antonio Ranieri - a suo dire - cercò un religioso che portasse al moribondo Leopardi i conforti sacramentali.       
Giunse presso il suo capezzale frate Felice da Cerignola, ma arrivò nel momento in cui il poeta spirò. Tuttavia le vicende attorno alla morte di Leopardi sono avvolte nel mistero, a partire dalle notorie contraddizioni di Ranieri nel suo racconto.   
Pochi anni dopo l'Unità d'Italia l'intero complesso venne sottratto all'ordine degli Agostiniani e incamerato nei beni dello Stato. Il convento fu destinato a scopi civili e solo in seguito una parte verrà loro data in uso.  
Gli interni della chiesa vennero immortalati durante le riprese del film L'oro di Napoli, di Vittorio De Sica del 1954 e di un altro film culto, anche se si tratta di un clamoroso falso storico: Le mani sulla città di Francesco Rosi del 1963. Tali immagini sono testimonianza dello splendore della chiesa prima che, come per molte altre chiese di Napoli, anche questa pagasse il caro prezzo del terremoto dell'Irpinia del 1980 che sconvolse l'intera regione: la struttura fu gravemente danneggiata. È stata abbandonata per diversi anni, durante i quali è stata depredata di marmi, paliotti, arredi sacri. Il più efferato di questi furti avvenne nel 1985, quando fu rubato il paliotto dell'altare del transetto destro. La chiesa fu puntellata di tubi Innocenti e così fu immortalata nel documentario Vietato!, trasmesso nel 1994 su Rai Uno.    
Tuttavia per sopperire alla chiusura della chiesa le celebrazioni liturgiche continuarono ad essere officiate nella sacrestia, un tempo adorna di possenti armadi in noce (oggi esposti nella Certosa di San Martino), dove fu allestita una chiesa temporanea, smantellata con la riapertura dell'edificio.  
Intorno al 2000 sono iniziati i lavori di restauro architettonico della struttura e di recupero artistico delle opere in deposito. Sebbene ci siano ancora parti dell'edificio da restaurare, la chiesa dal 2008 è aperta al culto e visitabile. Già nel 2002, in occasione del Maggio dei Monumenti, fu aperta in via eccezionale.      
La navata unica (fig.2-3) è ricoperta di magnifici stucchi del tardo XVII secolo, opera di Lorenzo Vaccaro il cui intervento è accertato a partire dal 1684, copre tutte le strutture portanti dell'edificio; la cupola è anch'essa opera del Vaccaro, realizzata insieme ai suoi allievi Bartolomeo Granucci e Nicola Mazzone. Sempre del Vaccaro sono le quattro statue in stucco che in coppia (fig.4) sono poste a fianco degli altari del transetto e che per stile sono simili alle statue da lui realizzate nello stesso periodo per il cappellone del Crocifisso nella basilica di San Giovanni Maggiore.  
Bartolomeo Ghetti ha realizzato la balaustra e l'altare maggiore (fig.5) su disegno di Arcangelo Guglielmelli. Nella zona absidale, ridecorata sempre sui disegni del Guglielmelli, sono collocate sul fronte la Natività e l'Adorazione dei Magi (fig.6-7) di Andrea d'Aste, databili 1710, mentre ai lati sono collocate la Visitazione e l'Annunciazione (fig.8–9) di Giacomo del Po. Tra le due tele del d'Aste si nota il  possente organo con sulla sommità l'icona di Santa Maria dell'Oliva.     
Nelle cappelle (tre per lato) ci sono tele di Massimo Stanzion (fig.10), Domenico Antonio Vaccaro, Francesco Di Maria (fig.11), Agostino Beltrano (fig.12), Giuseppe Marullo (fig.13), Giacinto Diano ma alcune opere sono state trasferite al Museo di Capodimonte, come due tele ciascuno di Luca Giordano e Mattia Preti. Nella cappella Schipani (la prima a destra) sono presenti anche opere scultoree in marmo raffiguranti tre importanti esponenti della famiglia, opera di Giulio Mencaglia, mentre i marmi nonché l'altare sono di Bernardino Landini.             
Di notevole interesse è il pulpito in noce (fig.14) che mostra alla sua base una possente aquila intagliata da Giovanni Conte, detto Il Nano.           
Nella sacrestia, oggi adoperata come salone (le sue funzioni sono state trasferite nell'antisacrestia), sono presenti nelle lunette affreschi dei primi del XVII secolo rappresentanti Storie dell'ordine agostiniano. Nel piccolo cortile rettangolare, accessibile dall'antisacrestia, è presente un pozzale lavorato in piperno.     
Nell'ipogeo sottostante la chiesa venivano sepolti i corpi dei religiosi.
 Oggi solo una piccola parte del vasto monastero (di proprietà del Fondo Edifici di Culto) è in uso ai Padri Agostiniani, infatti in esso sono ospitati uffici comunali e due scuole (che hanno anche in gestione il chiostro adibito a cortile sportivo). È presente un campanile, anch'esso non più usufruibile dal monastero. In una stanza al di sotto di esso visse la sua fanciullezza Giuseppe Marotta.  
Per chi volesse ulteriormente approfondire l’argomento è opportuno consultare un mio articolo più esaustivo digitando il link http://achillecontedilavian.blogspot.com/2012/03/riapre-la-chiesa-di-s-agostino-degli.html

 

tav. 2 - Decorazioni in stucco della navata

tav.3  - Interno con decorazioni in stucco
 

tav.4  - Transetto sinistro


tav.5 - Altare maggiore


tav.6 - Andrea D'Aste - Visitazione

tav.7 -  Andrea D'Aste - Adorazione dei magi
 

tav.8 - Giacomo del Po - Annunciazione


tav.9 - Giacomo del Po - Visitazione


tav. 10  - Francesco Di Maria - Pietá

tav.11  - Massimo Stanzione -Madonna col Bambino

tav.12 - Agostino Beltrano - Madonna col Bambino e San Nicola da Tolentino

tav.13 - Giuseppe Marullo - S. Anna e la Vergine




tav. 14 - Pulpito in noce

Passiamo ora a descrivere il complesso di Santa Maria di Materdei (fig.15), una struttura conventuale  ubicata nell'omonima piazzetta, fondata da padre Agostino de Juliis dell'Ordine dei Serviti (o servi di Maria) in tarda epoca rinascimentale, nel 1585; nel corso dei secoli venne ampiamente modificata. Tra i più importanti rimaneggiamenti, vi è quello barocco ad opera di Tagliacozzi Canale (1728) oggi dell'intervento si possono notare due piccoli portalini.       
Nel XIX secolo, con la prima soppressione degli ordini, il complesso fu ulteriormente rimaneggiato per poter adempiere al suo nuovo ruolo di caserma. Dopo questa destinazione la chiesa venne riaperta al culto nel 1852 e proprio in questo periodo subì un ulteriore rimaneggiamento, assumendo l'aspetto odierno; tuttavia, verso la metà del XIX secolo il convento perse la sua originaria funzione al fine di ospitare una caserma ed un ricovero per le vedove dei soldati. Oggi è sede di un istituto scolastico.
I dipinti e altri valori andarono quasi tutti perduti (superstite è una Madonna del Rosario su tavola, risalente alla seconda metà del XVI secolo ed attualmente collocata sopra l'altare destro del transetto) e rimase abbandonata fino al 1848 quando fu finalmente riconsacrata per volere dei reali Borboni. Nel 1852 divenne parrocchia per concessione del cardinale Riario Sforza con il titolo di S. Maria dell'Amore e fu affidata al canonico Raffaele Serena che vi fece eseguire da Gennaro Maldarelli due tele, raffiguranti l'Annunciazione e Il Battesimo di Cristo.
La chiesa è costituita da una sola navata (fig.16) con volta a botte lunettata; le strutture sono decorate in stile neoclassico, stesso discorso per la facciata. Vi è un pseudotransetto sormontato da una cupola a scodella; ai lati ci sono le cappelle.
Particolarmente interessante vi è poi la chiesa di San Raffaele che si erge in via Amato di Montecassino (già vico San Raffaele). La struttura venne fondata nel 1759 a cura dei canonici Marco Celentano e Michele Lignola, su disegno di Giuseppe Astarita, insieme al conservatorio femminile (il Ritiro delle Pentite, accogliente le ex-prostitute) con cui divide il fronte stradale.            
La facciata (fig.17) incurvata, che risulta arretrata rispetto alla strada, si articola in due ordini sovrapposti raccordati da volute e coronati da un timpano triangolare. L'interno (fig.18) è a croce greca e risulta allungato longitudinalmente dall'atrio d'ingresso e dalla zona absidale. La cupola (fig.19) è impostata direttamente sul vano centrale senza tamburo e termina in un ampio lanternino che fornisce un'eccellente illuminazione interna.      
Testimonianze dell'apparato decorativo settecentesco, sono la tribuna e l'altare maggiore in marmi policromi, sovrastati da un baldacchino ligneo dorato – di artista ignoto – a forma di corona e sorretto da angeli in stucco.     
 Il pittore Angelo Mozzillo realizzò nelle basse volte della chiesa due affreschi rappresentanti il primo Tobia e Sara nella casa di Tobi, il di lui padre, mentre il secondo l'arcangelo Raffaele nel significato di medicina Dei del suo nome (in ebraico Rafa'el significa appunto "Dio ha guarito"). L'accesso al ritiro è su salita Porteria San Raffaele (dove porteria indica appunto l'ingresso della struttura), mentre alla sua destra è il portale della piccola cappella della Congregazione di San Raffaele, costruita nell'anno 1800 all'interno di alcuni locali del ritiro dopo che nel 1798 la congregazione fu fondata.              
La statua dell'Arcangelo Raffaele (fig.20) è rappresentata con un pesce in mano, secondo un'iconografia che ha le sue origini nel racconto biblico del Libro di Tobia.    
Un'antica tradizione, che fondeva reminiscenze pagane dei riti campani della fecondità con la ritualità popolare cristiana, voleva che le donne sterili e le fanciulle da marito si recassero a baciare il pesce del santo. Il mare visto come donatore di fecondità e il pesce come antichissimo simbolo cristiano rendevano accettabile il rito, nonostante vi fosse riconoscibile un riferimento sessuale nell'uso eufemistico, comune in napoletano, di pesce per "pene". La frase va' a vasà 'o pesce 'e San Rafèle ("va' a baciare il pesce di San Raffaele") era rivolta fino a qualche decennio fa alle belle ragazze, tra il serio e il faceto, in senso augurale.
La chiesa della Concezione a Materdei (fig.21) è sita in salita San Raffaele.   
La struttura fu fondata nel 1743 dal padre Francesco Pepe, insieme ad un conservatorio per fanciulle. Subì modifiche nel 1789, assumendo l'attuale configurazione, e venne terminata poco tempo dopo. La direzione del conservatorio, in seguito, fu affidata a un magistrato ordinario reale. La direzione laica giovò molto al ritiro, che fu ritenuto uno dei migliori del suo tempo anche per interessamento del canonico Domenico Ventapane, poi vescovo di Teano, sepolto a lato dell'altare maggiore della chiesa.             
La chiesa è ad aula unica con tre piccole cappelle laterali, articolate da paraste dalle quali si dipartono i costoloni che scandiscono la volta. Di notevole importanza è l'altare maggiore, di scuola vaccariana. È ipotizzabile un intervento di Domenico Antonio Vaccaro perché era particolarmente stimato dal gesuita che gli aveva commissionato la statua argentea dell'Immacolata per la chiesa del Gesù Nuovo. Presso la cappella destra c'è la sepoltura ipogea della famiglia Serra dei Duchi di Cassano.   
L'elemento di spicco del conservatorio, prima di essere spostato, era la Guglia dell'Immacolata attribuita a Giuseppe Astarita. Prima di essere collocata nel luogo attuale, lo slargo di via Ugo Falcando (poco lontano dal luogo di culto), la guglia era posta nel cortile del conservatorio.       
La chiesa versa in condizioni di degrado e non è visitabile.
La chiesa Cor Jesu (fig.22), detta anche chiesa del Santissimo Cuore di Gesù oppure chiesa di Gesù nell'orto degli ulivi è sita in via Amato di Montecassino, nella zona di San Raffaele, a Materdei, tra la chiesa della Concezione a Materdei e la chiesa di San Raffaele.          
Nel 1872 padre Ludovico da Casoria acquisì l'educandato femminile della Concezione e vi instaurò la nuova sede dell'Opera degli Accattoncelli e delle Accattoncelle, da lui fondata dieci anni prima, nel 1862. La chiesa fu conclusa nel 1886.            
La chiesa attuale costituisce una ricostruzione novecentesca sul sito della chiesa della Santissima Concezione al vico San Raffaele. L'annesso fabbricato per abitazioni civile rappresenta anch'esso una rielaborazione del vecchio educandato principessa Clotilde, ricostruito dai fratelli Arrigo (architetto) e Vincenzo (ingegnere) Marsiglia verso la fine degli anni Settanta del XX secolo.   
La facciata della chiesa si articola in due ordini: al centro dell'ordine inferiore è presente il portale, sovrastato da un arco neogotico, al cui interno è presente un bassorilievo raffigurante Gesù che patisce nell'orto del Getsemani; l'ordine superiore presenta due coppie di piccole paraste doriche con rosone centrale.          
Sempre sulla facciata una lapide in marmo riporta la seguente iscrizione datata 1885: 

(LA) «COR JESU IN AGONIA FACTUM MISERERE MORIENTIUM
MDCCCLXXXV»
    
(IT) «Cuore agonizzante di Gesù, abbi pietà dei moribondi»

L'interno è custode di alcune tele di incerta attribuzione. 

 

tav.15 - Chiesa S. Maria di Materdei (facciata)

tav.16 - Chiesa S. Maria di Materdei (interno)

tav.17 - Chiesa di San Raffaele

 

tav.18 -Panoramica interna della chiesa di San Raffaele

tav. 19 - Cupola

tav.20 -Statua di San Raffaele

tav. 21 -Chiesa Concezione a Materdei

 

tav. 22 - Chiesa Cor Jesu

tav. 23 - chiesa dell'Addolorata

La chiesa dell’Addolorata (fig.23) è ubicata in Salita San Raffaele.      
Le origini della chiesa risalgono al 1906 circa, quando le suore dell'Addolorata acquistarono il vasto fabbricato comprensivo di giardino.          
Le religiose, di fianco al palazzo, ben presto fecero erigere anche la chiesa in stile eclettico. La struttura di culto presenta una facciata (fig.24) di stampo tardo neoclassico-neorinascimentale: essa è tripartita e, in particolare nella zona centrale, che risulta più sporgente nelle ali laterali, vi è un vasto finestrone che illumina la navata e le cappelle laterali. La chiesa è priva di cupola.
Il monastero di Sant'Eframo Nuovo (fig.25) si erge in via Matteo Renato Imbriani, più nota come via Salute).  
La denominazione San'Eframo "Nuovo" nasce dal fatto che bisognava distinguerlo da quello situato presso la chiesa di Sant'Eframo Vecchio, più antico, che si erge sul colle della Veterinaria, e che a sua volta ha assunto la denominazione "Vecchio".     
Il monastero nacque nel 1572, su di un fondo, appartenente a Gianfrancesco Di Sangro principe di Sansevero, acquistato dai frati cappuccini grazie alle generose elargizioni della nobildonna napoletana Fabrizia Carafa. L'edificio venne ultimato nei primi decenni dei Seicento. Il progetto originario prevedeva la costruzione di un complesso vastissimo, in quanto voleva essere la sede principale dell'ordine dei frati minori cappuccini nel napoletano; tuttavia l'idea originaria di creare qui la sede dell'ordine venne abbandonata e il progetto ridimensionato. Nonostante ciò il complesso è ugualmente imponente: 160 stanze per i frati, due chiostri, vari cortili, l'orto e le varie aree comune.             
Annesso al monastero vi è l'omonima chiesa (fig.26), fondata nel 1661. Inoltre i religiosi, giacché l'edificio sorge in una zona salubre, all'interno del comparto urbano una volta chiamato della Salute, utilizzarono la struttura come convalescenziario ed adibirono alcuni ambienti della struttura ad uso farmacia.     
Il complesso fu gravemente rovinato da un incendio nel 1840 che distrusse quasi ogni cosa; all'interno della chiesa furono perduti gli affreschi della volta, opera di Filippo Andreoli, mentre si salvarono una statua di San Francesco d'Assisi, opera di Giuseppe Sammartino, e una statua della Madonna proveniente dal Brasile (giunta a Napoli nel 1828). Grazie all'interesse dello stesso re, Ferdinando II delle Due Sicilie, la chiesa fu restaurata in pochissimo tempo e riaperta già nel 1841. Oggi lo stile architettonico della struttura rispecchia il gusto neoclassico dell'epoca.     
A seguito della politica anticlericale del Regno d'Italia, attuata tramite la liquidazione dell'asse ecclesiastico, nel 1866 il monastero fu soppresso e adattato a caserma.         
Dal 1925 il complesso fu destinato a manicomio criminale e poi, dal 1975, ad Ospedale psichiatrico giudiziario; per questi motivi la struttura ha subito forti modifiche per adattarla al meglio alla sua nuova funzione. Dal 2008 l'OPG "Sant'Eframo" non ha più sede nel complesso monastico, ma è stato trasferito presso il Centro Penitenziario di Napoli-Secondigliano      
Caduta in stato di abbandono, dal 2015 la struttura è occupata dal Collettivo Autorganizzato Universitario di Napoli, che ha dato vita a "Ex OPG occupato Je so' pazzo” con lo scopo di far riappropriare la città, e in special modo il quartiere, di un proprio bene.             
Il Ritiro delle Teresiane di Torre del Greco è una struttura, ubicata in salita San Raffaele 3, nel rione Materdei, al confine tra i quartieri Stella e Avvocata.      
La chiesa (fig.27) e il monastero furono fondati dalle suore teresiane a seguito dell'eruzione vulcanica del Vesuvio del 1794 che distrusse il loro originario convento, sito non molto distante dalla capitale, a Torre del Greco, e fondato nel 1685.   
Grazie all'aiuto del barone di Castro in Puglia Gennaro Rossi e poi di suo nipote Giovan Battista, che gli successe nel 1804, le suore ottennero una nuova sede dove potersi trasferire.        
Nel monastero fu istituito un educandato per giovani ragazze, il cui regolamento fu approvato da Ferdinando II di Borbone nel 1854.   
Il monastero, lasciato in disuso, nel settembre 2009 è stato occupato abusivamente dal centro sociale di ispirazione fascista CasaPound, ma dopo una mobilitazione da parte dei centri sociali nel mese di dicembre è stato sgomberato.      
Dopo un sopralluogo effettuato dal Comune nel novembre 2011, dal 2012 è la sede di un gruppo di associazioni di quartiere che gestisce la struttura, da loro ribattezzata Giardino Liberato di Materdei.
La chiesa, dedicata all'Immacolata Concezione, è a navata unica con volta a botte e cupola. L'interno, ricco di decorazioni neoclassiche, non presenta opere d'arte
La sua facciata è caratterizzata da un portale sormontato da una trabeazione, ai lati vi si trovano due coppie di paraste ioniche, posizionate sui basamenti in piperno che concludono con un timpano triangolare. Sul portale è presente una lapide che riporta l'intervento dei baroni Rossi nell'edificazione del ritiro.        
Il gran portale del conservatorio è in piperno. L'intera struttura versa in condizioni non ottimali di conservazione e necessita di un restauro generale, a partire dall'esterno che non presenta più intonaco.
La chiesa di S. Maria della Salute (fig.28) si trova al limite del quartiere Arenella.  Essa fu edificata per essere impiegata come cappella di un convento di monaci (si pensa di Frati cappuccini), complesso abbandonato intorno al 1534 per cause riconducibili al crollo di un solaio. Successivamente, tra il 1565 e il 1586, il convento venne ripristinato e messo a nuovo per mano dei Complateari della Concezione dei Cappuccini. Inizialmente affidato a delle monache, nel 1608 il convento passò di mano ai Frati agostiniani e, poi, tra il 1611 e il 1621, ai Frati francescani, grazie a un manoscritto.               
In seguito, passò ai padri della chiesa di San Giovanni a Carbonara, ma anche quest'ordine religioso durò poco tempo.   
Il 25 gennaio 1621 i fratelli Ruperto e Marco Pepe, Benigno e Ruperto Ruperti, assieme ad alcuni Complateari presentarono all'arcivescovo di Napoli una supplica affinché il complesso fosse affidato ai Francescani Minori Riformati della Croce di Palazzo; questi, durante gli anni successivi, modificarono ed ampliarono la struttura, da cui furono espulsi il 17 aprile 1865.   
Il convento divenne un complesso abitativo, dapprima comprato dal commendatore Raffaele Raya e in seguito donato all'Ospedale dei Pellegrini a Napoli. Oggi questo complesso è stato racchiuso in una villa che prende nome dal commendatore, ovvero Villa Raya.     
Dal 1865 ad oggi la chiesa è impiegata principalmente per funzioni religiose.      
La chiesa, formata da una sola navata (fig.29), ha subito vari rimaneggiamenti che le hanno sottratto parte della bellezza originaria. Essa era arricchita da varie statue raffiguranti i santi Francesco, Nicola, Girolamo, Agata e Lucia, gli evangelisti, l'eterno Padre e vari puttini.              
Sull'altare maggiore erano posizionate le statue della Vergine della Salute e dei santi Pietro e Paolo. Dietro all'altare era locata tra le varie sepolture una pregevole tomba dei Navarretto marchesi della Terza. Nell'abside era presente anche una tela raffigurante la Vergine con San Francesco, Sant'Antonio e due sante, forse della scuola di Massimo Stanzione. Ulteriori affreschi erano conservati nelle cappelle.       
Oggi, nonostante tutto, sono ancora da ammirare le due cappelle di sinistra con affreschi e stucchi seicenteschi, ciò che resta delle opere di Tommaso Malvito, il monumento funebre (fig.30) del marchese Navarrete nella prima cappella a destra e i tre dipinti dietro all'altare maggiore (la centrale "Vergine della Salute" (fig.31), ritenuta di Girolamo Imparato, e le laterali "Annunciazione" e "Natività" (fig.32–33) capolavori di Onofrio Palumbo).  
Nel marzo 2010 sono cominciati i lavori di restauro per consolidare le murature, dopo che alcune crepe si erano aperte sul soffitto.    
Da qualche anno a questa parte, alcuni fedeli della chiesa hanno fondato l'associazione "Pietre Vive alla Salute", un'associazione che si concentra sull'informazione della parrocchia. Grazie a questa associazione, nel 2009 sono riusciti a scrivere e pubblicare un libro che s'intitola "La Salute-dall'Infrascata alle Due Porte".   
Questo libro si concentra sulla zona di Materdei, e descrive l'omonimo quartiere partendo dall'Infrascata (Via Salvator Rosa) e arriva al quartiere delle Due Porte.

 

tav. 24 - Portale

 

tav. 25 -Monastero di S. Eframo Nuovo

tav.26 - Chiesa Sant' Eframo Nuovo

 

tav. 27 - Ritiro delle Teresiane

 

tav. 28 - Chiesa di S. Maria della Salute

tav. 30 - Monumento funebre

 

tav. 31 -Girolamo Imparato -Madonna col Bambino e Santi

tav. 32 - Onofrio Palumbo-Annunciazione

tav. 33 - Onofrio Palumbo-Adorazione dei pastori