venerdì 6 aprile 2012

La collezione Ruggi D’Aragona in mostra a Salerno


19/7/2011

A Salerno, presso il museo diocesano, è possibile ammirare in mostra la collezione Ruggi D’Aragona, una delle più importanti raccolte di pittura napoletana, con dipinti di Beltrano, Guarino, Vitale, Coppola, Stanzione, Nicola Vaccaro e tanti altri artisti giudicati minori unicamente perché attivi nel secolo d’oro al fianco di giganti come Ribera o Giordano, Preti o Solimena. 
Si tratta di ventotto tele di soggetto sacro di maestri del Seicento napoletano, che tranne in alcuni casi non sono mai uscite prima dai depositi e sono ignote, non solo agli appassionati, ma agli stessi studiosi. La storia di questo nucleo di quadri è alquanto travagliata. Donati alla Cattedrale di Salerno da parte di uno degli ultimi esponenti della nobile famiglia salernitana Ruggi D' Aragona nel luglio 1870, come riportato in un documento testamentario del marchese Giovanni, si ritrovano citati di nuovo nel 1929. Dopo questa data, i dipinti, da sempre custoditi nella sacrestia del Duomo, subirono vari spostamenti in attesa di una nuova collocazione. Poi, un continuo migrare dovuto a rifacimenti e restauri della cattedrale, ma anche al nuovo progetto di realizzazione del museo Diocesano, che li avrebbe dovuti accogliere come nucleo principale della pinacoteca. Nel 1980 l' ultima "scossa", non solo di terremoto, dà l' ulteriore colpo di grazia, danneggiando i capolavori barocchi che a quel punto necessitano di una lunga terapia di restauro. Oggi con la mostra sulla collezione Ruggi D' Aragona si chiude il ciclo: le opere tornano ad essere esposte nel museo Diocesano per cui erano state pensate, dopo un lungo ed accurato restauro che le ha restituite allo splendore originario.
L’Adorazione dei pastori(01), a lungo ritenuta del Giordano, è viceversa con certezza opera di Nicola Malinconico, quando l’artista cercò di seguire l’ultima maniera chiara del maestro e sembrerebbe, più che un bozzetto, uno studio preparatorio per la tela di analogo soggetto conservata a Napoli nella chiesa di S. Maria la Nova.
Il lavoro del Malinconico fa da modello per uno dei dipinti inseriti nel ciclo del cassettonato della Collegiata di San Michele ad Episcopio di Sarno, a firma di uno degli allievi di Giordano, Andrea Miglionico.
Due dipinti della collezione vengono tradizionalmente assegnati a Stanzione: un San Brunone (02) in preghiera, sicuramente non autografo, realizzato probabilmente da un pittore della cerchia di Francesco Di Maria ed una Madonna della rosa (03), variamente collocata cronologicamente dalla critica tra la metà degli anni Quaranta (Leone de Castris) e gli anni Cinquanta(Schultze). Per la figura della Vergine lo Stanzione sembra ispirarsi al celebre modello della Visitazione della cappella Merlino nella chiesa del Gesù Nuovo a Napoli, mentre in contrapposizione ai volti delicati della Madonna e del Bambino la veste e le mani, di qualità più modeste, tradiscono la partecipazione della bottega.


La Giuditta con la testa di Oloferne (04) è tra le opere più affascinanti esposte ed attira maliziosa lo sguardo dell’osservatore per la sua pacata bellezza. Già assegnata al Guarino da Spinosa nel suo repertorio, fu ritenuta da Bologna, esito di un maestro anonimo  vicino ai modi pittorici del Maestro di Fontanarosa e del De Bellis e con la denominazione di Maestro della Giuditta di Salerno fu esposta nel 1991 alla mostra su Battistello Caracciolo ed il primo naturalismo a Napoli, assieme ad un David con la testa di Golia (05), anche esso della raccolta Ruggi D’Aragona, per il quale oggi si propende per una, accettabile ma non definitiva, paternità di Van Somer.


Fa meraviglia vedere la targhetta che assegna al Gargiulo il Ruben al pozzo (06), opera certa di Carlo Coppola(siglato CC). Il dipinto, che potrebbe più incisivamente chiamarsi Giuseppe ed i fratelli, raffigura il poco noto personaggio biblico, figlio primogenito di Giacobbe e capostipite della tribù omonima, che ebbe parte attiva nella resistenza dei fratelli contro Giuseppe, ritratto mentre sta scoperchiando il suo pozzo per abbeverare le bestie.(Per maggiori dettagli rinvio alla mia monografia Carlo Coppola opera completa, pag. 10, tav. 27).

Il San Pietro in meditazione (07) è copia antica di un originale che ho avuto mesi fa occasione di esaminare a Palma de Mallorca in una collezione privata(cfr. il mio Repertorio fotografico sulla pittura del Seicento napoletano, tomo II, addenda). 

Tra i quattro quadri dati al Vitale ci ha intrigato una ulteriore versione del Loth e le figlie (08), che si aggiunge a quella transitata nel maggio1984 presso la Finarte di Milano ed alla Fuga di Lot da Sodoma già in collezione Carignani di Novoli a Napoli.(cfr. la mia monografia Pacecco De Rosa opera completa(3° edizione, pag. 5, fig. 12 – 14). Anche in questo dipinto compare, oltre a vesti sontuose, che richiamano a viva voce la lezione di Artemisia Gentileschi, un prezioso vaso istoriato in mano ad una delle due leggiadre fanciulle. La tavolozza sontuosa colloca l’opera nel quinto decennio, in linea con la data, oggi illeggibile, posta su una delle due tele citate, che indicava il 1650, un momento nel quale i rapporti di dare ed avere tra patrigno e figliastro(il Vitale e Pacecco De Rosa) si indirizzano verso un prevalere dello stile del pittore più giovane. Altri due dipinti con lo stesso soggetto sono illustrati nella monografia sul Vitale a cura di Giacometti, Porcini e Porzio(pag. 116 – 117, tav. 49 – 51); in particolare la tela passata a San Francisco presso Bonhams nel novembre del 2005, attribuita alla Gentileschi, è sovrapponibile a quella del museo Diocesano e presenta lo stesso vaso decorato con l’immagine di un cavallo in corsa.

Deboli e di autografia incerta le altre opere attribuite al Vitale: una Disputa di Gesù con i dottori(09) ed un San Francesco in meditazione(010).


Un’interessante aggiunta al catalogo di Agostino Beltrano, un ancora poco noto stanzionesco falconiano, è costituita dai due dipinti di palmare autografia, raffiguranti un Mosè fa scaturire l’acqua dalla rupe(011) ed un Viaggio di Rebecca(012) mentre plausibile appare la paternità del Marullo dell’Abramo ed i tre angeli(013), anche se il pittore riesce facilmente riconoscibile nelle tele in cui compare una figura femminile, segnata in maniera inconfondibile dal patognomonico cono d’ombra sulla guancia sinistra.



Notevoli i dipinti(014 – 015 – 016) di Nicola Vaccaro, tra i vertici della sua produzione, che daranno peso agli interessi neoseicenteschi dei solimeneschi Jacopo Cestaro e Nicola Maria Rossi, mentre la Maddalena penitente(017) assegnata sulla targhetta del museo ad un ignoto vaccariano è replica autografa di Andrea.
Difficile dare un nome ai quadri presentati come ignoti di qualità non eccelsa: un S. Antonio abate(018) e un San Girolamo(019).







Foto di Dante Caporali

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