venerdì 30 maggio 2014

Capolavori e inediti del Seicento napoletano


Cominciamo la nostra carrellata con Una Strage degli innocenti (fig.01) di Cavallino di notevole qualità da porre in rapporto con quella (fig.01b) già a Londra, presso Sotheby’s nel 1973, di cui costituisce una versione di formato più piccolo. Del Cavallino si conosce un’altra interpretazione del tema della Strage degli Innocenti:quella (fig.01c) a Milano, nella pinacoteca di Brera, datata intorno al 1640; Il dipinto in esame presenta varianti rispetto alla versione già presso Sotheby’s: le architetture di sfondo sembrano tagliate all’altezza dei capitelli, e dunque manca la modanatura posta al disopra che si osserva nel dipinto qui in discussione, inoltre manca la figura di infante a terra sulla parte destra del quadro londinese, che presenta una fattura apparentemente più accurata di dettagli come la figura di madre al centro e quelle dei due aguzzini in piedi; per contro, alcune parti del dipinto in esame appaiono eseguite con più abilità. È perciò probabile che esso sia stato impostato da Bernardo Cavallino e che sia stato in parte terminato da aiuti, a riprova di una inclinazione del pittore a replicare composizioni di evidente successo. Tale ipotesi è rafforzata da riscontri su opere della fase avanzata del suo breve percorso. La figura di madre disperata al centro del dipinto nasce dal disegno della Vergine nella ‘Adorazione dei pastori’ di Cavallino a Cleveland, presso il Museum of Art. Del dipinto di Cleveland, siglato, esiste una versione in formato ovale e di dimensioni minori, già a Trieste, nel 1943, presso la Galleria d’Arte del Corso. Sembra dunque che alla fine della sua carriera Cavallino abbia raggiunto un successo più ampio di quanto si pensasse fino a poco tempo fa; un successo sfociato in repliche delle sue opere più richieste. Il presente dipinto potrebbe appartenere alla fase estrema del pittore, la cui morte all’età di soli quarant’anni sarà stata una delle cause dell’esistenza di sue opere non finite che, come quella in esame, è priva dell’automatismo delle copie e per contro mostra brani di notevole impatto visivo.

01 - Cavallino - Strage degli innocenti - Napoli Blindarte

01 b - Bernardo Cavallino - Strage degli innocenti - Londra già Sotheby's 1980

01 c - Bernardo Cavallino - Strage degli innocenti - Milano pinacoteca Brera

Proseguiamo esaminando un San Giovanni Battista (fig.02) di Cesare Fracanzano, conservata a Prato nella collezione di Daniele Storai.
Il pittore, nato nel 1605 a Bisceglie, comincia a dipingere suggestionato dall’ambiente tardo manieristico pugliese come dimostrano i teloni dell’Episcopio di Barletta ed anche giunto a Napoli del naturalismo avrà una visione superficiale ed accademica. I suoi primi dipinti sono il San Giovanni Battista del museo di Capodimonte e le due splendide tele conservate nella quadreria del Pio Monte: Pietà e Guarigione di un indemoniato.
Attratto poi dalle suggestioni pittoricistiche legate alle correnti vandychiane si allontana dal luminismo ed esegue opere come il San Michele Arcangelo nella Certosa di San Martino ed il Cristo confortato dagli angeli conservato nella quadreria dei Gerolamini. Si dedicherà anche alla decorazione imitando i modi lanfranchiani e realizza un ciclo nel coro della chiesa della Sapienza nel 1940 ed uno  nella chiesa dei Santi Cosma e Damiano a Conversano.
Aderisce poi ai modelli classicistici desunti dal Reni e giunge ad una maniera delicata con una tavolozza calda e luminosa, come si evince nella tela, firmata, dei Due lottatori conservata al Prado.
Nell’ultima fase della sua attività tornerà in Puglia,  intensificando sempre più gli aspetti pittoricistici ed applicando moduli accademici di derivazione stanzionesca in commissioni a carattere devozionale stancamente ripetute.
Il San Giovanni Battista appartiene senza dubbio alla fase classicistica per la cromia dolce e per la definizione delicata della parte anatomica. Tali accostamenti ben si esprimono nei colori spessi e grumosi e nella palpabile materialità del vello dell’agnello, mentre il fondale scuro sul quale lampeggia il panno che ricopre il santo è un chiaro richiamo alle tematiche riberiane.
L’impasto cromatico del corpo possiede una calda luminosità ed un tenero colorismo, che fa presagire l’adesione alla lezione di Van Dyck intorno al 1635.
Nel dipinto possiamo cogliere le tre anime di Cesare: un repertorio accademico solido basato su figure convenzionali rese con rigore formale, un aggiornamento dello stile giovanile sulla lezione del naturalismo ed un’adesione ai dettami di piena luminosità dei seguaci vandychiani.
La S. Maria Egiziaca adorante il Crocifisso (fig.03) costituisce un’importante aggiunta alla fase maltese del catalogo di Mattia Preti.
Nel 1661 non reggendo la rivalità con Luca Giordano, l'artista si trasferì nella “piccola isola dalla grande storia”, chiamato dal Gran maestro dell'ordine di Malta Raphael Cotoner. Lì realizzò buona parte della decorazione della Cocattedrale di San Giovanni a La Valletta e la Conversione di San Paolo, nella vecchia Cattedrale di San Paolo a Medina per conto dei Cavalieri Ospitalieri ed altre opere per le varie chiese maltesi. Egli , spesso aiutato dalla bottega, a Malta realizzò oltre 400 dipinti.
La santa nel dipinto viene raffigurata, come sempre nuda e con un braccio in primo piano da far invidia ad un culturista. Il volto, molto dolce, sembra voler implorare al crocifisso perdono per la sua vita dedita per lunghi anni alla lussuria, infatti, nata nel 344 ad Alessandria d’Egitto, fuggì dalla propria casa all'età di dodici anni abbandonandosi ad una vita dissoluta e guadagnandosi da vivere elemosinando e facendo la prostituta. Sentitasi quindi chiamata dall’Alto,  presso il fiume Giordano,  pentitasi della propria esistenza dissoluta, si immerse nelle sue acque per purificarsi ed in seguito visse come eremita. Il suo errare solitario durò quarantasette anni, durante i quali si nutrì solo con l'erba che trovava sul suo cammino. Zosimo, monaco  palestinese, la incontrò durante un pellegrinaggio e trovò innanzi a sé una donna molto magra, nuda e con lunghi capelli bianchi come la lana. Acconsentendo a parlare con il monaco dopo essersi fatta consegnare da lui un mantello per coprirsi, Maria raccontò a Zosimo le circostanze che l'avevano portata a quel lungo pellegrinaggio e, per la seconda volta dall'arrivo in Palestina, ricevette l'Eucaristia. Zosimo lasciò Maria promettendo di tornare a trovarla nello stesso luogo l'anno successivo. Il monaco tornò, come aveva promesso, trovando la santa morta, con addosso lo stesso mantello che le aveva donato l'anno precedente. Leggenda vuole che la sua tomba fu scavata da un leone con i suoi artigli.

02 - Cesare  Fracanzano S. Giovanni Battista  - Prato collezione Storai

03 - Mattia Preti  - S. Maria Egiziaca adorante il crocifisso - Italia collezione privata

L’Adorazione dei pastori (fig.04) è facilmente assegnata a Giuseppe Marullo perché presenta due caratteri patognomonici del suo stile: il cono d’ombra sul volto della Madonna e la coppia di angioletti nella parte alta della composizione.
Da tempo non commento quadri di Carlo Coppola,  un autore a me caro ed a cui ho dedicato una monografia. Per rifarmi ne propongo tre , dopo cenni biografici sul pittore.
Artista ancora poco conosciuto nell’ampio panorama figurativo napoletano attivo intorno alla metà del secolo XVII, Carlo Coppola fa parte della variegata bottega di Aniello Falcone, nella quale occupava certamente una posizione di rilievo ed era benvoluto da tutti, come si evince dalle parole del De Dominici, che dell’artista ci tramanda poche notizie a margine delle pagine dedicate al celebre maestro. 
Oltre che notevole battaglista, egli fu abile anche nelle scene di martirio ed in quadri storici e di vedute. Impregnato della cultura tardo manierista di Belisario Corenzio, ebbe due sfere di attrazione: il Falcone ed il Gargiulo. Dal primo prende ispirazione per i quadri di battaglia e gli esempi del suo maestro sono utilizzati come repertorio di immagini stereotipate, rese con toni caldi e colori scuri, mentre nei martiri e nei quadri storici le soluzioni di maggiore libertà pittorica e chiaroscurale, prelevate da Micco, sono molto marcate.
Ritorniamo alle parole del De Dominici: “ Fece assai bene di battaglie, e tanto che molte volte le opere sue si cambiano con quelle dello stesso Maestro, ma tanto i soldati, quanto i cavalli del Coppola hanno una certa pienezza più di quelli del Falcone, e massimamente le groppe de’ cavalli sono assai rotonde, il che a cavalli da guerra non molto conviene”.
Come sempre il celebre biografo riesce acutamente a definire lo stile di un autore ed a mettere in risalto un aspetto importante della sua attività, che ha contribuito a confondere parte della sua produzione migliore con l’opera del maestro. Infatti, nonostante l’abitudine di siglare le sue opere, la disonestà dei mercanti, abili col raschietto, ha spesso, non solo ai tempi del De Dominici, fatto passare per Falcone battaglie del Nostro, mentre più di una scena di paese, viene assegnata dalla critica al Gargiulo, compagno di bottega, che negli ultimi anni ha incontrato, grazie ad un’esaustiva monografia e ad una mostra molto curata, un cospicuo successo commerciale. 
Un modo per riconoscere il pennello del Coppola nei dipinti non firmati è quello di osservare attentamente le terga e la coda dei suoi cavalli, presenti non solo nelle battaglie, ma anche nelle scene di martirio. Le prime sono sempre imponenti, poderose e di evidenza scultorea, mentre la coda è costantemente vaporosa e ricchissima di crini, che arrivano fino a terra. Un dettaglio che, per la sua originalità, costituisce una sorta di sigla nascosta e che possiamo osservare nel Martirio di Sant’Andrea, di collezione romana, nella Lapidazione di Santo Stefano, passata nel 1994 sul mercato antiquariale, nella Crocefissione di San Pietro (fig.07c), in asta presso Semenzato, Milano 1991, nei Cavalieri con armatura a cavallo (fig.07b), passato come De Lione in un’asta Semenzato del 2003. I suoi cavalieri indossano elmi piumati ed i destrieri si stagliano imponenti in primo piano, mentre sullo sfondo la scena del combattimento è dominata da castelli turriti e paesaggi collinari.
Un dipinto dall’originale iconografia è San Pietro ed il pesce o Il Pagamento del tributo (fig.06), siglato”CC”, già a L’Aja nella collezione di Vitale Bloch, reso noto dal Causa nel 1972, quando il Coppola era quasi sconosciuto ed oggi ricomparso in un’asta della Blindarte.  Una composizione a figure grandi nella quale risalta la lucentezza metallica degli elmi dei soldati, un dettaglio presente in molti quadri di battaglia. Sullo sfondo uno scorcio di paesaggio tra Spadaro e Di Lione. L’episodio descritto è collegabile alla pesca miracolosa narrata da Giovanni  (21, 1- 19) ed è alquanto raro in pittura. Anche il Martirio di San Paolo (fig.05), siglato “CC” è stato esitato presso la Blindarte e mostra una figura in primo piano presente in altri dipinti del Coppola la già citata Crocefissione di San Pietro (fig.07). Infine Un’attesa della battaglia (fig.07), tempo fa sottoposta alla mia attenzione da un collezionista sicuro di possedere un Falcone, che viceversa può essere attribuito con certezza al Nostro, grazie alla particolare  definizione della coda di cui abbiamo parlato in precedenza.


04 - Giuseppe Marullo - Natività - Italia mercato antiquario

05 - Carlo Coppola Martirio di San Paolo - Napoli Blindarte

06 - Carlo Coppola - Pagamento del tributo - Napoli Blindarte

07 - Carlo Coppola - Attesa  della battaglia - Ubicazione ignota

07 b - Carlo Coppola - Cavalieri con armatura a cavallo - Venezia Semenzato 2003

07 c - Carlo Coppola - Crocefissione di San Pietro - Milano Semenzato 1991

Il dipinto La nascita del corallo (fig.08), già nella collezione di Valentino Cencelli, lo segnaliamo principalmente perché alcuni anni fa è stato rubato e speriamo che qualche lettore possa agevolarne il recupero.
La Fanciulla pensosa (fig.09) di Niccolò De Simone costituisce un’importante aggiunta al catalogo dell’artista e fa parte di quelle piccole telette a mezzo busto di donne, molte ancora da identificare ed attribuire con precisione, in cui palese è il modulo di riferimento a Vaccaro, Stanzione e Cavallino; tra le quali particolarmente importante una S. Caterina d’Alessandria nei depositi di Capodimonti, siglata NDS, che ha permesso di raggruppare sotto il suo nome altri dipinti simili.
Nel quadro in esame molte sono le similitudini col Vaccaro, dal seno prosperoso generosamente offerto all’osservatore agli occhi languidi volti a guardare verso l’alto, ma un altro dettaglio importante è costituito dall’elegante definizione delle maniche e della camicetta che richiamano la lezione di Artemisia Gentileschi.
Una veste raffinata che contraddistingue anche la S. Caterina (fig.10) di collezione Locatelli, eseguita da Onofrio Palumbo, l’unico seguace e collaboratore napoletano della pittrice, nella capitale vicereale dal 1627 fino alla morte. La stessa modella compare sulla destra di una inedita Piet (fig.10b)nella quale i due artisti lavorano assieme.
E concludiamo proponendo un importante inedito della stessa Artemisia Gentileschi, una Suonatrice (fig.11) dallo sguardo languido e dalla manica magistrale di una celebre collezione parigina.

08 - Giacomo Farelli - Nascita del corallo -  Italia già collezione Valentino Cencelli

09 - Niccolò De Simone - Fanciulla pensosa - Napoli collezione privata

010 - Onofrio Palumbo - S. Caterina - Milano collezione Locatelli - Copia

010b- Artemisia Gentileschi ed Onofrio Palumbo - Pietà - Napoli Blindarte

011 - Artemisia Gentileschi -Suonatrice -  Parigi collezione privata

giovedì 29 maggio 2014

Potere e Liturgia. Argenti dell’età barocca in Terra di Bari


Arte splendida: una mostra a Conversano sugli argenti della Puglia barocca






Gli studiosi e gli appassionati di pittura del Seicento napoletano conoscono bene Conversano, laboriosa cittadina a sud-est di Bari, essendovi ospitato nel suo castello il capolavoro di Paolo Finoglio, il ciclo di dieci grandi tele della Gerusalemme liberata,  che questi realizzò per il conte Giangirolamo II Acquaviva d’Aragona.
Il castello conversanese, ora Pinacoteca Comunale, è da qualche anno anche la sede di prestigiose mostre legate all’età barocca e alle arti di quel tempo.
Dopo la mostra sui seguaci finoglieschi del 2012 (Paolo Finoglio e il suo seguito. Pittori a Conversano nei decenni centrali del Seicento), eccone un’altra, più grande e ambiziosa della precedente, sugli argenti barocchi: Potere e Liturgia. Argenti dell’età barocca in Terra di Bari, in corso dal 6 aprile fino al 30 giugno prossimo.
Organizzata dalla Cooperativa Armida di Conversano (una squadra quasi tutta al femminile, giovani energie con tanta voglia di fare cultura in queste lande meridionali spesso ostili e diffidenti a questo genere di iniziative) e curata da Giacomo Lanzilotta, l’esposizione presenta una cinquantina di manufatti d’argento, tra statue, busti e oggetti liturgici, ma anche dipinti, tessuti e paramenti sacri.
A spasso per questi ambienti si ha davvero l’impressione di vivere una rara occasione per ammirare un patrimonio artistico inestimabile, misconosciuto, di norma visibile solo durante le cerimonie religiose (qualcosa, ma da lontano! … e il resto sempre al chiuso negli armadi delle sacrestie, o nelle casseforti), le processioni o le feste patronali. 
Un tesoro di storia, arte e fede pervenuto sino a noi nonostante le spoliazioni e le dispersioni, esemplificativo della identità del nostro territorio e del successo dell’arte argentaria tra Sei e Settecento, favorito dall’importazione dei metalli preziosi dalle colonie d’America e da un clima religioso trionfalmente vitalistico, persuasivo, che mirava alla spettacolarizzazione del sentimento religioso e che si traduceva concretamente col mecenatismo clericale, ma anche con la devozione popolare e confraternale.
Il percorso espositivo delle opere selezionate si articola nelle sale dei due piani della Pinacoteca Comunale in perfetta sintonia con la collezione permanente, mostrando la suppellettile liturgica (calici, ostensori, croci), i busti e le statue tra le portentose tele della Gerusalemme Liberata del Finoglio, in un allestimento semplice e parco, proprio perché i manufatti ‘brillano di luce propria’, in senso tecnico ed artistico, solo per citarne alcuni: le statue di San Rocco della Concattedrale di Ruvo di Puglia e di Sant’Onofrio dell’omonima chiesa confraternale in Castellana Grotte, i busti reliquiario dei Santi Sergio, Mauro e Pantaleone della Cattedrale di Biceglie,  il calice austriaco della Cattedrale di Conversano. La distribuzione dei pezzi nelle diverse sale segue il criterio della provenienza, i manufatti sono esposti per diocesi, ulteriormente ripartiti per singole località, cronologia e tipologia, ed è completato da dipinti coevi agli argenti esposti, proponendo al pubblico confronti e relazioni iconografiche, da documenti d’archivio, attestanti alcune commissioni, e infine da paramenti liturgici. 
Vale la pena insomma una gita fuori porta fino a Conversano, non fosse altro perché – a parte le amenità collaterali (il mare, le grotte, i trulli, i centri storici e le varie bontà enogastronomiche) – una mostra di argenti non si trova in giro tanto facilmente: a fare due conti, non se n’era mai realizzata una così prima d’ora in Puglia. 
Anche per questo, giusto da segnalare a chi ama queste cose, il catalogo che accompagna la mostra (edito da Adda, quattrocento pagine, lo vendono scontato in mostra) racconta molto più di quanto si vede dal vivo.
Oltre ai saggi dei vari esperti dell’ambito e le schede delle opere esposte, c’è poi un “catalogo nel catalogo”: propriamente un repertorio, curato da Giacomo Lanzilotta, che raccoglie le indagini scientifiche eseguite sul territorio da parte di giovani studiosi e con la collaborazione delle diocesi coinvolte, riguardanti all’incirca cinquecento manufatti d’argento, selezionati su oltre duemila rinvenuti nel corso delle ricerche, e in gran parte inediti. Il catalogo-repertorio rappresenta così uno strumento indispensabile per la conoscenza del patrimonio argenteo ecclesiastico, circoscritto all’antica Terra di Bari, e ancor più, un potenziale punto di partenza per la prosecuzione degli studi nel settore.

Potere e Liturgia. Argenti dell’età barocca in Terra di Bari
a cura di Giacomo Lanzilotta
organizzata dalla Cooperativa Armida
Conversano, Pinacoteca Comunale “Paolo Finoglio”
orario 9-13/ 16-20 dal martedì alla domenica, chiuso il lunedì
fino al 30 giugno
catalogo Adda Editore
visite guidate e info: tel. 0804959510 

link utili:




Bari San Nicola copertina evangelario XVII

Bisceglie cattedrale reliquiario San Pantaleone particolare

Bisceglie reliquiario San Pantaleone

Castellana Chiesa matrice Croce astile recto 1720

Castellana Chiesa matrice Croce astile recto particolare

Castellana  S. Onofrio 1714

Conversano calice austriaco 1735

Corato San Cataldo 1770 particolare

Corato San Cataldo 1770 

Gravina pastorale Orsini XVIII secolo

Minervino Murge S. Maria statua S. Michele 1740

Ruvo, Concattedrale. S. Rocco 1793 particolare

Ruvo, Concattedrale S. Rocco intera 1793




lunedì 26 maggio 2014

L'utopia della differenziata ed il trionfo della monnezza



In alcuni quartieri di Napoli come Posillipo la popolazione ha l'obbligo di differenziare e da tempo sono scomparsi i cassonetti per la spazzatura "normale". Risultato: i recipienti per carta, vetro, plastica etc. traboccano di tutto salvo la sostanza che dovrebbero contenere, rendendo vano lo scopo per cui sono stati collocati e di lato trionfano cumuli di monnezza di ogni genere, che rimangono per giorni e giorni ad impestare l'aria, costituendo un'attrattiva irresistibile per ratti di cospicue dimensioni.

Non era meglio quando stavamo peggio?

lunedì 19 maggio 2014

TORTURA DI STATO



Tra pochi giorni scadrà l'ultimatum entro cui l'Italia deve adeguare il sistema penitenziario alle direttive europee. Il mancato rispetto comporterà pesanti sanzioni pecuniarie ma soprattutto l'infamante marchio di Paese dedito alla tortura. Infatti obbligare i detenuti in pochi metri quadrati di spazio, meno di quello di cui hanno dritto gli animali di allevamento, viene giudicato senza eufemismi: tortura.
A nulla sono serviti i plateali digiuni di Pannella, gli accorati moniti del Presidente Giorgio Napolitano, i segnali di umana apertura di Papa Francesco.
I politici sono impegnati nella campagna elettorale, nessuno di loro ha mai letto un libro di Foucoault, tanto meno di Beccaria, per cui l'Italia, da Patria del Diritto, decade ufficialmente a Paese dedito alla tortura.


sabato 17 maggio 2014

I dipinti di Andrea Vaccaro per le chiese napoletane

La sua prima opera documentata è del 1629, una Madonna di Costantinopoli con 2 beati, eseguita per la chiesa della Trinità delle Monache, della quale non vi è traccia nelle più attendibili guide dal  Celano al Galante, ma esiste il documento di pagamento pubblicato da Nappi.
Molto antico è certamente il Crocifisso (fig. 1) conservato nella sacrestia della chiesa di S. Teresa a Chiaia, eseguito su tavola e percorso da un afflato battistelliano, che richiama a viva voce il celebre San Sebastiano del museo di Capodimonte. Tra i suoi primi lavori vi è poi la copia, famosissima, della Flagellazione (fig. 2) di Caravaggio, attualmente a San Domenico Maggiore, sede primaria della tela del Merisi oggi a Capodimonte, nella quale, pur con decorosa modestia, sfida il confronto diretto con l’originale, uscendone sconfitto principalmente nella cura del chiaro scuro applicato con rigidezza quasi scolastica, come in  tutta la sua prima fase immersa nell’orbita della pittura naturalistica, alla quale egli si accosta già nel corso degli anni Venti in un’accezione battistelliana, applicando sistematicamente un chiaroscuro monocromo, senza trascurare uno sguardo ai maestri più antichi dal Sellitto al Vitale.
Fra le opere giovanili la critica pone anche il sontuoso Crocifisso con San Giovanni e le tre Marie (fig.3), collocato sul terzo altare a sinistra nella chiesa della Trinità dei Pellegrini, il quale, donato alla Compagnia nel 1741, nel rifacimento settecentesco, fu adattato alla nicchia ed andò a sostituire una Madonna della Purità attribuita a Juan Do. Il dipinto, di recente restaurato, non possiede la morbidezza di ascendenza battistelliana del Crocifisso della chiesa di S. Teresa a Chiaia, né i toni corruschi del San Sebastiano, ma mostra una adesione al pittoricismo di un Pietro Novelli ed è  collocabile cronologicamente negli anni in cui il Vaccaro eseguiva a San Martino le Storie di S. Ugo. Ed a quegli anni appartiene anche la Madonna del Rosario(fig. 4) conservata nella chiesa di San Giuseppe Maggiore al rione Luzzatti, che costituisce a parere di Stefano Causa un estremo omaggio all’omonima pala del Caravaggio, oggi a Vienna, ma per alcuni anni visibile a Napoli. Il dipinto è citato dal De Dominici, ma non tutti gli studiosi ritengono sia del Vaccaro, il quale “compone una regolata, estrema mescolanza di elementi caravaggeschi, anche desunti dal cartello napoletano”.
Intorno al 1635 va posto il San Nicola di Bari con la Vergine (fig. 5) della chiesa di S. Maria della Purità agli Orefici, edificata l’8 febbraio di quell’anno. La pala sembra ispirata allo stile delle prime opere di Filippo Vitale nella solidità strutturale dei bimbi miracolati, dei putti gioiosi, del coppiere. Del 1636 è viceversa la famosa Maddalena (fig. 6) del coro dei Conversi della Certosa di San Martino, una delle più belle opere del Vaccaro, raffigurante l’atto della penitenza. Si tratta di una tela di raffinato pittoricismo tutta pervasa da quegli umori vandichiani dei quali Vaccaro fu il più entusiasta elaboratore napoletano. Con queste parole il Causa descriveva la Maddalena ed è importante notare che il termine vandichiano veniva dall’illustre studioso adoperato per la prima volta, ad indicare un predominio del cromatismo sul luminismo, una tendenza che comincia a manifestarsi in quegli anni nella temperie artistica napoletana.
Così descrive il quadro il Tufari nel 1854 nella guida della chiesa:” La santa vestita di ruvide pelli e con le trecce scarmigliate ha fisso al cielo lo sguardo su cui vi è l’impronta del dolore per lungo pianto dei suoi peccati, in alto è un gruppo di tre vaghi putti”. L’Ortolani ne mise in risalto la dipendenza dai modelli del Reni, di cui “ne trascrive le forme nel carnoso e patetico dialetto partenopeo, penetrando le zone di luce di una polpa riberiana”. Dopo l’analisi fatta da Raffaello Causa la Maddalena ha costituito il punto di partenza per ogni ricostruzione dell’attività del pittore.
Il soggetto della Maddalena è stato più volte trattato dal Vaccaro nel corso della sua carriera, spesso con significative varianti, come pure circolano numerosissime copie di bottega ad opera di imitatori. Tra le Maddalene autografe ricordiamo, in Sicilia, due dipinti del museo di Pepoli a Trapani e della Galleria Regionale a Palermo; in Spagna, dove il pittore esportava gran parte della sua produzione, una tela a Madrid nella collezione del duca d’Alba ed infine repliche di grande qualità al Metropolitan di New York e nel museo di Rio De Janeiro.
La Tentazione di Cristo nel deserto (fig. 7), già nella chiesa di S. Maria della Sapienza è documentato da una polizza di pagamento del 1641 pubblicata nel 1888 dal Bonazzi, anche se nella causale si parla di un quadro con sei personaggi, mentre in quello pervenutoci ve ne sono due soltanto. Questo dettaglio, oltre ad uno stile lontano da quello del Vaccaro, ha indotto alcuni studiosi a porre in dubbio l’autografia; tra questi Renato Ruotolo che lo attribuisce, non senza motivo ad Enrico de Semer, ipotesi che riteniamo debba essere valutata con ponderazione. Il dipinto si trovava sul lato sinistro della chiesa e faceva parte di una serie di sei quadri sulla vita di Cristo eseguiti da altrettanti pittori attivi in quegli anni a Napoli.
Tre documenti di pagamento tra il 1650 – 51, pubblicati da Nappi, ci permettono di datare con precisione la Morte di San Giuseppe (fig. 8), posta nelle terza cappella sul lato sinistro nella chiesa del Purgatorio ad Arco. In questa pala d’altare, una delle più note dell’artista ed a lungo mal collocata cronologicamente dagli studiosi, la sintesi operata dal Vaccaro delle varie correnti presenti a Napoli giunge ad un punto di maturazione con un pacato equilibrio compositivo ravvivato dai personaggi principali che attraverso gesti eloquenti sembrano dialogare fra loro ed esprimono un pathos contenuto, ma profondo, utilizzando soluzioni pittoriche di palpabile felicità cromatica, che giungono ad esiti di toccante drammaticità. Le mani del Cristo e della Vergine danno l’impressione di definire spazio e sentimenti, alla pari del defunto e degli angeli posti in alto.
Nel 1652 Vaccaro è di nuovo impegnato nella Certosa di San Martino dove illustra le Storie di S. Ugo nella cappella omonima. I due dipinti raffigurano S. Ugo che resuscita un fanciullo (fig. 9) ed Il santo impegnato nella costruzione della cattedrale di Lincoln (fig. 10 – 10 b). Di entrambi sono stati pubblicati dalla Petrelli e da Spinosa i bozzetti preparatori, uno (fig. 11) in collezione privata italiana, l’altro (fig. 12) nella Staatsgalerie a Schleiheim.
Il De Dominici definisce le composizioni eseguite “con buon disegno ed ottimo intendimento di colorito”. Il Causa le riteneva “ tele di ripiego visto che all’altare vi è la tela di Stanzione la Vergine con S. Ugo e Antelmo”. Pur trattandosi di quadri complementari il pittore non teme il confronto col celebre collega e si rifà al plasticismo alla Vitale, costruendo figure solide, che rendono viva l’ambientazione architettonica. Oltre ai modi del Vitale si evidenziano precisi interessi a modelli naturalistici tra Ribera ed Aniello Falcone, soprattutto nella resa vigorosa dei particolari anatomici.
Il Vaccaro ha oramai perfezionato il suo stile ed è entrato pienamente nel nuovo corso della pittura napoletana, orientato a recepire le istanze del classicismo emiliano e della corrente neoveneta di ispirazione vandichiana.
Agli stessi anni pensiamo possa appartenere una misconosciuta pala d’altare sita nella quarta cappella a sinistra della chiesa di Donnalbina, raffigurante La Madonna, Maria Maddalena e San Giovanni Evangelista(fig. 13), la quale, per quanto siglata, era attribuita erroneamente al Marullo.
Nel 1659 esegue le due pale d’altare per la chiesa di S. Maria della Sanità, raffiguranti Lo sposalizio mistico di S. Caterina d’Alessandria (fig. 14) e  Gesù che appare a S. Caterina da Siena (fig. 15) due opere ispirate a schemi di serena, contegnosa, classicheggiante serenità; già lodate dal De Dominici, che apprezzava la sua nuova maniera”mirabilmente migliorata”. Entrambe siglate, presentano brani di estrema raffinatezza, come la levigata figura della santa o il gruppo della Vergine con il Bambino che porge l’anello a S. Caterina, ostentatamente vestita di abiti preziosi, mentre in alto cinque puttini volanti sollevano un ricco tendone.
Puttini che derivano direttamente dal volo elegante di angeli nel San Gaetano presente nell’oratorio del SS. Crocifisso dei Nobili, dove Vaccaro eseguì nel 1658 due quadri raffiguranti San Gaetano riceve Cristo da Maria (fig. 16) e Sant’Andrea mentre riceve i simboli della passione (fig. 17), posti ai lati dell’altare e per i quali il Vaccaro riceve due pagamenti, uno a febbraio ed uno a maggio. Questo oratorio, citato già dal Celano, si trova nel chiostro della chiesa di San Paolo Maggiore e, divenuto congrega nel 1553, fu frequentato da San Gaetano Thiene ed in anni successivi da Sant’Andrea Avellino. A partire dal 1660 l’attività del Vaccaro nelle chiese napoletane si intensifica e la sua fama cresce sempre più, come dimostra la contesa con Luca Giordano che lo vede vittorioso per l’assegnazione della pala(fig. 18) per l’altare maggiore della chiesa di S. Maria del Pianto, sorta, all’indomani della terribile peste del 1656, sulla collina di Poggioreale, nei pressi della grotta detta degli sportiglioni, adibita ad enorme fossa comune per i morti vittime della pestilenziale epidemia. La disputa tra i due pittori ci viene raccontata dal Baldinucci e dal De Dominici:”ne fu commesso il giudizio a Pietro da Cortona, Andrea Sacchi, Giacinto Brandi, Baciccio ed altri valentuomini che a quel tempo fiorivano a Roma, i quali esaminarono i disegni, overo i bozzetti mandati dal Vaccaro e dal Giordano e ne rimisero finalmente il giudizio al Cortona, il quale decide a favore del Vaccaro come di Maestro più faticato e più vecchio nell’arte del quale era buona fama a Roma”. L’aver posto il suo quadro in posizione dominante con in sottordine le due tele del rivale lusingò certamente Andrea anche se percepiva chiaramente l’arrivo dell’onda lunga del Giordano.
L’opera è stata di recente restaurata e restituita allo splendore cromatico del passato ed oggi è visibile presso il museo diocesano, dopo essere stata a lungo esposta a Palazzo Reale in compagnia dei due quadri del Giordano. Il soggetto rappresenta la Madonna, che con la sua preghiera verso il Figlio chiede il perdono e di mitigare la furia dell’epidemia. Alla supplica partecipano attivamente le anime del Purgatorio, raffigurate nella parte bassa della composizione, dando luogo ad una forma a spirale della narrazione accentuando così il pathos della scena. La pala rappresenta un compendio della sua attività ed in essa si esprime  un sostrato battistelliano su cui emerge l’ascendente di Stanzione, mentre la gamma cromatica è influenzata dal pittoricismo di uno dei principali seguaci italiani di Van Dyck: Pietro Novelli. Negli anni precedenti l’esplosione del barocco, Vaccaro si impone come uno dei principale esponenti della pittura napoletano, ruolo riconosciutogli dalla committenza ecclesiastica, in grado di apprezzare i suoi”santi, così belli, maestosi e divoti” e le sue storie sacre impregnate di patetismo, mentre i collezionisti laico borghesi continuavano a chiedergli ritratti di sante in estasi dalle scollature abissali.
Tra agosto 1660 e marzo dell’anno successivo, come attestano i documenti di pagamento, va collocata una importante commissione da parte dei Teatini per la chiesa di San Paolo Maggiore. Vaccaro decide di cimentarsi con la pittura a fresco e si fa affiancare da Andrea De Lione, il quale era divenuto abile nella pittura murale, prima sotto l’insegnamento di Belisario Corenzio e poi lavorando con Aniello Falcone. Bernardo De Dominici ci racconta dell’accordo e sinteticamente afferma:”onde si diede da ambedue principio all’ opera… continuata e finita di quel carattere che ai nostri giorni la veggiamo”. Oggi tra i finestroni delle pareti laterali, molto in alto, si possono osservare otto affreschi(fig. da 19 a 26) che raccontano episodi della vita di San Gaetano, mentre in Spagna a Madrid, in parte al Prado, in parte nel Palazzo Reale, si conservano i  dieci modelletti (fig. da 27 a 36) che furono presentati ai Teatini per l’approvazione ed essi ne scartarono due. Queste tele sono grandi la metà degli affreschi e sono rifinite con cura. La qualità è superiore a quella delle decorazioni, nelle quali il pennello del De Lione si percepisce, come sottolinea De Vito, nell’uso di certe tinte, quali il verde sbiadito della corazza dello scherano nell’Aggressione al santo, il rosa pallido del cielo nello stesso riparto e la presenza degli stessi toni nelle altre storie. Anche se in complesso si tratta di un’opera non esaltante, i modelletti sono gradevoli a vedersi e mostrano l’influenza del Giordano.
Documentata con polizze di pagamento tra il 1660 ed il 1661 pubblicate da Nappi è la tela raffigurante la Trinità con la Vergine e San Giuseppe (fig. 37), posta sull’altar maggiore della chiesa di S. Maria della Provvidenza, più nota come S. Maria dei Miracoli. Nella pala sono rappresentati in basso, oltre alle anime del Purgatorio, alcune monache, il committente Giovanni Camillo Capece, con la madre Vittoria de Caro e lo zio Giuseppe. La disposizione delle figure segue uno schema consueto del Vaccaro, a piramide, con la Trinità in alto, un gradino più in basso Maria e Giuseppe, imploranti la grazia per le anime del Purgatorio ed ancora più giù il committente con i suoi più stretti parenti. La composizione per il soggetto ricalca pedissequamente la tela più nota di S. Maria del Pianto, anche se con una minore carica emotiva.
Un altro dipinto per cui possiamo indicare una data certa, il 1666, è il San Luca che ritrae la Madonna(fig. 38 – 38b), già nella chiesa di San Giovanni Maggiore delle Monache sede all’epoca della corporazione dei pittori, di cui Vaccaro fu il primo prefetto dal ’64 al ’66, avendo a latere Luca Giordano e Francesco de Maria. Il dipinto vuole essere un omaggio al nascente sodalizio, ma nello stesso tempo una sorta di autocelebrazione, resa con scioltezza di pennello e con una tavolozza allegra e vivace.
Eseguita negli stessi anni è la Madonna con San Felice di Cantalice (fig. 39), già nei depositi del museo di Capodimonte e dal 1932 collocata sulla parete destra della navata della chiesa di San Pietro ad Aram. Esposta alla mostra sulla Madonna nella pittura nel’600 a Napoli, tenutasi nel 1954, venne giudicata dal Causa basata su schemi consolidati e ripetitiva della “copiosa quanto monotona produzione tarda del Vaccaro, livellata in una costante comune di facile mestiere”. A dimostrazione di quanto dichiarato dal celebre studioso, possiamo notare che il santo è uguale al San Luca  che dipinge la Madonna nel quadro omonimo, mentre il viso della Vergine e le tipologie degli angeli e dei putti si rivedono invariati nella tela conservata nella chiesa di S. Maria Egiziaca, eseguita nel 1668. Coevi sono anche la Vergine tra i S. Antonio e Rocco (fig. 40) sita nella chiesa di San Potito e la Glorificazione della Vergine (fig. 41), posta nella Cappella Ceraso, la terza a destra della chiesa di S. Maria delle Grazie a Caponapoli, nella quale compaiono in basso San Gennaro con le fatidiche ampolle e San Francesco, in compagnia di San Giuseppe e S. Antonio da Padova. Questa ultima pala fu molto lodata dal De Dominici, che riferì fosse stata ordinata dal vicerè don Pedro d’Aragona per sostituire una tavola di Andrea da Salerno.
Entrambe le composizioni, con le figure accuratamente rifinite, rientrano nel novero di quelle in cui Vaccaro profuse il meglio della sua abilità, per cui era molto richiesto dalla committenza ecclesiastica.
All’apice del successo Andrea faceva il suo ingresso come confratello nel Conservatorio della Pietà dei Turchini, dove nell’annessa chiesa, secondo le fonti, anche se non è stato reperito alcun documento di pagamento, dipinse,”quattro quadri, i quali rappresentano vari dolorosi misteri della Passione del nostro Redentore” (De Dominici). Probabilmente si trattava di una Via Crucis, tema iconografico all’epoca presente in quasi tutte le congregazioni napoletane e secondo il biografo erano opere tarde e non della “bontà” della precedente produzione. Attualmente le tele si trovano in ambienti diversi della chiesa: la Flagellazione e l’Incoronazione di spine(fig. 42 – 43) sono conservate nella cappella di San Carlo Borromeo, mentre L’andata al Calvario e Cristo davanti a Pilato(fig. 44 – 45) sono posti dietro l’altare maggiore.
I quattro quadri, tutti siglati,  secondo la Petrelli, presentano forti influenze caravaggesche, mentre De Vito, più plausibilmente, le colloca negli inoltrati anni Sessanta, poco prima della grande cona (fig. 46) posta al centro nel cappellone di S. Anna, dalla complessa iconografia, sulla quale ritorneremo fra breve, espressione lampante di pittura classicistica. Nello specifico, rifacendoci al commento che sulle quattro tele fa il Pacelli in una piccola quanto preziosa monografia sulla chiesa, possiamo affermare che la Passione di Cristo rappresenta compiutamente il punto di incontro tra tradizione naturalistica, resa con toni più pacati nelle luci e nella resa delle figure e la grazia ed il decoro del classicismo proprio del Reni e del Domenichino. Nella Flagellazione e nell’Incoronazione di spine le figure sono plasticamente tornite attraverso una luce diretta che genera intensi contrasti nel chiaro scuro. Di antica ascendenza caravaggesca i riflessi luministici sugli scudi, sugli elmi e sulle else delle spade. La Flagellazione è un chiaro omaggio al dipinto del Merisi, di cui Vaccaro ha eseguito una celebre copia (fig. 2). L’opera principale del Vaccaro conservata nella chiesa è situata nel sontuoso cappellone dedicato a S. Anna, situato alla destra dell’altar maggiore, il quale al centro, circondato da due tele di Giacomo Farelli, espone S. Anna che offre la Vergine all’Eterno e San Tommaso (fig. 46). Nella parte alta, a dimostrazione della collaborazione col figlio Nicola istauratisi negli ultimi anni di attività, lo stesso dipinge alcuni episodi relativi ai coniugi Rocco, che avevano assunto il patronato della cappella dopo aver beneficiato di interventi miracolosi ottenuti grazie all’intercessione della santa. La pala dovrebbe essere stata realizzata non prima del 1668, in quanto ad ottobre di quell’anno la cappella è ancora in costruzione, per cui è tra le ultime opere dell’artista, che, morto nel 1670, trovò sepoltura nella chiesa stessa. Costruita su un fermo taglio diagonale nel quale tutte le figure trovano la loro esatta collocazione, il dipinto presenta in alto l’immagine dell’Eterno Padre, una soluzione che richiama il prototipo caravaggesco delle Sette opere della Misericordia, una adesione ai principi naturalistici filtrata attraverso un linguaggio di stampo classicista dai toni pacati e dall’equilibrio delle forme. La penultima opera datata (1668) del Vaccaro è la Comunione di S. Maria Egiziaca (fig. 47), posta sull’altar maggiore della chiesa di S. Maria Egiziaca a Forcella. La santa è raffigurata morente mentre riceve l’estrema comunione dall’abate Zosimo, in maniera accademica senza particolari slanci emotivi. E con la S. Marta (fig. 48), posta sull’altar maggiore della chiesa omonima, il Vaccaro chiude la sua attività raffigurando la santa mentre calpesta il mostro da lei sconfitto. Il De Dominici riferisce che il pittore fu colto dalla morte senza aver finito la pala, che fu portata a termine dal figlio Nicola. Il racconto del biografo è confermato dal reperimento di una polizza di pagamento, datata 23 luglio 1670 e pubblicata nel 1913 dal D’Addosio, nella quale risulta che Nicola riceveva 55 ducati a compimento di 80, 25 dei quali erano stati versati in precedenza al “quondam” Andrea Vaccaro, morto il 18 gennaio 1670.
A conclusione di questa carrellata vogliamo ora trattare brevemente di una serie di opere chiesastiche, di ardua collocazione cronologica o non più presenti nella sede originaria, partendo da un S. Antonio da Padova(fig. 49) in passato posto nella seconda cappella destra ed oggi conservato nella sacrestia della chiesa di S. Diego all’Ospedaletto, ove un tempo, secondo le fonti, erano presenti nella volta della navata centrale degli affreschi volti a celebrare storie e miracoli del santo titolare, cancellati per sempre dal disastroso terremoto del 1688, alla pari delle decorazioni eseguite da Massimo Stanzione. Proseguiamo con una Madonna del Rosario e SS. Domenico e Caterina (fig. 50) conservati nel museo diocesano di Napoli, già chiesa dell'Incoronata a Capodimonte, contenitore per lungo tempo ed ancora oggi di dipinti provenienti da chiese divenute impraticabili per eventi tellurici, ultimo quello del 1980. Certamente per le dimensioni faceva parte del patrimonio di qualche edificio sacro di cui ignoriamo il nome. Del dipinto ha parlato il De Vito nel suo saggio monografico pubblicato nel 1996 su Ricerche del ‘600 napoletano e lo studioso ha ritenuto di accostare l’opera ad alcuni esiti di Antonio De Bellis, mentre Stefano Causa, anche lui dubbioso sulla collocazione cronologica, ha rilevato un riferimento alla celebre Madonna del Rosario eseguita da Massimo Stanzione per la cappella Cacace in San Lorenzo Maggiore, databile tra il 1643, inoltre ha sottolineato alcuni brani ben definiti come l’inserto floreale o il San Domenico, che sembra impostare un dialogo con figure coeve di Bernardo Cavallino, concludendo che il dipinto costituisce un esempio del notevole livello qualitativo raggiunto dall’artista prima che scadesse ad un livello ripetitivo”tra qualità ed industria”. Il Martirio di San Bartolomeo (fig. 51) a Napoli nel museo diocesano, già chiesa di S. Efremo Nuovo, richiama a viva voce i martiri del Ribera e dello stesso autore il superbo Apollo e Marsia, che mette in risalto la figura del santo mentre l’aguzzino gli apre il petto, con pelle, muscoli ed ossa in apparente fibrillazione. Della tela esiste una replica autografa siglata nell’Abbazia di Montecassino.  La critica ha proposto per entrambi una datazione agli anni Cinquanta, in base al bagliore degli elmi, allo squarcio di paesaggio sullo sfondo ed all’anatomia del San Bartolomeo, ben disegnata, mitigato dal crescente interesse del Vaccaro verso i lavori di Stanzione, Cavallino e Van Dick. Altri studiosi hanno viceversa sottolineato il carattere caricaturale di alcune espressioni ed alcuni brani meno sostenuti rispetto al consueto standard qualitativo del pittore, collocandolo nella fase tarda della sua attività e Stefano Causa, ipotizza addirittura la collaborazione nella stesura della bottega. Il Compianto su Cristo morto (fig. 52) a Napoli nel museo diocesano, forse proviene dalla Cattedrale, perché Aspreno Galante cita una Pietà collocata nel dietro sacrestia del Duomo, oggi non più in sede. Il primo a descrivere il dipinto fu Raffaello Causa insieme a due tele probabilmente coeve con lo stesso soggetto, l’una al museo Correale di Sorrento, l’altra nella pinacoteca di Reggio Calabria, mentre lo riteneva anteriore alla Pietà, di formato verticale, della quadreria del Pio Monte della Misericordia. Il soggetto sarà replicato più volte dal Vaccaro nel corso della sua carriera fino alla redazione conservata all’Art Institute di Chicago dall’empito già barocco. La composizione riprende lo schema dei Compianti con 4-5 figure sul prototipo di quello eseguito dal Ribera per la Certosa di San Martino. Il pittore enfatizza la figura di Giovanni collocandola al centro immobilizzandone la postura in un gesto quasi dittatoriale, mentre il Cristo appare placidamente disteso. L’assenza di passioni travolgenti, la contenuta regolarità dei gesti, il cromatismo dai toni spenti che sfumano nel fondo scuro, costituiranno una costante espressiva dello stile dell’artista e saranno uno dei motivi per cui veniva richiesto da una vasta committenza.
Tra i dipinti nelle chiese della provincia ed in quel più ampio territorio corrispondente al viceregno ne ricordiamo solo alcuni, partendo da una Pietà (fig. 53), parzialmente ridipinta, ma di ottima fattura, copia di quella presente nella pinacoteca del Pio Monte della Misericordia, conservata nella chiesa di S. Maria della Pietà a Casamicciola, ricordando poi un S. Antonio ed un San Francesco (fig. 54 – 55), molto modesti a Torre del Greco nella chiesa dell’Annunziata. Monumentali nel formato segnaliamo poi tre Assunzioni, la prima (fig.56) in cui la Vergine ha ai suoi piedi due santi, nella chiesa di S. Antonio a Pisticci, la seconda(fig.57), più propriamente un’Immacolata Concezione, circondata da un nugolo di angioletti dai classici volti paffuti, conservata nel museo dell’Istituto Suor Orsola Benincasa ed una terza (fig. 58), con numerosi personaggi, in una raccolta privata. Questa iconografia fu ripetutamente replicata dal Vaccaro con varianti di ogni tipo sia per chiese che per cappelle private ed un’altra Immacolata di grande qualità è conservata nel museo di Salamanca. Chiudiamo con due dipinti border line, che riteniamo debbano essere entrambi trasferiti nel catalogo del Marullo: il primo (fig. 59) una Madonna col Bambino adorati dagli angeli, sita a Montemarano, nella chiesa di S. Maria dell'Assunta assegnata al Vaccaro da Vega de Martini e Lattuada, che hanno sottolineato somiglianze con la S. Agata del museo Filangieri, con L’immacolata di Firenze, con la Pietà del Pio Monte e con l’Adorazione del museo di Vienna. Ma a nostro parere il patognomonico cono d’ombra sul volto della Vergine e l’aspetto del Bambinello dai capelli rossicci indirizzano verso un autografo del Marullo. Stesso discorso per la Madonna col Bambino e i Santi Francesco e Chiara (fig. 60)  conservata ad Ischia nella chiesa di S. Antonio da Padova, nella quale è presente un altro carattere distintivo del Marullo, costituito dalla coppia di angioletti nella parte alta del dipinto, attribuiti al Vaccaro nelle schede della sovrintendenza, ipotesi che accolsi io stesso quando nel 2005 compilai una guida delle chiese di Ischia.

Articolo pubblicato su Scena illustrata


fig. 1 - Crocifisso - Napoli chiesa di S. Teresa a Chiaia
fig. 2 - Flagellazione (copia da Caravaggio) - Napoli chiesa di San Domenico Maggiore

fig. 3 - Crocifisso con San Giovanni e le tre Marie - Napoli chiesa della Trinitá dei Pellegrini
fig. 4 - Madonna del Rosario - Napoli chiesa di San Giuseppe Maggiore al rione Luzzatti
fig. 5 - San Nicola di Bari con la Vergine - Napoli chiesa di S. Maria della purità degli orefici
fig. 6 - Maria Maddalena penitente - Napoli Certosa di San Martino
fig. 7 - Tentazione di Cristo nel deserto - Napoli già chiesa di S. Maria della Pazienza
fig. 8 - Morte di San Giuseppe - Napoli chiesa del Purgatorio ad arco
fig. 9  - S. Ugo costruisce la cattedrale di Lincoln - Napoli Certosa di San Martino
fig. 10a  - S. Ugo costruisce la cattedrale di Lincoln - Napoli Certosa di San Martino
fig. 10 - S. Ugo resuscita un bambino - Napoli Certosa di San Martino
fig. 11- S. Ugo resuscita un fanciullo - Italia collezione privata
fig. 12  - S. Ugo costruisce la cattedrale di Lincoln (bozzetto) - Schleiheim Staatsgalerie
fig. 13  - La Madonna, Maria Maddalena e S.Giovanni - Napoli chiesa  S. Maria Donnalbina
fig. 14 - Matrimonio mistico di S. Caterina d'Alessandria - Napoli chiesa di S. Maria della Sanitá
fig. 15 - S. Caterina da Siena riceve le stimmate - Napoli chiesa di S. Maria della Sanità
fig. 16 - S. Gaetano riceve Cristo da Maria - Napoli chiesa di San Paolo Maggiore, oratorio del del SS. Crocifisso
fig. 17 - S. Gaetano riceve i simboli della Passione - Napoli chiesa di San Paolo Maggiore, oratorio del del SS. Crocifisso
fig. 18 - la Vergine intercede per le anime del Purgatorio - Napoli museo diocesano, già chiesa di S. Maria del Pianto

fig. 19 - San Gaetano innanzi alla Vergine - Napoli chiesa di San Paolo Maggiore o

fig. 20 - San Gaetano attaccato durante il sacco di Roma - Napoli chiesa di San Paolo Maggiore
fig. 21 -Morte di san Gaetano in compagnia di san Michele - Napoli chiesa di San Paolo Maggiore

fig. 21 -Morte di san Gaetano in compagnia di san Michele - Napoli chiesa di San Paolo Maggiore
fig. 22 - San Gaetano compone la regola dell'ordine teatino- Napoli chiesa di San Paolo Maggiore

fig. 23 - Papa Clemente VII approva la regola dell'ordine teatino- Napoli chiesa di San Paolo Maggiore

fig. 24 - San Gaetano rifiuta l'offerta del conte Oppido Antonio Caracciolo - Napoli chiesa di San Paolo Maggiore

fig. 25 - San Gaetano riceve offerte di cibo - Napoli chiesa di San Paolo Maggiore

fig. 26 - Apparizione di san Gaetanoan - Napoli chiesa di San Paolo Maggiore

fig. 27 - San Gaetano innanzi alla Vergine - Madrid Prado


fig. 28 - San Gaetano attaccato durante il sacco di Roma - Madrid Prado

fig. 29 - Morte di san Gaetano in compagnia di san Michele (modelletto) - Madrid Prado

fig. 30 - San Gaetano compone la regola dell'ordine dei Teatini - Madrid Prado

fig. 31 - Papa Clemente VII approva la regola dell'ordine teatino (modelletto)- Madrid Prado
fig. 32 - San Gaetano rifiuta l'offerta del conte Oppido Antonio Caracciolo (modelletto) - Madrid Prado
fig. 33 - San Gaetano riceve offerte di cibo - Madrid Prado

fig. 34 -Apparizione di san Gaetano - Madrid Prado

fig. 35 - San Gaetano ed i Teatini ricevono offerte nel refettorio - Madrid Prado


fig. 36 - San Gaetano offerto alla Vergine - Madrid Prado
fig. 37 - La Trinità con  S. Maria e San Giuseppe - Napoli chiesa di S. Maria dei Miracoli

fig. 38 - Madonna col Bambino e San Luca - Napoli già chiesa di San Giovanni delle monache

fig. 38b - Madonna col Bambino e San Luca - Napoli già chiesa di San Giovanni delle monache

fig. 39 - La Madonna col Bambino e San Felice di Cantalice - Napoli chiesa di San Pietro in Aram

fig. 40 - Vergine tra i SS. Antonio e Rocco - Napoli chiesa di San Potito

fig. 41 - Glorificazione della Vergine - Napoli già chiesa di S. Maria delle Grazie a Caponapoli

fig. 42 -Flagellazione - Napoli chiesa della Pietà dei Turchini

fig. 43 - Incoronazione di spine - Napoli chiesa della Pietà dei Turchini

fig. 44 - Andata al Calvario - Napoli chiesa della Pietà dei Turchini
fig. 45 - Cristo davanti a pilato - Napoli chiesa della Pietà dei Turchini


fig. 46 - S.Anna che offre Maria all'Eterno e San Tommaso - Napoli chiesa della Pietà dei Turchini

fig. 47 - Comunione di S. Maria Egiziaca - Napoli chiesa di S. Maria Egiziaca


fig. 48 - S. Marta - Napoli chiesa di S. Marta

fig. 49 -S. Antonio da Padova - Napoli chiesa di S.Diego all'Ospedaletto


fig. 50 - Madonna del Rosario e SS. Domenico e Caterina - Napoli museo diocesano, già chiesa dell'Incoronata a Capodimonte



fig. 51 - Martirio di San Bartolomeo - Napoli museo diocesano, già chiesa di S. Efremo Nuovo

fig. 52 - Compianto su Cristo morto - Napoli museo diocesano, già Cattedrale

fig. 53 - Pietà - Casamicciola chiesa di S. Maria della Pietà

fig. 54 - S.Antonio da Padova -Torre del Greco, Chiesa dell'Annunziata

fig. 55 - San Francesco  -Torre del Greco, Chiesa dell'Annunziata

fig. 56 - Immacolata fra i Ss.Francesco e Gaetano  - Pisticci chiesa di S. Antonio

fig. 57-Immacolata Concezione Napoli, museo di Suor Orsola Benincasa



fig. 58 -Assunzione della Vergine Italia collezione privata
fig. 59 -Madonna col Bambino adorati dagli angeli -Montemarano, chiesa di S.Maria dell'Assunta

fig. 60 -Madonna col Bambino e i Santi Francesco e Chiara  - Ischia, chiesa di S.Antonio da Padova