sabato 17 giugno 2023

STORIA DELLA CAMORRA

In copertina - Raffaele Cutolo
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PREFAZIONE

Vivere a Napoli significa necessariamente confrontarsi con la camorra, la quale, come una  piovra, avvolge con i suoi tentacoli tutta la città ed il suo tessuto produttivo.
Se si abita nei quartieri degradati si sogna di poterne far parte, se si è un commerciante bisogna subirne il pizzo, se si fa parte della sempre più stretta cerchia degli intellettuali vi è l’obbligo morale di analizzarne il fenomeno e proporre rimedi per estirparlo.
La camorra ha origini remote. Importata nel Seicento dagli Spagnoli, durante gli anni del viceregno, per secoli ha avuto un ferreo codice d’onore, durato fino all’epoca in cui regnava incontrastato Raffaele Cutolo, il folle ordinatore che vietava il commercio della droga. Caduto lui, la polvere bianca è dilagata, distruggendo i corpi ed inquinando le coscienze, dando luogo, con i giganteschi proventi del suo commercio, ad una sorta di antistato, ormai più potente delle stesse istituzioni, che hanno preferito allearsi con la criminalità organizzata invece di tentare di combatterla.
Non dimentichiamo che, grazie alla camorra, vivono centinaia di migliaia di Napoletani, che Scampia è la più grande piazza di spaccio d’Europa e che da tempo è in voga un turismo, sempre più diffuso, che consiste nel trascorrere il week-end all’ombra del Vesuvio per procacciarsi la dose, a prezzi di favore, per alcune settimane.
Fino a quando mancherà il lavoro ed i giovani migliori saranno costretti ad emigrare, non vi è alcuna speranza di contrastare  la camorra.
Se lo Stato volesse realmente abbozzare un tentativo, se non di debellarla, almeno di mitigarne la nefasta influenza, dovrebbe farsi fautore di una sorta di piano Marshall, coinvolgendo, con cospicui incentivi economici, i funzionari più validi, i poliziotti ed i carabinieri più motivati, oltre, naturalmente, i questori, i prefetti ed  i magistrati, disposti ad impegnarsi in una sfida entusiasmante, che i Napoletani da soli non sono in grado di vincere.
A fronte di tante carenze, Napoli possiede una  misconosciuta ricchezza: la più alta concentrazione di giovani del  mondo occidentale, uno straordinario propellente che, se correttamente utilizzato, può indurre un radicale mutamento di rotta ed i tanti ragazzi che oggi subiscono il perverso fascino del boss, dell’auto di lusso, della motocicletta da  corsa, del videotelefonino  alla moda, capirebbero che esiste la realtà di un lavoro onesto e la possibilità di un futuro diverso.
E siamo certi che lo stesso Cosimo Di Lauro, la cui foto imperversa sui telefonini dei giovani di ambo i sessi, si cercherebbe un lavoro ne “La  Squadra” o in qualche altro serial  televisivo e le sue imprese sarebbero  finalmente solo virtuali, figlie della fantasia e non  della triste realtà di Secondigliano.
Proponiamo ora ai nostri lettori una serie di articoli sull'argomento che nel corso degli anni ho  pubblicato  su riviste cartacee e telematiche, partendo dal boss più famoso: Raffaele Cutolo, a cui, nel 1994, dedicai un articolo: "Un folle ordinatore", che fu pubblicato dal mensile Den e dal periodico Scena Illustrata, il quale fu letto dal suo avvocato che glielo portò in carcere e lui leggendolo si commosse e mi scrisse una lettera che conservo gelosamente, nella quale mi ringraziava affermando: finalmente una persona che ha capito il mio comportamento verso i Napoletani.
Passiamo poi a Pupetta Maresca, che intervistai quando, divenuta anziana, si era ritirata nel suo negozio. Mi ringraziò per il mio scritto su di lei: "Una tragedia sofoclea" e mi segnalò che il film di cui parlo alla fine dell'articolo, dopo anni di attesa aveva visto la luce grazie a Mediaset ed a Manuela Arcuri che interpretava il suo ruolo.
Passiamo poi a Silvana Fucito, un personaggio minore, che grazie al suo comportamento, ha avuto un grande onore: in  copertina sul Times. 

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in 4^ di copertina
Pupetta Maresca sposa Pascalone e Nola



INDICE   

 

Napoli 1^ edizione giugno 2023 

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in 3^ di copertina - Lucky Luciano


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Storia Della Camorra by kurosp on Scribd


venerdì 16 giugno 2023

La storia della camorra moderna

  

1945 truppe USA a Napoli

La storia della camorra è in realtà un coacervo di storie lungo una traiettoria in cui si incontrano miseria, costumi, mentalità, usi, affari e rapporti con il mondo politico, il cui tratto comune e costante è costituito  dal sistema dell’estorsione organizzata oltre che dalla violenza impiegata per imporlo. Organizzazione multiforme, la camorra è come l’araba fenice, capace di risorgere ciclicamente e di evolvere nelle sue forme e nei suoi campi d’azione, diventando anch’essa da mafia del sottosviluppo una grande impresa criminale globalizzata.
Nel XX secolo, Mussolini sottovalutò il fenomeno camorristico, tanto che concesse la grazia a molti dei camorristi condannati nel processo Cuocolo di Viterbo, sicuro che nel nuovo assetto dittatoriale questi non avrebbero costituito più un pericolo. Molti delinquenti diventarono squadristi entrando a far parte delle squadre fasciste ed ebbero in cambio il silenzio sul loro passato. Nel 1921, proliferano i sindacati padronali da contrapporre a quelli operai. Il fascismo usa una tattica abile. Usa i camorristi per reprimere la delinquenza, con il miraggio di cancellare loro i reati e assicurare impieghi. In molti si prestano a questo disegno.
Se la mentalità e i comportamenti camorristici continuarono a vivere, anche sotto al fascismo, una riorganizzazione della Camorra si ebbe solo nel Secondo Dopoguerra, con lo sbarco degli Alleati e le infinite possibilità di guadagno illegale procurato dal mercato nero. Anche in questo caso l'assenza dell'autorità statale sarà fondamentale nel consolidamento del potere camorristico. Il ritorno della democrazia, gli appuntamenti elettorali, il suffragio universale e la preferenza multipla ridiedero alla Camorra il suo ruolo di collettore di voti: il primo a trarne beneficio fu Achille Lauro, sindaco monarchico, armatore e presidente del Napoli Calcio. Parallelamente, la Camorra si infiltrava nell'organizzazione del contrabbando, nelle attività di protezione e mediazione (soprattutto nei mercati ortofrutticoli), oltre a poter contare su una vasta rete di rapporti con la Pubblica Amministrazione dovuti al suo peso elettorale: molto spesso, infatti, la contropartita per un pacchetto di voti era l'assunzione di persone vicine all'organizzazione negli uffici pubblici.
Il primo salto di qualità della Camorra si ha agli inizi degli anni '60 con il contrabbando di sigarette: con la chiusura del porto franco di Tangeri (1956), i depositi di tabacco vennero spostati nei porti jugoslavi ed albanesi da dove, transitando per la Puglia, le casse di sigarette di contrabbando arrivavano a Napoli, che divenne uno dei principali mercati del Mediterraneo. Per un decennio i camorristi napoletani svolsero un ruolo secondario nel traffico, occupandosi dello sbarco, dei magazzini e della vendita al dettaglio. La crisi di Cosa Nostra siciliana, dopo la repressione messa in moto dallo Stato dopo la Strage di Ciaculli, contribuì all'affermazione di Napoli nel traffico internazionale di tabacco. Ciononostante, i camorristi non sono in grado di proiettarsi su scala internazionale, come aveva fatto Cosa Nostra.
La situazione cambiò agli inizi degli anni '70, quando l'istituto del soggiorno obbligato portò molti mafiosi Siciliani in Campania: fu l'inizio della collaborazione tra Cosa Nostra e clan camorristici. La guerra tra mafiosi Siciliani e marsigliesi per il controllo di Napoli, vinta dai primi, portò poi tra le fila di Cosa Nostra boss del calibro di Michele e Salvatore Zaza, Angelo e Lorenzo Nuvoletta, Raffaele Ferrara ed Antonio Bardellino. La nuova alleanza, inaugurata nel 1974 e suggellata da un incontro nella tenuta dei Nuvoletta a Poggio Vallesana a cui partecipano Pippo Calò, Totò Riina, Bernardo Brusca, Tommaso Spadaro, Nunzio La Mattina, Nicola Milano e i catanesi Pippo e Antonio Calderone. Dopo cinque anni di affari, la "società" venne sciolta consensualmente per l'interesse di entrambe le controparti verso il traffico di stupefacenti.
Già a metà degli anni '70 era attivo a Napoli un trafficante internazionale di cocaina, Umberto Ammaturo, prima in affari con Luigi Grieco (detto 'o sciecco), eliminato dai Siciliani, poi con gli Zaza. Il salto definitivo di qualità nella gerarchia internazionale della criminalità mafiosa fu dato quindi dal narcotraffico: Napoli, grazie alla minore attenzione delle autorità e al minore allarme sociale, diventò la piazza principale dello smercio di droga. Il continente privilegiato era l'America Latina, la merce preferita commerciata la cocaina: i clan camorristici acquistarono in questo periodo una dimensione internazionale impensabile fino a dieci anni prima.
Con i suoi tre milioni e mezzo di abitanti, l'area metropolitana di Napoli diventò un enorme mercato di consumo di eroina e cocaina. Le prime famiglie ad occuparsi del nuovo traffico illegale sono le stesse del contrabbando di sigarette, poi emergono nuovi clan (i Cozzolino, i Mauro): Hashish e cocaina raffinate a Palermo arrivavano a Napoli sin dal 1977. Gli enormi profitti generati dal narcotraffico permisero ad alcune famiglie, come i Nuvoletta, di entrare nel traffico di armi, trattando addirittura una partita di carri armati Leopard con la Germania.
A scompaginare gli equilibri camorristici in Campania creatisi con la proficua collaborazione tra i clan della Camorra e Cosa Nostra ci pensò Raffaele Cutolo, detto 'o professore. In ottimi rapporti con i boss della 'ndrangheta Giuseppe Piromalli, Salvatore Mammoliti, Paolo De Stefano, Egidio Muraca e Francesco Cangemi, dopo aver eliminato per loro il vecchio boss Mico Tripodo nel carcere di Poggioreale, segue il loro consiglio di creare una sua associazione criminale per non lasciare troppo spazio ai Siciliani in Campania.
Fu così che nacque la Nuova Camorra Organizzata: dapprima prestò assistenza ai giovani sbandati finiti in galera, poi giustificò le estorsioni con la necessità di garantire supporto ai carcerati che, una volta tornati in libertà, diventavano a loro volta estorsori e reclutatori per l'organizzazione. La forza di Cutolo fu quella di fare dell'affiliazione alla NCO una vera e propria filosofia di vita, fondata sulla riscossa sociale delle classi subalterne campane. Con oltre 7mila affiliati, la NCO ha rappresentato un unicum nella storia criminale del fenomeno mafioso.
La guerra tra Cutolo e i suoi avversari (riunitisi nel cartello della Nuova Famiglia) fece da sfondo a un evento assai redditizio per i clan della Camorra, il terremoto dell'Irpinia del 1980. La ricostruzione, tutt'oggi rimasta incompiuta, avrebbe fagocitato centinaia di miliardi di lire, finiti a finanziare i clan. Il confronto armato tra la NCO e la NF durò cinque anni e lasciò a terra circa 1500 morti. La guerra scatenata da Cutolo con l'imposizione di una sua tassa personale sulle casse di sigarette sbarcate in Campania accelerò la crisi del contrabbando di tabacco, contribuendo allo spostamento del core business della Camorra sul narcotraffico.
Contemporaneamente alla guerra di camorra, imperversava a Palermo la Seconda Guerra di Mafia, che avrebbe visto vittoriosi i Corleonesi. La fine di Cutolo e della sua organizzazione si ebbe soprattutto al suo trasferimento nel super-carcere dell'Asinara, preteso dall'allora presidente della Repubblica Sandro Pertini. Senza più il capo sul territorio, i suoi luogotenenti vennero eliminati uno a uno, finché la NCO non si dissolse completamente, abbandonata dai servizi segreti nonostante il ruolo svolto nella liberazione di Ciro Cirillo, sequestrato dalle Brigate Rosse.
Nel processo di dissoluzione della NCO, molti clan passarono con la fazione vincente e cominciò ad emergere la figura di Carmine Alfieri. Nel frattempo, i Bardellino avevano rotto con i Nuvoletta, divenuti gli unici referenti dei Corleonesi in Campania. Il nuovo scontro, che rischiava di essere ancora più sanguinoso di quello appena concluso, riguardava il controllo delle attività imprenditoriali del dopo-Terremoto. Tra stragi e morti ammazzati (tra cui il giovane cronista del Mattino Giancarlo Siani), l'epilogo della vicenda avrebbe portato ad un rafforzamento del clan di Carmine Alfieri, che a metà degli anni '80 era oramai il più potente della Campania.
Il 1991 fu un anno di svolta nella lotta alle organizzazioni mafiose: con Giovanni Falcone chiamato dal neo-ministro della giustizia Martelli a dirigere gli Affari Penali del ministero, vennero adottate dal Governo Andreotti tutta una serie di risoluzioni che avrebbero reso più efficace la lotta alla mafia. Nell'autunno 1991 venne sciolto il consiglio comunale di Poggiomarino per infiltrazione camorristica, feudo di Pasquale Galasso, capo dei gruppi di fuoco del Clan Alfieri, il quale venne arrestato l'anno dopo dai carabinieri, grazie alla soffiata di alcuni faccendieri. Lasciato solo dal capo del suo Clan, Galasso decise di collaborare con la giustizia: le sue dichiarazioni scoperchiarono il quadro socio-politico-camorristico che reggeva le amministrazioni del nolano, delle aree stabiese e vesuviana, l'agro sarnese-nocerino e altre zone della Campania tra gli anni '80 e '90.
Un mese dopo la decisione di collaborare di Galasso, i carabinieri arrestarono Carmine Alfieri, che optò anche lui per la collaborazione nel giugno 1993, interrotta a seguito del sequestro del figlio e ripresa subito dopo. Quel che emerse dalle indagini fu la radicata complicità istituzionale nei vari tentativi di eliminare Galasso e Alfieri, in seguito alla loro decisione di collaborare.
In questo frangente si rafforzò l'egemonia dei Casalesi, dominus della provincia di Caserta. A metà degli anni '90 i Casalesi erano diventati il clan dominante in Campania, grazie al controllo di due settori fondamentali, lo smaltimento dei rifiuti tossici provenienti dal Nord e l'attività edilizia negli appalti pubblici, in particolare nei cantieri dell'Alta Velocità. Su questa vicenda i tre protagonisti che si caricarono sulle spalle il peso della denuncia furono tre Casertani: Rosaria Capacchione, cronista de "Il Mattino", Lorenzo Diana, senatore del PdS, e Ferdinando Imposimato, senatore indipendente del gruppo dei Progressisti.
Il Processo Spartacus porta i Casalesi alla sbarra. Nell'estate del 1995 la Procura Antimafia di Napoli aveva concluso la lunga e complessa indagine sui Casalesi e spiccò 143 ordinanze di custodia cautelare, in concomitanza con un blitz che coinvolse tremila tra agenti di polizia e carabinieri. Molti, a partire da Francesco Schiavone detto Sandokan, capo indiscusso del Clan, sfuggirono all'arresto. Una cinquantina di Casalesi finirono però in carcere: tra questi anche lo scissionista Nunzio De Falco, che dalla Spagna aveva ordinato l'omicidio di Don Peppe Diana. Iniziato nel 1998, il Processo Spartacus si concluse in primo grado nel 2005, in appello nel 2008 e in Cassazione il 15 gennaio 2010. Tra le condanne, venne confermato l'ergastolo per Schiavone (arrestato nel 1998), Bidognetti, Zagaria, Mario Caterino e molti altri.

 

1975 contrabbando di sigarette 

La Camorra del XXI secolo diventa "O Sistema", e si è dimostrata in grado di inserirsi nei traffici internazionali e di sfruttare la globalizzazione per aumentare il proprio peso, anche al di fuori degli originali contesti di insediamento. Falliti i vari progetti di unitarietà, i Clan di Camorra dominano sui loro territori senza una strategia comune.
Grande risalto ha avuto negli anni 2004 e 2005 la cosiddetta faida di Scampia, una guerra scoppiata all'interno del clan Di Lauro quando alcuni affiliati decisero di mettersi in proprio nella gestione degli stupefacenti, rivendicando così una propria autonomia e negando di fatto gli introiti al clan Di Lauro, del boss Paolo Di Lauro, detto Ciruzzo 'o Milionario. Ma questa faida non è l'unica contesa tra clan sul territorio napoletano. Numerose sono le frizioni e gli scontri tra le decine di gruppi che si contendono le aree di maggiore interesse. A cavallo tra il 2005 e il 2006 ha destato scalpore nella cittadinanza e tra le forze dell'ordine la cosiddetta "faida della Sanità", una guerra di camorra scoppiata tra lo storico clan Misso del Rione Sanità e alcuni scissionisti capeggiati dal boss Salvatore Torino, vicino ai clan di Secondigliano; una quindicina di morti e diversi feriti nel giro di due mesi.
Per quanto riguarda l'area a nord della città (quella da sempre maggiormente oppressa dai gruppi criminali), tra i quartieri di Secondigliano, Scampia, Piscinola, Miano e Chiaiano, resta sempre forte l'influenza del cartello camorristico detto Alleanza di Secondigliano, composto dalle famiglie Licciardi, Contini, Bosti, Mallardo e con gli stessi Di Lauro quali garanti esterni (molto spesso, infatti, gli uomini di "Ciruzzo 'o Milionario" si sono interposti tra le liti sorte fra le varie famiglie del cartello, evitando possibili guerre).
Per le zone centrali della città (Centro Storico, Forcella) resta ben salda la supremazia del clan Mazzarella, che controlla praticamente tutta l'area ad est di Napoli, dal centro fino al quartiere periferico di Ponticelli, facilitati anche dalla debacle del clan Giuliano di Forcella, i cui maggiori esponenti (i fratelli Luigi, Salvatore e Raffaele Giuliano) sono diventati collaboratori di giustizia. Le loro attività oggi si basano solo sul contrabbando. Nell'altra zona "calda" del centro di Napoli, le zone del quartiere Montecalvario, dette anche "Quartieri Spagnoli", dopo le faide di inizio anni novanta tra i clan Mariano (detti i "picuozzi") e Di Biasi (detti i "faiano") e tra lo stesso clan Mariano e un gruppo interno di scissionisti capeggiato dai boss Salvatore Cardillo (detto "Beckenbauer") e Antonio Ranieri (detto "Polifemo", poi ammazzato), la situazione sembra essere tornata a un clima di relativa normalità, grazie anche al fatto che molti boss storici di quei vicoli sono stati arrestati o ammazzati.
La zona occidentale della città non è da meno per quanto riguarda numero di clan e influenza sul territorio. Tra le aree più "calde" si trovano il Rione Traiano, Pianura e lo stesso quartiere Vomero, per anni definito quartiere-bene della città e considerato immune alle azioni dei clan, oggi preda di almeno quattro clan in guerra e saccheggiato dalla microcriminalità comune. Da citare, il cartello denominato Nuova camorra Flegrea, che imperversava a Fuorigrotta, Bagnoli, Agnano e Soccavo, ma che ha subito un duro colpo dopo il blitz del dicembre 2005, quando vi furono decine di arresti grazie alle rivelazioni del pentito Bruno Rossi detto "il corvo di Bagnoli". A Pianura vi è stata in passato una violenta faida tra i clan Lago e Contino-Marfella, che ha portato a numerosi omicidi, tra i quali quello di Paolo Castaldi e Luigi Sequino, due ragazzi poco più che ventenni uccisi per errore da un gruppo di fuoco del clan Marfella, perché stazionavano sotto la casa di Rosario Marra, genero del capoclan Pietro Lago ed erano, quindi, "sospetti".
Nella vasta area metropolitana ormai saldata alla città, sono numerose le zone in mano ai gruppi camorristici, non solo per quanto riguarda i campi "classici" nei quali opera un clan mafioso (estorsioni, usura, traffico di droga), ma anche per quanto riguarda le amministrazioni comunali e le decisioni politiche (si vedano i numerosi comuni sciolti per infiltrazioni camorristiche).
In alcune zone del Vesuviano e nel Nolano è riscontrata, a tutt'oggi, la presenza di potenti clan locali storicamente operativi sul territorio. Nondimeno, la morte e l'incarcerazione di numerosi storici boss locali (Vollaro, Fabbrocino, i fratelli Russo, D'Avino, Alfieri, Cava, Abate, Galasso e numerosi altri) sembra aver favorito la nascita e/o l'espansione di gruppi criminali autoctoni e della zona orientale di Napoli. La faida Mazzarella-Rinaldi, da San Giovanni a Teduccio si è estesa sino alla zona Nolana/Vesuviana ove sono presenti, in particolar modo nei comuni di Marigliano (soprattutto nel popoloso rione 'Pontecitra') e Somma Vesuviana (complice, per quel che concerne Somma Vesuviana, la perdita di potere del locale clan D'Avino, sfaldato da molti arresti e pesanti condanne), propaggini locali dei predetti clan. A Somma Vesuviana, in località "Parco Fiordaliso", risiedono presunti esponenti del clan Aprea-Cuccaro di Barra.
In Campania, oltre all'hinterland napoletano per influenza sul territorio un ruolo di primo piano è occupato dal clan dei Casalesi, storico sodalizio dell'Agro aversano in provincia di Caserta e ormai operativo in gran parte d'Europa; l'organizzazione infatti si pone come un grande cartello criminale di portata internazionale (come più volte riportato dalla DIA e DDA di Napoli) gestito dalle famiglie Schiavone e Bidognetti (che hanno ereditato il potere di Bardellino dopo l'omicidio di questi) e dalle altre famiglie alleate che fungono da referenti per le varie province. Tra i vari clan della provincia è da segnalare il clan Belforte quale mantiene il controllo sui traffici e le attività estorsive nei comuni di Caserta, Marcianise e Maddaloni.
Nel 2023 si stima che nella regione Campania operino 114 clan con 4.500 affiliati.

 

Aula bunker di Poggioreale 



La storia della camorra delle origini

 

Rappresentazione storica
 di un "capintesta" con il corpo tatuato.
Era consuetudine tra i malavitosi l'uso del tatuaggio come segno di distinzione e prova di coraggio

Storicamente la Camorra si organizzò molto prima della mafia siciliana e della 'ndrangheta, deriverebbe dalla Gamurra del XIII secolo, un'associazione di mercenari Sardi al soldo di Pisa. Sulla nascita della camorra esiste anche la fantomatica data del 1820, quando Pasquale Capuozzo che praticava l’estorsione, promosse una riunione segreta nella chiesa di Santa Caterina a Formello nel cuore di Napoli. In quella specifica occasione si dovevano decidere le regole per “fare camorra” e regolamentare un gruppo di delinquenti e cani sciolti così Capuozzo fu nominato dunque il primo capintesta della città.
Quel che è certo è che l'embrione dell'organizzazione venne varato subito dopo la fallita rivoluzione partenopea del 1799, tra il 1810 e il 1820. A dimostrazione della sua primogenitura tra le altre organizzazioni mafiose, va segnalato che il termine "Camorra" era presente già nelle Procedure per la repressione del brigantaggio e dei camorristi nelle province infettate, meglio note come legge Pica, nel 1863: il termine "mafia" entrò nel codice penale solamente con la legge n.575 del 31/05/1965 "Disposizioni contro la mafia", approvata dopo la Strage di Ciaculli.
Risale invece al 1842 uno statuto a firma di un certo Francesco Scorticelli, in cui si parla della camorra come "Bella società riformata". Il prototipo del "mafioso" della famosa commedia "I Mafiusi della Vicaria" del 1863 era ricalcato inoltre su un camorrista realmente esistito che spadroneggiava nelle carceri borboniche e "camurrìa" in dialetto siciliano significa proprio "fastidio, impiccio".
Negli anni della Restaurazione borbonica, subito dopo il Congresso di Vienna, la Camorra si diede un'organizzazione che prevedeva tre livelli gerarchici: picciotto, camorrista e capintesta. L'aspirante camorrista, prima di poter intraprendere questo particolare cursus honorum, era chiamato "tamurro". Ogni quartiere di Napoli, suddiviso a sua volta in "paranze", aveva un "caposocietà", per un totale di dodici: questi, a loro volta, eleggevano un "capintesta" generale della Camorra, ruolo che per molti anni fu egemonizzato dalla famiglia Cappuccio del quartiere della Vicaria. Ogni capo della Camorra poteva fregiarsi del titolo di "Masto" (Maestro, Padrone). La medesima struttura era presente anche nell'area ristretta tra Caserta, Marcianise e Santa Maria Capua Vetere (allora chiamata Terra di Lavoro), ma il capintesta veniva eletto solo tra i capisocietà di Napoli. I comuni, anche capoluoghi di provincia, erano equiparati ai quartieri di Napoli ed eleggevano un solo caposocietà.
Per entrare a far parte della Camorra bisognava rispondere a criteri precisi: a mero titolo d'esempio, erano esclusi dall'affiliazione gli omosessuali passivi e chiunque avesse una moglie o una sorella prostituta (anche se quest'ultimo divieto era il più frequentemente disatteso). La prova di coraggio con la quale si stabiliva l'idoneità del candidato consisteva o nell'esecuzione di un omicidio o nello sfregio di uno dei nemici dell'organizzazione. Gli sfregi col rasoio erano in particolare la punizione per chi infrangeva il codice d'onore, sia che fosse affiliato o che non lo fosse. Una volta giudicato idoneo, il candidato doveva pronunciare un giuramento di fronte a due coltelli incrociati e combattere in un duello all'arma bianca contro un camorrista estratto a sorte. I duelli con il pugnale erano il rito di passaggio da un grado all'altro nella gerarchia criminale: raramente erano duelli all'ultimo sangue, avevano uno scopo prevalentemente cerimoniale. Il pugnale restava comunque l'arma preferita del camorrista per compiere i propri delitti. 

 

Volti sfregiati con il rasoio 
 il rasoio era l'arma preferita dai camorristi 


Come criminalità urbana, la camorra esercitava la sua principale attività, l'estorsione, soprattutto nelle carceri, vero luogo di reclutamento dell'organizzazione: qualsiasi attività ed eventuale disponibilità materiale del detenuto era "tassata" del 10%. Altri fronti delle attività camorristiche erano i mercati (dove veniva imposta una percentuale sulla vendita di farine, creali, frutta, pesce, carne etc.) e le case da gioco, nonché la prostituzione. A Napoli in pratica non vi era attività commerciale che non prevedesse il pagamento di una tangente alla Camorra. L'addetto agli affari economici e finanziari dell'organizzazione era il "contarulo", nominato da ciascun capososcietà alla gestione del "barattolo", dove finivano tutti gli introiti delle estorsioni.
Ogni quartiere, inoltre, aveva un suo tribunale, che si chiamava "Mamma": il tribunale supremo della città era la "Gran Mamma", presieduto dal capintesta, che in quella funzione assumeva il titolo di "Mammasantissima". Del resto, la stessa polizia borbonica assicurava impunità in cambio di tutela dell'ordine pubblico da parte della Camorra, che dopo la fallita insurrezione liberale del 15 maggio 1848 venne impiegata anche per raccogliere informazioni sulle manovre degli oppositori politici al governo borbonico.
Secondo quanto raccontato da Monnier, a metà degli anni Cinquanta il "Comitato d'Ordine" (gruppo clandestino di cospiratori patriottici anti-borbonici) strinse un accordo con la Camorra, nell'illusione di conquistarne i favori e dirigerla verso la causa dell'Italia unita: i termini dell'accordo imposti dai capi camorristi della città erano che il Comitato avrebbe dovuto versare la somma di 10mila ducati a ciascun caposocietà. Una volta ricevuto il denaro, la Camorra si preoccupò più di ricattare i patrioti, estorcendo loro altro denaro, piuttosto che organizzare "la rivolta patriottica" promessa.
Tutto ciò almeno fino al novembre 1859, quando lo Stato borbonico ordinò una grande retata di camorristi, spedendone parecchi sulle isole-prigione al largo della costa: questo, insieme ai successi in Sicilia del maggio 1860 di Garibaldi, indussero la Camorra ad abbandonare a se stesso il Regno delle Due Sicilie e a schierarsi con la causa patriottica definitivamente. Non per convinzione, ma per mantenere intatti i propri traffici criminali. Tanto che il ministro borbonico dell'Interno Liborio Romano invitò a casa sua il capintesta Salvatore De Crescenzo (Tore 'e Criscienzo), proponendogli di trasformare capisocietà e picciotti rispettivamente in commissari/ispettori di polizia e in guardie cittadine, in modo da garantire l'ordine pubblico nell'imminente arrivo a Napoli di Giuseppe Garibaldi. La nuova legittimazione in città permise ai camorristi di fare il bello e il cattivo tempo nel periodo di transizione al nuovo regime liberale.
Quando infatti il 7 settembre 1860 Garibaldi arrivò a Napoli, fu accolto da una folla straordinaria di persone, da bande musicali e dai tricolori italiani, sventolati dai camorristi stessi che fino a qualche mese prima militavano convintamente nelle fila borboniche. Camorristi che sfruttarono l'autorità temporanea incaricata di governare il Mezzogiorno in nome dell'eroe dei due Mondi per massimizzare i propri traffici criminali, in particolare l'estorsione e il contrabbando. Le dogane furono espropriate dei loro balzelli, che finirono nelle casse della Camorra: al grido "è roba d'o zi Peppe  (Giuseppe Garibaldi). Lasciate passare!", i camorristi esclusero dalla riscossione dei dazi l'autorità pubblica. Le cose andavano talmente bene per l'organizzazione criminale, che domenica 21 ottobre 1860 il sì al referendum per l'ingresso nel Regno d'Italia ottenne un plebiscito tale che la piazza dove si svolsero i festeggiamenti fu chiamata proprio Piazza del Plebiscito.
A risanare le istituzioni pubbliche e a riportare l'ordine a Napoli fu il patriota Silvio Spaventa, veterano delle galere borboniche e profondo conoscitore della Camorra. A poche settimane dal suo insediamento come nuovo ministro dell'Interno del Regno d'Italia, Spaventa non solo ottenne l'estensione delle disposizioni della Legge Pica contro il brigantaggio anche ai camorristi, ma autorizzò il 16 novembre 1860 il prefetto di polizia Filippo De Blasio, coadiuvato dai neocommissari Capuano e Jossa, a compiere una vasta operazione volta a reprimere il contrabbando, utilizzando i carabinieri e le guardie nazionali: in ventiquattro ore oltre 100 camorristi finirono in carcere. L'opera di risanamento di Spaventa si interruppe a seguito di uno scandalo che lo costrinse alle dimissioni: nel luglio 1861 un alto funzionario di polizia, Ferdinando Mele, venne pugnalato a morte dietro l'orecchio in pieno giorno; già camorrista e reclutato nella polizia ai tempi di Romano, Mele era stato ucciso da Salvatore De Mata, un delinquente non affiliato alla Camorra, desideroso di vendetta per l'arresto del fratello. Arrestato, venne fuori che De Mata, già guardia del corpo di Spaventa, aveva ottenuto da lui un posto alle Poste, dove non si presentava mai. Al suo posto arrivò il generale Enrico Cialdini, che attenuò decisamente il fervore anti-camorristico del suo predecessore.
Cacciato da Napoli, Spaventa divenne viceministro dell'Interno a Torino l'anno successivo, ottenendo che la nuova commissione parlamentare d'inchiesta sul cosiddetto "Grande Brigantaggio" si occupasse anche di Camorra: il risultato fu l'istituzione nell'agosto 1863 della legge sul domicilio coatto, per la quale era possibile il trasferimento di qualsiasi persona considerata sospetta in uno dei bagni penali situati nelle isole al largo della costa italiana. Il risultato fu tutt'altro che soddisfacente: i camorristi, lungi dall'essere impossibilitati dall'esercitare la loro funzione criminale in carcere, lo trasformarono in un vero e proprio luogo di reclutamento e iniziazione, come già avevano fatto sotto i Borboni.
Nonostante il clima di belligeranza del nuovo Stato liberale, la Camorra continuava ad operare a Napoli e Provincia. Fino al 6 giugno 1906, quando furono uccisi Gennaro Cuocolo, basista di furti di appartamenti, e sua moglie Maria Cutinelli, ex-prostituta. Ucciso sulla spiaggia di Torre del Greco per essersi appropriato della parte di bottino spettante ai complici finiti in carcere, il caso fu l'occasione per celebrare a Viterbo un "maxi-processo" alla Camorra napoletana che, in assenza di qualsiasi tutela liberale, si concluse con la condanna di oltre 30 pezzi da novanta della Camorra. Fu così che la sera del 25 maggio 1915, nelle Caverne delle Fontanelle, nel popolare rione Sanità, l'organizzazione venne sciolta dai superstiti, presieduti da Gaetano Del Giudice.

Imputati del processo Cuocolo
Il maxiprocesso di Viterbo
 che nel 1912 sgominò la camorra 
 

 


L'etimo del termine camorra

 

scena popolare con giocatori di morra

La parola «camorra» è di origine incerta; il fenomeno designato ancor di più, perdendosi nella notte dei tempi di quel labirinto plurisecolare di documenti che mescola leggende, folklore, mito, storia, letteratura popolare, memorialistica, rapporti polizieschi e atti giudiziari.
Sull'origine del termine «camorra» non c'è accordo tra gli studiosi:
Secondo l'enciclopedia Treccani e il linguista Massimo Pittau, sarebbe legato per similitudini fonetiche e semantiche al nome dell'antica città biblica di Gomorra. Il passaggio semantico sarebbe avvenuto per traslazione attraverso il significato intermedio di vizio/malaffare e quindi di delinquenza/malavita.
Secondo lo studioso Abele De Blasio, professore all'Università di Napoli, deriverebbe dal termine Gamurra del XIII secolo, indicante un'associazione di mercenari sardi al soldo di Pisa, come riporta il primo tomo del Codex Diplomaticu Sardiniae.
Un'altra corrente sostiene sia connesso ad una bisca frequentata dalla malavita napoletana del XVII secolo. In un documento ufficiale del Regno di Napoli risalente al 1735, troverebbe riscontro nel significato di tassa sul gioco, imposta dovuta ai protettori dei locali dediti al gioco d'azzardo.
Si pensa anche possa fare riferimento alla gamurra che indossavano i lazzaroni napoletani, un indumento simile alla chamarra spagnola, tipico dell'Italia tardo-medievale e rinascimentale. Nelle antiche commedie teatrali si ritrova spesso questo termine ad indicare un abito o una giacchetta molto corta.
Secondo qualche autore campano, la parola camorra potrebbe derivare da ca' morra e cioè capo della morra. Nella Napoli settecentesca, infatti, il guappo di quartiere doveva risolvere le dispute tra i giocatori della morra (tipico gioco di strada).
Altri affermano che andrebbe connesso al termine morra, ovvero banda (o anche gruppo o frotta). Per cui, chi ne avesse fatto parte sarebbe stato c' 'a morra (con la banda). Morra, comunque, può significare anche rissa ed è questa l'ipotesi che preferiamo, infatti "camorra" in spagnolo significa "lite", e "Buscar camorra" significa letteralmente "fare a botte". Vista l'influenza anche linguistica della dominazione spagnola nel dialetto napoletano, molti studiosi vi fanno risalire l'origine del termine.


Camorristi 



Dalla camorra onorata alle piazze dello spaccio



Il libro di Saviano Gomorra, con il suo successo planetario, ha posto di nuovo all’attenzione generale uno degli aspetti meno edificanti della città, costretta a convivere con una delle organizzazioni criminali più feroce ed organizzata della Terra: la camorra.
A Scampia di recente è scoppiata una guerra senza esclusione di colpi per il controllo del traffico della droga, un commercio che negli ultimi anni ha prodotto guadagni vertiginosi per i gruppi criminali. I mass media, senza pietà hanno divulgato alla nazione i bollettini di guerra, ripresi dalle prime pagine dei giornali europei, con effetti devastanti per l’immagine della città, spaventando i flussi turistici, che potrebbero essere l’ultima speranza per la nostra economia agonizzante.
I politici, la magistratura, gli intellettuali si avvicinano al capezzale del malato, fanno la loro diagnosi, infausta quanto imprecisa, ed invocano le loro terapie, velleitarie, utopiche, inadeguate, irrealizzabili, approssimative, assolutamente inefficaci, dimostrando in maniera inequivocabile, non solo di essere in malafede, ma soprattutto di non aver capito niente dell’attuale fenomeno criminale!
Si invoca un irrigidimento delle norme repressive, già tra le più severe in europa, dimenticando che il processo penale dura anni ed anni, mentre la carcerazione preventiva scade molto prima della fine del giudizio, circostanza che permette ai pochi criminali arrestati, una volta scarcerati, di rendersi irreperibili.

Toma - Tatuaggio dei camorristi
Napoli museo di Capodimonte

Si invoca l’aiuto della gente onesta, senza tenere conto che i comuni cittadini si sentono e sono stati abbandonati dallo Stato al loro destino e solo degli eroi possono collaborare attivamente con la giustizia, in attesa di testimonianze segretate.
Si invoca la ricetta del lavoro, come se il delinquente, che guadagna milioni al giorno, al pari dei disoccupati organizzati, lo cercasse, ignorando che tutte le indagini sociologiche più recenti ed accreditate hanno dimostrato inequivocabilmente che il camorrista, chiamiamolo così per semplicità, di qualunque livello gerarchico, trova il suo terreno di cultura, non nella povertà, ma solo e soltanto nell’ambiente criminale, in cui nasce e si sviluppa.
Vogliamo provare ad esaminare sotto una nuova luce il fenomeno camorra, cercando di conoscerlo meglio, per poterlo eventualmente combattere con reale efficacia?
Sorvoliamo sulle origini della camorra, curiosità che lasciamo ai libri, poco importa se nasca nel cinquecento o nel Seicento, se la introducano gli Spagnoli o abbia una germinazione spontanea; certo subito dopo l’Unità d’Italia, quando i conquistatori Piemontesi si posero il problema del controllo dell’ordine pubblico nella nostra città, non ci pensarono due volte ad affidarlo a Liborio Romano, un personaggio equivoco, il quale, per formare la guardia cittadina, si rivolse alla malavita organizzata, fornendole una investitura ufficiale deleteria per il futuro di Napoli e del Mezzogiorno.
Dopo gli anni ottanta, caratterizzati dal dominio incontrastato di Raffaele Cutolo oggi, nel terzo millennio, i gruppi criminali che dilagano a Napoli ed in Campania, somigliano più alle bande di gangster, che imperversavano senza regole negli anni Trenta nelle principali città americane, che ai membri di una consorteria criminale, nostalgica e moralistica, che amava presentarsi come onorata società.
Sono saltate tutte le norme di comportamento ed annullate le gerarchie. Oggi quello che i giornalisti continuano a chiamare camorra è un coacervo di bande, alcune centinaia censite sul territorio, in acerrima lotta tra loro, senza che personaggi autorevoli, al di sopra delle parti, possano mediare o trovare compromessi.
Ogni banda fa capo ad una famiglia, spesso già numerosa, accresciutasi in due o tre generazioni, attraverso una sapiente ragnatela di matrimoni. Non esiste quasi mai un capo assoluto, il leader, sempre giovane d’età, è un primus inter pares tra fratelli, cugini, cognati e comparielli vari, tutti coetanei. Una prima significativa differenza con la mafia, una struttura piramidale da sempre spiccatamente verticistica.

 

Filippo Palizzi - il guappo

Il modello di riferimento e di comportamento è di tipo feudale e, paradossalmente, aristocratico, con vassalli, valvassori e valvassini. I boss amano mostrarsi potenti agli occhi di tutti gli abitanti del quartiere, dai quali pretendono rispetto e reverenza e del destino dei quali, lavorativo o di semplice sussistenza, si arrogano in diritto di dire l’ultima parola. In occasione di matrimoni interminabili tappeti accompagnano la sposa delle famiglie che contano lungo tutto il percorso tra casa e chiesa, né più, né meno di come amava comportarsi la nostra scalcinata nobiltà durante i secoli del vicereame spagnolo.
Il gruppo ha una forte identità con il territorio e con il quartiere di appartenenza, che non lascia mai, anche se diventa ricco e potente, perché nel rione ove è nato e cresciuto il novello delinquente può contare su di una rete di protezione ed omertà impenetrabili.


Scena criminale 

Alcuni anni fa una faida simile a quella che attualmente impazza a Secondigliano ed a Scampia insanguinò le strade dei Quartieri Spagnoli, allora regno della famiglia Mariano, che si trovò a dover contrastare le mire espansionistiche degli scissionisti. Anche in quella occasione vi furono morti innocenti tra i passanti e si ripete la stessa penosa trafila e si vide lo stesso monotono copione al quale siamo assuefatti da secoli: prima gli omicidi, sempre più efferati, sparando nel mucchio, l’allarme nell’opinione pubblica, montante giorno dopo giorno e proporzionale alla quantità di notizie vomitate senza sosta da giornali e televisioni, poi le minuziose inchieste giornalistiche con descrizione accurata del degrado dei luoghi, illustrate con foto di volti patibolari, quindi, senza fretta, le operazioni delle forze dell’ordine, spettacolari quel tanto da rassicurare i benpensanti, gli arresti, gli interrogatori e la libertà provvisoria o definitiva per la maggioranza degli indagati, poi le pompose dichiarazioni degli amministratori locali, le immancabili giaculatorie degli intellettuali, sdegnati di doversi occupare di tali lordure, infine gli interventi dei parlamentari dell’opposizione seguiti a ruota da quelli del governo e la ciliegina finale del discorso del ministro degli interni, grondante orgoglio e tronfio di dati riguardanti le operazioni repressive della polizia e dei carabinieri. Restava da sentire la voce della magistratura, ma per ascoltarla bisognava, come sempre, attendere l’inaugurazione dell’anno giudiziario, allorquando, nel baluginio di colori delle eleganti toghe di ermellino, il Procuratore generale faceva sentire la sua autorevole voce, preoccupata oltre misura, lanciare, in un gelido silenzio, un inascoltato grido di dolore.
E non si puo non rimanere meravigliati, come ha sottolineato Amato Lamberti, per anni a capo di un osservatorio istituzionale sul fenomeno, di come un’inestricabile organizzazione criminale, che per comodità continuiamo a chiamare camorra, abbia compiuto indenne un viaggio durato secoli: sopravvivendo a governi eterogenei, dalla monarchia assoluta a quella costituzionale, dalla dittatura fascista alla democrazia parlamentare ed inoltre al trauma della guerra civile, che sui libri di scuola scopriamo fu chiamata risorgimento, due disastrose guerre mondiali, che sconvolsero e trasformarono profondamente la società. Senza contare i travolgenti terremoti sociali, che hanno scandito il passaggio da una società agricola, imperniata nel sud sul latifondo, ad una industriale prima e post industriale e dei servizi poscia. E nulla hanno inciso la scolarizzazione di massa, la radio, la televisione, il computer ed il rivoluzionario avvento di internet.

 

Vista delle vele di Scampia.

Le organizzazione criminali napoletane hanno una struttura orizzontale e non verticale come la mafia ed il reclutamento di nuovi adepti avviene per chiamata diretta... quando esiste un legame di parentela, oppure in alcuni serbatoi privilegiati, carceri in primis. Da sempre la pena detentiva, lungi dal preoccuparsi del recupero del condannato, come previsto chiaramente dalla nostra costituzione, mira all’abbrutimento del reo, il quale cade vittima di leggi non scritte, ma rigorosamente applicate, codificate dai boss, che regnano incontrastati nei nostri penitenziari. E questo da sempre, nelle spaventose carceri spagnole, nelle oscure galere borboniche, fino a giungere a quel raccapricciante inferno dantesco rappresentato da Poggioreale, come sempre un record di abiezione per la nostra sfortunata città.
Il secondo luogo di reclutamento è costituito dalle bische, dove molte persone si trovano all’improvviso a dover chiedere prestiti per ripianare debiti di gioco e poi, presi nel vortice degli interessi usurai, a trovarsi impossibilitati ad onorare il debito contratto con persone poco raccomandabili. La prospettiva di saldare cifre considerevoli con un piccolo favore... costituisce quasi sempre un’attrazione fatale e, di favore in favore, spesso ci si trova invischiati in imprese più grandi di quanto si poteva immaginare inizialmente.
Un altro bacino di arruolamento è il mondo dei drogati, dove è facile trovare disperati, in crisi di astinenza, disposti per una dose anche ad uccidere. in ogni caso, notizie riservate di cui siamo venuti a conoscenza, pare abbiano confermato che, nella recente faida di Secondigliano, le parti in lotta abbiano assoldato un numero considerevole, oltre cento, di killer professionisti albanesi ed alcuni mercenari provenienti dai servizi segreti di nazioni ex comuniste.
La struttura della camorra urbana è profondamente diversa rispetto a quella della provincia ed ancora più diversa rispetto a quella che alligna nelle zone rurali. L'una trova le principali fonti di reddito dal racket delle tangenti alle attività commerciali e nello spaccio della droga, l’altra si dedica prevalentemente a indirizzare e taglieggiare i grandi appalti pubblici.

 

Rissa tra donne, Stampa ottocentesca.

Negli ultimi anni la delinquenza ha acquistato, o è divenuta tacitamente proprietaria di attività precedentemente taglieggiate o sottoposte a prestiti usurai. Hanno comperato case ed interi palazzi, negozi, supermercati, bar e discoteche, pizzerie e ristoranti alla moda ed inoltre società finanziarie, utili a far perdere le tracce di denaro sporco e di import-export, necessarie per diffondersi ed impossessarsi dei vergini mercati dell’europa dell’est, oltre a rafforzarsi naturalmente in attività gestite da sempre in condizioni di monopolio, come la raccolta e la distruzione dei rifiuti, senza trascurare naturalmente le sostanze tossiche, trattate con nonchalance e se necessario le stesse scorie nucleari!
Tutto questo è avvenuto perché l’attenzione dello Stato è stata per troppo tempo debole e si è così permesso a queste società criminali di crescere oltre misura, divenendo un vero stato nello Stato, che si avvia a governare con le proprie leggi, spietate, e con i propri uomini, decisi a tutto. Una situazione non nuova per l’italia, basti pensare alla Sicilia degli anni Settanta, prima che comparissero all’orizzonte i vari chinnici, la Torre, Falcone e Borsellino.
Oggi la camorra ha stretto legami ed accordi con la mafia Russa e con quella Cinese, con gli Ucraini, per il controllo del mercato del lavoro e con i Nigeriani per forniture di droga fuori dai tradizionali cartelli internazionali. Ha creato una zona franca dell’Italia, abitata da quattro milioni di cittadini, che devono rivolgersi a loro non solo per parcheggiare, ma anche e soprattutto, per cercare un lavoro o un prestito, bancario o usuraio non fa differenza, per avere una licenza di commercio o di taxi, fra poco forse anche per respirare. Giorno dopo giorno si sta creando un modello sociale aberrante, che prende ogni giorno sempre più radici. Un’organizzazione di centinaia di migliaia di persone, che lavorano ad un modello economico parallelo, dalla produzione allo smercio in tutta europa di falsi marchi e di falsi prodotti: giubbini, scarpe, borse, cd, dvd, macchine fotografiche, orologi svizzeri..., una massa di prodotto, che sfuggendo a qualsiasi imposizione fiscale, cammina grazie a migliaia di venditori, Italiani ed extracomunitari, che se valgono, diventano a loro volta imprenditori, perpetuando il perverso modello economico. Una sfida alle istituzioni di portata rivoluzionaria, un pericoloso programma sociale e criminale, un’economia parallela che, come un cancro è in grado di attecchire ad altre latitudini, globalizzandosi ed intessendo alleanze internazionali devastanti. Questo modello ha vinto, e da tempo, la sua battaglia nel debole tessuto dell’economia napoletana, nei quartieri abbandonati a sé stessi, tra le classi sociali disgregate e senza speranza, ma rischia di vincere ovunque, in assenza di una sfida da parte dello Stato, garante della legalità.


locandina del film Gomorra

A Napoli e provincia una quota cospicua della popolazione è occupata a spacciare droga, ad indurre donne alla prostituzione o, nei casi veniali, a vendere film pezzottati e griffe false nel più assoluto anonimato fiscale, ma la cosa più grave, segno inequivocabile della situazione drammatica in cui siamo precipitati, è costituita dal fatto che la restante popolazione acquista droga, fa la fila per accoppiarsi a prostitute, meglio se minorenni, acquista merce falsa di ogni genere e si fa vanto di vedere soltanto prime visioni di contrabbando. Da questo coacervo inestricabile tra delinquenti ed onesti... difficilmente verremo fuori, senza un mea culpa di ognuno di noi ed una rivoluzione culturale di portata galileiana.
E giungiamo alla parte più difficile, che in genere manca in tutti i libri che trattano la storia della camorra: i possibili rimedi.
In via preliminare è necessaria un’attenzione, costante e costruttiva, da parte dei mass media e del potere politico sul problema Napoli, che deve assumere una priorità nazionale. Se i nostri problemi non diventeranno, ed al più presto, problemi di tutti gli italiani la lotta è persa in partenza.
Non bisogna aspettarsi molto da proposte di inasprimento delle pene ad eccezione delle pene comminate per il reato di estorsione, attualmente punito in maniera non molto severa dalle norme vigenti. Chi predica la tolleranza zero, volendo imitare la politica anti crimine instaurata negli anni scorsi dalla città di New York, non deve dimenticare che alle nostre latitudini tale atteggiamento è stato adottato, ma con risultati scarsi o nulli, già dai Borbone, che arruolavano a viva forza sulle loro navi camorristi e delinquenti comuni, da Silvio Spaventa, sul finire dell’ottocento, che fu l’artefice di capillari operazioni di sradicamento e deportazione in massa sulle isole di furfanti e malfattori, per finire con le guerre civili di annientamento del brigantaggio, volute dai Savoia e condotte dal giovane Stato italiano, fino all’epoca di giolitti ed alle operazioni militari messe in atto dal fascismo, che fallirono sia in Sicilia, ove regnò il prefetto Mori, che nell’area napoletana.
La storia deve insegnarci che il problema della plebe in epoca moderna ha sempre angustiato la nostra città, detentrice da secoli del poco invidiabile primato di maggiore concentrazione di poveri del mondo occidentale. Napoli piange ancora per la perdita del suo ruolo di gloriosa capitale, costretta anche nel passato a dover fare i conti tra risorse, modeste e numero di abitanti, esorbitante. E da noi la plebe, con i suoi umori volubili, ha sempre tenuto in scacco il potere ed è stata in grado di incutere un proverbiale timore reverenziale, dai tempi di Masaniello ai giorni nostri, con i cortei dei disoccupati organizzati padroni della piazza, senza che nessuna autorità osi affrontarli, per timore della rivolta.
Mentre la malavita impazza e spara senza remissione, Napoli è oggi afflitta da due tipologie di reato: l’estorsione, oramai generalizzata, e tutta una sequela di reati: dallo scippo, al furto e alla rapina, praticati da una micro delinquenza, che assedia il cittadino ad ogni ora ed in ogni angolo della città. Una massa di disperati costretti quotidianamente a procacciarsi i soldi per la droga.
Per il reato di estorsione è opportuno un incremento della pena, ma soprattutto bisogna favorire l’associazionismo tra le vittime, con polizze assicurative, agevolate dallo Stato per risarcire eventuali danni e ritorsioni, naturalmente soltanto per chi presenta regolare denuncia, che in alcuni casi potrebbe essere segretata. Fortunatamente..., come ci hanno testimoniato commercianti napoletani fuggiti in passato al nord per sfuggire alla morsa del pizzo, il racket, in pochi anni, ha dilagato in mezza Italia: non vi è locale della riviera Romagnola che non paghi la tangente e la situazione è poco dissimile nelle grandi metropoli padane, sotto il regno di Bossi. Mal comune mezzo gaudio, ma soprattutto la certezza che un problema del sud, divenuto ubiquitario, possa interessare il mondo politico, abituato a guardare soltanto verso Roma o Milano.
Per i reati legati ai drogati, divenuti legioni sempre più numerose, non vi è che da percorrere, con cautela, la via della liberalizzazione, proprio il contrario dell’attuale orientamento del governo, teso a criminalizzare ulteriormente il tossicodipendente.

 

 Raffaele Cutolo
 

Bisogna rendersi conto, anche se con tristezza, che in Italia, non solo a napoli, alla base di oltre il 50% dei reati vi è l’ombra dei paradisi artificiali, più di metà dei carcerati è ospite dello Stato per reati connessi agli stupefacenti, la metà delle forze dell’ordine e della magistratura è occupata da problemi legati a spaccio e consumo di droga.
Vogliamo finalmente provare almeno a discutere della possibilità di liberalizzarla?
Napoli non ha bisogno di elemosine, ma di un’attenzione mediatica e degli uomini migliori a disposizione. Perché lo Stato non decide, con una modesta spesa, di lanciare una crociata in favore di questa città, una sorta di piano Marshall post bellico, mandandoci i funzionari più validi, i poliziotti ed i carabinieri più motivati, oltre naturalmente a questori, prefetti e magistrati disposti ad impegnarsi in una sfida entusiasmante, che i napoletani da soli non riescono a vincere. 


giovedì 15 giugno 2023

Il boss dei due mondi: Lucky Luciano



Lucky Luciano, all'anagrafe Charlie Luciano, nato Salvatore Lucania (Lercara Friddi, 24 novembre 1897 – Napoli, 26 gennaio 1962), è stato un mafioso italiano naturalizzato statunitense, legato alla cosiddetta "Cosa nostra statunitense".
Salvatore Lucania Nenna assunse legalmente, negli Stati Uniti d'America, il nome di Charlie Luciano, e successivamente il soprannome "Lucky". Tale soprannome gli venne attribuito in seguito ad una vicenda accaduta il 16 ottobre 1929: alcuni uomini non identificati lo accoltellarono più volte e lo lasciarono in una spiaggia di Staten Island con la gola squarciata, credendolo morto, ma Luciano si salvò, e da allora venne chiamato "Lucky", ovvero "il fortunato".
Luciano abolì la carica di «capo dei capi» ideando e istituendo al suo posto la "Commissione" tra le cinque famiglie di New York. Proprio per questo viene considerato il padre del moderno crimine organizzato nonché uno dei protagonisti della massiccia espansione del commercio di eroina nel secondo dopoguerra. È stato un potente boss dell'attuale Famiglia Genovese. Il Time Magazine ha inserito Luciano tra i 20 uomini più influenti del XX secolo.
Salvatore Lucania nacque a Lercara Friddi, un paese della provincia di Palermo, principalmente noto per le sue miniere di zolfo, il 24 novembre 1897, figlio di Antonio Lucania e di Rosalia Cafarelli. Nel 1905 emigrò con la propria famiglia negli Stati Uniti d’America; al punto d'ingresso per gli immigranti di Ellis Island al piccolo Salvatore venne diagnosticata la Variola vera, una forma di vaiolo che lo segnerà per tutta la vita. Divenne cittadino statunitense, rinunciando automaticamente alla cittadinanza italiana.
Trasferitasi poi a New York l'anno successivo, la famiglia Lucania trovò alloggio nel Lower East Side, ai margini del quartiere ebraico, presso il 265 E di 10th Street, dove però vivevano in condizioni precarie. Fu qui che Lucania conobbe il giovane Meyer Lansky, con cui fondò una banda dedita al bullismo nei confronti dei compagni di classe e all'estorsione di un penny ogni giorno come “protezione”.
Nel 1907 Lucania venne condannato a quattro mesi di riformatorio per taccheggio mentre, all'età di diciotto anni, venne condannato a sei mesi di riformatorio per possesso illegale di eroina e morfina, di cui era a un tempo consumatore e spacciatore. Appena rilasciato, si unì alla banda criminale dei Five Points Gang sotto la guida del gangster Johnny Torrio, dove conobbe Frank Costello e Al Capone. Fu in questo periodo che Lucania decise di "americanizzare" il proprio nome in Charlie Luciano, poiché Salvatore gli sembrava un nome da donna. Nel 1917 Luciano venne chiamato alle armi per combattere nella prima guerra mondiale, ma riuscì ad evitare il fronte facendosi contagiare volontariamente dalle infezioni da clamidia.
Nel 1920 Luciano passò al servizio del gangster ebreo Arnold Rothstein, insieme a Meyer Lansky, Frank Costello, Bugsy Siegel, Dutch Schultz e Jack "Legs" Diamond. Approfittando del proibizionismo, Luciano e gli altri fornirono alcolici agli "speakeasies" di Manhattan, grazie ai loro contatti che gli permettevano di scaricare le bevande alcoliche dalle navi nel porto di New York. Inoltre Luciano aveva iniziato ad occuparsi dello sfruttamento della prostituzione e del gioco d'azzardo, gestendo bische e bordelli a basso costo a Manhattan insieme al socio Joe Adonis. Nell'ambiente della prostituzione, in particolare, Luciano iniziò ad essere conosciuto con il nomignolo di «infame», affibbiatogli dalle ragazze da lui sedotte e avviate alla prostituzione dopo averle rese dipendenti dall'eroina. In questi anni Luciano venne più volte arrestato per rapina, aggressione, possesso illegale di stupefacenti e detenzione di armi illegali, ma venne sempre rilasciato perché le accuse decaddero.
Per via dei suoi contatti con i "bootleggers" ebrei ed irlandesi, Luciano venne assoldato dal mafioso siciliano Giuseppe "Joe" Masseria, detto «Joe the boss», esponente di punta della "Mano Nera"; ciò avvenne nonostante Luciano fosse considerato un "disonorato" dagli altri mafiosi siciliani perché implicato nello sfruttamento della prostituzione, attività da loro considerata disonorevole. Nel 1922, come killer, Luciano prese parte all'assassinio del gangster Umberto Valenti, acerrimo nemico di Joe Masseria; durante il conflitto a fuoco in cui fu ucciso Valenti, fu colpita anche una bambina di otto anni, che rimase ferita.
Nel maggio 1929 Luciano partecipò ad un incontro ad Atlantic City insieme a Frank Costello, Joe Adonis e Johnny Torrio, a cui erano presenti gangster italiani ed ebrei, che concordarono strategie comuni per una divisione del contrabbando di alcolici e gettarono le basi per la creazione di un "Sindacato nazionale del crimine". Il 16 ottobre 1929, Luciano venne prelevato da alcuni uomini che poi lo picchiarono e accoltellarono più volte con un punteruolo da ghiaccio, lasciandolo, credendolo morto, su una spiaggia di Staten Island con la gola tagliata da un orecchio all'altro. Luciano venne scoperto da un agente di polizia e portato in ospedale, dove si riuscì a salvarlo, ma si rifiutò di rivelare l'identità dei suoi assalitori per non trasgredire al codice dell'omertà. Fu proprio in virtù della sua prodigiosa sopravvivenza che Luciano fu soprannominato «Lucky», cioè "fortunato".

L'ascesa al potere
La guerra castellammarese del  1930-31 tra Joe Masseria e Salvatore Maranzano, capo della fazione opposta, divenne un problema per Luciano, perché danneggiava il regolare svolgimento degli affari illeciti, e per questo motivo organizzò l'assassinio di Joe Masseria. Il 15 aprile 1931, al ristorante Scarpato's di Coney Island, Luciano pranzò con Masseria e, quando questi si alzò per andare al gabinetto, un gruppo di fuoco formato da Bugsy Siegel, Vito Genovese, Joe Adonis e Albert Anastasia lo colpì a morte.
Tolto di mezzo il suo capo, Luciano fece pace con Maranzano, il quale si fece eleggere «capo dei capi» dagli altri boss e passò le attività criminali del defunto Masseria a Luciano come premio. Poco tempo dopo, però, Maranzano pianificò l'assassinio dello stesso Luciano, a causa dei suoi stretti legami con gangster non-siciliani, e assunse il killer Vincent "Mad Dog" Coll per eliminare lui e Vito Genovese. Il 10 settembre 1931 Maranzano convocò Luciano e Genovese nel suo ufficio a Park Avenue, ma, al loro posto, si presentarono quattro killer ebrei travestiti da agenti del Fisco, i quali pugnalarono Maranzano e lo finirono a colpi di pistola; in realtà i killer ebrei erano stati assoldati da Meyer Lansky e da Luciano, che si era accordato con il mafioso siciliano Gaetano Lucchese, il quale si trovava nell'ufficio per condurre i killer da Maranzano.
Una leggenda della malavita vuole che, subito dopo la morte di Maranzano, Luciano ordinò lo sterminio di circa novanta mafiosi siciliani da un capo all'altro degli Stati Uniti, i quali facevano parte delle fazioni Masseria-Maranzano ed erano spregiativamente detti «teste unte» o «Moustache Petes» per via della loro arretratezza; tuttavia questa campagna di sterminio, che venne chiamata "notte dei Vespri siciliani", è considerata un mito da molti storici.
Dopo l'uccisione di Maranzano, Luciano divenne il principale boss della criminalità organizzata negli Stati Uniti ma rifiutò il posto di «capo dei capi» per evitare il rischio di una guerra con Al Capone, in rapida ascesa; al suo posto creò un apposito organismo, denominato "Commissione", il cui compito era quello di governare gli affari della «Cosa Nostra» ripartendosi la aree di competenza tra i diversi Stati ed era composta dalle Cinque Famiglie di New York, dalla Chicago Outfit di Al Capone e dalla Famiglia di Buffalo di Stefano Magaddino, in rappresentanza delle altre Famiglie minori degli Stati Uniti. Inoltre Luciano autorizzò gli altri boss a collaborare con gangster non-siciliani e non-italiani per formare quello che sarebbe stato soprannominato "Sindacato nazionale del crimine", che sarebbe servito per controllare il contrabbando di alcolici e stupefacenti, la prostituzione, il gioco d'azzardo, i sindacati del porto di New York e l'industria dell'abbigliamento. Tra le famiglie di New York, ben legate tra loro durante l'era di Luciano, e la Chicago Outfit rimase sempre una forte indipendenza e autonomia.
In seno alla sua nuova «Famiglia», Luciano affiliò i suoi luogotenenti napoletani e calabresi, nonostante non fossero siciliani e li elevò in posizioni di comando: Vito Genovese divenne il vicecapo, mentre Frank Costello fu nominato "consigliere" insieme a Meyer Lansky e Johnny Torrio, che però ricoprivano il ruolo in veste non ufficiale perché erano esterni a Cosa Nostra. 

 


La caduta e il carcere
All'apice del potere, Luciano viveva in una suite di lusso al Waldorf-Astoria Hotel, registrato con il falso nome di Charles Ross; amava indossare abiti costosi ed eleganti, frequentava i night club più esclusivi in compagnia di belle donne ed era amico del cantante Frank Sinatra e dell'attore .
Però, nel 1935, Thomas E. Dewey venne nominato procuratore speciale di New York per indagare sul gangsterismo; egli, infatti, dopo essersi occupato di Dutch Schultz (che finì assassinato poco tempo dopo), puntò su Luciano, definendolo "lo zar della criminalità organizzata di New York". Per queste ragioni, Luciano fuggì a Hot Springs, in Arkansas, ma venne arrestato il 1º aprile 1936 per sfruttamento della prostituzione e riportato a New York; infatti numerose prostitute fatte arrestare in una retata da Dewey nel febbraio 1936 avevano dichiarato che Luciano era a capo di un "Sindacato del crimine", formato da gangster italiani ed ebrei, che imponeva il pagamento della "protezione" sui bordelli di New York. Luciano negò tutte le accuse, ma il 5 giugno 1936 venne condannato dai trenta ai cinquant'anni di carcere e trasferito nel penitenziario di Dannemora, nello Stato di New York. Anche dalla prigione Luciano continuò a gestire la sua Famiglia attraverso Vito Genovese. Tuttavia, nel 1937, Genovese dovette fuggire dagli Stati Uniti per evitare un'accusa di omicidio e così Frank Costello divenne il nuovo capo effettivo e supervisore degli interessi di Luciano.

La collaborazione allo sbarco degli Alleati in Sicilia
Nel 1942 gli ufficiali del servizio informazioni della Marina degli Stati Uniti contattarono Luciano in carcere, su raccomandazione di Joseph "Socks" Lanza, il boss dei sindacati del porto di Manhattan. Luciano offrì il suo aiuto per indagare sul sabotaggio di diverse navi nel porto di Manhattan, tra cui la SS Normandie, un transatlantico francese che prese fuoco e affondò nelle acque dello Hudson, di cui furono sospettate alcune spie naziste infiltrate tra i portuali; in cambio della sua collaborazione, Luciano venne trasferito nel carcere di Sing Sing, dove venne interrogato dagli agenti del servizio informazioni della Marina. Esistono fonti che affermano che successivamente venne arruolato per facilitare lo sbarco alleato in Sicilia (luglio 1943) tramite i suoi contatti con i mafiosi siciliani e che consegnò ai servizi americani una lista di nomi da contattare in Sicilia e, sebbene alcuni studiosi considerino tutto ciò come un mito il seguito della sua vita lo dimostra chiaramente: dopo lo sbarco in Sicilia, a Napoli il suo luogotenente Vito Genovese fu l'aiutante e interprete del comandante militare degli affari civili dell'AMGOT, Charles Poletti e, il 3 gennaio 1946, Thomas E. Dewey, diventato governatore dello Stato di New York, graziò Luciano per i servigi resi alla Marina, a condizione che lasciasse gli Stati Uniti per stabilirsi in Italia; il 10 febbraio Luciano fu estradato dal porto di New York a opera del servizio statunitense di immigrazione e imbarcato sulla nave Laura Keene, che arrivò a Napoli il 27 febbraio. Luciano stabilì il suo domicilio a Roma, ma soggiornò a Palermo, presso il Grand Hotel et des Palmes, dove numerosi membri del separatismo siciliano e boss mafiosi erano soliti rendergli visita.

 

 


La conferenza dell'Avana
Nel giugno 1946 Luciano soggiornò in Brasile, Colombia e Venezuela per trasferirsi poi a L'Avana, dopo avere ottenuto i documenti necessari per l'espatrio dall'Italia dal sindaco di Villabate Francesco D'Agati, noto esponente mafioso. A Cuba s'incontrò con Meyer Lansky, con cui acquistò una partecipazione per la gestione dell'Hotel Nacional e di un casinò a L'Avana, insieme al loro socio occulto, il presidente cubano Fulgencio Batista
Il 22 dicembre 1946, presso l'Hotel Nacional, Luciano ricevette i delegati delle maggiori Famiglie degli Stati Uniti e del "Sindacato ebraico", i quali gli regalarono buste contenenti denaro per il suo ritorno dall'Italia; il motivo apparente della festa di gala era quello di vedere cantare Frank Sinatra, che era stato invitato perché amico di Luciano, ma la vera ragione fu la possibilità di discutere di affari con Luciano. Infatti, durante la "conferenza", i boss organizzarono il traffico degli stupefacenti, stabilendo la base per lo smistamento proprio a Cuba, e parlarono del gangster Bugsy Siegel, che doveva restituire ai boss il denaro impiegato nella costruzione dell'Hotel Flamingo a Las Vegas, che però non dava garanzie economiche; Meyer Lansky, credendo ancora che Siegel potesse realizzare profitti a Las Vegas e restituire il denaro ai boss, convinse gli altri a dargli un'altra possibilità, ma qualche tempo dopo anche questa si vanificò: il 20 giugno 1947, infatti, Siegel venne assassinato nella sua villa di Los Angeles a colpi di carabina M1.
Nel febbraio 1947 Harry J. Anslinger, capo del Federal Bureau of Narcotics, inviò una richiesta formale al governo cubano per l'espulsione di Luciano, minacciando a nome del governo statunitense l'embargo su tutte le forniture di farmaci[48]; il 20 marzo Luciano venne espulso da Cuba e imbarcato sul piroscafo turco “Bakir”, che doveva riportarlo in Italia.

 


Soggiorno in Italia
Il 12 aprile 1947 Luciano arrivò a Genova a bordo del “Bakir” e venne portato al carcere di Marassi, per poi essere trasferito al carcere dell'Ucciardone di Palermo scortato da cinque carabinieri. Rimesso in libertà il 14 maggio, Luciano si stabilì prima a Capri e poi a Napoli.
Nel 1949 Luciano fu tra i denunciati per concorso nel traffico di 7 kg di eroina e 2 kg di cocaina, sequestrati all'aeroporto di Ciampino nelle mani del mafioso americano Charles Vincent Trupia, membro della Famiglia Lucchese di New York, ma ne uscì indenne: infatti la questura di Roma produsse soltanto un foglio di via obbligatorio per Luciano, proibendogli di soggiornare a Roma. Nel giugno 1951 furono denunciati Francesco "Frank" Callace e Giuseppe "Joe" Pici, anche loro membri della Famiglia Lucchese, per il traffico di 17 kg di eroina insieme ai mafiosi siciliani Salvatore Vitale e Francesco Lo Cicero Luciano venne incluso nel rapporto di denunzia, ma ne uscì indenne anche questa volta. Inoltre Callace e Pici vennero accusati di avere incettato quantitativi di eroina e morfina prodotti illegalmente da due ditte farmaceutiche rette dal professor Guglielmo Bonomo e da altre ditte di Milano e Genova e nel 1952 vennero implicati nel caso della ditta farmaceutica Schiapparelli di Torino, dove il direttore Migliardi era riuscito a deviare dalla produzione ufficiale 250 kg di eroina; ciò era avvenuto per via dei contatti che Luciano aveva iniziato con i direttori delle case farmaceutiche dell'Italia settentrionale, che con lui intrattennero rapporti di amicizia e reciproca considerazione.
Inoltre, nel 1949, Luciano fondò una fabbrica di confetti e dolciumi a Palermo che, intestata ad un suo cugino e al mafioso siciliano Calogero Vizzini, riuscì ad esportare i suoi prodotti in Germania, Francia, Irlanda, Canada, Messico e Stati Uniti. L'11 aprile 1954, tuttavia, il quotidiano l'Avanti! pubblicò un articolo in cui si denunciava che nei confetti prodotti nella fabbrica di Luciano «due o tre grammi di eroina potevano prendere il posto della mandorla». Quella notte stessa la fabbrica venne chiusa e i macchinari smontati e portati via. Nello stesso anno le autorità italiane revocarono il passaporto a Luciano per questioni di pubblica sicurezza, su consiglio di Charles Siragusa, agente del Federal Bureau of Narcotics che indagava sulle attività del boss in Italia.
Dal 12 al 16 ottobre 1957 Luciano partecipò ad una serie di incontri che si tennero presso il Grand Hotel et des Palmes di Palermo tra mafiosi americani (Joseph Bonanno, John Bonventre, Carmine Galante, Frank Garofalo, Santo Sorge, Vito Vitale e John Di Bella, esponente della Famiglia Genovese di New York e parente dei fratelli Pietro e Antonino Sorci, capi della cosca di Villagrazia e al pari di costoro, amico di Luciano) e siciliani (Gaspare Magaddino, Cesare Manzella e Giuseppe Genco Russo): gli inquirenti dell'epoca sospettarono che si incontrassero per concordare l'organizzazione del traffico degli stupefacenti, dato che la rivoluzione castrista a Cuba (tra il 1956 e il 1959) stava rischiando di privare i mafiosi siciliani ed americani di quell'importante base di smistamento per l'eroina.
Nel 1958 il Federal Bureau of Narcotics chiese la collaborazione della Guardia di finanza per controllare il mafioso Nick Gentile, il quale era sospettato di traffico di stupefacenti in collegamento con Luciano, con il quale manteneva contatti perché anche lui residente in Italia, ma non emerse alcuna prova sufficiente.

  


Vita privata
Dopo la deportazione in Italia, Lucky Luciano si innamorò di Igea Lissoni, una ballerina italiana bionda e dagli occhi azzurri, che aveva 23 anni meno di lui. Vissero assieme, seppur in modo travagliato per i continui spostamenti di Luciano, che per motivi di sicurezza cambiava continuamente alloggio, finché non si trasferì definitivamente in via Tasso, nota strada napoletana. Di lì a poco, Igea morì di cancro. Non ci sono prove che attestino che i due fossero sposati: qualora così fosse, il matrimonio sarebbe avvenuto di nascosto. Ma non c'è dubbio che Luciano fu molto provato dalla morte di lei, visto che iniziò subito dopo l'avvenimento a meditare propositi di ritornare in America.
Charlie "Lucky" Luciano era molto affezionato a una femmina di Pinscher nano, che chiamò Bambi, come l'omonimo cartone animato della Disney.
Nel 1960 Luciano fu intervistato da Ian Fleming, lo scrittore che nel 1953 aveva creato l'agente segreto britannico James Bond, mentre questi, come corrispondente per il Sunday Times, era in visita a Napoli durante il giro che lo portava nelle Thrilling Cities (le città più "avventurose") d'Europa.
Poco dopo la morte di Igea, Luciano fu contattato da un produttore cinematografico, interessato a girare un film sulla sua vita. Si diedero appuntamento all'aeroporto di Napoli-Capodichino, il 26 gennaio 1962, ma lì Luciano ebbe un infarto e morì, a 64 anni. Il suo corpo fu trasportato negli Stati Uniti e seppellito al Saint John's Cemetery, nel distretto del Queens.

Lucky Luciano nella cultura di massa
Protagonista o co-protagonista di numerosi film, film TV e miniserie televisive, Lucky Luciano è stato portato sul piccolo e grande schermo da numerosi interpreti. Oltre al film biografico Lucky Luciano (1973) di Francesco Rosi, in cui il mafioso siciliano è impersonato da Gian Maria Volonté, il ruolo di Luciano è stato interpretato al cinema molte volte.