mercoledì 4 aprile 2012

L’agonia delle torri aragonesi


13/12/2010

Napoli è stata ripetutamente capitale di regni estesi e potenti, ma il periodo aureo per la città fu, ad unanime parere degli storici, costituito dai sessanta anni di dominio della casa d’Aragona, un vero Rinascimento alla pari di quello fiorentino, niente a che vedere con la frottola messa in giro anni fa da una classe politica famelica e corrotta.
I fasti di quegli anni lontani oggi sono difficili da localizzare nel tessuto urbanistico, stravolto dalle stratificazioni successive e per l’incuria degli uomini.
La statua di Alfonso il Magnanimo troneggia sulla facciata di Palazzo Reale a rammentare che con la sua conquista della città il Regno di Napoli si inserì in maniera articolata nell’economia del Mediterraneo, per il contributo di mercanti italiani e stranieri, in prevalenza fiorentini e catalani, le cui attività bancarie e commerciali crearono degli importanti legami tra il Mezzogiorno e le principali realtà europee.
La corte aragonese era famosa per lo splendore e per il suo amore verso la cultura e l’arte, che ebbero un notevole impulso. Erano di casa nella biblioteca reale di Castel Nuovo, straripante di volumi rari e preziosi, poeti come Sannazaro ed umanisti quali il Panormita ed il Pontano, a cui venne intitolata la celebre accademia voluta da Alfonso.
Anche sotto Ferrante si espressero forti personalità in campo artistico, da Giuliano da Majano a Francesco di Giorgio Martini e durante il suo regno la città acquisisce quella suggestiva immagine impressa nella Tavola Strozzi, una prospettiva in parte vera ed in parte fantastica, di sicura valenza simbolica. 
Nel frattempo viene eretta Porta Capuana, concepita come un vero arco trionfale e splendide ville come quella della Duchesca o quella di Poggioreale, immortalata in una tela di Domenico Gargiulo.
Nel campo dell’architettura civile sorgono superbi palazzi, come quello di Diomede Carafa e dei Sanseverino, ma allo spettacolare arco di trionfo marmoreo all’ingresso di Castel Nuovo è legata la testimonianza del contributo di scuole artistiche diverse, che a Napoli riuscivano a coagularsi, mentre celebri sono le sculture del Mazzoni, che nella chiesa di Monteoliveto nel commovente Compianto su Cristo morto ci ha tramandato le figure dei principi aragonesi a grandezza naturale ed i dipinti del Colantonio e di Antonello da Messina.
Furono approntati sistemi difensivi per la città e le memorie più vistose si reperiscono nella mole poderosa di Porta Capuana, di Porta Nolana e nei Bastioni del Carmine, ma vi è poi una serie di torri che vanno dalla Marina a via Foria, dove alcune si sono trasformate nella caserma Garibaldi, che sono state fagocitate dallo sviluppo edilizio successivo e versano in uno stato di degrado e di abbandono vergognoso. 
Queste torri aragonesi in agonia sono lo struggente ricordo di una Napoli medioevale, che l’impeto del successivo barocco ha sommerso, rendendole poco visibili, ma opportunamente recuperate, potrebbero costituire un interessante itinerario per i turisti e per gli stessi napoletani, dei quali ben pochi conoscono questi angoli reconditi della loro città. 

Procedendo verso l’interno intorno all’area di San Giovanni a Carbonara sono presenti numerosi resti di testimonianze della cintura difensiva con torrioni riutilizzati per uso abitativo o come deposito. Tra questi la torre detta di S. Anna, per la quale si è tentato di recuperare l’antica dignità, ma che rimane ancora quasi irraggiungibile, infatti per accedervi bisogna passare per un garage e poi, uscendo da una porticina laterale, percorrere un tratto delle antiche mura. 
Lo scorrere inesorabile del tempo, ma soprattutto l’incuria e la strafottenza dei napoletani, ha trasformato completamente i luoghi e là dove vigilava la ronda delle sentinelle troneggiano oggi schiere di lenzuola sbrindellate stese ad asciugare, i famosi panni gocciolanti che rappresentano l’orribile biglietto da visita di tanti vicoli della città. 
In peggiori condizioni versa la torre in via S. Caterina a Formiello, la cui base è stata letteralmente ingoiata dalle superfetazioni dei bassi, da tempo abbandonati anche dai napoletani più miserabili ed oggi affittati a prezzi esorbitanti agli extra comunitari, mentre in vetta tracce di un abuso ottocentesco con una ringhiera civettuola divorata dalla ruggine. 
In condizioni disastrate versa anche la torre di San Michele all’angolo della salita Pontenuovo, crollata parzialmente da anni e con tracce sul tetto di una costruzione recente, mentre tutto attorno cresce rigogliosa una boscaglia selvatica popolata da zoccole fameliche, che si nutrono degli abbondanti rifiuti. Identica situazione per le altre schegge di torri, invase da garage addirittura condonati, piccole fabbriche ed incivili abitazioni.

E nel frattempo si attende un finanziamento europeo per collocare nei pressi di queste antiche torri agonizzanti, nei locali della chiesa di S. Anna e San Gioacchino, l’archivio urbanistico della città digitalizzato dal Settecento agli anni Sessanta del Novecento, mentre gli originali cartacei rimarranno nell’archivio di salita Pontecorvo. 
Un tentativo coraggioso quanto disperato di preservare con il muro siliceo della memoria le memorie delle mura vulcaniche.

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