martedì 23 luglio 2024

Un vero capolavoro di arte contemporanea


Fig.1 - Elettra Carignani di Novoli -
Funghi


Il dipinto che presentiamo in fig.1 ai nostri lettori, è opera di un'artista giovane, anzi giovanissima (14 anni). Elettra Carignani di Novoli. Rappresenta dei funghi in una foresta e presenta  sul retro una commovente  dedica ai suoi nonni (fig.1b). Attualmente è esposto nel salotto della più importante villa di Posillipo.

 

Fig.1b- Elettra Carignani di Novoli -
dedica ai nonni

Le opere della nostra artista, a novembre erano già state pubblicate su riviste cartacee e telematiche, in un articolo: Quattro dipinti da ammirare, che riproponiamo ai nostri lettori.


Fig.2 - Elettra Carignani di Novoli -
Fiori sgargianti

I dipinti di cui parleremo  (figg.2-3-4) sono opera di un'abile bambina, Elettra Carignani di Novoli, che ama rappresentare la realtà come la percepisce e cerca di trasmettere agli altri le sue sensazioni. Spesso si ascoltano giudizi del tipo: "L'arte contemporanea non la capisco, non mi piace non mi desta alcuna emozione, ha abbandonato la ricerca della bellezza, probabilmente non è arte ma solo una presa in giro". 

  

Fig.3 - Elettra Carignani di Novoli -
Fiori profumati

Noi nel giudicarli ci atterremo ad un antico proverbio che afferma:  "Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace" ed a noi questi quadretti piacciono molto, in particolare i primi due che rappresentano dei fiori, rappresentati con amore, con precisione e con un armonico gioco di colori tale, che quando ci siamo avvicinati ne abbiamo percepito il profumo.

Fig.4 - Elettra Carignani di Novoli -
Paesaggio autunnale

Il terzo dipinto, ricco di un cromatismo sgargiante, raffigura un paesaggio autunnale, in cui spiccano alte cime ricoperte di vegetazione ed è stato dedicato ai suoi nonni: Elvira ed Achille a cui lei vuole un bene infinito, ricambiato in eguale misura. 

Concludiamo in bellezza con un altro dipinto (fig.5),  questo però opera di Tiziana, mamma della bambina e figlia dei due nonni 

  

Fig.5 - Tiziana Carignani di Novoli -
Pappagallo parlante

Esso rappresenta un pappagallo dal becco debordante ed ogni notte, da quando lo ho appeso ad una parete della mia camera da letto, di notte parliamo dei più svariati argomenti e lui dimostra una profonda saggezza 

Achille della Ragione

  

Fig.6 - Elettra con nonna Elvira 


sabato 6 luglio 2024

Il seno nell'arte, dall'antichità ai nostri giorni

 

 Volume in ristampa 


Il libro dopo un successo nazionale si avviava ad esaurirsi, per cui l'editore ha pensato di stamparne alcune migliaia di copie, che a giorni saranno reperibili presso tutte le librerie.

L'opera è una carrellata attraverso i secoli alla ricerca delle rappresentazioni che pittori e scultori di ogni tempo e di ogni luogo hanno dato del seno: il pianeta misterioso. Un percorso che merita di essere attraversato in lungo e in largo per un sottile piacere dello spirito. Si parte dalla Venere di Willendorf, risalente al paleolitico, per giungere alle fantasiose raffigurazioni degli artisti contemporanei. Sono rappresentati tutti i grandi e tutte le correnti figurative più famose, ma tanti sono i minori, che hanno saputo cogliere del seno aspetti singolari ed affascinanti nelle sue infinite sfaccettature: scoperto o maliziosamente velato, innocente o peccaminoso, pubblico e privato, disponibile e proibito, senza tener conto delle forme e dei gusti anatomici, che nel tempo hanno subito sostanziali variazioni. Un avventuroso viaggio di 168 pagine, corredate da oltre 200 foto a colori, nel quale l'autore ci accompagna, facendoci partecipe delle sue conoscenze e dell'infinito amore verso il più dolce degli attributi femminili.

Per chi non vuole spendere soldi può consultare il libro digitandone in rete il titolo.

http://www.guidecampania.com/seno/

Buona lettura e non vi arrapate troppo.

Achille della Ragione 

  

Quarta di copertina 

sabato 15 giugno 2024

Presentazione del capolavoro di Achille della Ragione


Venerdì 5 luglio alle ore 21:30, nei saloni dell'Hotel Villa Angela, a Forio d'Ischia (località Panza). Ci sarà la presentazione dell'opera di Achille della Ragione: "Il secolo d'oro della pittura napoletana"

Saranno presenti due televisioni ed i redattori dei quotidiani dell'isola. Seguirà un rinfresco.

Per chi volesse leggere il testo completo dei 10 tomi del libro deve digitare il link

http://www.guidecampania.com/dellaragione/articolo39/articolo.htm

Nel frattempo proponiamo ai lettori un articolo sull'argomento da me scritto e che anni fa, fu pubblicato sulla rivista Napoli nobilissima.


LA PITTURA DEL SECOLO D'ORO

La pittura napoletana del Seicento è giustamente ricordata come il “Secolo d’oro” per i numerosi artisti che si espressero con punte di livello europeo, come il Caravaggio, che soggiornò due volte nel primo decennio e con i suoi quadri: Le sette opere di misericordia, La Madonna del Rosario e la Flagellazione, rivoluzionò la scuola locale ancorata ad una parlata provinciale e a moduli tardo cinquecenteschi di matrice raffaellesca, manierista e fiamminga.

1-Caravaggio: La flagellazione di Cristo,
Capodimonte Napoli


2-Battistello Caraccciolo: La fuga in Egitto,
Capodimonte Napoli

Tra i suoi più importanti seguaci citiamo Giovan Battista Caracciolo, detto il Battistello, il primo ad assimilare il nuovo verbo caravaggesco inteso soprattutto nei suoi valori luministici. Egli utilizzò l’effetto luce per definire le forme con un vivace contrasto nel chiaroscuro dai toni bronzei ed un disegno netto ed accurato, come possiamo apprezzare nella Madonna nella fuga in Egitto, conservata a Capodimonte. Una interpretazione di grande efficacia con un’attenta cura del dettaglio naturalistico, vedi la Salomè degli Uffizi. Fu in seguito ad un suo viaggio a Roma influenzato anche dalla lezione carraccesca, ben evidente nelle sue magniloquenti opere successive al 1620 come gli affreschi nella chiesa del Gesù Nuovo ed i dipinti per la certosa di San Martino.

Jusepe Ribera, spagnolo naturalizzato, portò il luminismo caravaggesco a forme esasperate con un nudo realismo, che dava risalto ai particolari più realistici, spesso macabri ed un compiacimento nell’indulgere nella descrizione del disfacimento fisico con corpi straziati dal martirio o vecchi macilenti, con pennellate dense, cariche di colore ed un sapiente dosaggio di effetti luministici, come possiamo apprezzare nel Martirio di San Bartolomeo del 1630, conservato al Prado. Nel quarto decennio, per influsso del classicismo bolognese, il suo stile subì una variazione nella tavolozza con colori chiari, un modellato più morbido e composizioni pacate, che volgono al patetico, come nel San Sebastiano di Capodimonte. Altre opere di grande livello da ricordare sono L’apollo e Marsia ed i Profeti e la Comunione degli apostoli nella certosa di San Martino.

Un altro pittore che esercitò una grande influenza nell’ambiente napoletano, con una vera e propria scuola fu Massimo Stanzione, il cui percorso stilistico parte da una formazione tardo manierista, evidente nella Presentazione al Tempio, del 1618, in una chiesa di Giugliano, per toccare un momento caravaggesco, nelle Storie di Cristo morto della Galleria Corsini a Roma, per sfociare poi, con il tangibile influsso del Reni verso forme più delicate e monumentali, come si evince nella Madonna del Rosario della chiesa di San Lorenzo o nei tardi dipinti per la certosa di San Martino.

3-Ribera: Martirio di San Filippo,
El Prado Madrid

4-Bernardo Cavallino: Santa Cecilia,
Capodimonte Napoli

Uno spazio a sé occupa Bernardo Cavallino, autore di dipinti, prevalentemente di piccolo formato a soggetto biblico, mitologico o cavalleresco, interpretati con sottile lirismo e contorni di racconto fiabesco. La ricostruzione del suo percorso artistico, che conosce anche un fugace momento caravaggesco, si basa su un solo dipinto, firmato e datato 1645, un Santa Cecilia, caratterizzata da uno stile originale e su accordi di colore delicati e privi di forti contrasti. Altre opere sue famose sono la Cantatrice, a Capodimonte, realizzati con un disegno elegante ed una grazia po’ languida, già di sapore settecentesco.

Lunghi soggiorni napoletani hanno anche pittori bolognesi: Domenichino, Reni e Lanfranco, responsabili di un tangibile influsso sull’ambiente figurativo locale in senso classicista.

Un altro artista trasferitosi all’ombra del Vesuvio come Ribera è Artemisia Gentileschi, la quale muta la sua tavolozza virando verso colori scuri. Rimarrà a Napoli per oltre 20 anni, salvo una breve interruzione, nel 1638, per recarsi in Inghilterra ad assistere il padre Orazio, anche lui grande pittore, gravemente malato.

I suoi soggetti drammatici e violenti, come le tante Cleopatre o le varie versioni di Giuditta e Oloferne, sono realizzate con un forte effetto di luce. Maestra del dettaglio raffinato, ebbe uno stretto rapporto alla pari di dare ed avere con i colleghi napoletani.

5-Artemisia Gentileschi: Giuditta ed Oloferne,
Capodimonte Napoli

6-Mattia Preti: Convito di Baldassarre,
Capodimonte Napoli

Il primo grande interprete della pittura barocca, che viene ad interrompere il corso del naturalismo napoletano fu Mattia Preti, detto il Cavaliere Calabrese, la cui permanenza a Napoli, di circa 8 anni, fu fondamentale sullo sviluppo delle arti figurativa locali. Egli seppe trasfondere nel Barocco i principi formali del caravaggismo. Egli si avvalse di una luce radente che utilizzava in funzione dinamica nelle sue composizioni affollate di personaggi in continuo movimento su fondali di cielo tempestoso o di scenografie architettoniche, in un ricchissimo repertorio di variazioni luministiche.

Egli rendeva i suoi personaggi con colori lividi, cianotici, ai limiti dell’anossia, come possiamo evincere nello spettacolare Convito di Baldassarre del museo di Capodimonte. Nel 1656 realizzò una serie di giganteschi ex voto sulle porte della città, tutti perduti ad eccezione di quello di porta San Gennaro, purtroppo coperto da una coltre di sudiciume: Per fortuna si sono salvati 2 bozzetti, conservati nella sala Preti a Capodimonte, uno dei quali raffigura la Peste.

Nel 1661, non riuscendo psicologicamente a reggere il confronto con l’astro Giordano, si ritirò a Malta, dove, oltre alla spettacolare Gloria dell’ordine, realizzata nella Co-Cattedrale di La Valletta, continuò per 40 anni a produrre, inviando tele in tutta Europa, sempre più aiutato da una valida bottega.

Antagonista del Preti fu Luca Giordano, il più fecondo pittore del Seicento napoletano. La sua prima fase risente dell’influsso del Ribera, le cui opere copiò, imitò ed a volte falsificò. Quindi numerosi viaggi di studio e di lavoro, che lo portano a contatto delle opere di Pietro da Cortona e dei Carracci. Ritorna a Napoli nel 1658 per una serie di importanti commissioni chiesastiche, da San Gregorio Armeno a Santa Brigida.

Un artista poliedrico e velocissimo, denominato per questa sua qualità: “Luca fa presto”. Ebbe la straordinaria capacità nell’assimilare ogni influsso di altri artisti, fonderlo e rielaborarlo in una cifra personale, caratterizzata da un cromatismo luminoso e da una pennellata fluida e sciolta. Ed a proposito di pennello si diceva maliziosamente che ne avesse uno d’oro, uno d’argento e uno di rame a secondo di quanto venisse pagato. Fu abile in egual misura nel cavalletto e nelle grandi imprese decorative come quelle eseguite nella galleria di Palazzo Medici-Riccardi di Firenze o negli appartamenti reali spagnoli, durante il decennio che trascorse nella penisola iberica, chiamato dal re Carlo II per decorare i vasti ambienti dell’Escorial e del Palazzo Reale di Madrid.

La sua produzione fu debordante e tra le tante opere ricordiamo il Gesù tra i dottori, conservato nella Galleria d’arte antica di Roma, espressione della sua maniera dorata.

7-Luca Giordano: L'apoteosi dei Medici,
 Palazzo Medici-Riccardi Firenze


8-Salvator Rosa: Apparizione di Astrea,
Kunsthistorisches Museum Vienna

Salvator Rosa fu una singolare figura di pittore, poeta satirico, attore ed organizzatore di spettacoli. Si dedicò alla pittura di paesaggio e di battaglia, memore del suo maestro Aniello Falcone. Si stabilì prima a Roma e poi a Firenze, dove iniziò a dipingere paesaggi di gusto classicista, abbandonando poi il genere per una visione della natura più spettacolare nelle sue manifestazioni geologiche ed atmosferiche, immersa in una luce irreale, come nella sua famosa “Marina”, conservata al Pitti a Firenze. Altri paesaggi rappresentano dirupi, alberi contorti, cieli tempestosi, espressioni di una sensibilità inquieta e fantasiosa che anticipa il Romanticismo. In questo spirito rientrano anche i quadri di “Stregonerie” celebre Le tentazioni di S. Antonio a Palazzo Pitti eseguito poco prima del rientro a Roma nel 1649 e l’inizio del periodo di riflessione filosofica, con dipinti di soggetto biblico con intenti moraleggianti. Fino al termine si dedicò alla pittura di paesaggio ed all’incisione dedicando la sua attenzione a boschi e coste della Campania, ripresi da numerosi seguaci anche nei secoli successivi.


9-Solimena: Trionfo della fede sull'eresia,
 San Domenico Maggiore Napoli

L’ultimo grande gigante fu Francesco Solimena, detto l’abate Ciccio, che visse 90 anni, protrudendo nel Settecento con una schiera folta di allievi di prima, seconda e terza battuta, interessando più generazioni. Non si mosse mai da Napoli e fu lo stesso ammirato anche all’estero, dove arrivavano i suoi dipinti. Più del Giordano egli, dopo aver appreso l’arte nella bottega paterna, guardò agli esempi del Lanfranco, da cui desunse il modellato saldo delle figure e di Mattia Preti, al quale si ispirò nella ricerca di contrastanti effetti luministici, come nella Rebecca al Pozzo, nelle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Con il Giordano si confrontò nelle grandi imprese decorative, come nella sagrestia di San Paolo Maggiore, rilevando tutto il suo talento di organizzatore di grandi scenografie. Fu anche architetto e nel Settecento mutò il suo stile in senso classicista, consolidato in questa direzione, come si apprezza nella Cacciata di Eliodoro del Gesù Nuovo e negli affreschi della cappella di San Filippo Neri ai Gerolomini.

La natura morta ebbe grande sviluppo, acquisendo una valenza inferiore solo alla coeva fiamminga. In quella napoletana vi è una sorta di trasposizione del dato reale in chiave barocca, con un graduale passaggio dall’ammirazione per la fedeltà oggettiva della rappresentazione allo stupore e la meraviglia per la fantasia dell’invenzione compositiva. I migliori specialisti furono talmente bravi da renderci l’odore dei fiori ed il sapore dei dolciumi raffigurati

 


10-Luca Forte:
Albero di pesche con tulipani e pappagalli,
 Collezione privata Napoli


11-Giuseppe Recco:
Natura morta di pesci con gatto,
Collezione privata Napoli

Tra i primi generisti ricordiamo Luca Forte, ancora legato alle esperienze del caravaggismo romano, splendido il suo Vaso con tulipani di una celebre raccolta napoletana e Paolo Porpora, che dipinse ortaggi, fiori e frutta, per passare poi, trasferitosi a Roma, anche ad insetti e rettili dai colori vivaci. Di gusto pienamente barocco sono le opere di Giovan Battista Ruoppolo e del figlio Giuseppe, mentre i pesci furono la specialità della famiglia Recco, che ebbe in Giuseppe il principale esponente, in grado di fissare nei suoi trionfi marini il delicato momento di trapasso tra la vita e la morte. Lo scorfano fu il suo pesce preferito, seguito dall’anguilla. Vedi ad esempio lo splendido scatto felino nel dipinto di collezione napoletana.

Non possiamo chiudere la nostra carrellata senza accennare ad alcuni “Minori”, come Andrea vaccaro, artefice di splendide fanciulle in estasi, dallo sguardo proteso al cielo ed il seno procace generosamente offerto all’osservatore. Domenico Gargiulo, più noto come Micco Spataro, illustratore di cronaca cittadina, come nella famosa Peste del museo di San Martino o cruenti supplizi come nel Martirio di San Gennaro in collezione privata napoletana.

Concludiamo con Aniello Falcone, conosciuto come l’Oracolo delle battaglie, leader indiscusso nel suo genere con dipinti anche al Louvre, che “firmava” criptaticamente le sue tele con un patognonimico polverone sullo sfondo ed un caduto nel combattimento in prima fila.

 

12-Domenico Gargiulo (detto Micco Spataro):
Decapitazione di San Gennaro,
 Collezione privata Napoli
 
  
13-Aniello Falcone: Scontro di fanti e cavalieri,
Pinacoteca Tosio-martinengo Brescia




Pubblichiamo una foto ed un video dell'evento, gentilmente forniti da Luigi Gastaldi. 
 





lunedì 10 giugno 2024

Una lavanda dei piedi di Francesco Fracanzano


fig.1 - Francesco Fracanzano
- Lavanda dei piedi (50x75cm) -
Napoli collezione privata 

Il dipinto che presentiamo ai nostri lettori, appartenente ad una celebre collezione napoletana, raffigura una Lavanda dei piedi (fig.1) ed abbiamo incontrato una certa difficoltà a stabilire l'autore, poi un esame accurato di alcuni dettagli (fig.3) presenti in altri quadri certi del pittore ci ha tolto ogni dubbio: Francesco Fracanzano.

La Chiesa vede nel gesto della lavanda dei piedi un simbolo dell'amore di Dio. Il gesto riassume tutta la vita di Gesù, il quale "non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la Propria vita in riscatto per molti". Lavarsi i piedi gli uni con gli altri significa per i cristiani fare memoria dell'amore che Gesù ha avuto per i suoi discepoli. La Chiesa cattolica rivive il gesto della lavanda dei piedi durante la liturgia del Giovedì santo, nella Messa in Cena Domini. Nel gesto della lavanda dei piedi Cristo si mostra Servus servorum Dei, vale a dire "servitore fra i servitori di Dio". A Giovanni Battista, che Gesù avrebbe poi definito il più grande fra i nati di donna (Matteo 11:11), ma che non era chiamato da Cristo a far parte dei Dodici per battezzare in acqua e Spirito Santo, fu riservato il privilegio del Battesimo di Gesù in sola acqua. Se il più grande uomo mai vissuto ritenne di non essere degno di legare i lacci dei sandali di Cristo, Dio stesso invece ritenne di dover fare ancora di più del gesto del Battista, lavando i piedi dei Dodici, a partire proprio da Cefa che di lì a poco lo avrebbe rinnegato per tre volte. Servitore dei servitori di Dio è appunto un titolo che spetta ai successori di Pietro, l'apostolo al quale Gesù rese per primo testimonianza.

Il dipinto è impregnato da un potente naturalismo nella descrizione dei tratti somatici, indagati con severità nei solchi delle rughe, in linea con la lezione del Ribera, anche se il volto, intenso e vigoroso, dei personaggi raffigurati comincia a rivelare i nuovi valori cromatici, sconosciuti nella produzione giovanile del pittore, per cui la collocazione cronologica dell’opera va posta nel corso del quinto decennio del secolo, quando il rigore naturalistico comincia a cedere alle lusinghe di una tavolozza tenera e raffinata.

Il De Dominici accenna all’attività del Fracanzano nella bottega del Ribera: "il maestro molto lo adoperava nelle molte richieste di sue pitture... mezze figure di santi e di filosofi". Nessuno di questi quadri, attribuibili con un buon margine di certezza alla sua mano, è firmato o datato, probabilmente perché spesso dovevano passare per autografi del maestro e ad avvalorare questa ipotesi ci soccorrono di nuovo le parole del biografo "il Maestro molto lo adoperava nelle molte richieste di sue pitture e massimamente per quelle che dovevano essere mandate altrove, ed in paesi stranieri... egli è così simile all’opera del Ribera che bisogna sia molto pratico di lor maniera chi vuol conoscerlo... nell’esprimere la languidezza delle membra, nella decrepità dei suo vecchi". Forniamo ora dei cenni della biografia del pittore, invitando chi volesse approfondire l’argomento e visionare circa 150 foto a colori dell’artista a consultare la mia monografia (fig.2) "Francesco Fracanzano opera completa", digitando il link  

http://www.guidecampania.com/dellaragione/articolo82/articolo.htm

fig.2 - Copertina della monografia

Figlio del pittore Alessandro e fratello di Cesare, Francesco Fracanzano, nel 1622, si trasferisce a Napoli per entrare nella bottega del Ribera. Fu successivamente maestro di Salvator Rosa, quest'ultimo fratello di Giovanna, nonché sua moglie.        

Per un certo periodo le sue attività sono state condivise con il cognato Salvator Rosa e con Aniello Falcone, specializzato in scene di battaglia. Di stampo caravaggista, la sua pittura fu inizialmente accostata alla scuola dello Spagnoletto e più in particolare a quella del Maestro dell'Annuncio ai pastori. Col tempo poi, la sua arte si è allontanata dall'influenza tenebrista per assumere stili più luminosi e chiari. I capolavori del Fracanzano sono riconosciuti su tutti nelle due tele con Storie della vita di San Gregorio Armeno del 1635 nella chiesa di San Gregorio Armeno a Napoli. Il figlio, Michelangelo, fu anch'egli pittore; tuttavia non riuscì mai ad eguagliare il successo del padre.

Achille della Ragione  

fig.3 - Francesco Fracanzano -
Lavanda dei piedi (dettaglio)
Napoli collezione privata

martedì 21 maggio 2024

Una importante asta di oggetti d'arte e dipinti


Fig.1 catalogo asta 110 BLINDARTE
Oggetti d'arte e importanti dipinti


Mercoledì 29 maggio, si terrà a Napoli presso la Blindarte; una delle più importanti aste dell'anno (fig.1), e saranno aggiudicati oggetti d'arte e dipinti antichi ed ottocenteschi, offerti a prezzi accattivanti.

Cominciamo la disamina di alcuni interessanti dipinti, da una Battaglia tra Turchi e Cristiani di Carlo Coppola (fig.2). Un autore a me caro, perché gli ho dedicato una monografia in cui segnalo dei caratteri patognomonici, che permettono di distinguerlo da altri autori.  

 

Fig.2 Carlo Coppola
 (attivo a Napoli dal 1639 – c. 1672)
Scontro tra Turchi e Cristiani
Olio su tela cm43x65

Passiamo poi ad un capolavoro di Andrea Vaccaro (fig.3): Un David con la testa di Golia (181x128), nel quale il sapiente uso del chiaroscuro, l'intensità e la potenza della scena, la bellissima figura di Davide in posa  naturalistica consentono di inserire il dipinto tra i capolavori del pittore napoletano, splendido esempio del grande rilievo che occupa nel panorama del Seicento napoletano. 

 

Fig.3 Andrea Vaccaro
(Napoli 1604 - Napoli 1670)
David con la testa di Golia
Olio su tela cm181x128

Descriviamo poi di Lorenzo De Caro (fig.4) una Strage degli innocenti (42x64) firmata e databile tra il 1760 ed il 1770. 

 

Fig.4 Lorenzo de Caro
(Napoli 1719 – Napoli 1777)
Strage degli innocenti
Olio su tela cm42,5x64,5

Vi è poi di Giacinto Diano (fig.5), pittore puteolano, con  una dolce Madonna con Bambino e San Giovannino (75x60) che incute dolcezza e malinconia. 

  

Fig.5 Giacinto Diano
(Pozzuoli 1731 - Napoli 1803)
Madonna con bambino e San Giovannino
Olio su tela cm75x60


Passiamo poi ad una profumata natura morta di Luca Forte (fig.6): Pesche, ciliegie e gelsomini su un piano (30x40), che fa venire l'acquolina in bocca all'osservatore.

Fig.6 Luca Forte (Napoli 1600 - 1670)
Pesche, ciliegie e gelsomini su un piano
Olio su tela cm30x40

Passiamo ora ad esaminare uno straordinario capolavoro di Luca Giordano (fig.7): Un Ritrovamento di Mosè (124x185), proveniente da un'importante collezione privata napoletana e riconosciuto come autografo da Ferrari e Scavizzi, massimi esperti dell'artista, che hanno sottolineato la ripresa dell'elemento cortonesco e collocano il quadro alla metà degli anni Ottanta.

 

Fig.7 Luca Giordano
(Napoli 1634 - Napoli 1705)
Ritrovamento di Mosè
Olio su tela cm 124x185

Tra i dipinti dell'Ottocento spicca, di Vincenzo Caprile (fig.8),  con una graziosa Contadina (64x34), firmata in basso a destra.  

 

Fig.8 Vincenzo Caprile
(Napoli 1856 - Napoli 1936)
Contadina
Olio su tela cm64x34

Poscia di Vincenzo Irolli (fig.9) vi è una Fumatrice (44x36) firmata e datata, che gode a praticare il vizio più diffuso.

 

Fig.9 Vincenzo Irolli
(Napoli 1860 - Napoli 1949)
La fumatrice
Olio su tavola cm44x36

E concludiamo in bellezza con un dipinto di Vincenzo Migliaro (fig.10) raffigurante il Carnevale (31x23) anch'esso firmato in basso a destra. 

Vincenzo Migliaro
(Napoli 1858 - 1938)
Carnevale
Olio su tavola cm31x23


Appuntamento mercoledì 29 maggio alle 15:30 presso la sede della Blindarte a Fuorigrotta e non dimenticate a casa il portafoglio.

Achille della Ragione



lunedì 20 maggio 2024

Ricordiamo Goffredo Locatelli


Abbiamo dato l'estremo saluto a Goffredo Locatelli, l'8 novembre 2021. A questo grande giornalista e scrittore, tanto apprezzato per lo stile narrativo e la passione la civile; domani martedì 21 maggio 2024, sarà dedicata l'aula magna dell'Istituto superiore "Enrico Fermi" di Sarno (SA).

https://www.iisfermisarno.it/cerimonia-di-inaugurazione-e-intitolazione-aula-magna-a-goffredo-locatelli/

 


In questa occasione, voglio ricordare Goffredo Locatelli con la biografia che gli dedicai alcuni anni fa.

https://achillecontedilavian.blogspot.com/2013/09/un-giornalista-scrittore-di-razza.html

UN GIORNALISTA SCRITTORE DI RAZZA

Goffredo Locatelli è nato a Sarno, in provincia di Salerno, dove il nonno Lorenzo, ufficiale dei Carabinieri, si stabilì provenendo da Bergamo.

Ha iniziato la sua carriera al quotidiano Paese Sera, dove venne assunto nel 1976 come praticante da Arrigo Benedetti, uno dei più grandi maestri del giornalismo italiano.

In seguito ha scritto per La Domenica del Corriere, Il Mondo, Il Globo, L’Espresso, Panorama, La Repubblica, Il Mattino e, come inviato speciale, per i giornali del Gruppo Editoriale Class-Milano Finanza, diretto da Paolo Panerai.

È stato inoltre direttore del settimanale Reporter, di Albatros e vicedirettore del quotidiano economico Il Denaro, avendo come collaboratore, nelle ultime due testate, una penna di prestigio: la mia.

Per il comportamento professionale tenuto in occasione del terremoto in Irpinia del 1980 è stato insignito della Medaglia al Valor Civile. Dalle sue cronache di inviato nelle zone colpite dal sisma nacque il suo primo bestseller Irpiniagate-Ciriaco De Mita da Nusco a Palazzo Chigi (Newton Compton, 1989). In precedenza, una sua inchiesta su Il Mondo nel 1986 servì a svelare per la prima volta l’intreccio di malaffare del dopo terremoto. L’anno successivo su L’Espresso rivelò che 13 familiari del presidente del consiglio De Mita erano azionisti della Banca Popolare dell’Irpinia, attraverso la quale transitavano i fondi pubblici per la ricostruzione. Denunciato, fu processato ed assolto.

Altri suoi libri sono: Mi manda papà (Longanesi, 1991), Mazzette & manette (Pironti, 1993), altro grande successo di vendite, Duce addio (Longanesi, 1994), Fini (Tea, 1996), Tengo famiglia (Longanesi, 1997), Il sangue del Vesuvio (Avagliano, 2000), che fu l’argomento di conversazione quando fu ospite del salotto culturale di mia moglie Elvira, Orazio Mazzoni (Denarolibri, 2008). Tutti i suoi libri hanno avuto lusinghiere recensioni dalla grande stampa e dalla televisione. Di alcuni si sono interessati DerSpiegel e Le Monde. Due sue opere sono conservate nella più importante biblioteca del mondo, quella del Congresso degli Stati Uniti. Sul web ha un sito in cui si possono leggere tutti i suoi articoli, tra cui quello galeotto che ci fece conoscere nel 1978: un’amicizia che è andata crescendo in questi 35 anni che ancora dura, caparbia ed inossidabile.


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Ripropongo poi una mia intervista a Goffredo Locatelli. Che all'epoca fu pubblicata sui principali quotidiani italiani.

CONFESSO DI AVER FATTO 54.000 ABORTI E NON MI SENTO COLPEVOLE...

Quando apprese che doveva scontare 10 anni di reclusione per aborti clandestini, il ginecologo napoletano Achille della Ragione, il più noto della città, lasciò la sua bella villa di Posillipo e fece perdere le tracce. La condanna, divenuta esecutiva dopo la pronuncia della Cassazione, gli prospettò un lungo periodo di detenzione. Per tre anni si diede alla latitanza, fino a che fu acciuffato in un internet point di Roma e portato a Rebibbia. Tutto era cominciato con la denuncia di una donna che lo accusò di averla costretta ad interrompere due gravidanze a distanza di pochi mesi l’una dall’altra. Il ginecologo, abortista convinto, respinse le accuse: 

"Non ho mai esercitato pressioni su nessuna delle mie clienti per arrivare ad un aborto".  

Settantaquattro anni e padre di tre ottimi professionisti (Tiziana, Gian Filippo e Marina), Della Ragione accettò di parlare con me della sua incredibile vicenda. Per capire com’è fatto bisogna partire dal 1972, l’anno della laurea, a cui seguì la specializzazione in ginecologia; in quello stesso anno partecipò alla trasmissione di Mike Bongiorno “Rischiatutto” rispondendo a domande sui premi Nobel.  Oltre alla medicina, si mise poi a coltivare gli scacchi e la storia dell’arte con ottimi risultati: sul Seicento napoletano ha sfornato 10 volumi, e in campo scacchistico è diventato “maestro”, tanto che nel 1998 incontrò, perdendo di misura, l'ex campione del mondo Boris Spassky.

Ma come ha fatto, un personaggio così intelligente ed estroverso a finire nella rete della giustizia? Ricapitoliamo i fatti. Appena laureato fa un incontro che gli cambierà la vita. Conosce a Los Angeles il dottor Harvey Karman, l’inventore dell’omonimo metodo per indurre l’aborto nella fase iniziale della gravidanza attraverso l’aspirazione. Una metodica che eliminava per sempre il famigerato raschiamento, terrore per generazioni di donne costrette a sottoporsi a un’inutile tortura. Karman era uno psicologo, ma passerà alla storia come un eroe della medicina. Il suo metodo (utilizzava una cannula soffice e sottile al posto degli strumenti metallici) negli anni '70 fu ostacolato da buona parte del mondo medico, ma per la sua semplicità si diffuse rapidamente in tutto il mondo. 

“Imparai tutto da Karman -racconta Achille della Ragione- perché il suo metodo era impregnato di un’onesta concezione filosofica: nei primi giorni di gestazione l’embrione, non possedendo una parvenza di sistema nervoso centrale, non ha acquisito pienamente la dignità di essere umano”. 

Argomento controverso, questo, in stridente contrasto con la dottrina della Chiesa che ha sancito con un’apposita enciclica l’inizio della vita con la fecondazione. 

“Karman mi insegnò la tecnica e mi fornì in esclusiva per l’Italia il materiale per eseguire il rapido intervento (40-50 secondi) che non richiede anestesia e viene percepito dalla donna come una sensazione simile al dolore mestruale”. 

Qualche anno dopo Achille della Ragione ebbe un altro incontro decisivo, quello con Adele Faccio, fondatrice del Cisa e storica esponente radicale. 

“Mentre da noi erano ancora in vigore le norme del codice Rocco, che consideravano l’interruzione volontaria della gravidanza un reato contro l’integrità della stirpe, con pene severissime anche per la paziente, il Cisa si adoperava per aiutare le donne che non potevano pagare le salatissime parcelle dei "cucchiai d’oro". A quel tempo a Napoli imperavano Riccardo Monaco e Antonio Ammendola (ambedue defunti, n.d.r.) con onorari di 600-700mila lire, mentre il Cisa richiedeva una semplice offerta, massimo 50mila lire. Divenni così il punto di riferimento del Cisa e dell’Aied, che organizzavano voli charter e pullman per portare migliaia di pazienti da tutta Italia nel mio studio di via Manzoni”. 

Al punto che, nel 1978, Achille della Ragione dichiara a un giornalista della "Stampa" di aver eseguito in due anni 14.000 aborti. Da quella dichiarazione, finita sulla prima pagina del quotidiano torinese, iniziano i guai giudiziari del ginecologo. Il fisco gli presentò una tassazione di un miliardo e mezzo per tre anni di attività professionale, mentre l’ospedale di Cava de' Tirreni presso cui lavorava lo licenziò in tronco. Ma dopo una causa ultraventennale, il Tar e il Consiglio di Stato gli hanno dato ragione condannando l’Asl a un risarcimento di 900 milioni di lire. Nel 1994 un infarto costringe il ginecologo a ridurre al massimo il suo lavoro.  È l’occasione per dedicarsi alle gioie della vita: la scrittura, la filosofia, l’arte, i musei, gli scacchi. Collabora a riviste e giornali, scrive di politica e fa un’esperienza elettorale con il Partito Radicale, non divenendo senatore solo per il mancato raggiungimento del quorum. A libri di divulgazione scientifica, alterna quelli su Achille Lauro e sul disastro dei rifiuti in Campania. Lancia il vaginometro, un apparecchio ideato per favorire l’orgasmo. Negli ultimi tempi Achille della Ragione ha organizzato un salotto culturale nella sua villa di Posillipo arredata con decine di capolavori della pittura, molti acquistati all’asta dell’armatore Achille Lauro. 

“Vi hanno partecipato come relatori tutti i nomi che contano nei vari campi: docenti universitari, scrittori, registi, giornalisti, politici che accoglievano felici l’invito e che oggi, salvo pochi, affermano di non avermi mai conosciuto…”.

A questa attività affianca decine di visite guidate a monumenti, chiese, mostre e musei seguite da centinaia di estimatori, e conferenze nelle più prestigiose sedi: dall’Istituto per gli studi filosofici al Goethe Institut, dal Grenoble alla libreria Feltrinelli. 

“E ho girato le scuole della Campania per sensibilizzare i giovani sul dramma del problema dei rifiuti, regalando a tutti una copia del mio libro Monnezza, viaggio nella spazzatura campana”. 

Estroverso e bizzarro, il ginecologo non è nuovo a gesti clamorosi. Nel bicentenario della nascita di Giuseppe Garibaldi, si è presentato nell’omonima piazza di Napoli armato di scala, colla e pannello per ripristinare il vecchio nome borbonico (Piazza 3 ottobre 1839: nascita della ferrovia Napoli-Portici). 

“L’eroe dei due mondi per noi è stato una rovina -comiziò dalla scala- Napoli si è vista cancellare due secoli di storia per diventare la capitale dell’immondizia. Ma qui è nata la prima ferrovia d’Italia, la prima nave a motore, il primo osservatorio astronomico”. 

Pur avendo dichiarato di voler chiudere con gli aborti, il ginecologo ha però continuato ad avere guai con la giustizia. L’ultimo risale a quando è finito nel carcere di Poggioreale con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla violazione della legge 194. Dopo 14 giorni di detenzione, il Tribunale del Riesame annullò l’ordinanza di custodia formulata nei suoi confronti. Ma in eterno contrasto con i parametri fissati dalla legge 194 non ha cambiato posizione: 

”Gli aborti clandestini sono inevitabili perché le donne vogliono conservare la privacy, e poi a causa del sovraffollamento e delle lunghe liste d’attesa negli ospedali. Così un’interruzione di gravidanza su 10 è ancora clandestina e nella sola Campania, dove l’80% dei ginecologi è obiettore di coscienza, se ne fanno circa 1300 all’anno. Ora a rivolgersi ai privati sono le extracomunitarie e le giovanissime”. 

Ed il prezzo da pagare? 

“A Napoli la tariffa è di circa 700 euro. Se invece si va a Barcellona, dove ci sono cliniche autorizzate a praticare l’aborto fino al sesto mese, si pagano 3000 euro. Credo che una donna abbia il diritto di rivolgersi a chi vuole. E poi, grazie ai privati, il servizio sanitario regionale risparmia duemila euro per ogni intervento”. 

Ma quanti aborti ha fatto il dottor della Ragione? Lui non si nega e risponde

“Nel 1996 indagarono su di me interrogando oltre 400 clienti e scoprendo solo 4-5 casi d’interruzione di gravidanza avvenuti nel mio studio. Invece segnalai io agli inquirenti di essere l’autore di altri 40.000 aborti. Che si aggiungevano ai 14mila fatti prima”. 

E non si sente colpevole per aver impedito di far nascere 54mila bambini? 

“No. Ritengo di aver agito sempre nell’interesse delle pazienti che spontaneamente si rivolgevano a me per essere aiutate. Sono fermamente convinto che la volontà della donna va rispettata, se si manifesta nelle primissime fasi della gestazione, quelle nelle quali si può adoperare il metodo Karman, l’unico da me utilizzato, cioè quando l’embrione ha caratteristiche tali da non poterlo identificare come persona. Viceversa, credo che l’interruzione di una gravidanza avanzata, anche se permessa dalla legge, sia poco diversa da un omicidio”. 

A parte i conti in sospeso con la giustizia, le migliaia di interventi hanno fruttato a della Ragione un fiume di denaro miliardario… 

“Sì, ho guadagnato cifre ragguardevoli, -ribatte il ginecologo senza imbarazzo- Ma sarei criticabile se le avessi realizzate praticando banali appendicectomie? In Italia una donna è libera di rivolgersi al medico di fiducia per qualunque patologia, invece per un’interruzione di gravidanza è costretta a servirsi di strutture pubbliche delle quali può non avere piena fiducia. Ben diversa è la legislazione in nazioni più civili, dove la paziente è libera di rivolgersi al proprio ginecologo. È una situazione paradossale, figlia del compromesso tra comunisti e democristiani quando fu varata la legge 194: un aborto giuridico, che dopo 40 anni richiede una revisione. Per trovare una soluzione, tutti devono abituarsi all’idea di cambiare linguaggio: quello praticato da un abile professionista come me non è un aborto clandestino. È semplicemente un aborto privato”.  

 

Novembre 2011

 

sabato 11 maggio 2024

Una spettacolare visita guidata gratuita a tre chiese napoletane

 

Portale di Donnalbina

Sabato 18 maggio è prevista una spettacolare visita guidata gratuita a tre chiese del centro storico di Napoli. 

Partiremo da Santa Maria Donnalbina dove al suo ingresso è fissato l'appuntamento alle ore 11:00. Poscia visiteremo la limitrofa Santa Maria dell'Aiuto, dove potremo ammirare gli unici tre dipinti di Gaspare Traversi di argomento sacro. Concluderemo poi in bellezza con la chiesa della Pietà dei Turchini, nella quale tra i tanti capolavori esposti, sono conservati gli unici due dipinti sicuramente attribuibili ad Annella di Massimo.

Invito chi intende partecipare a comunicarmelo via mail al mio indirizzo achilledellaragione@gmail.com

Non perdetevi questa occasione e leggetevi un mio articolo sull'argomento, scritto anni fa, che ebbe l'onore di comparire sulle pagine di Napoli Nobilissima

http://www.guidecampania.com/dellaragione/articolo33/articolo.htm


Ingresso di Donnalbina 

 Riapre la chiesa di Donnalbina

di Achille della Ragione

Finalmente, dopo soli trenta anni di chiusura, riapre, in occasione del Maggio dei monumenti, la chiesa di Santa Maria di Donnalbina, una delle più ricche di opere d’arte della città. Il complesso di Donnalbina affonda nel pieno medioevo le sue origini ed il motivo del suo nome è confuso nella leggenda. In età ducale la zona era denominata Albinense, altri si collegano invece ad una torre eretta in età romana da un certo Albino, ma noi preferiamo seguire un’invenzione letteraria moderna creata dalla fertile penna di Matilde Serao la quale, nelle Leggende napoletane, narrò la storia delle tre figlie del barone Toraldo, un nobile del Sedile di Nilo vissuto ai tempi del re Roberto d’Angiò. Le tre fanciulle donna Regina, Donna Ròmita e Donna Albina erano innamorate dello stesso uomo e non potendo averlo decisero di monacarsi, fondando i tre famosi conventi napoletani. Tra tanti dubbi e fantasie sappiamo con certezza che un monastero esisteva già nei primi anni del IX secolo, quando in esso si rinchiuse Euprassia, figlia del duca di Napoli, alla quale si può ricondurre la fondazione del cenobio benedettino. Benedettine furono anche le monache provenienti dai soppressi monasteri di Sant’Agata a Mezzocannone e di Sant’Agnello al Cerriglio, che nel 1563, entrando nel convento, portarono con loro reliquie di ogni genere, dall’ubiquitaria spina della corona di Cristo alla gruccia di sant’Agnello e finanche un pezzo di grasso di san Lorenzo, che si liquefaceva nella ricorrenza del martire ed una mammella di sant’Agata. Un repertorio che oggi può sembrare stupefacente e fantasioso, ma che all’epoca dava grande prestigio ad un monastero. La chiesa medioevale non esiste più e quella che noi visitiamo è stata realizzata nel Seicento per l’intervento prima di Bartolomeo Picchiati e poi, sul finir del secolo, di Arcangelo Guglielmelli. Entrando in chiesa si è accolti, sulla sinistra, dal monumento funebre del celebre compositore Giovanni Paisiello, una modesta realizzazione dello scultore Angelo Viva. Un bagno di luce si irradia dai finestroni e permette una perfetta visione dell’insieme, mentre lo sguardo si perde ad ammirare lo spettacolare soffitto in legno dorato, realizzato da Sabbato Daniele nel 1701 su disegni dell’architetto Antonio Guidetti, nel quale sono incastonati i grandi dipinti di Nicola Malinconico: al centro un’Assunzione, firmata, di lato un Sant’Agnello che scaccia i Saraceni, mentre la terza tela, un Martirio di Sant’Agata risulta perduta. Sono opere intrise da una dinamica spazialità ed animate da colori cangianti di ascendenza giordanesca. Negli stessi anni il pittore realizzava anche una serie di otto tele poste tra i finestroni della navata raffiguranti santi dell’ordine benedettino. Sul coretto della controfacciata è collocato un dipinto murale, molto rovinato, sempre del Malinconico, che rappresenta l’Entrata di Gesù in Gerusalemme. Il parapetto della cantoria, la grata dell’abside e tutte le gelosie furono realizzate nel 1699 da Sabbato Daniele, esse sono dominate da un elegante rameggio a labirinto e nella loro superba imponenza richiamano a viva voce i più celebri, ma non più belli, manufatti realizzati in San Gregorio Armeno. La zona absidale contiene una panoramica dell’attività del Solimena nell’ultimo decennio del Seicento. Un vasto programma decorativo, in parte perduto, che va dalla decorazione della cupola, quasi scomparsa, alle Virtù dipinte nei pennacchi, ad otto sante vergini rappresentate tra i grandi finestroni del tamburo. Tutte opere eseguite tra il ‘92 ed il ‘95, mentre la serie di sei tele poste ai lati del transetto, di altissima qualità, sono eseguite tra il 1696 ed il 1701. Esse sono: a destra l’Adorazione dei Magi, il Sogno di Giuseppe e la Fuga in Egitto, a sinistra la Natività, la l’Annunciazione e la Visitazione. Sono dipinti che testimoniano il passaggio del Solimena dai modi barocchi e pretiani a soluzioni compositive nelle quali palpabile è il gusto classicista. La zona absidale ospita uno spettacolare altare, datato 1692, con la cona che sale vertiginosamente lungo la parete, rivestito da multicolori marmi policromi dal cromatismo avvincente, nel quale risaltano motivi floreali e tarsie madreperlacee. La straordinaria bellezza ha fatto ipotizzare nelle schede della Soprintendenza la mano di Cosimo Fanzago, ipotesi non compatibile con la data di esecuzione. Al centro si trovava un quadro firmato del Simonelli, una Visitazione sostituita nel 1892 da una statua lignea settecentesca raffigurante l’Immacolata, che fu posta in una nicchia realizzata a bella posta. Una trasformazione che non piacque a Benedetto Croce, che dalle pagine di Napoli nobilissima, con lo pseudonimo di Don Fastidio, la definì “qualche cosa tra l’ostrica di Mucchitello e il gelato alla crema”. Nelle cappelle laterali, quattro per lato, sono tornati dall’esilio dai depositi numerose tele sulle quali è opportuno soffermarsi, anche per correggere i numerosi errori nei quali sono incorse sia le antiche guide sia i recentissimi depliant, che pubblicizzano l’apertura della chiesa. Partendo dal lato destro nella prima cappella vi è un’Immacolata tradizionalmente assegnata al Solimena, attribuzione accettata anche dalla Napoli Sacra, certamente opera di un ignoto e modesto seguace; nella seconda si trova una Natività di buona fattura di uno stanzionesco orbitante tra De Bellis e Marullo, ai lati a momenti dovrebbero ritornare due piccole tele di Domenico Antonio Vaccaro, due Santi vescovi, firmati e datati 1736. Sul lato sinistro nella prima si trova una dipinto, interessante esito di un pennello femminile, un San Francesco di Sales e Giovanna Francesca di Chantal (una poco nota santa francese vissuta a Digione nel Cinquecento), realizzato nel 1752 (non nel 1723 come altrove indicato) dalla pittrice pugliese Teresa Palomba; nella terza vi è un’antica tavola del primo Cinquecento, una Dormitio Virginis di ignoto, che potrebbe essere assegnata, in via ipotetica, a Pietro Befulco oppure a Mario di Laurito ed infine nella quarta, che presenta alle pareti un ricco rivestimento marmoreo messo a punto nel 1730 da Francesco Raguzzino è collocata una Madonna con Maria Maddalena e San Giovanni Evangelista ai piedi della Croce, che in passato era ricoperta da un crocefisso ligneo oggi non più presente, la cui presenza nascondeva la sigla dell’autore, Andrea (e non Domenico Antonio come altrove indicato) Vaccaro, inducendo gli studiosi ad ipotizzare la mano del Marullo.

Dal 1942 il monastero è affidato alla Congregazione di Don Orione, che svolge meritorie iniziative a favore di portatori di gravi handicaps fisici e psichici.

Foto di Dante Caporali 

  

     San Gregorio di Nicola Malinconico

  

Chiostro

Coretto e controfacciata 



  





Alcune foto della visita del 18 Maggio 2024, alla Chiesa di Santa Maria Donnalbina  fornite da Loretta Schiano