martedì 1 ottobre 2024

NAPOLI città dai tanti castelli

In copertina
Castel Capuano 



Prefazione  

Napoli è città con tanti castelli costruiti negli ultimi mille  anni, che hanno funzionato per difendere Napoli dagli  attacchi dei nemici e come dimora privilegiata per le  dinastie regnanti.  

Costituiscono un'attrazione per i turisti, che da alcuni  anni sono aumentati di numero e costituiscono l'unica  risorsa economica sulla quale si può contare. 

Purtroppo alcuni come Castel dell'Ovo sono da tempo  chiusi per lavori di manutenzione e di recente Castel  Capuano è stato assegnato al Touring per le visite  guidate, un'organizzazione poco efficiente della quale non  ci si può fidare. 

Il libro ha 150 foto a colori e la sua lettura provoca una  gioia infinita. 

Il volume è disponibile in PDF su questa pagina. Chi volesse una copia cartacea può contattare l'autore

tel 081 7692364

Nel dare appuntamento per il mio 163° libro non mi resta  che augurare buona lettura ai lettori. 

Achille della Ragione 

  

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In 3^ di copertina 
 Castel dell’Ovo

INDICE

  • Prefazione 
  • Castel Capuano  
  • Castel dell'Ovo Castrum Lucullanum  
  • Castelnuovo una superba fortezza 
  • Museo Civico di Castelnuovo 
  • Alcuni capolavori del museo di Castelnuovo 
  • Il castello del Carmine, un antico maniero
  • Castel Sant’Elmo 

  

In 4^ di copertina
Maschio Angioino

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Napoli 1^ edizione ottobre 2024


domenica 22 settembre 2024

Prima visita guidata gratuita

Maschio Angioino

Esultate! venerdì 27 settembre vi sarà la prima visita guidata, gratuita per gli ultrasessantenni. Appuntamento alle ore 15:00 all'ingresso del Maschio Angioino, di cui approfondiremo gli infiniti dipinti custoditi nel museo Civico.

Oltre a leggere il mio articolo che segue, vi consiglio di recarvi sul mio blog www.dellaragione.eu e consultare l'articolo Museo civico di Castel Nuovo. 

Datemi un cenno di adesione alla mia mail achilledellaragione@gmail.com




Castelnuovo una superba fortezza


Il cortile, con la scala della Sala dei Baroni;
e la capella di Santa Barbara

Nel 1266 Carlo D’Angiò, quando conquistò Napoli, non trovò adeguata la residenza reale di Castelcapuano, nonostante Federico II l’avesse resa sfarzosa, per cui volle costruirsi un castello fortificato che affacciasse sul mare. Scelse il “Campus Oppidi”, una località fuori dalle mura, dove sorgeva una chiesetta francescana, che venne demolita e ricostruita altrove. Affidò i lavori a due architetti francesi, Pierre De Chaule e Pierre D’Angicourt, che, lavorando alacremente, la completarono in soli 56 mesi, dotandola di 4 torri di difesa, un profondo fossato ed un ampio ingresso, al quale si accedeva da un ponte levatoio. Il re non riuscì mai ad abitarla perché impegnato nei Vespri Siciliani, scoppiati nel 1282, ed a sedare una sommossa popolare a Napoli.

 

Particolare dell'Arco di Trionfo

Ne prese possesso nel 1285 suo figlio Carlo II, il quale provvide ad abbellirla, affidando le decorazioni interne a Pietro Cavallini e Montano D’Arezzo, mentre il suo successore Roberto D’Angiò, detto il “Saggio”, si servì anche del sommo Giotto, a Napoli dal 1328 al 1333, il quale affrescò le pareti della cappella palatina con scene del Vecchio e del Nuovo Testamento, di cui rimangono piccoli lacerti, ma che all’epoca furono molto ammirate, anche dal Petrarca, che le descrisse nell’ ”Itinerarium Syriacum”.

Il re fu grande amante delle lettere e delle arti per cui creò un vero e proprio cenacolo con pittori, letterati e poeti, oltre ad una rinomata scuola di giuristi: da Andrea D’Isernia a Bartolomeo Caracciolo e Cino da Pistoia.

Tra le mura di Castelnuovo si consumò anche il “gran rifiuto” di Celestino V, uno dei pochi precedenti, in 2000 anni di Chiesa, dell’abdicazione di Benedetto XVI. Il 12 dicembre 1294, nella sala maggiore, da allora detta del “tinello”, il vecchio eremita, davanti alle alte cariche della Chiesa, lesse l’abiura, si sfilò l’anello, rimase in cotta bianca, benedì il popolo e si ritirò a vita privata. Dieci giorni dopo, nella stessa sala, il conclave elesse pontefice Benedetto Caetani, il famigerato Bonifacio VIII, che Dante collocò nell’Inferno.

  

Sala dei Baroni

Alla morte di Roberto I il Saggio, il “Maschio” fu abitato da Giovanna D’Angiò, donna dai costumi disinibiti, che fece uccidere il marito, fratello del re d’Ungheria, scatenando le ire del popolo guidato da Tommaso De Jaca, che fu eliminato dall’amante della regina. A vendicare il fratello intervenne personalmente il sovrano magiaro, il quale saccheggiò il castello, senza però catturare la regina, scappata prudentemente in Francia.

Il maniero fu ridotto in uno stato pietoso a tal punto che alcuni storici raccontano che divenne una sorta di lupanare. A consolidare questa leggenda collaborò anche la seconda regina di nome Giovanna, sorella di Ladislao, la quale consumò una serie frenetica di amplessi con giovani di ogni estrazione sociale, che, dopo la coniuxio, venivano eliminati attraverso una botola.

Nel 1442 vi fu un cambio di dinastia con la corona di Napoli cinta da Alfonso D’Aragona, detto il ”Magnanimo”, grande mecenate e protettore delle arti, sul modello di Lorenzo il Magnifico a Firenze. Fondò la celebre Accademia Pontaniana, che riunì i migliori ingegni del tempo, da Sannazaro a Summonte, fino a Masuccio Salernitano, autore del “Novellino”, una raccolta di novelle alla maniera del Boccaccio. Il re fece imponenti lavori di consolidamento ed anche gli ambienti interni furono abbelliti da maestri spagnoli, quali Guglielmo Segrera, a tal punto che il pontefice Pio II paragonò il castello alla reggia di Dario.

La sala maggiore è un miracolo di statica architettonica con il soffitto a costoloni. Essa prese il nome di “Sala dei Baroni” perché nel 1486 il figlio di Alfonso, Ferrante D’Aragona, riunì tutti i nobili del regno, che gli erano ostili e, fingendo una tregua, diede ordine di arrestarli in massa.

Alfonso volle lasciare un messaggio ai posteri del suo ingresso in città e fece erigere uno spettacolare Arco di Trionfo che rappresenta una delle più belle opere del Rinascimento, al quale lavorarono Guglielmo Da Majano, Luciano Laurana, il Pisanello e Pietro Da Milano, i quali realizzarono un delicato equilibrio tra volumi e spazi, coniugando valori plastici ed architettonici in un insieme estremamente armonioso.

La realtà storica è alquanto diversa  perché Alfonso conquistò la città non attraverso una battaglia, bensì introducendosi con i suoi guerrieri attraverso una cloaca, sbucando da un pozzo in un cortile di Santa Sofia: a conferma della verità, vi è una pensione annua di 36 ducati alla portiera dello stabile, le cui ricevute sono conservate nella Tesoreria Aragonese.

Grande interesse rivestono le porte di bronzo del castello, attualmente conservate nel Museo Civico del Maschio Angioino, che presentano degli squarci: in uno di questi fa bella mostra di sé una palla di cannone. I sotterranei del castello presentano tetre prigioni corredate da catene arrugginite e porte cigolanti.

Durante gli scontri tra Spagnoli e Francesi, Carlo VIII saccheggiò il maniero che, piano piano, perse d’importanza, nonostante Carlo V vi soggiornasse nel 1535 e Don Pedro Da Toledo lo circondasse con un’ampia cinta bastionata.

 

La volta della Sala dei Baroni

I Borbone preferirono altre sfarzose residenze, anche se Ferdinando I provvide, con un agile ponte, a collegarlo al Palazzo Reale.

Nel secolo scorso la decadenza ha raggiunto l’acme quando fu trasformato in uffici, tra i quali la Direzione della Nettezza Urbana, e soprattutto, la Sala dei Baroni, che aveva accolto Pontefici e Cardinali, Re e Regine, si trasformò in aula del Consiglio Comunale, dove gli eletti del popolo si abbandonavano ad insulti e scazzottate, mentre turbe di disoccupati esasperati lo assediavano reclamando il miraggio di un lavoro.

 

La porta bronzea



giovedì 19 settembre 2024

Museo civico di Castel Nuovo


Castel Nuovo 

Il museo civico di Castel Nuovo è un museo di Napoli inaugurato nel 1990 ed ubicato all'interno dell'omonimo castello, meglio noto come Maschio Angioino.

 il cortile del Castel Nuovo:
la cappella Palatina e l'ala sud,
oggi museo civico di Castel Nuovo.

La raccolta museale inizia con alcuni ambienti del castello quali la cappella Palatina e la sala dell'Armeria, per poi arrivare ai primi due piani nei quali sono esposti sculture, oggetti e dipinti dall'epoca medievale al tardo ottocento.

Cappella Palatina

La Cappella Palatina

La prima sala è costituita dalla cappella Palatina (dedicata a san Sebastiano o santa Barbara), risalente al 1307. La cappella presenta un portale rinascimentale con rilievi (Natività e Madonna e Angeli di Andrea dell'Aquila e di Francesco Laurana), sormontato da un rosone, opera di Matteo Forcimanya appartenente alla scuola catalana.

All'interno si conservano pitture giottesche, avanzi decorativi attribuiti a Maso di Banco e un ciborio quattrocentesco di Iacopo della Pila. Vi sono inoltre custoditi altri cicli di affreschi del XIV secolo provenienti dal castello del Balzo di Casaluce e il ciborio trecentesco di San Gennaro extra Moenia.

Di particolare importanza sono le pregevoli sculture effettuate da artisti che lavorarono anche all'arco trionfale di Alfonso V d'Aragona (XV secolo), esempi del rinascimento napoletano. Tra queste due Madonna in trono col Bambino di Francesco Laurana, una delle quali detta anche Madonna del Passero, proveniente da Sant'Agostino alla Zecca. Quest'opera fu fatta durante il primo soggiorno napoletano dell'artista e si avvicina di più, nello stile, all'arco alfonsino fatto dallo stesso Laurana. L'altra opera del Laurana, invece, fu scolpita durante il secondo soggiorno napoletano avvenuto nel 1474 e la scultura fu fatta proprio per la cappella Palatina.

Altre opere di primissimo ordine sono quelle di Domenico Gagini, allievo di Donatello e Brunelleschi, che di fronte uno all'altro, eseguì due Tabernacoli con la Madonna e il Bambino posizionati sulle pareti laterali ed una Madonna col Bambino proveniente dall'Annunziata Maggiore.

L'interno della cappella presentava affreschi di Giotto, eseguiti verso il 1330, che riprendevano le Storie del Vecchio e Nuovo Testamento. Il contenuto di questo ciclo di affreschi è quasi interamente perduto anche se ve ne rimangono parti decorative negli sguanci delle finestre che ricordano quelli della cappella Bardi in Santa Croce a Firenze. Sono infine esposti oggetti in argento che costituivano gran parte delle suppellettili della basilica della Santissima Annunziata Maggiore, tra cui spiccano candelieri di epoca barocca

Alcune opere della Cappella Palatina

 Madonna in trono col Bambino (o del Passero),
Francesco Laura

Tabernacolo con Madonna col Bambino,
Domenico Gagini


  • Anonimo Campana bronzea di santa Barbara (antica dedicataria della cappella)
  • Domenico Gagini Madonna col Bambino, due devoti ed angeli (Tabernacolo 78x204)
  • Madonna col Bambino (scultura in marmo)
  • Tabernacolo (scultura in marmo)
  • Giotto Scene bibliche (diversi frammenti del ciclo di affreschi della cappella)
  • Francesco Laurana Madonna col Bambino (scultura in marmo 147 cm)
  • Madonna in trono col Bambino (scultura in marmo 160 cm)
  • Arcangelo Michele (scultura in marmo)
  • Jacopo della Pila Ciborio (1481)
  • Terzo Maestro di Casaluce Storia di sant'Antonio Abate (affresco dal castello del Balzo)
  • Santo benedettino (affresco dal castello del Balzo)
  • Maria Maddalena (affresco dal castello del Balzo)
  • Niccolò di Tommaso Storie di san Guglielmo di Gellone (diversi frammenti del ciclo di affreschi provenienti dal castello del Balzo)
  • San Pietro Celestino (papa Celestine V) (affresco dal castello del Balzo)
  • Raimondo del Balzo presentato da san Guglielmo di Gellone (affresco dal castello del Balzo)

Sala dell'Armeria

Entrati nella sala, si nota subito una vasca di villa suburbana, del V secolo, rivestita da lastre di marmo bianco su cui si inserisce la cortina muraria angioina. La parte più antica di tali reperti, databili I secolo a.C., è localizzata nella parte orientale della sala ed è rappresentata da un'abside che si apre in cinque nicchie semicircolari. L'ipotesi più accreditata, è che si tratti di una piscina appartenente ad una villa dell'epoca, probabilmente quella di Licinio Lucullo.

Sono inoltre state rinvenute diverse decine di sepolture, risalenti al periodo in cui quell'area assunse il ruolo di necropoli (VI-XII secolo), con corredi funerari minimi e con alcuni oggetti personali quali anelli, orecchini ed una coppia di speroni in bronzo decorati da un felino.

Primo livello

Il primo piano offre la visita di opere di provenienza da chiese cittadine chiuse o da enti soppressi. Le sale sono in ordine cronologico e si trovano, così come quelle del secondo piano, nell'ala sud-ovest del castello.

Al questo piano è possibile ammirare dipinti del Quattrocento provenienti da Sant'Eligio Maggiore, come una Madonna col Bambino e santi, e numerose tavole del Cinquecento e del Seicento, come una Morte di san Giuseppe di Paolo De Matteis.

Dalla chiesa dei Santi Bernardo e Margherita a Fonseca invece provengono la Madonna in gloria di Paolo Finoglio, Abramo e i tre angeli di Pacecco De Rosa, una copia dell'Ercole e le figlie di Onfale di Bernardo Cavallino. La tela di Francesco Solimena, il Miracolo di San Giovanni di Dio, venne eseguita in occasione della canonizzazione del santo: per quest'opera l'artista si rifà agli affreschi della sacrestia di San Paolo Maggiore. Il Cristo e l'Eterno Padre è invece opera di Fabrizio Santafede.

Dalla basilica della Santissima Annunziata Maggiore proviene il busto reliquiario di santa Barbara in argento, rame e legno intagliato, la Santa Cecilia all'organo di ignoto autore napoletano, una Annunciazione di Andrea Malinconico. Il busto reliquiario di san Gennaro di argentieri napoletani, datato 1639 circa, proviene invece dalla basilica di San Gennaro fuori le mura. Infine, vi si può ammirare poi la quattrocentesca porta bronzea del castello.

Il San Nicola in gloria, firmato e datato 1658 da Luca Giordano, proviene dalla chiesa di San Nicola a Nilo; il Miracolo di san Giovanni di Dio di Francesco Solimena proviene dalla chiesa di Santa Maria della Pace; l'Adorazione dei Magi cinquecentesca fu eseguita per la cappella Palatina del castello da Marco Cardisco il quale, seguendo la lezione di Raffaello, raffigurò nel dipinto i ritratti di Ferdinando I, Alfonso II e Carlo V al posto dei re magi.

Sono presenti infine al pitture di scuola napoletana del Seicento, tra cui dipinti di Mattia Preti e del Domenichino.

Alcune opere del primo piano

Adorazione dei magi
Marco Cardisco

Abramo e i tre angeli
Pacecco De Rosa


Madonna con Bambino e san Mauro Abate
Francesco Solimena

  • Anonimo Busto reliquiario di san Gennaro (argento e rame - 1639)
  • Santa Cecilia all'organo (pittura 1660 circa)
  • Marco Cardisco Adorazione dei magi
  • San Sebastiano
  • San Rocco
  • Jacopo Cestaro San Luca ritrae la Madonna (1740-49 circa)
  • Paolo De Matteis Morte di San Giuseppe
  • Pacecco De Rosa Abramo e i tre angeli (1625–1649)
  • Giuliano Finelli Scultura dell'Immacolata (argento - 1637-40 circa)
  • Paolo Domenico Finoglia Madonna in gloria tra angeli musicanti, san Bernardo, sant'Antonio di Padova e santa Margherita (XVII secolo)
  • Francesco Fracanzano Santa Barbara condotta la martirio (1625-1649)
  • Vincenzo Gemito Testa di fanciullo (scultura in terracotta - 1868-71)
  • Lelio Gilberto Busto reliquario di santa Barbara (argento, rame e legno - 1607)
  • Luca Giordano San Nicola in gloria (1658)
  • Mattia Preti La Madonna con il Bambino e i santi Domenico, Caterina da Siena, Carlo Borromeo, Tommaso d’Aquino ed Agostino
  • Severo Ierace Madonna Immacolata con Dio Padre, san Francesco d'Assisi e san Girolamo (1537)
  • Andrea Malinconico Annunciazione (XVII secolo)
  • Guglielmo Monaco Porta bronzea (XV secolo)
  • Francesco Pagano Madonna con Bambino tra san Gregorio, san Benedetto e donatore (1475-1499)
  • Giuseppe Recco Natura morta con pesci (1665-70)
  • Fabrizio Santafede Cristo e l'Eterno Padre
  • Francesco Solimena Madonna con Bambino e san Mauro Abate (1725-30 circa)
  • Miracolo di san Giovanni di Dio

Secondo livello

Al secondo piano sono conservate opere pittoriche dell'Ottocento e del Novecento oggi di proprietà del Comune di Napoli. Sono inoltre esposte sculture di Vincenzo Gemito ed anche le opere di Francesco Jerace facenti parte della donazione Jerace, avvenuta proprio a favore del Comune.

Il tema delle opere esposte riguarda essenzialmente contenuti patriottici risorgimentali e di valori rivoluzionari improntati al coraggio e al sacrificio per l'Italia. Si registrano inoltre dipinti del genere paesaggistico della scuola di Posillipo, tra cui opere di Federico Rossano.

Alcune opere del secondo piano

Cesare Mormile e la rivolta napoletana del 1547
Vincenzo Marinel


Un rigoroso esame del Sant'Uffizio
 Gioacchino Toma

  • Michele Cammarano Le stragi di Altamura (1863 circa) 
  • Vincenzo Caprile Scena di mercato (1910 circa)
  • Wenzel Franz Ingresso di Garibaldi a Napoli il 7 settembre 1860 (1860-1875)
  • Vincenzo Gemito Il Pescatorello (scultura in bronzo)
  • Francesco Jerace Victa (busto in marmo)
  • Carlotta d'Asburgo a Miramare (busto in marmo)
  • Guappetiello (scultura in gesso)
  • Ritratto di donna (busto in terracotta)
  • Giambattista Vico (busto in terracotta)
  • Miriam (busto in marmo)
  • Antonio Mancini Ritratto della principessa Tina Pignatelli (1905-1917)
  • Francesco Mancini "Lord"
  • Marina di Amalfi (acquerello - 1883)
  • Scontro fra bersaglieri e fanti austriaci
  • Vincenzo Marinelli Cesare Mormile e la rivolta napoletana del 1547
  • Nicola Parisi Carlo Poerio condotto all'ergastolo
  • Giovanni Serritelli Inaugurazione dei bacini di carenaggio
  • Gioacchino Toma Un rigoroso esame del Sant'Uffizio (1864)
  • Carlo Vanvitelli Veduta della nuova strada della Riviera di Chiaia (disegno acquerellato - 1778 circa)


Per concludere in bellezza mostriamo ai nostri lettori una serie di foto di dipinti che si possono ammirare nelle sale del museo 

  Alcuni capolavori del museo civico di Castel Nuovo 

Severo Ierace 
 Immacolata con i Santi
Francesco d'Assisi e Girolamo


Dirk Hendricksz
Martirio di Santa Caterina d'Alessandria
   
Battistello Caracciolo
Crocifissione


Paolo Finoglio
Madonna in gloria tra angeli musicanti
 ed i santi Bernardo,
Antonio di Padova e Margherita

Johan Heinrich Schonfeld
 I tre martiri di Nagasaki

 
Mattia Preti
Madonna del Rosario con San Domenico,
 Santa Caterina da Siena, San Carlo Borromeo
 ed altri santi
 
Luca Giordano 
 San Nicola in gloria

 

Francesco Solimena
Madonna con il Bambino e San Mauro Abate

Andrea Malinconico
Annunciazione

Paolo De Matteis 
 Morte di San Giuseppe

 
Argentieri napoletani
Busto reliquario di San Gennaro

  
 Franz Wenzel
L'ingresso trionfale di Garibaldi a Napoli


 
Vincenzo Caprile
Veduta con la fontana delle zizze

 
Teofilo Patini
Innanzi al bello ogni ferocia è spenta

Camillo Miola
Plauto mugnaio


Nicola Parisi 
 Carlo Poerio condotto all'ergastolo



Gioacchino Toma
 La messa in casa

Vincenzo Gemito
Pescatore

mercoledì 18 settembre 2024

Castel Capuano


Castel Capuano
Parte della facciata principale su via dei Tribunali

Castel Capuano è, dopo il Castel dell'Ovo, il più antico castello di Napoli. Di origine normanna, è situato allo sbocco dell'attuale via dei Tribunali ed è stato sede della sezione civile e penale del tribunale di Napoli (oggi al Centro direzionale). È sede operativa della Scuola Superiore della Magistratura dal 15 maggio 2023. Deve il suo nome al fatto di essere ubicato a ridosso di Porta Capuana, che si apre sulla strada che conduceva all'antica Capua, di cui parleremo in seguito.

La storia

La sua costruzione fu avviata nel 1160 dall'architetto Buono per volere del re di Sicilia Guglielmo I detto il Malo, figlio di Ruggero il Normanno. L’edificio aveva funzioni difensive caratterizzato da robuste fortificazioni, dall'austerità degli ambienti e la sua vocazione naturale di presidio militare. Scavi effettuati nel XIX secolo hanno dimostrato che il castello fu eretto sull'area in cui nella Napoli romana sorgeva una fortellezza presso il Gymnasium e trasformato in un cimitero nei secoli successivi, come è riportato nella Cronaca di Partenope, un trattato anonimo di storia di Napoli compilato al principio del secolo XIV (Libro I, e. 14) e come provano le numerose tombe rinvenute.

Buono, architetto del Castel Capuano


Nel 1231, per iniziativa di Federico II, si ebbe il primo intervento di trasformazione del castello, che pur conservando le sue indispensabili fortificazioni, fu reso più ospitale e meglio rispondente ad ospitare momentaneamente il sovrano di passaggio da Napoli. Ne nominò castellano il suo uomo di fiducia Dipoldo di Dragoni, e usò il castello per custodire importanti prigionieri politici.

Il periodo angioino

Con l'avvento degli Angioini iniziò l'edificazione (1279-82) di una nuova fortezza, Castel Nuovo (o Maschio Angioino), che divenne dimora dei sovrani di Napoli. Castel Capuano continuò ad ospitare fra le sue mura alcuni membri della famiglia reale nonché funzionari e altri illustri ospiti come Francesco Petrarca, che vi soggiornò nel 1370 in qualità di legato di Clemente VI. Durante il regno di Giovanna I (1343-1382) il castello fu sottoposto a nuovi restauri, resi necessari dalle conseguenze del devastante saccheggio subìto ad opera delle truppe di Luigi I d'Ungheria, che furono poi costrette ad abbandonare la città per l'arrivo della peste nera.

Pur rimanendo in secondo piano rispetto alla maestosa sede della corte reale, l'imponente Maschio Angioino, il castello capuano fece da cornice a molti importanti eventi, come lo sfarzoso matrimonio di Carlo di Durazzo, che tanta impressione suscitò negli osservatori del tempo. Fu proprio il figlio di Carlo, Ladislao il Magnanimo (1399-1414), a riprendere brevemente Castel Capuano come propria residenza, mentre sua sorella Giovanna II (1414-1435) fu costretta a rifugiarsi fra le sue mura durante lo scontro con Alfonso V d'Aragona, che aveva stabilito la propria corte in Castel Nuovo. La fortezza subì in questo periodo l'assedio dell'Aragonese, che dovette però arrendersi di fronte all'inespugnabilità della residenza in cui Giovanna aveva trovato riparo. Da qui, la sovrana partì poi alla volta di Aversa, dove nominò suo erede Luigi III d'Angiò in opposizione al ripudiato Alfonso.

Sempre in Castel Capuano, il 23 agosto 1433 morì assassinato il favorito della regina Sergianni Caracciolo, mandato a morte dalla stessa sovrana.

Periodo aragonese e trasformazione da reggia a tribunale

Castel Capuano nel XVII secolo

Sotto il regno degli Aragonesi, il Castel Capuano venne inglobato dentro la nuova cinta muraria, perdendo il ruolo di baluardo difensivo. Negli anni successivi alla conquista della città, Alfonso d'Aragona, nell'attesa del completamento della ricostruzione del Castel Nuovo, lo usò come principale dimora dinastica, facendolo abbellire con cicli di affreschi commissionati al quotato pittore valenciano Jacomart Baco. Il castello visse certamente la sua ora più splendida nella veste di edificio di rappresentanza tra gli anni '70 e '90 del XV secolo, quando Alfonso II di Napoli, duca di Calabria ed erede al trono, profuse enormi somme nel dare vita a un sistema di dimore di "svago" interconnesso nell'area orientale della città, comprendente anche le ville di Poggioreale e della Duchesca e il cui "fulcro" era proprio il grande maniero di fondazione normanna. L'architetto a cui fu affidato il compito di costruire le due ville (oggi non più esistenti) con i loro grandi giardini e la nuova Porta Capuana e di modificare ulteriormente il Castello fu probabilmente Giuliano da Maiano. La documentazione rinvenutaci sui molteplici interventi decorativi è purtroppo molto frammentaria, tuttavia è certo che vi lavorarono gli stessi artisti (Antonello del Perrino, Giacomo Parmense, Calvano da Padova, Luigi La Bella) attivi nell'adiacente Villa della Duchesca.

Nei decenni a cavallo tra i secoli XV e XVI, fu anche scenario di memorabili eventi mondani, come i festeggiamenti delle nozze tra Federico III d'Asburgo e Eleonora d'Aviz (risalenti all'anno 1452), quelli delle nozze tra Sigismondo I di Polonia e Bona Sforza (risalenti al 1517), e alcune rappresentazioni teatrali di opere del Sannazaro accompagnate da fastosi apparati scenografici.

Con l'annessione del Regno di Napoli alla corona di Spagna e la sua costituzione in Vicereame (1503), tutte le dimore abitate in precedenza dai sovrani e dai principi aragonesi (castelli, palazzi e ville) andarono incontro a un inesorabile destino di decadenza. Per il Castel Capuano il canto del cigno nel suo ruolo da reggia lo si ebbe nel 1535, anno nel quale Carlo V d'Asburgo vi dimorò per alcuni mesi di ritorno dalla memorabile impresa della Riconquista di Tunisi, ricevendovi varie delegazioni da altri stati italiani e celebrandovi un ulteriore matrimonio sontuoso di quell'epoca, quello tra il principe di Sulmona, Filippo di Lannoy (a cui lo donò nel momento della partenza) e Isabella Colonna.

Un cambiamento di funzione che inaugurò una nuova epoca nella storia dell'edificio lo si ebbe nell'anno 1537, quando il viceré don Pedro de Toledo, dopo averlo confiscato al proprietario, decise di trasformarlo nel tribunale del Regno, riunendovi tutte le corti di giustizia sparse in diverse sedi in tutta la città: il Sacro Regio Consiglio, la Regia Camera della Sommaria, la Gran Corte Civile e Criminale della Vicaria e il Tribunale della Zecca. Per adattarlo al suo nuovo ruolo di grande palazzo di Giustizia, fu radicalmente modificato dagli architetti Ferdinando Manlio e Giovanni Benincasa: furono eliminate tutte le strutture tipicamente militari e fu ripensato nei suoi spazi interni, mentre i sotterranei furono destinati a prigione dotata di attrezzatissime camere di tortura.

Trasformazioni e restauri

Particolare di una decorazione del soffitto con ritratto lo stemma dei Borbone di Napoli

Nella sua lunga storia, Castel Capuano ha subito numerosi interventi di trasformazione e restauro che ne hanno profondamente cambiato la fisionomia. Già sotto Federico II furono rifatte le mura esterne, con l'apertura delle finte finestre della facciata principale. Durante il periodo aragonese, come è stato detto sopra, venne inglobato dentro la nuova cinta muraria cittadina ed ebbe, prima sotto Alfonso il Magnanimo e poi sotto il duca di Calabria, consistenti interventi di abbellimento prettamente legati alle decorazioni dei saloni, delle logge e del giardino. Il grande rifacimento commissionato da Don Pedro de Toledo utilizzò l'antico impianto della fabbrica, mantenendone la monumentalità, ma privandolo del giardino e di tutti gli abbellimenti decorativi e strutturali fatti appore dagli Aragonesi. Nei decenni successivi vi furono commissionati molteplici interventi decorativi, legati alla sua nuova funzione di tribunale; come non citare al riguardo gli affreschi eseguiti dallo spagnolo Pedro de Rubiales (in precedenza collaboratore del Vasari a Roma) negli ambienti della Regia Camera della Sommaria nel biennio 1547-1548 (pervenutici oggi sono nello spazio dell'Oratorio) e quelli realizzati nel 1608 dal greco-napoletanizzato Belisario Corenzio in quattro "rote" del Sacro Regio Consiglio, visibili ancora in ben tre sale. Nel breve periodo vicereale-austriaco (nonostante la scarsità di notizie) è certo che vennero commissionate ulteriori aggiunte decorative, ispirate nell'esecuzione al nascente gusto rococò, come testimoniato da un superstite boudoir del 1725 affrescato sulle volte e sulle pareti da Antonio Maffei e Tommaso Alfano, sotto la direzione di Ferdinando Sanfelice. Anche nel periodo borbonico gli interventi si limitarono all'aggiunta di nuovi affreschi di carattere prettamente profano: nel 1752 il Salone del Sacro Regio Consiglio venne dipinto negli ornati parietali (tuttora sopravvissuti) da Carlo Amalfi e Giovan Battista Natali, mentre della volta (perduta e sostituita nei primi decenni del '900 da un cassettonato ligneo) se ne occupò il solimenesco Leonardo Olivieri; nel 1770 Antonio Cacciapuoti affrescò insieme ad una squadra di pittori "ornamentisti" il Salone della Sommaria (oggi noto come Salone dei Busti).

Al triennio 1856-1858 va ricondotta l'opera di modifica del castello più profonda dai tempi di Don Pedro: sotto la guida dell'ingegnere Giovanni Riegler, intervenuto originariamente per riparare un dissesto, fu rinnovata la facciata principale e i balconi furono ritrasformati in finestre, scomparvero le arcate del pianterreno e fu costruito un marciapiede lungo tre lati. Il Salone dei Busti che aveva perso gli affreschi della volta a causa di infiltrazioni d'acqua non contrastate per decenni, venne ridecorato (rispettando le parti superstiti) dai pittori pugliesi Biagio Molinaro e Ignazio Perricci. Dopo l'Unità d'Italia sulla facciata esterna fu affisso lo scudo di Casa Savoia, in sostituzione di quello borbonico. Nel corso di ulteriori e meno significativi lavori d'inizio Novecento furono eseguiti presso le fondazioni del castello alcuni scavi, che portarono alla luce dei frammenti di iscrizioni lapidee che hanno confermato la presenza nei pressi dell'antico Gymnasium. Da scavi effettuati nel 1913 sono emerse invece delle tombe con vasi in terracotta e lapidi con iscrizioni latine, che proverebbero il successivo adattamento dell'area alla funzione di cimitero.

Attualmente il castello è interessato da complessi restauri conservativi (finanziati da fondi europei), al termine dei quali verrà riaperto al pubblico.

L'architettura Esterno

Prospetto laterale

Sul portale d'ingresso di Castel Capuano campeggia una lapide che celebra la vittoria di Carlo V a Tunisi e la data in cui il castello divenne sede della Corte di Giustizia. Il portale è poi sormontato da una grande aquila bicipite, stemma della casa reale di Spagna, opera di Francesco Sangallo, e da colonne d'Ercole binate col motto Plus ultra. A un livello superiore domina lo stemma dei Savoia, affisso dopo l'Unità d'Italia in sostituzione di quello dei Borbone. L'orologio della facciata risale invece al 1858.

Superato il portale si accede ad un cortile circondato da un portico sostenuto da pilastri di ordine dorico. Questo spazio rappresenta il nucleo del castello: è qui che si riunivano avvocati, giudici, imputati, testimoni e le folle di cittadini coinvolti nelle vicende giudiziarie o semplicemente curiosi. Da qui si aprono le scalinate che conducono agli ambienti interni del castello.

Sul retro del Castello sorge infine la fontana detta del Formiello. Costruita nel 1490 come abbeveratoio per i cavalli, fu rifatta nel 1583 da Michele de Guido che vi appose gli stemmi del viceré Pedro d'Aragona. La fontana fu chiamata così in quanto alimentata dalle acque dell'omonimo acquedotto.

Interno

Panoramica di una sala che con in vista l'ingresso alla salone dei Busti

Fra le sale interne di Castel Capuano, una delle più interessanti è certamente il Salone della Corte d'Appello, con affreschi di Antonio Cacciapuoti e altri artisti, eseguiti alla fine del XVIII secolo. Il ciclo raffigura allegorie delle province del regno: la provincia dei Marsi, dei Vestini, dei Picentini, degli Irpini, la Lucania, il Brutium Citerius e il Brutium Ulterius.

La sala dei Busti, situata al primo piano, ospita oggi i busti in marmo degli avvocati più famosi del foro di Napoli. In precedenza era la sala dove si tenevano le udienze pubbliche della Camera della Sommaria. Considerato il cuore del castello, oggi vi si celebrano gli avvenimenti solenni e si convocano riunioni straordinarie. Anche in questa sala gli affreschi ripropongono dodici figure femminili rappresentanti le province del regno: le figure poggiano su altrettanti piedistalli, intervallati fra loro da finte colonne. Il soffitto fu affrescato da Ignazio Perricci e Biagio Molinaro ed è diviso in tre campi, ciascuno dei quali celebra la forza ed il trionfo della Giustizia.

Compianto su Cristo morto,
dipinto sull'altare della Chiesa della Sommaria

Dalla sala dei Busti (o salone dei Busti) si accede alla cappella della Sommaria, una sala a pianta quadrata con pareti cieche realizzata verso la metà del Cinquecento.

La sala che oggi ospita la biblioteca fu sede del Gran Consiglio durante il regno degli Angioini, poi sala di udienza della Gran Corte Criminale nel periodo borbonico. Qui furono processati anche i patrioti che parteciparono alla rivoluzione del 1848 contro Ferdinando II. La Biblioteca, trasferita qui da ambienti adiacenti, fu inaugurata il 19 luglio 1896 ed ospita circa 80.000 volumi tra cui rarissime opere dei secoli XVI, XVII e XVIII che costituiscono nel loro insieme il cosiddetto Fondo Antico.

La storia di Castel Capuano si Intreccia con quella di Porta Capuana, per cui vogliamo continuare proponendo un mio articolo che fu pubblicato anni fa a puntate su Il Roma

Porta Capuana e dintorni.

Porta Capuana

La più famosa delle porte napoletane è certamente Porta Capuana, che prende il nome dalla via che conduceva a Capua. Ancora in perfetto stato di conservazione, a differenza dell’affresco di Mattia Preti, commissionato come gli altri nel 1656 a mo’ di gigantesco ex voto per la fine della peste, il quale, complici noncuranza e gas di scarico, è oramai illeggibile. 

Nel ventre di Porta Capuana si cela il mistero dell’antico fiume Sebeto e quanta storia vi è da recuperare tra il Tribunale della Vicaria e Piazza De Nicola. Lì dove scorre l’acqua, dove i Greci scavarono la Bolla, dove il Carmignano inserì i canali del nuovo acquedotto seicentesco, lì, cioè accanto a Porta Capuana, forse scorre ancora, sepolto dalla città moderna, antico fiume Sebeto. Oggi in un’antica struttura di archeologia industriale sorge la sede di “Lanificio 25”, una benemerita associazione, fondata dal chirurgo Franco Rendano e dalla sua nuova compagna, la pittrice Mary Cinque, la quale si propone un recupero dal degrado di luoghi sacri per la storia della città. In un cortile adiacente gli spazi dove da anni si fanno spettacoli ed incontri culturali si accede ad un antro e poi, scendendo scale e gradini, si arriva ad un ipogeo dove il terreno sotto i piedi è sempre umido.

Ci sono giorni, non collegati alle maree o alle fasi lunari, in cui l’acqua sale di livello, e anche molto. Un odore umido e una sensazione lagunare, un po’ come se fossimo nelle fondamenta di Venezia, si intrufola sotto le suole delle scarpe. Nel terreno morbido e intriso si affonda. È questo il Sebeto? L’antico fiume cantato dai poeti romani e dai letterati umanisti? O è uno dei mille canali non censiti dell’acquedotto greco a portare l’acqua sotto il lanificio? La cultura, come l’acqua, scorre a Napoli invisibile: sotto tutta quest’area ancora da recuperare, che include Porta Capuana, la bellissima e assai malridotta chiesa di Santa Caterina a Formiello, il tribunale della Vicaria, e piazza Enrico De Nicola – questa sola, sì, recuperata e ammodernata . c’è un invaso antico, scavi da approfondire, aree da rimettere in sesto e adibire a un rinnovato uso comune.

fontana del formiello
fontana del formiello

La grande bellezza trascurata di via San Giovanni a Carbonara, con la chiesa omonima, fra le più importanti e straripanti tesori della città, la chiesa di Santa Caterina già nominata, l’edicola di San Gennaro disegnata dall’architetto Ferdinando Sanfelice e la fontana detta del Formiello dovrebbe costituire un obiettivo di grande interesse turistico e culturale. Intanto, veniamo alla lapide che testimonia la presenza dell’acqua pubblica, ovvero la bellissima, semplice, elegante, fontana del Formiello: «Philippo regnante siste viator acquas fontis venerare Philippo Sebethus regiquas rigat amne parens hic chorus Aonidum Parnassi haec fluminis unda has tibi Melpomene fonte ministrt acquas Parthenope regis tanti crateris ad oras gesta canit regem fluminis aura refert. MDLXXXIII» Ovvero«Regna Filippo. Fermati o viandante a venerare Re Filippo, presso le acque di questa fonte, che il padre Sebeto alimenta con la sua corrente. Quegli è il coro delle Aonidi, questa è l’acqua del fiume Parnasso. Melpomene stessa ti elargisce da un fonte le sue linfe, Partenope celebra presso le sponde della vasca le imprese di sì grande sovrano ed il mormorio delle onde loda il nostro re. Anno di grazia 1583». Questa elegantissima fontana che porta, come la piazza e la chiesa, la dicitura del Formiello, ovvero «ad formis», ai canali, è ben più antica della lapide che oggi ricordiamo: ve n’è traccia nei documenti trecenteschi – e forse c’era già assai prima – ma prende ufficialmente il suo nome nel 1458, quando re Ferrante d’Aragona decide l’ampliamento delle mura della città.

Un banale abbeveratoio per cavalli dapprincipio: inoltre, il punto di uscita dell’acqua, incanalata dall’acquedotto, non era l’attuale, questa lapide testimonia dunque lo spostamento della fontana stessa dieci anni prima, nel 1573, quando viene commissionata la sua belle veste marmorea (travertino e marmo di Carrara) a tali Maestro Joseppe e Michel De Guido, incaricati dal Tribunale delle Acque. Le parole di pietra incise sulla lapide furono volute dal vicerè d’Ossuna, ovvero Pedro Tellez de Giròn, a seguito di un restauro per il terremoto del 1582. Quando, un secolo dopo circa, si volle inserire in questa bella fontana una statua del re Filippo IV di Spagna, ai Napoletani l’idea non piacque, come già non piaceva il viceregno – continue rivolte. dal 1501 fino a Masaniello lo testimoniano – e si dovette rinunciare. Ne resta il basamento, a corredo degli stemmi reali, delle quattro stagioni e delle teste leonine che ornano il monumento. Per questo la bella fontana appare alta e nuda, decorata ma priva di un protagonista, così che solo l’acqua, oggi ingabbiata, sia pienamente padrona del campo. Ma il mormorio delle onde dovrebbe rievocare agli abitanti del quartiere e della città tutta che qui molta storia è passata, non solo le feroci giostre che disgustavano Petrarca in visita a San Giovanni a Carbonara, ma anche gli allievi di Giotto e Giotto stesso, i grandi pittori del Seicento, che in massa decorarono Santa Caterina a Formiello, i martiri d’Otranto, i famosi quattrocento (ma i resti dei martiri sono di duecentoquaranta corpi) aggrediti dai saraceni che il re di Napoli arrivò tardi a soccorrere, ogni anno rievocati nella favolosa Cattedrale di Otranto, e che sono qui sepolti, a compenso di una grave mancanza. E ancora le storie delle due sante, Caterina d’Alessandria e Caterina da Siena, che intrecciano i loro nomi e la devozione nella chiesa che fu affidata prima ai padri Celestini e poi ad altri ordini. La Caterina d’oriente e quella d’occidente, arrivata seconda ma integrata, conservano la devozione secolare che avvolge la grande insula sacra prossima agli abbeveratoi, alle acque, alle porte della città, insomma a tutte le soglie, da sempre luogo mistico e iniziatico. Ci sarebbero, quindi, fin troppe ragioni per dare nuova forma a quest’intera area urbana: i palazzi, gli scorci di tempi diversi e strati che dal “Lanificio 25” si osservano, recentissimi ed obbrobriosi o modernisti, frutto di archeologia industriale o antichi e antichissimi, elementi di archeologia vera e propria . Come è sempre in quasi tutta Napoli, i tempi coesistono e le pietre, come le persone, ne sono viva e non immobile testimonianza: il difficile – anzi pare bisogna dire: impossibile – è averne cura con coscienza e consapevolezza.

Castel capuano
antica fortezza di Napoli,
 risale al 1160

A breve distanza da porta Capuana sorge Castel Capuano, il più antico maniero napoletano voluto da Gugliemo I, figlio di Ruggero il Normanno e completato nel 1154. All’inizio fu una reggia fortificata, poi con l’avvento degli Svevi, Federico II incaricò Giovanni Pisano di trasformarlo in una sfarzosa dimora. Durante il periodo angioino, i reali alloggiavano nel Maschio Angioino, mentre a Castel Capuano venivano ospitati personaggi illustri come Francesco Petrarca o si svolgevano lussuosi ricevimenti, come in occasione del matrimonio di Carli Durazzo.

Ripetutamente ristrutturato, Pedro di Toledo lo destinò ad accogliere tutte le corti di giustizia sparse per la città, funzione che ha conservato fino a pochi anni fa, mentre i sotterranei furono destinati a carcere. Fino alla costruzione al centro direzionale del discutibile grattacielo, opera di un celebre architetto giapponese, che ospita il nuovo palazzo di giustizia, Castel Capuano era visitato quotidianamente da un fiume di visitatori, che assistevano alla celebrazione dei processi, perché a Napoli da sempre la Giustizia è spettacolo, in ogni caso, quasi costantemente non è una cosa seria!

Gli avvocati distinti in “Paglietta” e “Principi del Foro” hanno costantemente prediletto il gusto di un’oratoria forbita e di un’arringa dai toni drammatici. Generazioni di celebri avvocati si sono alternate nell’agone del Tribunale, da Bartolomeo di Capua ad Andrea D’Isernia, per arrivare a Porzio, Pessina, Leone, De Marsico e ultimi epigoni di una lunga nobiltà forense, Enzi Siniscalchi ed Ivan Montone.

Al primo piano vi era la corte d’appello e ad ancora oggi la spettacolare quanto negletta Camera della Sommaria con sei splendidi dipinti di Pedro De Ruviales, studiati e pubblicati da Ferdinando Bologna.

La memoria di tanta illustre attività forense è racchiusa nel salone dei busti, uno degli spazi più prestigiosi e mirabili di Castel Capuano, luogo familiare per magistrati ed avvocati, il quale ricorda i più eminenti giuristi della insuperata scuola napoletana e rappresenta un vero e proprio museo della scultura partenopea della seconda metà dell’ottocento e del primo novecento con opere di artisti famosi come Francesco Jerace e Filippo Cifariello. Un vero e gioiello che, unito ai molteplici aspetti artistici ed architettonici, deve essere quanto prima restituito alla pubblica fruizione, a rinsaldare il legame tra un monumento straordinario e la città.

Gli uffici al terzo piano di Castel Capuano sono abbandonati da anni. Sul pavimento ci sono polvere, cicche di sigarette, i resti dell’arredo delle cancellerie della sezione fallimentare del Tribunale che lì aveva sede prima del trasferimento al nuovo Palazzo di Giustizia. Sui soffitti ci sono crepe evidenti. A terra, nei corridoi, i faldoni ammassati, che si sta provvedendo gradualmente a de localizzare.

Circa millecinquecento metri quadrati da strappare al’incuria e destinare a nuova vita, ospitando gli uffici del comando provinciale del Corpo Forestale dello Stato. Un progetto importate non soltanto sul fronte dell’impegno economico (i lavori costeranno circa due milioni di euro), ma soprattutto sul fronte della legalità. La presenza del Corpo Forestale nella storica sede di Castel Capuano mira a potenziare la tutela della sicurezza dell’edificio e a lanciare un messaggio alla città, creando un binomio arte e ambiente nel rispetto della legalità. Si inserisce nel più ampio progetto di recupero affinché si apra su Castel Capuano un nuovo capitolo di storia. Nei locali restaurati troverà spazio anche l’esposizione sui “corpi di reato”, è la cultura che esce dall’oblio, la storia che si riappropria dei propri spazi. Così rinasce Castel Capuano. «Abbiamo progetti ambiziosi – spiega il presidente della corte d’appello Antonio Bonajuto – pensiamo di realizzare un museo delle regole per ripercorrere la storia delle leggi, a partire dal codice di Hammurabi, creando un percorso della legalità fino ai giorni nostri. Sarà l’unico museo al mondo di questo tipo.». Con il direttore dell’ufficio speciale del ministero della Giustizia e presidente della Fondazione Castel Capuano, Floretta Rolleri, Bonajuto è tra le anime di questa rinascita. «L’assegnazione dei locali alla Fondazione è stata già fatta – aggiunge Rolleri _ Sono i locali al piano terra adiacenti a quelli dove oggi c’è la mostra sulla storia del castello e i progetti di restauro. C’è anche l’idea di affiancare un museo dei corpi di reato. Abbiamo qui gli archivi con quadri, tra l’altro bellissimi, di falsi d’autore, antiche pistole. Sarebbe un modo per approcciare da un diverso punto di vista alla legalità. Non dimentichiamo che questo castello è stato anche una prigione, ci sono stati i vecchi patrioti. È simbolico anche per questo».

salone dei busti di Castel Capuano

E con un museo il castello sarà aperto ai cittadini, alle scolaresche, ai turisti. Restituito alla città come patrimonio non solo della cultura della giustizia napoletana ma monumento di storia e di arte.

Le scale che dal promo piano, dove c’è il Salone dei Busti, conducono al “Bagno della Regina Giovanna”, murate nell’ottocento, saranno ripristinate. Sarà restaurato lo scalone, il saloncino, e antichi locali dai soffitti affrescati. «Tutto rientra in un progetto che fa parte del grande programma Unesco per il recupero del centro antico – spiega Amalia Scielzo della Soprintendenza per i beni architettonici di Napoli – Con gli interventi previsti, tra l’apertura della porta bassa e l’accesso dal cortile alto al centro antico verso via Tribunali, sarà possibile riscoprire collegamenti che esistevano attraverso una torre che ha un’ antica scala».

E se arrivano i fondi del Pon energia, si investirà anche nell’ottica del risparmio energetico, come già previsto per il nuovo Palazzo di Giustizia: investimento da 40 milioni di euro, speriamo che una volta tanto i buoni propositi non rimangano fantasia e si trasformino in piacevole realtà.


Camera della sommaria