sabato 7 aprile 2012

Quanti parlamentari ci vogliono per confezionare una buona legge?

10/8/2011

Dopo che per tre anni di seguito è stata colpevolmente negata l’evidenza, ci siamo trovati fra capo e collo una manovra che ha smontato brutalmente tutte le mendaci dichiarazioni propinate disinvoltamente agli Italiani.
L’aspetto davvero grave è che, con un ignobile accanimento, la manovra si è appuntata sulle spalle delle categorie più deboli, quelle che pagano fino all’ultimo centesimo tasse e contributi.
Maggioranza e opposizione non hanno valutato nemmeno alla lontana di colpire l’evasione da brividi (circa 500 miliardi accertati) e i benefici immensi di quelle classi privilegiate che continuano provocatoriamente a navigare nel lusso e nel superfluo.
La scusante che bisognava dar conto tempestivamente alla sfiducia internazionale maturata sull’analisi della crisi che incombe sugli italiani, non giustifica le scelte inique e arroganti, vergognosa espropriazione del modesto recupero inflativo sotto l’inarrestabile spinta dell’insostenibilità finanziaria del sistema Italia.
Da tante parti si predicano rigore e comportamenti responsabili, invece assistiamo, quotidianamente, al crescere degli scandali e all’infittirsi degli abusi e degli sperperi con la compiacente acquiescenza di quasi tutta la casta al potere (chi governa e chi simula di opporsi con sonnolenta fragilità).
Un elettore di sinistra, dopo la complice votazione per salvare le province, come può rimanere fedele a un partito propenso, sfacciatamente, alla tutela della categoria degli amministratori pubblici?
Dopo aver subito il blocco della perequazione automatica del 2008, che ha prodotto danni i cui effetti si riverbereranno vita natural durante e perfino sulla pensione del coniuge superstite, con quale spirito si può “condividere” un nuovo raffreddamento dell’aggiornamento dei trattamenti previdenziali, frutto di sacrifici di un’intera esistenza lavorativa?
Non bisogna dimenticare che il blocco del 2008, inserita all’art. 5 dell’accordo sul welfare, fu già capziosamente applicato anche sulla parte di pensione complementare, costituita con accantonamenti dei lavoratori (il famoso secondo pilastro della previdenza tanto enfatizzato), gratificando i fondi privati delle banche e non l’INPS o altro ente erogatore pubblico.
Si ebbe l’ardire di sostenere che, attraverso quella surrettizia imposta una tantum (in verità un vero balzello di carattere patrimoniale) che aggrediva chi, essendo rimasto al lavoro fino a tarda età, aveva titolo a una pensione più elevata, si sarebbero favorite competitività e crescita sostenibili (evidentemente non ai pensionati).
In pratica gli estensori dello scellerato provvedimento attuale si ripromettono di produrre un ulteriore blocco sia sui redditi erogati dalla previdenza pubblica, sia su quelli corrisposti da Fondi privati.
Di conseguenza, il risparmio connesso al mancato adeguamento della pensione INPS produrrà un concreto beneficio per il Bilancio dello Stato, mentre il blocco sulla parte di pensione integrativa di natura privata, di fatto, genererà un arricchimento per gli enti erogatori e un corrispondente danno per le casse dello Stato per il mancato incasso delle relative imposte, autentica sgrammaticatura giuridica.
La norma, al di là dei suoi aspetti di sicura incostituzionalità (un’addizionale limitata ai redditi solo di pensione), ha uno smaccato valore simbolico: punire una categoria, esposta pervicacemente all’odio degli ignoranti perché ha il torto di percepire redditi più che legittimi.
E’ lecito domandarsi perché, quando si assumono certe decisioni così gravi, non si valutino adeguatamente vantaggi e benefici. Forse i vantaggi per gli enti privati sono stimati più preziosi dell’interesse dei singoli e perfino dello Stato.
La stessa Corte Costituzionale, nella sentenza 316/2010, aveva ammonito che la sospensione del meccanismo di perequazione, o la frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo, violerebbero il principio costituzionale della difesa del potere d’acquisto.
In conclusione desidero rivolgere una precisa domanda ai legislatori: è d’oro la pensione di 4.000 euro corrisposta a 65 anni dopo 40 anni di servizio e di relativi versamenti (godibile per 13-15 anni) o è più preziosa quella di 1.500 euro attribuita dopo 20 anni di servizio e godibile per circa 40 anni?
Se si continuano a penalizzare i lavoratori ultracinquantenni, invece che apprezzare le loro doti di esperienza e d’inserimento nell’ambiente lavorativo, come si può predicare – senza avere il coraggio civile di applicarlo – il sacrosanto innalzamento dell’età pensionabile in funzione dell’allungamento della vita della popolazione?

di Carlo della Ragione

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