giovedì 26 luglio 2018

La chiesa di Sant'Antonio a Posillipo tra storia, arte e panorama

 fig. 1 - Chiesa S. Antonio a Posillipo facciata


La chiesa di Sant'Antonio a Posillipo (fig.1) è visibile, soprattutto di notte, da tutta la città e da una terrazza  prospiciente si gode un panorama da mozzare il fiato (fig.2), oltre ad ammirare una ricostruzione della Madonna di Lourdes (fig.3). A pochi passi vi è il leggendario pino di via Orazio (fig.4) per il quale invitiamo il lettore a consultare il mio articolo sull’argomento digitando il link
http://achillecontedilavian.blogspot.com/search?q=pino+di+posillipo
La fondazione della chiesa risale al 1642 ad opera di fra Paolo Anzalone del Terzo Ordine Regolare di San Francesco, il quale diede inizio alla fabbrica di un piccolo complesso monastico, usato come sanatorio dei frati di Santa Caterina a Chiaia. ed avvenne in un sito all'epoca scarsamente urbanizzato della città, costituito da quattro villaggi rurali collegati con la zona di Mergellina da un'antica strada greco-romana. Sulla lapide di fondazione di leggeva:
« FRATER PAVLVS ANSELONVS FR 3 ORDINIS S.TI FRANCISCI FVUNDATOR OB MAGNAM DEVOTIONEM FIERI FECIT ANNO DOMINI MDCXXXXII »
Le mura dell'antica cappella sono oggi individuabili in corrispondenza dell'attuale sacrestia, così come i locali del convento originario sono riscontrabili nei locali denominati dell'"ex-monastero".   
Nel 1643 fu iniziato l'ampliamento della strada che portava al convento, mantenendo lungo il suo percorso parte delle antiche vestigia romane (pavimentazione romana)  e venendo così a costituire un mezzo più agevole per i pellegrini che dalla città intendevano raggiungere l'edificio; la strada, già salita di Santa Maria delle Grazie, venne così indicata come rampe di Sant'Antonio a Posillipo, di cui parleremo in seguito.  
La chiesa nel frattempo assurse al titolo di santuario antoniano, prendendo negli anni una forma a navata unica con tre cappelle laterali per ciascun lato (fig.5) ed il convento fu allargato. Divenne luogo di intensa devozione verso il santo di Padova e già nel 1692 il Celano ricordava che “nel giorno festivo del santo è meraviglioso il concorso; vi van le genti dal mattino e poi vi si trattengono a pranzo in tutte queste rive di Mergellina”.   


fig. 2 - Panorama-di Napoli
fig. 3 - Grotta Lourdes S. Antonio
fig. 4 - Il pino di Posillipo in  una foto
fig. 5 -  Interno chiesa S. Antonio

La costruzione della sacrestia fu avviata nel 1750, mentre quattro anni dopo fu la volta dell'edificazione del campanile (fig.6) a pianta rettangolare con cella campanaria ottagonale e bella cuspide in stile barocco; il chiostro (fig.7) del convento  di semplice struttura, ultimato nel 1763, conserva varie lapidi ed un bel lavabo di gusto fanzaghiano.
La successiva soppressione degli ordini religiosi, in epoca napoleonica, fece sì che la chiesa passasse al demanio e fosse destinata ad usi civili, sebbene affidata ad un rettore, ex-domenicano scampato ai fatti del 1799.
Nel 1824 il complesso fu affidato ai domenicani di San Domenico Maggiore, anche grazie all'intervento di re Ferdinando II di Borbone che era in ottimi rapporti con l'ordine religioso.
Nel 1845 l’Alvino scrisse: “La piccola chiesa di una cattiva architettura non offre niuna cosa rimarchevole, solo v’è un quadro antico nella prima cappella a destra che rappresenta S. Nicola di Bari” (fig.8).
In effetti i migliori dipinti che fra poco descriveremo provengono da altre chiese, come pure la facciata attuale non è la stessa che ci mostrano i dipinti ottocenteschi, infatti essa venne rifatta nel 1956 e soltanto il tipico campanile a bulbo, arretrato sul lato destro, è quello eretto tra il 1750 ed il 1754.
Le tele più importanti come il Tobiolo e l’angelo, siglata e datata 1791, proviene dalla distrutta San Nicola dei Caserti, mentre il quadro di Andrea d’Aste era già nella chiesa di Santa Maria dello Splendore.
Nel 1944 l'arcivescovo Alessio Ascalesi stabilisce nella chiesa, posta al di fuori delle mura conventuali, la costituzione di una parrocchia che andrà assumendo sempre maggior importanza negli anni anche grazie al nuovo assetto urbanistico della zona (la costruzione del piazzale antistante la chiesa da cui si gode uno spettacolare panorama sul golfo di Napoli è degli anni Sessanta).
Nel 1975-76 vennero eseguiti importanti lavori di restauro e consolidamento e nel 2000 venne ripresa, in occasione del periodo giubilare, l'antica tradizione della processione di sant'Antonio di Padova, a cui la chiesa è dedicata.
La chiesa si presenta a navata unica, con una volta a botte (fig.9), affrescata da Gaetano Bocchetti, e tre cappelle per lato. Sotto la cantoria, sul lato sinistro si può ammirare una splendida replica del prototipo della Madonna della Purità (fig.10) eseguito da Luis de Morales per la cappella eponima sita in San Paolo Maggiore.
Nella prima cappella a destra è collocato un crocifisso ligneo del XVII secolo; nella seconda si trova una raffigurazione di San Nicola di Bari di autore ignoto della metà del XVII secolo, mentre nella terza ed ultima cappella si ammira il Tobiolo e l’angelo di Giacinto Diano (fig.11). Nella prima cappella a sinistra è collocata una statua lignea dell' Immacolata; nella successiva è contenuta una tela di Andrea d'Aste con la Maddalena e San Giovanni Evangelista in adorazione della croce (fig.12), mentre nella terza ed ultima vi è un Sant'Antonio in estasi (fig. 13) anch'esso del Diano, datato 1802.
Nell'abside vi è l'altare maggiore (fig.14) su cui poggia l'antica statua lignea del santo.


fig.6 - S.Antonio a Posillipo-Campanile

 fig.7 -  Chiostro
 fig.8 -  S. Nicola di Bari
 fig. 9 - Chiesa S. Antonio a Posillipo volta
 fig. 10  - Madonna della Puritá

fig. 11  - Giacinto 'Diano - 1791 - Tobiolo e l'angelo

fig. 12 -  Andrea d'Aste - La Maddalena e San Giovanni Evangelista in adorazione della croce

fig. 13  - Giacinto Diano - 1802 - S. Antonio in estasi
  
 fig. 14 - Altare maggiore

Le rampe di S. Antonio (fig.15 –16) collegano oggi piazza Sannazaro con la chiesa convento di S. Antonio a Posillipo e con via Pacuvio.
Esse furono ampliate e sistemate nel 1643 dal viceré duca di Medina de las Torres per migliorare l’accesso al suddetto convento che era stato fondato nel 1642, in modo da facilitare il percorso dei pellegrini che volevano raggiungere la chiesa; una naturale Via Crucis che affaticava le gambe e consolidava il fascino del luogo sacro da raggiungere. Quando la chiesa di Sant’Antonio a Posillipo venne edificata, nel 1642, questa zona era una delle meno urbanizzate di Napoli, territorio quasi selvaggio dominato da una fitta vegetazione di tipo mediterraneo.
Il viceré fece poi incidere su una lapide (fig.17), posta sulla 1^ delle rampe (lato piazza Sannazaro), le motivazioni che portarono a prendere tale decisione.
Durante il percorso si può ammirare Napoli, tra tetti colorati e strette vie di collegamento, in tutta la sua bellezza.
Il percorso delle rampe era comunque preesistente e serviva a collegare la zona di Chiaia e Mergellina con i casali di Posillipo, primo fra tutti quello di Porta Posillipo. Questo è testimoniato anche dalla pianta del Duca di Noja dove il percorso è denominato ” strada e discese di Posillipo” e arriva proprio all’imbocco del borgo di Porta Posillipo. Il percorso è riportato anche sulle mappe Bulifon del 1685 e Petrini del 1698.
Partendo da Piedigrotta, dopo poco sulla destra si può ammirare, sotto  la sede stradale della rampa successiva una cappellina , che una lapide dichiara eretta nel 1842 da Lorenzo Taglioni e che mostra sull’altare un bel pannello di maiolica raffigurante il Calvario con angeli adoranti la croce (fig.18).
Allo stato attuale il percorso si conclude su via Pacuvio in quanto l’ultima parte è stata cancellata e modificata dal tracciato delle vie Pacuvio e Stazio e dall’intensa urbanizzazione dell’area, ma proprio l’ultimo tratto rettilineo di via Stazio riprende l’antico tracciato e sbocca, incrociando via Manzoni, su via Porta Posillipo che corrisponde all’antico villaggio che portava questo nome.

Achille della Ragione
 
fig. 15 - Rampe di S.Antonio a Posillipo
 fig. 16 -  Rampe di S.Antonio a Posillipo
 fig. 17 -Rampe S.Antonio a Posillipo-Lapide
fig.18 - Cappellina del secolo XIX - Calvario con angeli adoranti la croce

venerdì 20 luglio 2018

Il ministro Fico nell’inferno di Poggioreale

    

Il Mattino 31 luglio pag.38

Anche quest'anno in piena estate si ripete il mesto rito del pellegrinaggio dei parlamentari ai penitenziari per rendersi conto delle miserevoli condizioni di vita dei carcerati. Grande pubblicità è stata data dalla stampa alla visita del potente ministro Fico all’inferno di Poggioreale, dove il politico alla moda ha voluto rendersi conto di persona “Che caldo fa al fresco!”
E poi un interminabile elenco di carenze, tutte già ben note ed alcune che gridano vendetta e meriterebbero di essere portate davanti alle corti di giustizia europee: sovraffollamento record, condizioni igieniche disastrose, suicidi a catena per disperazione, personale di custodia insufficiente, mentre non si applicano pene alternative, mancano progetti per ammettere ad un utile lavoro esterno e la giustizia, sempre più lenta, tollera che la metà dei reclusi sia in attesa di giudizio e di conseguenza, se la Costituzione non è carta straccia, innocente.
Bisogna urgentemente passare dalla teoria alla pratica. In Parlamento vengano presentate serie proposte bipartisan per la depenalizzazione di molti reati, riservare la custodia cautelare ai casi più gravi, incrementando l'istituto degli arresti domiciliari sotto la tutela del braccialetto elettronico, fornire incentivi economici e fiscali alle imprese che assumano detenuti in semi libertà o che hanno da poco scontato la pena, potenziare il personale di custodia, senza dimenticare psicologi ed educatori. Ma soprattutto bisogna fare presto per evitare che il problema si risolva da solo attraverso un'allucinate catena di suicidi: dall'inizio dell'anno sono più di cinquanta.

Achille della Ragione

Nelson Mandela disse: «Si dice che non si conosce veramente una nazione finché non si è stati nelle sue galere.  Una nazione dovrebbe essere giudicata da come tratta non i cittadini più prestigiosi ma i cittadini più umili».
E il Mahatma Gandhi: «Tutti i criminali dovranno essere trattati come pazienti e le prigioni diventare ospedali riservati al trattamento e alla cura di questo particolare tipo di ammalati».
Noi siamo al tempo di «Buttate la chiave».

Pietro Gargano

carcere di Poggioreale - Napoli

martedì 10 luglio 2018

Stesso episodio, 7 giudici, 7 sentenze, tutte diverse

fig. 1 - Il Giornale di Napoli

La storia che racconteremo è avvenuta oltre 20 anni fa, ma potrebbe accadere anche oggi ed è la dimostrazione lampante dello strapotere della magistratura che, secondo la Costituzione dovrebbe rappresentare uno dei tre poteri dello Stato, ma che in pratica tra intercettazioni, sequestri cautelativi ed arbitrio assoluto sulla libertà personale dei cittadini, costituisce uno strapotere in grado di condizionare gli altri due.
Siamo a metà degli anni Novanta ed un ginecologo di nome Achille e dal cognome famoso, dopo aver introdotto in Italia il metodo Karman ed aver favorito l'approvazione della legge 194, riguardante l'interruzione di gravidanza, attraverso una clamorosa autodenuncia, prosegue indefesso la professione nel suo studio di via Manzoni, ma la magistratura non gli da tregua con continue irruzioni e con un primo sequestro cautelativo del luogo di lavoro (fig.1-2), a cui si aggiunge un ulteriore sequestro: quello dei registri delle ricevute degli ultimi 10 anni di attività, sui quali gli inquirenti cercheranno le prove di eventuali reati, con un impegno di tempo e personale degno di miglior causa, interrogando 700 pazienti.
Le ricevute venivano rilasciate soltanto a pazienti che potevano ottenere una forma di rimborso e prevedevano unicamente prestazioni quali:applicazione di spirale, trattamento dell'anargosmia, causticazione di una piaghetta, visita senologica, ecografia pelvica etc.
Le donne vennero convocate tutte, circa 700 ed a trabocchetto veniva posta la domanda: come avete conosciuto questo medico?
4-5 si lasciarono sfuggire:mi sono recata da lui la prima volta per un aborto. Allora l'interrogatorio si interrompeva bruscamente: "non siete più persona informata dei fatti, ma imputata, dovete nominarvi un avvocato la 194 prevede infatti anche per la donna una sanzione, anche se solo pecuniaria.
Achille è costretto a trasferire l' attività in un'altra sua struttura, il Senos, normalmente adibita alla prevenzione dei tumori al seno, ma tempo un anno ed anche lì i tutori dell'ordine sequestrarono lo studio (fig.4-5-6) e questa volta anche delle foto scientifiche, riguardanti malformazioni mammarie, che sulla stampa saranno presentate come immagini pornografiche (fig.3).


fig. 2 - Corriere del Mezzogiorno

fig. 3 - La Repubblica

fig. 4 - Il Giornale di Napoli


Con pazienza e sopportazione ai limiti dello stoicismo, il Nostro si vede costretto ad appoggiarsi all'ambulatorio di un collega al Vomero.
Ma anche in questa nuova sede si approssimava vento di tempesta, che viene preannunciata ad Achille da una sua cliente, appartenente alle forze dell'ordine: lunedì saremo da te pronti ad un nuovo sequestro.
Ogni limite ha una pazienza ed Achille decide di chiedere il patteggiamento, prendersi una piccola pena con la condizionale e ritornare in possesso dei suoi studi.
In occasione del patteggiamento i quotidiani dedicarono pagine su pagine all'argomento,  e le due magistrate incaricate del caso, all'epoca giovanissime, oggi ai vertici della carriera, non stavano nei panni per i titoli a nove colonne nei quali compariva il loro nome al fianco di un personaggio ultra famoso.
La mattina che venni ricevuto a Palazzo di Giustizia indossai per l'occasione un vestito di Rubinacci ed una cravatta di Marinella. Le due magistrate, abituale a trattare con delinquenti, alla vista di un uomo così bello ed elegante, gli offrirono la mano, immaginando una semplice strettadi mano e rimasero di stucco quando furono oggetto di u bacia mano in piena regola.
Si passò poi all'esame del mio caso: "Abbiamo trovato ben 5 donne che hanno confessato di essersi sottoposte ad interruzione di gravidanza nel suo studio". Baldanzoso risposi: "mi complimento che indagini minuziose siate giunte a queste conclusioni, ma vi sono sfuggiti alcuni dettagli che in questa sede vorrei rendervi noti, in questi anni ho praticato, sempre e soltanto su pazienti maggiorenni e consenzienti altri 20.000 aborti!".
Tutti rimasero allibiti, dal cancelliere ai magistrati e la conclusione fu una condanna a pochi mesi di reclusione con la condizionale (che trascorsi 5 anni di buona condotta si sono estinti), nel frattempo tornai in possesso dei miei studi sequestrati.
La sentenza fu comunicata all'ordine dei medici, che, senza convocarmi, mi sospese dall'esercizio della professione. Chiesi di essere ascoltato e davanti alla commissione dichiarai la mia innocenza e di aver accettato la sentenza unicamente per ritornare in possesso dei miei studi. Fui lo stesso sospeso, per cui ricorsi davanti alla commissione centrale di Roma e poi in Cassazione, che mi diede ragione, provocando in base alla sua decisione una revisione della legge, che da allora prevede che si possa usufruire del patteggiamento solo se ci si dichiara colpevole.
Ed ora arriviamo finalmente all'argomento che giustifica il titolo dell'articolo.
I quotidiani di tutta Italia diedero ampio risalto alla notizia del patteggiamento, ma aggiunsero particolari falsi come si evince  dall'articolo pubblicato dalla Stampa di Torino, dal titolo che grida vendetta (fig.7): Il mantenuto dalle minorenni.
Decisi non di querelare perchè il procedimento penale avrebbe bloccato il risarcimento pecuniario ma di chiedere soltanto una somma di denaro per il danno alla mia immagine ai 7 più importanti quotidiani del Paese.
La discussione della diatriba avvenne nella sede legale di ciascun giornale (Torino, Milano, Roma, Napoli etc) ed a decidere sullo stesso episodio furono7 giudici diversi, che emisero 7 sentenze diverse.
3 di loro, con motivazioni ben oltre il demenziale, affermarono che i giornali avevano semplicemente esercitato il loro sacrosanto diritto di cronaca...(anche se la notizia era assolutamente falsa), gli altri 4 stabilirono dei risarcimenti di varia entità, da un minimo di 20 milioni ad un massimo di 180.
La favoletta è finita ai lettori l'ardua sentenza
 
fig. 5 - Il Mattino
fig. 6 - Il Mattino

fig. 7 - La Stampa

mercoledì 4 luglio 2018

Il casale di Santo Strato a Posillipo? Sì a Posillipo!

tav. 1 - Targa piazza
Sembra impossibile che, a poche centinaia di metri da piazza Achille della Ragione (tav.1), dove è ubicata la splendida villa del celebre napoletanista, si trovi una succursale della Napoli più popolare, un misto di Quartieri spagnoli e di Sanità, costituito dal casale di Santo Strato (tav.2), abitato un tempo da contadini e pescatori ed oggi da pensionati, disoccupati, posteggiatori abusivi, domestiche ed artigiani. Tutta brava gente che percepisce chiaramente di appartenere ad una sola grande famiglia, nella quale quasi tutti i maschi si chiamano col nome del santo protettore.  
Un buco nero nel quartiere chic della città, ma gli abitanti possiedono una carica di vitalità straripante ed una simpatia contagiosa. Poche le botteghe, tra queste un fruttivendolo che vende frutta verace a clienti voraci, un meccanico in grado di riparare qualunque guasto ed una pizzeria (tav.3) in grado di offrire prodotti squisiti ad un prezzo imbattibile. 
 
tav. 2 -  Ingresso al borgo
 
tav. 3 - Addu' Totonno

Il casale di Santo Strato, è abbarbicato sul versante nord-orientale della collina di Posillipo. Restò isolato dalla città, come tutti gli altri borghi della collina, fino al 1643, quando il vicere Ramiro de Guzman, duca di Medina, non fece costruire le Rampe di Sant’Antonio.   
I borghi, o come venivano giuridicamente definiti all’epoca, i casali, sulla collina di Posillipo erano vari; i più importanti, oltre a Santo Strato, che era il più popolato, Angari, Megaglia e Spollano. Il casale di Angari scendeva da Torre Ranieri fino al mare, a Riva Fiorita, ed ancora oggi ai lati della discesa che porta da via Manzoni a via Posillipo se ne possono osservare i ruderi. Un’altra strada che portava da Cupa Angara fino al borgo di Villanova era nota con il nome di Malefioccolo, oggi via del Marzano (tav.4).
Villanova si estendeva, filiforme, tra il vallone che porta al mare e la già menzionata strada che portava a Santo Strato. Il centro del borgo era la chiesa di Santa Maria della Consolazione, costruita nel 1737, ed ancora oggi in ottimo stato. Megaglia, nel vallone che porta a Riva Fiorita, era attraversato dal proseguimento di via del Fosso, che porta da Santo Strato a mare, di Spollano non restano tracce. Molto più recente è il borgo di Porta Posillipo, che, più vicino alla città, affaccia sul golfo di Bagnoli. Il piccolo borgo di Marechiaro, ai piedi della chiesa di Santa Maria del Faro, apparteneva alla diocesi di Pozzuoli, a testimonianza della vicinanza geografica e politica dei borghi di Posillipo ai Campi Flegrei.
Anticamente la collina era chiamata “Ammenus”, nome che ne indicava la bellezza, per poi trasformarsi in “Pausillypon”, che come ci ricorda un poeta latino, vuol dire pausa; dal lavoro, dalla quotidianità, monotona e stancante anche a quei tempi, ed era nota per la salubrità e la pace che quei luoghi donavano ai viaggiatori. Già allora i Romani benestanti vi costruivano ville, come quella del generale Publio Vedio Pollione alla Gajola, dotata di teatro e di uno spettacolare parco,oggi collegata alla strada di Coroglio dalle grotte di Seiano. Nei secoli a venire,era poi punteggiata di ville nobiliari, raggiungibili da mare o a cavallo ed in carrozza, ma sprovvista di una vera e propria strada. Fu nel XVII secolo che i vicere, prima il duca di Alba, Antonio Alvarez de Toledo ne cominciò la costruzione, poi il duca di Medina ne prolungò la stessa fino a palazzo Donn’Anna, ma solo nel 1812 Gioacchino Murat completò l’opera fino alla strada che porta a Marechiaro. Fu il Corpo del Genio dell’Armata Austriaca, tra il 1820 ed il 1830, a darle l’attuale percorso fino a Coroglio, dall’altro lato del promontorio.
Il borgo di Santo Strato, chiamato oggi semplicemente il Casale, già indicato nella pianta del Noja, nel 1775 (tav.5) ha conservato nell’essenza, la sua struttura originale. A pianta triangolare, con il vertice nell’ingresso di via Giovanni Pascoli, dove, sotto al cartello del limite di velocità, c’è un altro cartello di fattura artigianale, infatti contiene un errore con conseguente correzione a pennarello, che invita le rare macchine che vi entrano a prestare la massima attenzione, perché qui i bambini giocano ancora per strada. In effetti sono poche le auto che vi entrano, oltre ai residenti, perché le stradine che lo percorrono terminano spesso in erte scalinate. La base del triangolo è l’attuale via Posillipo. Con l’antica via del Fosso (tav.6), che costeggia il vecchio cimitero, si arriva nei pressi del cinema-teatro Posillipo. Via Ricciardi non sbuca neanche direttamente sulla strada principale, ma è una splendida passeggiata, da fare esclusivamente a piedi, perché è una pedamentina, quasi esclusivamente costituita da scale. Molte delle altre stradine e scale che si dirigono verso il mare, sono interrotte dalle costruzioni e terminano con dei cortili su cui si affacciano le case. Tranne qualche bella casa, tra cui spicca “villa Gemma” (tav.7), già appartenuta alla famiglia Pisanti, e alcuni palazzi di nobile origine, con le classiche torrette dell’architettura napoletana di fine ‘800, inizio ‘900, tanto care all’architetto e ingegnere Lamont Young, è dominante uno stile presente in tutti i borghetti marinari del Sud, sia costieri che insulari. Quello stile si può chiamare “fantasia”, dove non c’è un piano uguale all’altro, l’arco del primo piano è diverso da quello del secondo, che è diverso a sua volta da quello del terzo. Diverse sono porte e infissi, finestre e balconcini, ed i rivestimenti sono mosaici di mattonelle varie e conchiglie, inframezzati da edicole votive (tav.8). Alle volte dei veri capolavori di arte povera.
Il centro del Casale è la piazzetta con la chiesa dedicata a Santo Strato (tav.9). È qui che nasce il culto del santo, che viene da Santo Stratone, un pretoriano romano, che rifiutatosi di perseguire alcuni Cristiani, subì il martirio.
La chiesa sorse nel 1266 nel luogo in cui già si trovava un antico tempio romano. A dedicarla a Santo Strato furono tre pellegrini greci, che raccolsero le risorse necessarie per la costruzione della piccola cappella esibendosi come giullari.
La cappella venne poi ricostruita e ampliata nel 1572, grazie all’interessamento di don Giovanni Leonardo Basso, abate di San Giovanni Maggiore, che ne curò anche decorazioni e affreschi. La chiesa, quindi, divenne parrocchia pochi anni dopo, nel 1597 e dedicata a Santa Maria delle Grazie in Santo Strato.
Nel 1728 venne rifatto l’altare maggiore che, fino ad allora, era rimasto quello dell’originaria cappella. Alle sue spalle venne collocato un quadro raffigurante Santo Strato con la Madonna delle Grazie e San Francesco di Paola (tav.10). Una scultura  del santo titolare, da taluni assegnata a Giacomo Colombo e risalente al XVII secolo, è custodita presso uno degli altari laterali posti lungo la navata.
La facciata conclusa da un timpano triangolare e fiancheggiata da due campanili con cupolino a bulbo, mostra chiaramente le alterazioni del secolo scorso mentre l’interno a croce latina e cupola, conserva ancora gli stucchi settecenteschi, più ricchi nelle cornici sugli altari. Settecenteschi sono invece gli altari marmorei - il maggiore, modificato, è datato 1728 - e varie sculture lignee. Fra queste si noti l’elegante Immacolata, nella prima nicchia di sinistra ed il busto di Santo Strato, patrono del casale, a cui le ridipinture non riescono a cancellare del tutto l’originaria qualità plastica. Della prima metà dell’Ottocento è infine il gruppo ligneo con S. Anna e la Vergine, posto nel transetto sinistro. 
 
tav. 4 - Via del Marzano
 
tav. 5 - Pianta Duca di Noja
tav. 6 - Via del fosso
tav. 7 - Villa Gemma
tav. 8 - Edicola di S. Strato
tav. 9 - La parrocchia
tav. 10  - Pala dell'altare maggiore

Per alcuni anni dal 1949 al 1952 nel borgo è vissuto lo scrittore Sandor Marai, il quale, nel suo libro Il sangue di San Gennaro, ha descritto con precisione le figure che caratterizzano da sempre il casale: lo scugnizzo, il vinaio, il trippaio, il pescatore, lo spazzino, il venditore di uova e tutta quell’umanità che viveva e vive in quel coacervo di salite e discese, in ogni caso strette ed intasate (tav.11–12–13). Oggi nessuno si ricorda della sua permanenza ed a ricordarlo soltanto una lapide (tav.14).
Le antiche tradizioni vengono scrupolosamente osservate come le feste popolari, a partire dal Presepe vivente (tav.15), fino alla processione in onore del Santo protettore (tav.16), che cade all’inizio di giugno e viene accompagnata da luminarie (tav.17), tripudio di folla (tav.18) ed un’abboffata generale, con poppute popolane (tav.19) che offrono pesce e trippa in quantità industriale.

Achille della Ragione

tav. 11 -  Il centro del borgo
tav. 12 - Sali e scendi per le scale
tav. 13 - Strade intasate
tav. 14 - Lapide che ricorda Sandor Marai
tav. 15 - Presepe vivente

tav. 16 -  La statua del santo in processione
tav. 17 - Festa di Santo Strato
tav. 18 -  Durante la festa
tav. 19 -  Trippa e poppe a volontá

domenica 1 luglio 2018

Napoli magica un libro da non perdere


Napoli magica


Vittorio Del Tufo, capo redattore del Mattino, ma soprattutto scrittore di razza e napoletanista doc,  trascina il lettore nel suo ultimo libro “Napoli magica” in un’affascinante e vertiginosa passeggiata nella Napoli esoterica  e misteriosa, guidandolo nello spazio e nel tempo come il mitico Virgilio, tramite le meravigliose pagine di questa nuova ed attesissima fatica letteraria, ideale sequel dell’acclamatissimo best seller “Trentaremi”.    
L’altro pomeriggio alla Feltrinelli di piazza dei Martiri, il tempio del sapere, è avvenuto il battesimo del fuoco, davanti ad una folla plaudente e straripante, nonostante la concorrenza (una rarità per Napoli) di molti altri eventi culturali concomitanti: dalla presentazione del libro di Raffaele La Capria nella suggestiva quanto panoramica cornice di Palazzo Donn’Anna, all’esibizione ai limiti del virtuosismo di Michele Campanella a Villa Pignatelli.    
Napoli magica è un libro dalla fattura estremamente elegante e costituisce uno straordinario tour  tra miti e leggende senza tempo: da  Virgilio nelle vesti di mago alla storia del fiume fantasma, dalle atmosfere fascinosamente dark dei racconti sul Principe di Sansevero (Raimondo di Sangro), sul suo lavoro di alchimista e sulle segrete della sua magione alla struggente leggenda della Sirena Parthenope,  demone marino o uccello antropomorfo, che viene poi umanizzata fino a morire per amore, dai misteri dell’antica città sotterranea ai perduti cori delle fate, dalla famosissima maledizione della Gaiola passando per il millenario culto della Dea Iside fino al Diavolo della Pietrasanta, alle Compagnie della Morte ed ai mitici Castelli della Città, giungendo poi ai misteri archeologici, quelli svelati e quelli ancora da svelare,  della più antica capitale del Mediterraneo.    
Sono pagine che raccontano storie di sangue, di delitti e morte, di sesso e amanti insaziabili. Storie romantiche, cupe, feroci. Storie napoletane.       
Parliamo di storie e non di leggende perchè Del Tufo crede ciecamente a quello che racconta.

Achille della Ragione