giovedì 30 agosto 2012

I RAPPORTI TRA NAPOLI E MALTA



Negli ultimi tempi libri belli di storia dell’arte napoletana se ne vedono sempre meno in commercio, fa eccezione il corposo volume di Salvatore Costanzo sui rapporti intercorsi tra Napoli e Malta in un arco cronologico di circa cento anni (1650-1750), caratterizzato da uno scenario multiforme, di non facile definizione per la diversità di accenti, incroci e sovrapposizioni di correnti artistiche. 
Salvatore Costanzo, architetto e grande appassionato dell’arte figurativa della sua Terra, è autore di numerosi saggi critici e articoli apparsi su quotidiani e riviste. Studioso della pittura napoletana del '500 e '600, ha pubblicato un’importante volume sulla scuola del Vanvitelli e recentemente ha esteso i suoi interessi al recupero critico della produzione di Ludovico de Majo (2009) e alle tematiche paesaggistiche di Salvator Rosa (2010). 
Pubblica da tempo con la Clean, una benemerita casa editrice di nicchia, la quale ha curato in maniera impeccabile la veste di quest’ultimo libro, che si contraddistingue per la qualità delle foto e per l’esaustiva bibliografia, la quale cita doverosamente(e dovrebbe divenire abituale consuetudine per gli studiosi) anche le fonti non cartacee presenti sul web, che da tempo costituiscono il materiale più consultato.
Nella ”piccola isola dalla grande storia” abbondavano le commissioni sia ecclesiastiche che laiche, grazie soprattutto all’Ordine Gerosolimitano che acquistava incessantemente quadri da vari autori, per cui è interessante approfondire le modalità di espansione di alcuni modelli figurativi sacri di celebri maestri italiani e stranieri dell'epoca che, per una certa peculiarità stilistica, sono messi in rapporto ai principali filoni pittorici di La Valletta e a quelli "importati" da diverse aree del Meridione d'Italia. 
La prima sezione tematica del saggio è dedicata all'inquadramento biografico di un cospicuo numero di artisti isolani, molti dei quali considerati a torto ancora minori, influenzati dalla lezione del Preti e dai modi del Solimena. Il discorso sul fluido decorativismo del "cavalier Calabrese", impegnato nei lavori di affrescatura della co-cattedrale di San Giovanni a La Valletta, privilegia -tra l'altro- gli inizi di uno dei suoi più giovani allievi, Raimondo De Dominici, detto il Maltese, padre del più noto pittore e biografo napoletano Bernardo. Di non trascurabile portata la produzione seicentesca degli artefici appartenenti alla cerchia pretiana (Gioacchino Loretta, Pedro Nunez de Villavicencio, Giovan Battista Caloriti, Gian Paolo Chiesa), mentre di buon livello qualitativo si rivelano le esperienze maturate dalle scuole pittoriche "napoletane" di Stefano Erardi e Giuseppe d'Arena, tutti e due giudicati tra i principali antagonisti del Preti. 
Con ampi e opportuni riferimenti, l'indagine critica sottolinea la presenza nel tessuto dei primi decenni del Settecento di altre due personalità di rilievo nel panorama figurativo maltese: Gian Nicola Buhagiar e Francesco Vincenzo Zahra, artisti di elevata genialità interpretativa che, oltre ad attingere a diversi indirizzi pittorici (Preti e Chiesa, in particolare), gravitano prevalentemente nell'orbita solimeniana. 
La seconda parte del volume si apre considerando come nucleo problematico significativo la formazione napoletana di Raimondo De Dominici nel grande e prolifico ambiente del Giordano. Il percorso del pittore maltese (oggi arricchito di altri due dipinti custoditi in Chiese di Marcianise), accoglie preziosi apporti critici sull'esperienza del barocco prodotto da moltissimi artisti di "seconda fila" attivi nella capitale del Regno e mira a far emergere nuove proposizioni di pensiero e indagini stilistiche su due scolari dedominiciani: Michele Pagano e Filippo Ceppaluni (entrambi raccoglieranno l'eredità dell'arte di Raimondo e diventeranno discepoli del figlio Bernardo De Dominici). Un discorso a parte riveste il difficile recupero delle fasi stilistiche di Bernardo "pittore di corte" di Aurora Sanseverino, duchessa di Laurenzano. Particolarmente indicativo, in questo senso, è il nuovo gusto rococò a cui l'artista napoletano sembra accostarsi, che traspare anche dal rapporto col paesaggista tedesco Franz Joachim Beich e con l'olandese Paul Ganses, considerati suoi maestri. 
In conclusione un libro stimolante per lo specialista ed interessante per gli appassionati che non può mancare nelle biblioteche sia degli uni che degli altri.

mercoledì 22 agosto 2012

BOC Il perno della truffa



Una parola misteriosa dalle conseguenze devastanti

Provate a chiedere ad un docente di economia cosa è il BOC, se è preparato, titubante, vi risponderà: “Buoni ordinari comunali” e se subdolamente incalzerete: “Sono garantiti dallo stato?” in difficoltà risponderà “No”. Su questo equivoco poggia una gigantesca truffa, che va avanti da anni ed oltre a costare un interesse molto alto, nasconde le dimensioni del debito pubblico, che risulta più alto di quello già gigantesco di cui siamo oberati.
La storia comincia come spesso accade in Campania, quando nel 2007 la Lehman acquista i debiti delle ASL della regione per un importo di 2,7 miliardi di euro, salda in contanti i fornitori ed accetta la restituzione del debito in dieci anni. La banca, oltre alla commissione li trasforma in titoli che vende subito, perché vi è la garanzia dello stato e quindi della UE.
Questo stratagemma permette al debito di non comparire nel bilancio dello stato e nemmeno in quello della regione dove è riportata solo l’annualità di circa 700.000 euro. Per cui i nostri figli e nipoti godranno di una mediocre sanità, pagata a peso d’oro. 
La conclusione è che siamo governati sia a livello locale che centrale da furfanti ed incompetenti, che non ci fanno conoscere che alla fine di queste spericolate operazioni finanziarie il nostro debito pubblico sarà infinitamente più alto di quello che ci viene presentato.

domenica 19 agosto 2012

LA FORBICE BRUTALE



Mentre il prezzo degli ortofrutticoli raggiunge il massimo della forbice tra produttore e consumatore, con incrementi scandalosi anche di 30-40 volte tra ciò che la grande distribuzione paga al contadino e quanto viene richiesto dal dettagliante, abbiamo assistito nei giorni scorsi, in attesa di sentire la voce disperata dei consumatori, a grandi manifestazioni di protesta da parte dei pastori e degli agricoltori.
I primi hanno portato in piazza il loro grido di dolore fino ai palazzi  della capitale, mentre i secondi hanno invaso piazza Affari a Milano con i loro maiali davanti alla sede della Borsa, il luogo dove il lavoro vero, la fatica che fa sudare, non viene più riconosciuto e dove pochi avidi speculatori decidono i prezzi dei cereali e dei mangimi, della carne e del latte, influenzando il destino di milioni di uomini, molti dei quali, soprattutto in Africa, sono ridotti letteralmente alla fame.
Non dimentichiamo infatti che ciò che per noi rappresenta il caro vita, per tanti altri è semplicemente la vita e lo strapotere della finanza  sull'economia reale è fonte quotidiana di ingiustizie, che chiedono vendetta oramai solo davanti a Dio, perché la giustizia terrena è in tutte altre faccende impegnata.

venerdì 17 agosto 2012

GLI SCUGNIZZI, UN MITO DURO A MORIRE

10/02/2011

Gli scugnizzi, i ragazzi del popolo napoletano, definiti nel tempo anche guaglioni o sciuscià, sono presenti in ogni epoca ed assieme ai lazzari rappresentano l’anima più genuina della città. L’oleografia ce li rappresenta sorridenti e distesi al sole, ma la loro vita è stata frequentemente una storia di miseria, analfabetismo e sofferenza. 
Spesso sono stati al centro di avvenimenti cruciali: da cuore pulsante della rivolta di Masaniello a piccoli eroi ardimentosi protagonisti delle Quattro Giornate, che portarono alla cacciata dei tedeschi, ma senza dimenticare la partecipazione spontanea alle grandi manifestazioni di giubilo come la Piedigrotta o le tante altre feste tradizionali, che cercano di far dimenticare ai cittadini la tristezza di una vita povera e priva di speranze. 
La pittura e la scultura ed in tempi più recenti la musica, il teatro ed il cinema ne hanno tessuto le lodi, spesso grazie ad artisti, anche essi scugnizzi per nascita o vocazione come Gemito, Mancini o Viviani. 
Gemito venne allevato nel brefotrofio dell’Annunziata, dove assunse il suo cognome per il continuo lamentarsi. Della sua condizione di figlio della Madonna si vantò per tutta la vita e più volte immortalò la figura dello scugnizzo nelle sue sculture come nel celebre Pescatorello, più volte replicato, nel quale imprime, con la magia del suo cesello, un brivido di luce alla superficie bronzea. Egli si serviva come modelli di scugnizzi presi dalla strada, che teneva a lungo in piedi su di un sasso cosparso di sapone per cogliere l’energia potenziale e la fame atavica, ben espressa dai pesciolini portati alla bocca, per poterle poi immortalare nel metallo.
Anche Mancini, nasce scugnizzo e continuò a lungo a rappresentare questi candidi fanciulli, mentre scalzi con gli abiti laceri ed una coppola sgualcita sulla testa contemplano un piatto di pasta od una festa alla quale avrebbero voluto partecipare.
Viviani come nessun altro commediografo ha saputo cogliere l’essenza degli scugnizzi, creando un pantheon di volti tristi o gioiosi, di corpi macilenti e sgraziati ed ha saputo sottolineare il loro carattere beffardo e la gioia di vivere, prelevando i suoi protagonisti dai bassifondi e dal mondo dei diseredati, ma assegnando a questi eterni emarginati il compito di far sentire polemicamente la loro voce nel denunciare le contraddizioni di una società dove troppo vistose erano le ingiustizie e troppo stridente il divario tra poveri e ricchi.
Tra i registi Vittorio De Sica dà voce alle miserie del dopoguerra e colloca gli scugnizzi napoletani in una nuova nomenclatura coniando il termine sciuscià, dall’americano shoe shine, pulisciscarpe. Sono bambini di sei sette anni costretti dal furore degli avvenimenti ad inventarsi un mestiere per sopravvivere e saranno magistralmente descritti da Malaparte nella Pelle;” Bande di ragazzi cenciosi, inginocchiati davanti alle loro cassette di legno, gridando sciuscià, shoe shine”.
Seguiranno altri registi: Nanny Loy con Le quattro giornate di Napoli ed in tempi più recenti Piscitelli con Baby gang e Capuano con Vito e gli altri.
Centinaia di migliaia di napoletani hanno fatto la fila per applaudire e commuoversi per il recital Scugnizzi, che da anni fa il tutto esaurito dovunque venga rappresentato, imperniato sulla figura di un prete che combatte la camorra, pochissimi sanno però che l’ispiratore del personaggio è veramente vissuto a Napoli ed ha fatto cose ben più grandi di quelle che si raccontano nel musical.
Egli era il celebre Don Vesuvio, soprannome assegnatogli dagli emigranti e nello stesso tempo Naso stuorto, come lo chiamavano affettuosamente gli scugnizzi dei vicoli napoletani. Oggi, ritornato allo stato laicale, è semplicemente il dottor Mario Borrelli, vive abitualmente ad Oxford ed è venerato da estimatori e studiosi di tutto il mondo.
Mario Borrelli (Napoli, 19 settembre 1922 – Oxford, 13 febbraio 2007) è stato un prete, sociologo ed educatore italiano.
La sua storia straordinaria comincia in una stradina del quartiere Porto, dove nasce nel 1922 in una famiglia di doratori. A otto anni è a bottega da un barbiere, quindi garzone in un bar, dove conosce un prete, al quale confessa che di notte, ogni notte, sente la voce di Dio che lo chiama ripetutamente. Grandi sacrifici per la madre che favorisce la sua vocazione e si fa in quattro per pagare le rette del seminario.
Nel 1946, quando diventa sacerdote, si trova a confrontarsi con una Napoli colma di macerie materiali e morali. Gli scugnizzi senza famiglia sono legioni, figli di genitori morti sotto i bombardamenti o abbandonati da prostitute senza scrupoli. Egli capisce subito che il suo compito è di redimerli dal loro triste destino e chiede al cardinale il permesso di infiltrarsi tra di loro e vestirsi da straccione. Comincia la sua doppia vita: di giorno sacerdote ed insegnante di religione in un liceo classico del Vomero, di notte scugnizzo alla disperata caccia del sostentamento quotidiano.
Lasciamo a lui la parola: «Allora, la fame era la madre della vita, i trucchi per sopravvivere erano infiniti e a metterli in atto erano esseri ibridi senza genitori, mezzo uomini e mezzo bambini, e tuttavia né bambini né uomini, capaci però di realizzare stupefacenti strategie di arrangiamento esistenziale senza la violenza di oggi, che fa accoltellare chiunque per un nonnulla”. Egli rammenta con malinconia quei giorni ricordando l’abilità degli scugnizzi nel turlupinare soldati americani a caccia di ”segnorine”, ridotti letteralmente in mutande (e a bocca asciutta), e scaricati dormienti nei cassonetti importati dagli Usa, gli abiti venduti, dopo una bella sbronza a base di vino spacciato per prelibato moscato: «Nel senso che ci mettevano le mosche dentro» ride divertito. «Sono questi ragazzi che mi hanno donato il senso stupendo della libertà».
Questo racconto lo ascoltai dalla sua viva voce presso la sede napoletana dell’Ucid, negli anni Sessanta, dove era stato invitato dall’ingegnere Sergio Lamaro a parlare della sua vita avventurosa ai giovani. Rimasi colpito dai suoi abiti civili, all’epoca i preti non prediligevano il clergyman, e dalle sue parole, semplici e prive di enfasi. Mi resi conto che quegli episodi leggendari meritavano la penna di un grande scrittore, che avesse l’occhio acuto del pittore e l’impietoso angolare dello storico.
Ma ritorniamo a quegli anni eroici. Per essere accettato pienamente dalla sua banda non si spaventa a dover usare le mani, anzi, prese lezioni di boxe, sfida il capo della combriccola, esperto a manovrare il coltello e lo sconfigge, divenendo all’unanimità capo banda. 
Egli riesce a procurarsi un tetto, utilizzando una vecchia chiesa sconsacrata di Materdei, che, con l’aiuto di alcuni volenterosi, trasforma in un centro di accoglienza. Attira lì i primi scugnizzi con l’offerta di cibo e di ricovero per la notte. In seguito gli regalano un carretto grazie al quale recupera rottami di ferro da rivendere. Possiederà poi un biroccio ed infine un camion, col quale trasporta e vende abiti smessi e calzature usate, procurandosi fondi per il suo centro di accoglienza.
Ma l’occhio benevolo della Provvidenza non smetteva di seguirlo e gli fece capitare tra le mani il biglietto vincente della lotteria di Agnano, che il proprietario del tagliando non aveva riscosso. Cominciano le prime incomprensioni con la curia che vuole destinare il denaro per un’altra iniziativa, ma don Borrelli non molla e fa nascere l’edificio sulle ceneri della vecchia chiesa di Materdei. L’arcivescovo cerca allora di impossessarsi della struttura, chiedendo all’indomito prete di assumerne unicamente la direzione con uno stipendio; una soluzione che non piace al fondatore, il quale diventa gerolomino dell’ordine di San Filippo Neri, un ordine che non prende ordini dalla curia. Divenne bibliotecario all’oratorio dei Girolamini, dove pazientemente catalogò i settantamila volumi custoditi, con cura e competenza, perché egli non era solo uomo di fede e di impegno civile, ma anche teologo e paleografo, specializzatosi in Inghilterra presso la London School of Economics.
Nel frattempo il nome di Don Vesuvio fa il giro del mondo grazie ad un libro The children of the sun di uno scrittore australiano, Morris West, che per un lungo periodo affianca in prima linea l’indomito prete per raccontarne le fantastiche imprese. Il volume arriva sulla scrivania della Casa Bianca, letto con commozione dalla first lady, Eleanor Roosevelt, che commenterà entusiasta:”La più straordinaria avventura che abbia mai letto”. Il libro diverrà poi un film che farà conoscere le eroiche gesta di don Borrelli dall’Australia al Canada, dalla Francia alla Germania, favorendo la creazione di comitati di sostegno che faranno affluire denaro per la sua iniziativa.
Soltanto nel 1963 in una autobiografia scritta con Anthony Thorne ed intitolata Napoli d’oro e di stracci, all’ultima pagina il battagliero prete si confessa, ritenendo, evangelicamente, che sia il momento di tirare a riva la rete.
”Si sono io Don Vesuvio, ma sono anche Naso stuorto, sono tutti e due assieme”.
La sorpresa fu grande e finalmente tanti scugnizzi capirono, con le lacrime agli occhi, perché ci teneva tanto ad insegnare loro un mestiere.
Nel 1967 ritorna allo stato laicale, ma continua indefesso la sua opera, ritenendo che bisognasse agire alla base del fenomeno, altrimenti gli scugnizzi non sarebbero mai scomparsi, perché essi rappresentano solo il sintomo più appariscente di un diffuso malessere sociale. Cominciò a combattere al fianco dei baraccati e divenne un’icona dell’ultra sinistra napoletana. Sfiorò più di una volta la condanna in tribunale e forgiò un’intera generazione di animatori sociali.
Nel 1971 si sposò con una ragazza sudafricana ed ebbe una figlia, che oggi dirige un prestigioso istituto scientifico di caratura internazionale.
Ad ottantaquattro anni conserva la grinta e l’ardore giovanile, con un lampo negli occhi, che sovrasta i capelli oramai di un bianco candore.
“Oggi vedo molta prostituzione tra il potere e la povertà ed i nuovi scugnizzi sono gli immigrati extracomunitari, i nomadi i profughi, che hanno preso il posto dei disperati ragazzi di strada della Napoli del dopo guerra”. Parole come frecce che egli ebbe modo di scandire tempo fa in occasione di un suo breve ritorno nella città natale. Napoli rappresenta il richiamo della foresta, al quale non riesce a resistere a lungo. Qui vi è la sua creatura, vi è sua figlia, vi è sua moglie, gravemente ammalata.
“Alla mia età non mi resta che lo studio e la ricerca, ma anche per questo vi è necessità di coraggio e fantasia”.
Sono lontani i tempi eroici quando decise di intrecciare concretamente la propria vita di sacerdote oratoriano ed erudito studioso con gli scugnizzi orfani del dopoguerra napoletano, con i baraccati e le puttane senza diritti, vivendo e combattendo con loro sulla strada, al di là di ogni convenzione, da scomodo e ribelle prete scugnizzo, da polemico avventuriero di Dio, vagabondo tra i vagabondi e maieuta caparbio e insofferente a qualunque forma di sopraffazione e iniquità dell'uomo sull’uomo. In una Napoli d’oro e di stracci, come il titolo della sua autobiografia, seppe creare la Casa dello Scugnizzo nel cuore di Materdei, pionieristico punto di riferimento per uomini di buona volontà. 
Il testimone della sua attività è passato ad Ermete Ferraro, oggi presidente della Fondazione, insegnante, ma soprattutto ex scugnizzo.

giovedì 16 agosto 2012

LA FECONDAZIONE IN VITRO



Quella dei nostri figli, al massimo quella dei nostri nipoti, sarà l’ultima generazione, nel mondo occidentale, che partorirà secondo i dettami della Bibbia. Le successive non dovranno più sobbarcarsi ai disagi della gestazione ed ai pericoli del parto, perché nei prossimi anni le tecniche di fecondazione assistita, nate per risolvere l’infertilità, avranno trovato una soluzione a tutti i problemi legati allo sviluppo completo dell’embrione in un utero artificiale.
Nelle more l’ingegneria genetica saprà debellare la maggior parte delle malattie ereditarie e sarà inoltre possibile scegliere, oltre al sesso, anche i principali caratteri individuali: colore degli occhi e dei capelli, costituzione fisica e, probabilmente, anche significativi tratti della personalità ed il quoziente intellettivo. I genitori potranno avere il figlio che più desiderano, sarà semplice come andare in un negozio e comprare il tipo di bambola che il bambino desidera. Sarà certo questione di disponibilità finanziaria, ma i risultati non saranno meno sconvolgenti. 
La pratica del sesso diverrà facoltativa ed interesserà i pochi pervicaci appassionati, che non vorranno usufruire delle scoperte della neuro sessuologia, la quale, una volta identificate le aree cerebrali deputate all’orgasmo, saprà sollecitarle a piacimento, attraverso stimoli virtuali o farmacologici.
“Se nulla è certo, molto è possibile, qualcosa è probabile, poco è improbabile”. Una massima di grande saggezza, ma che trova una ridotta applicazione nel rapido delinearsi dello scenario prossimo venturo, nell’ipotizzare il quale ben poche sono le variabili che possono trasformare il risultato finale.
Una legislazione restrittiva, anche se adottata da molti Stati, non potrà fermare il progresso, al massimo potrà accentuare le disparità economiche, permettendo solo ai più ricchi di accedere alle nuove scoperte. I divieti infatti non hanno alcuna efficacia su quelle pratiche scientifiche che non necessitano di una tecnologia particolarmente sofisticata.
Un laboratorio per la fecondazione assistita non richiede grandi attrezzature, né materiali difficili da procurarsi e, tanto meno, un know how particolarmente ostico da apprendere e da trasmettere.
Il quadro futuribile che abbiamo delineato non prevede salti di conoscenza significativi, ma semplicemente il normale sviluppo della scienza, che si può ipotizzare allo stato attuale degli studi.
Alcuni traguardi come ad esempio la determinazione del sesso della propria prole è già realizzabile, anche se con tecniche da perfezionare e già sta creando pericolosi squilibri nella composizione di quelle popolazioni, come quella cinese, che da alcuni anni ne fanno ricorso.
In Cina infatti è permesso avere un solo figlio, per cui, per ataviche motivazioni, sia economiche che culturali, quando una donna è all’inizio della gravidanza, spesso chiede di potersi sottoporre ad indagini per la determinazione del sesso del nascituro, oggi possibili già dalla settima, ottava settimana di gestazione ed in caso di un embrione di sesso femminile decidersi a ricorrere all’aborto volontario, che nella Repubblica Popolare cinese è non solo permesso, ma anche incoraggiato.
Quando si adoperano le tecniche di fecondazione assistita è sempre possibile scegliere il sesso del nascituro e, quando questa pratica diverrà molto diffusa, gli effetti collaterali… devastanti si vedranno dopo una sola generazione.
Il genere umano presenta infatti, per il perpetuarsi di un meccanismo di tipo omeostatico molto sofisticato e solo in parte conosciuto, una percentuale costante del 50% di maschi e di femmine. Questo postulato biologico è alla base della monogamia della nostra specie. A lungo nei secoli scorsi si è data la colpa alla donna quando non generava un figlio maschio, poi si è creduto che era l’uomo attraverso i suoi spermatozoi a stabilire il sesso della prole; ma erano scoperte fallaci: a determinare una eguale e costante percentuale tra i due sessi presiede un mirabile meccanismo ancora del tutto sconosciuto.
La presenza in una popolazione, come ad esempio quella italiana, di un maggior numero di donne è legato unicamente alla maggior durata della vita femminile, caratteristica costante in tutto il mondo. Ma ha ben poca importanza se esaminando le classi di età più avanzate (oltre i 60-70 anni) troviamo più donne che uomini, l’importanza è che nell’età feconda vi sia un perfetto equilibrio tra i due sessi.
Questa “armonia percentuale”, necessaria per il quieto vivere delle famiglie, della società e degli Stati è tenuta sotto controllo in maniera a dir poco prodigiosa: infatti in periodi post bellici, quando i maschi diminuiscono, per una generazione nascono meno femmine.
Una scoperta recente è stata l’osservazione che gli embrioni abortiti spontaneamente, nelle prime fasi della gravidanza, sono più frequentemente di sesso maschile, di conseguenza il rispetto della percentuale paritaria non avviene al momento della fecondazione, quando contiamo 170 maschi per 100 femmine, bensì nel momento più significativo, il periodo di maggiore fertilità, tra i 20 ed i 35 anni.
La prospettiva di poter a breve scegliere il sesso dei propri figli deve farci riflettere sulla circostanza che la scienza, con le sue incessanti scoperte, rende le nostre scelte sempre più difficili e che le chiavi del nostro destino sono in gran parte nelle nostre mani, se sapremo valutare correttamente i quotidiani cambiamenti provocati dal continuo progredire delle conoscenze.
Il poter leggere, grazie alle continue scoperte scientifiche, nel gran “libro” della natura le tracce inequivocabili di un ordine deve invitarci ad una profonda riflessione e la stupefacente maniera con la quale la natura programma il rapporto percentuale tra i sessi ne rappresenta uno degli infiniti esempi.
Il Newton nel porre termine al suo “Philosophiae Naturalis Principia Matematica”, una tra le più importanti opere dello scibile umano, non ritenne fuori luogo dissertare sugli attributi di Dio. Sia perciò permesso, ad un laico inveterato, per alcuni in via di conversione, invitare tutti a meditare sulla certezza che tali delicati meccanismi è assolutamente improbabile che siano sorti per combinazione!

mercoledì 15 agosto 2012

IL DUALISMO DI INTERNET



Pochi sanno che internet nasce grazie a ricerche, dettate da finalità militari, per identificare un sistema di trasmissione di dati, che il nemico non sia in grado di decriptare; lo stesso filone di studi che aveva incoraggiato esperimenti di telepatia anche nel corso delle missioni Apollo.
Lo sviluppo della nuova tecnologia è stato poi tumultuoso ed ha cambiato in breve il volto del mondo, dimostrandosi una delle più importanti novità nella storia dell’umanità.
Per anni è sembrato che si potesse realizzare il sogno di un mondo senza confini né padroni, autogovernato dalla comunità degli utenti, uno spazio senza controlli e censure, nel quale notizie e conoscenza potessero dilagare e raggiungere i più sperduti angoli del globo.
Il numero di coloro che quotidianamente si collegano alla rete diviene sempre più alto e la circolazione delle idee mette in crisi spietate dittature, nonostante pene severissime, inclusa quella capitale e la creazione di una grande muraglia telematica attorno alla Cina per cercare di filtrare informazioni non gradite.
Skype permette attraverso il computer di poter parlare gratuitamente con chiunque, anche all’estero e rompe l’egemonia ed il latrocinio dei gestori telefonici, nello stesso tempo la privacy delle conversazioni è assoluta, perché proprietà del servizio e server, situati tra Scandinavia ed Estonia, non accolgono alcuna rogatoria che richieda intercettazioni, una falla ben nota a terroristi e mafie, le quali utilizzano da tempo esclusivamente questo sistema per le loro comunicazioni.
Giovani di ogni paese utilizzano alcuni siti specializzati per scaricare file musicali o film senza pagare i diritti d’autore, come pure è molto semplice stampare un libro coperto da copyright, una libertà sconfinante nell’anarchia, che alla lunga metterà in crisi l’industria culturale.
Anche l’esperienza più anarchica dell’etere come Wikipedia, l’enciclopedia on line che aveva mandato in pensione giganti del sapere come la Britannica o la Treccani, si appresta a rivedere la sua filosofia basata su un sapere che sgorgava dal basso senza gerarchie, davanti ai problemi insoluti di voci controverse, soprattutto riguardanti la contemporaneità, le quali negli ultimi anni hanno innescato focosi conflitti tra appartenenti a fazioni di pensiero contrastante, che si correggevano all’infinito. La redazione ha stabilito un controllo da parte di specialisti delle singole materie su gran parte degli argomenti, una conferma dell’illusione di un sapere democratico e la consacrazione di un’aristocrazia della cultura, di nuovo arroccata in una cittadella ideale per pochi eletti.
Ma il pericolo più grave che minaccia la rete è costituito dall’intenzione di Obama di potersi assurgere a controllore assoluto del ciberspazio, arrogandosi di decidere l’interruzione del servizio, se, a suo insindacabile giudizio, dovesse esserci un pericolo telematico per gli Stati Uniti. Purtroppo non si tratta di un’evenienza fantastica, come dimostrano i recenti attacchi a Google e Twitter condotti da hackers che hanno paralizzato per ore milioni di computer.
Se il Cybersecurity Act verrà approvato dal Senato si sancirà la volontà di violare la sovranità di altri Stati, né più né meno della dottrina Bush di inseguire dappertutto il terrorismo dall’Irak all’Afganistan, facendo scoppiare conflitti e decapitando governi con la scusa di esportare la democrazia. Infatti se i terroristi informatici decidessero di utilizzare i server di nazioni neutrali per infettare con virus micidiali in grado di controllare a distanza le comunicazioni sarebbe inevitabile far partire il contro attacco senza il tempo di avvertire nessuno.
Un pericolo che violerebbe non solo la neutralità del web, ma anche la sovranità degli Stati, ma non si potrà fare altrimenti, perché un attacco da parte di hacker specialisti come preludio di una guerra, bloccando i computer, avrebbe consistenti probabilità di successo, non solo impazzirebbe il traffico paralizzando le città, ma andrebbero in tilt anche i codici dei missili con le ogive nucleari.