domenica 30 agosto 2020

Ieri “A Nfrascata” oggi via Salvator Rosa

fig.1 - Inizio della strada


“A Nfrascata è un termine antico, ma ancora molto usato nel dialetto napoletano da poeti e scrittori napoletani. Basta ricordare i famosi versi con cui si apre “Guapparia”, uno dei più grandi classici del repertorio di canzoni napoletane, scritta nel 1914 da Libero Bovio e musicata da Rodolfo Falvo: ”Scetáteve, guagliune ‘e malavita, ca è ‘ntussecosa assaje ‘sta serenata. Io sóngo ‘o ‘nnammurato ‘e Margarita, ch’è ‘a femmena cchiù bella d’ ‘a ‘Nfrascata”.
Si comprende chiaramente che la parola “Nfrascata”, che significa “Frasche”, corrispondeva ad un luogo di Napoli, invaso da fitta vegetazione, da giardini e campi ricchi di fiori e frutti profumati. ‘A Nfrascata corrisponde all’attuale Salvator Rosa e allora collegava la zona del Museo Archeologico con San Gennaro ad Antignano. La sua storia ha inizio nel XVI e XVII secolo, quando la nobiltà spagnola iniziò a costruire sontuose dimore sulla collina del Vomero, allora una zona isolata, tagliata fuori dal resto della città e di difficile accesso.
Era tuttavia necessaria una strada che collegasse il centro della città alla nuova area residenziale. Già allora al Vomero si contavano numerose masserie, monasteri e ville di dotti illuminati e letterati, che in conflitto con il governo vicereale spagnolo andavano lì a costruire le loro residenze. Ricordiamo la villa di Giovanni Pontano in via Annella di Massimo ad Antignano, quella di Gian Battista della Porta a Vico Molo alle Due Porte all’Arenella, quella di Giuseppe Donzelli sul ponte della vecchia via Donzelli.
Oggi la zona dell’Infrascata, denominata via Salvator Rosa, non presenta più quell’atmosfera bucolica di un tempo.
Occorre fare un grande sforzo di immaginazione per ricostruire quel passato non più rintracciabile. Oggi mastodontiche costruzioni, vere e proprie muraglie di cemento armato, che insistono su strade strette ed inadeguate al traffico veicolare, hanno inesorabilmente trasformato quel panorama bucolico del passato in queste brutture del presente.        
Durante la peste del 1656, addirittura il Vomero divenne rifugio di molti nobili, che scappavano dalle pestilenze che colpirono la città. Allora ‘A Nfrascata era un sentiero ripido, una scalata erta e pericolosa fra gli alberi che si intrecciavano e si inerpicavano su per la collina. Fino agli inizi del Novecento, salire al Vomero era un privilegio di pochi. Solo chi disponeva di una carrozza trainata da ciucci poteva scalare quelle salite tortuose e scivolose nei periodi invernali. Il luogo era chiamato anche la strada dei ciucciari, per la presenza nella zona del museo di stalle per somari che venivano noleggiati dai viaggiatori che, giunti a destinazione, abbandonavano i quadrupedi, che da soli poi riprendevano la strada del ritorno, dando origine ad una bellissima visione di asini in libertà. Famosa, infatti, era quella posta all’inizio della strada da cui partiremo con il nostro racconto, perché la signora titolare del negozio occupava come abitazione una splendida dimora con un bel terrazzo (fig.1), che da tempo costituisce la residenza di Santi Corsaro, un famoso medico, esperto in diete vegane e marito di Daniela Maresca, il top della chirurgia plastica a Napoli e dintorni.
Gli sarò grato in eterno, perché fu grazie a lui che ad un “balletto” ebbi modo di conoscere una fanciulla bellissima e affascinante, di nome Elvira, che dopo pochi mesi ebbe l’onore di diventare mia moglie, un ruolo che, nonostante sia trascorso quasi mezzo secolo, esercita ancora con passione e qualche piccolo sacrificio.  

fig.2 -  Palazzo della Ragione

fig.3 - Achille neonato

fig.4 - Achille capellone in pectore

fig.5 - Un palazzo tutto rosso

fig.6 - Parco Cis sulla destra
  

fig.7  Parco Cis  all'incrocio con la Salute

fig.8  - Chiesa di S. Maria Maddalena dei pazzi

fig.9  - Chiesa di S. Maria Maddalena dei pazzi (interno)

 
fig. 10 - Paolo Finoglio -
S. Maria Maddalena e S. Maria Maddalena dei pazzi adorano il Sacramento

Pochi passi in salita e di fronte all’agenzia di pompe funebri Bellomunno si erge maestoso il palazzo della Ragione (fig.2), dove si svolge una memorabile avventura che comincia alle 4:30 del mattino di un giorno relativamente lontano: il 1° giugno 1947, quando Anna Capuano, la diletta sposa di Mario della Ragione, dopo un breve travaglio, dà alla luce un vispo maschietto di 4 chili ed 800 grammi, che sgambetta vigoroso (fig.3) e pare felice di aver aumentato di un’unità il numero degli abitanti della Terra. La scena si svolge al secondo piano di via Salvator Rosa 29, interno 6 (ogni riferimento al significato dei due numeri nella Smorfia è puramente causale). L’evento è immortalato in un documento  conservato gelosamente nell’archivio della parrocchia di San Giuseppe dei Vecchi, già da noi pubblicato nel capitolo relativo.
Achille  sembra ignaro del suo favoloso destino che lo attende, mentre la neo mamma è parzialmente delusa, perché si aspettava una femminuccia, che facesse coppia con Carlo, nato sei anni prima; per cui farà crescere al pargoletto una chioma fluente (fig.4) ed attenderà il 4° compleanno prima di accompagnarlo dal barbiere.      
Dopo soli 20 giorni lo porterò al mare sulla spiaggia di Lido Raia, il più accorsato stabilimento balneare dell’epoca, divenuto poi lido Augusto ed oggi più semplicemente lido mappatella. Tutte le signore accorrevano ad ammirare il procace neonato e pensavano avesse un anno, sia per le cospicue dimensioni e la incontenibile vivacità, forse anche per la solennità del membro virile, destinato ad una frenetica attività.
Achille pronuncerà le prime essenziali parole: mamma, papà, pipì, cacca a pochi mesi, camminerà a 14 mesi, (in passato si credeva che un’eccessiva precocità provocasse le gambe storte), imparò numeri ed alfabeto a tre anni, ma soprattutto apprendeva con gusto le cattive parole, avendo come palestra un cortile abitato da vaiasse su cui si affacciavano alcune finestre del suo appartamento. Ogni volta che dal parlare forbito delle popolane imparava una nuova volgarità correva dalla mamma, affermando contento: ”Ne ho imparata un’altra”.
A cinque anni era bellissimo, i genitori tentarono di iscriverlo in prima elementare ad una scuola pubblica situata sui gradini Mancinelli, ma dopo pochi giorni dovettero desistere ed iscriverlo all'asilo, scegliendo un istituto prestigioso: il Froebeliano, sito in piazza Cavour, dove frequentò anche le elementari, per iscriversi poi alle medie alla Santa Maria di Costantinopoli.  
Proseguendo verso l’alto, sulla destra, si erge, di colore rosso, la mole imponente di un palazzo (fig.5), una volta residenza di nobili e professionisti affermati, oggi, al massimo, di impiegati del catasto e di fruitori del reddito di cittadinanza.    
 Meno di 200 metri di salita ed arriviamo all’incrocio con la Salute ed il Cavone, un punto nevralgico dominato dall’alto dal Parco Cis (fig.6–7), un oasi di pace, dotata di verde e di possibilità di parcheggiare l’auto. In questo condominio privilegiato abita il famoso archi botanico Davide Napolitano, un vero mago del giardinaggio in grado di trasformare un intrigo di ortiche e rampicanti in una succursale del Paradiso terrestre. Attraversiamo e sulla destra incontriamo la chiesa di Santa Maria Maddalena de' Pazzi (fig.8), fondata, assieme all'annesso convento, nella prima metà del XVII secolo al fine di ospitare le sorelle Carmelitane, dopo che queste dovettero abbandonare il monastero del Santissimo Sacramento.    
Il mercante Gaspare Roomer fu colui che donò i fondi necessari all'acquisto del terreno e al contempo riuscì a far intitolare il complesso conventuale a santa Maria Maddalena de' Pazzi, della quale aveva divulgato la canonizzazione.
Il tempio venne edificato su progetto di Onofrio Tango, ma fu Giovanni Sparanno a provvedere alla costruzione vera e propria. Nel XVIII secolo Mario Gioffredo  ridimensionò il monastero. In seguito gli impianti seicenteschi vennero ulteriormente trattati da Pompeo Schiantarelli e Giuseppe Astarita. L'interno è a navata unica a croce greca (fig.9). Sull'altare maggiore è da menzionare la pregevole opera di Paolo Finoglio che raffigura la vicenda in cui santa Maria Maddalena e santa Maria Maddalena de' Pazzi adorano l'ostensorio sorretto da angeli (fig.10). Gli altari laterali sono invece sormontanti da quadri firmati da Davide Forte e Carlo Passarelli, risalenti agli anni '20 e 30 del XX secolo. Altro importante tesoro della chiesa è nella facciata: si tratta di un portale barocco in piperno, originariamente decorato con ori ed affreschi.  
 
fig.11 - Continua la salita

fig.12 - Un tram negli anni Cinquanta

fig.13  Palazzo Loffredo in via Salvator Rosa 260

fig.14  Palazzo Loffredo scala  interna

fig.15  - Piazza Mazzini

Continuiamo Continuiamo ancora a salire (fig.11–12) ed incontriamo, sempre sulla destra, all’altezza del civico 260 il palazzo Loffredo (fig. 13), un edificio esistente già, nel XVI secolo con forme da villa sub-urbana. La struttura fu rifatta nel XVIII secolo, in gusto vaccariano. Il palazzo è caratterizzato da una larga facciata, al centro della quale si apre un portale mistilineo in stucco terminante in un capriccio reggibalcone; lungo il lato destro e sinistro del prospetto ci sono due piccoli e semplici portoncini sussidiari. La facciata è ripartita su tre piani con mezzanino; il lato destro è più basso di un piano. Le finestre sono inquadrate tra listellature smussate ai bordi in stucco come in palazzo dello Spagnolo. Nel cortile si apre una pregevole scala aperta a tre arcate (fig.14) che conduce ai vari appartamenti. Oggi l'edificio si presenta in ottime condizioni conservative grazie ai radicali interventi di restauro fatti in anni recenti.   
E finalmente arriviamo in piazza Mazzini (fig.15) dominata dalla statua, non di Mazzini, bensì di Paolo Emilio Imbriani, sindaco di Napoli dal 1870 al 1872.
Egli fu primo cittadino di Napoli per poco tempo e la sua esperienza è essenzialmente legata ad una scelta che ancora oggi segna la vita della città: per il suo patriottismo estremo, il 18 ottobre del 1870 deliberò la modifica del toponimo di via Toledo in via Roma, in memoria dell’evento storico del precedente 20 Settembre durante il quale la città capitolina fu annessa all’Italia unita.

fig.16 -  Chiesa di S. Maria della Pazienza (facciata)

fig.17 - Carlo Mele - Madonna col Bambino

fig.18 - Chiesa di S. Maria della Pazienza (interno)

Da piazza Mazzini si può imboccare il Corso Vittorio Emanuele, che per un primo lungo tratto appartiene al quartiere Avvocata, oppure continuare a salire, ripetendo una parte del percorso della antica via Antiniana per colles, che congiungeva il centro storico con Pozzuoli, allora denominata Puteoli.         
Meno di cento metri e possiamo ammirare sulla sinistra la splendida facciata della chiesa di Santa Maria della Pazienza, conosciuta anche come Cesarea (fig.16–17),
un complesso fondato nel 1601 e formato da un antico ospedale e dall'omonima chiesa basilicale. Essa è denominata anche Cesarea perché prende il nome del suo fondatore Annibale Cesareo, che ne fece sacello di famiglia; egli fu segretario della regia camera di Santa Chiara.     
L'edificio è stato realizzato in forme puramente barocche; particolarmente significativi, furono gli arricchimenti tra l'anno di fondazione e il 1636, anno in cui il complesso fu concluso. Tuttavia, nel XVIII secolo furono intraprese importanti ristrutturazioni: nel 1733 ad opera di Costantino Manni e due anni dopo grazie a Tommaso Eboli.        
Da agosto a novembre 1917, San Pio da Pietrelcina frequentò questa chiesa dove celebrò anche messa, essendo di stanza nella vicina Caserma Cesarea, dove prestava il servizio militare.            
Nell'interno (fig.18), formato da una vasta navata e cappelle laterali, sono custodite numerose opere d'arte. Sul soffitto a cassettoni è disposta una grande tela raffigurante il Riposo in Egitto, di Giuseppe Pozzovivo; le altre opere pittoriche sono di Giovanni Battista Lama: la Carità, l'Ospitalità, l'Abbondanza, la Misericordia, l'Onore, la Sapienza, la Concordia, la Saggezza e la Provvidenza, poste sugli arconi sopra le cappelle laterali (fig.19) databili 1730-32 e soprattutto la imponente controfacciata, raffigurante la Strage degli innocenti (fig.20) e l’Angelo custode, conservato nella prima cappella a sinistra (fig.21).           
Altri artisti che lavorarono per la chiesa sono: Lorenzo De Caro, Hendrick van Somer (fig.22), Nicola ed Oronzo Malinconico (fig.23). Tra le opere scultoree è da menzionare principalmente l'altare maggiore; questo, fu smembrato per la ricostruzione dell'abside e le tarsie vennero riutilizzate. Altra opera scultorea di spicco è il Monumento di Annibale Cesareo (fig.24), realizzato da uno dei maggiori scultori presenti in quel tempo a Napoli, ovvero, Michelangelo Naccherino. Inoltre, alcuni angeli in stucco sono da attribuire a Domenico Antonio Vaccaro. Nella quinta cappella sulla destra, interessante è anche la statua lignea di Francesco Citarelli; risalente al 1859, l'opera raffigura San Raffaele Arcangelo e Tobiolo (fig.25).       
Di fronte, un vero monumento alla vergogna è costituito dalla facciata della chiesa della Trinità alla Cesarea (fig.26), negata alla fruizione da decenni e con l’ingresso murato.    

 

fig.19 - Parete della navata

fig.20 - Giovan Battista Lama - Strage degli innocenti (controfacciata)

fig.21 - Giovan Battista Lama - Angelo custode (prima cappella a sinistra)

fig.22 - Hendrix van Somer - Fuga in egitto (presbiterio)

fig.23 - Oronzo Malinconico - S. Nicola da Bari (terza cappella a sinistra)

fig.24 - Michelangelo Naccherino - Tomba di Annibale Cesareo - 1601

fig.25 - Francesco Citarelli - San Raffaele Arcangelo e Tobiolo

fig.26 - Chiesa SS. Trinitá alla Cesarea

Ci riportiamo sul lato sinistro ed incontriamo la mole imponente del  liceo ginnasio statale "Gian Battista Vico" (fig.27), uno storico istituto scolastico di Napoli, ubicato in via Salvator Rosa 117, che prende il nome dal celebre filosofo partenopeo Giambattista Vico. Il liceo è nato nel 1881 come liceo classico. Tra il 1930 e il 1932 è stata realizzata la sede in via Salvator Rosa, modificando una precedente struttura monastica, il complesso di San Francesco di Sales, che da quel momento ospitò due istituti scolatici: il liceo Vico e la scuola elementare Vincenzo Cuoco.       
Tra gli anni Sessanta e Novanta del XX secolo il "Vico" fu molto attivo sulla scena politica napoletana, in quegli anni infatti si svilupparono al suo interno numerosi gruppi politici vicini alle ideologie della sinistra radicale che ebbero un ruolo importante nelle lotte studentesche. Il liceo inoltre fu, durante le proteste studentesche dei primi anni novanta (movimento della pantera), il primo istituto scolastico di Napoli ad essere occupato dagli studenti oltre che teatro di scontri, spesso anche violenti, tra gruppi di sinistra e di destra. L'aula magna del liceo è stata dedicata alla memoria del suo ex alunno Giancarlo Siani, ucciso dalla camorra nel 1985.      
Negli ultimi anni ha aperto sezioni di liceo scientifico e linguistico. Possiede un laboratorio scientifico, un museo, una biblioteca, palestre e campi da gioco per varie discipline sportive.    

 

fig.27 - Liceo Gian Battista Vico

fig.28 - Chiesa di S. Maria della Puritá dei Notari

fig.29 - Chiesa di S. Maria della Puritá dei Notari (interno)

fig.30 - Nunzio Maria Rossi-Madonna della Puritá

Attraversiamo di nuovo, sempre rigorosamente sulle strisce pedonali ed incontriamo la facciata della chiesa di Santa Maria della Purità dei Notari (fig.28), aperta solo un’ora alla settimana per la celebrazione della messa, officiata dal parroco della chiesa posta in piazza Cannetto.     
La struttura religiosa trae le proprie origini verso la fine del XVII secolo. Fu ceduta, nel 1719 da Tommaso Porzio, al conservatorio fondato dal notaio Agnelo Capestrice  nel 1639; questi, lo eresse per tenervi agli studi le sette figlie dei suoi colleghi, e proprio per questo motivo la struttura di culto è denominata anche "chiesa re nutare" (chiesa dei notai).    
Il suo interno (fig.29), a pianta rettangolare e transetto, è caratterizzato da un'agile cupola. Vi si trovano anche due altari con le statue di San Vincenzo Ferrer e del Sacro Cuore di Gesù, un pulpito marmoreo e l'organo. L'altare maggiore, in raffinato stile rococò, è sovrastato dalla tela raffigurante la Vergine della Purità con Santi (fig.30) di Nicola Maria Rossi; della bottega di Rossi, sono gli altri dipinti settecenteschi raffiguranti Sant'Andrea, San Michele e l'Adorazione dei Magi. Inoltre, ricordiamo anche il crocifisso e l'Ecce Homo lignei.          
E siamo arrivati oramai alla fine del nostro percorso (fig.31) alla  stazione della linea 1della Metropolitana di Napoli (fig.32), in funzione dall'aprile 2001; progettata da Alessandro Mendini, facente parte del circuito delle stazioni dell'arte.
L'area circostante la stazione ha beneficiato di una profonda riqualificazione che ha riportato allo splendore i resti di un ponte romano (fig.33) e una graziosa cappella neoclassica e ha valorizzato i palazzi circostanti, trasformandoli in opere d'arte, grazie all'intervento di artisti come Mimmo Rotella, Ernesto Tatafiore, Mimmo Paladino, Renato Barisani e Gianni Pisani.      
I diversi livelli del parco prospiciente la stazione sono collegati anche attraverso una lunga scala mobile esterna, che conduce al piazzale dei giochi, progettato da Salvatore Paladino e Mimmo Paladino. Sul pavimento, a intarsi in travertino su pietra lavica, sono stati realizzati tre giochi praticabili, il tris, la campana e il labirinto. Un richiamo al gioco, con i loro vivacissimi colori, sono anche le sculture ludiche di Salvatore Paladino. Nello stesso piazzale, ma in posizione più appartata, si trova la monumentale “mano” di Mimmo Paladino. L'intero percorso esterno è punteggiato dalle opere di alcuni tra i protagonisti dell'arte contemporanea: Renato Barisani, Augusto Perez, Lucio Del Pezzo, Nino Longobardi, Riccardo Dalisi, Alex Mocika, Ugo Marano. La suddetta scala mobile costituisce anche un'ulteriore uscita verso la soprastante via Vincenzo Romaniello (tristemente famosa in quanto nel 1985 fu ucciso dalla camorra, in un agguato sotto la sua abitazione, il giornalista de Il Mattino Giancarlo Siani), che conduce dopo poche decine di metri a Piazza Leonardo. All'interno della stazione è possibile ammirare le installazioni di numerosi artisti.    
La stazione è dotata anche di una seconda uscita a valle di via Salvator Rosa (aperta nel dicembre 2002), la cui presenza è segnalata da una guglia dell'Atelier Mendini, posta al centro di un piazzale. Il basamento della guglia è ricoperto dai rilievi in ceramica di Enzo Cucchi, raffiguranti alcune icone dell'immaginario partenopeo, mentre poco distante vi è un altro simbolo della città, il Pulcinella di Lello Esposito.
 
fig.31 - Parte finale di via Salvator Rosa

fig.32 - Stazione Salvator Rosa della Metropolitana di Napoli

fig.33 -Ponte romano prospiciente stazione



mercoledì 26 agosto 2020

Le chiese sulla collina della Costigliola

 

fig.1 - Chiesa dei SS. Bernardo e Margherita (facciata)

La collina della Costigliola è una zona della città delimitata da via Pessina, via Salvator Rosa ed il Cavone.Oltre a bassi puzzolenti e personaggi dai volti patibolari, sono presenti numerosi edifici sacri, che descriveremo in questo capitolo, ad eccezione della chiesa di San Potito, alla quale abbiamo dedicato un capitolo specifico, consultabile digitando il link
http://achillecontedilavian.blogspot.com/2018/01/finalmente-riapre-la-chiesa-di-san.html
e quella di S. Monica, la quale con l’annesso monastero protrude verso il basso nel Cavone e la descriveremo nel relativo capitolo.        
Partiamo perciò dalla chiesa dei Santi Bernardo e Margherita, ubicata in via San Giuseppe dei Nudi. L'edificio è incorporato nel Complesso del Sovrano Militare Ordine di Malta, ed è anche noto come chiesa di San Giovanni del Sovrano Ordine di Malta.      
Il complesso venne fondato nel 1646 da monache francescane del monastero dei Santi Bernardo e Margherita a Fonseca, che gradivano vivere con regole di clausura più rigide. Le monache acquistarono numerose proprietà adiacenti per fondare il proprio monastero, che venne ristrutturato già nel XVIII secolo; il refettorio fu realizzato nel 1722 da Antonio Tango e la chiesa venne eretta, su progetto di Giovan Battista Nauclerio, tra il 1725 ed il 1732.
La chiesa presenta una facciata tardo barocca (fig.1) che introduce elementi rococò ed è caratterizzata da un portico con loggiati laterali chiusi successivamente, mentre all'ordine superiore si presenta una pregevole decorazione in stucco. La scala d'accesso mostra una notevole qualità esecutiva delle parti in piperno.  
L'interno è a croce greca di matrice ottagonale, con al centro una cupola con otto finestroni. Le pareti sono articolate grazie all'utilizzo dell'ordine gigante di lesene composite. Di buona fattura sono gli stucchi che ornano le volte e le pareti. L'altare maggiore venne ricostruito nel 1956 ed è sormontato da una tela di Giovanni Antonio Amato,raffigurante l’Immacolata (fig.2), mentre sulla controfacciata è collocata un’Annunciazione (fig.3) di incerta attribuzione, che richiama a viva voce i modi del Guarino.  Sui due altari del transetto I Santi Gennaro, Francesco d’Assisi e Nicola di Bari sono opera di un pittore noto solo agli specialisti: il solimenesco Michelangelo Schilles e il Calvario di ignoto pittore settecentesco. Infine i restanti quattro dipinti possono essere attribuiti ad un seguace di Paolo De Matteis.   
Con l’abolizione dei monasteri il complesso divenne nel 1820 Alloggiamento di vedove militari; nel 1859 vi subentrarono i Cavalieri del Sacro Militare Ordine Gerosolimitano (i Cavalieri di Malta) che in una parte dell’immobile impiantarono un ospedale tuttora attivo come ambulatorio, mentre la restante parte è trasformata in abitazioni. 

 

fig.2 - Giovanni Antonio Amato - Immacolata con i SS. Bernardo e Margherita

fig.3 - Ignoto seguace di Guarino - Annunciazione

Il Sovrano Militare Ordine di Malta è un’istituzione gloriosa, nata secoli fa in una piccola isola dalla grande storia. E nel tempo ha acquisito benemerenze grazie all’opera instancabile dei suoi membri; tra questi uno dei più autorevoli cavalieri (anche se senza cavallo) che vogliamo ricordare ai nostri lettori è Marco De Ruggero (fig.4), più noto negli ambienti diplomatici come “o chiattone”, la cui massima referenza consiste nell’essere un amico sincero e di vecchia data di mia figlia Marina.
Passiamo ora alla chiesa di San Giuseppe dei Vecchi, fondata nel 1614 da Andrea Cavallo, padre caracciolino, sui suoli di una delle proprietà Carafa. In breve tempo la chiesetta ed il monastero divennero subito operativi, ma nel 1634 i monaci affidarono a Cosimo Fanzago la progettazione di una chiesa più grande e maestosa. Il progetto fanzaghiano andò a rilento per diversi motivi, compresa l'epidemia di peste del 1656; nel 1665, la chiesa venne consacrata ancora incompleta, tanto che la fabbrica era coperta per mezzo di un tetto provvisorio. Venne completata tra il 1706 e il 1712 dall'architetto Onofrio Parascandalo e nel 1732, per far fronte ai danni del terremoto del medesimo anno, l'ordine incaricò a Nicola Tagliacozzi Canale il restauro e il consolidamento della struttura.    
Sulla facciata, il portale in piperno (fig.5), che funge da sagrato, è opera di Francesco Solimena. L'interno è a croce greca con l'asse longitudinale più lungo dell'altro asse; possiede quattro cappelle angolari e l'abside, poligonale, presenta un arco, simile ad una serliana, che nasconde un ulteriore ambiente destinato ad ospitare una tela (fig.6–7).  

 

fig.4 - O chiattone

 

fig.5 - Chiesa di San Giuseppe dei Vecchi (facciata)
 

 
fig. 6 - Chiesa di San Giuseppe dei Vecchi (interno)

 
fig.7 - Chiesa di San Giuseppe dei Vecchi (cupola)

La chiesa è un vero e proprio giacimento di capolavori dell’arte: gli stucchi del ‘700, gli affreschi che illustrato le scene dell’Antico e Nuovo Testamento e, soprattutto, della vita di San Giuseppe. Nelle cappelle laterali spiccano quelle di San Michele Arcangelo con una tela a olio (fig.8), sopra l’altare, di Nicola Maria Rossi, giovane allievo del Solimena, mentre nell’altra un pregevole dipinto che raffigurano San Francesco Caracciolo (fig.9) di Antonio Sarnelli, allievo di Paolo De Matteis che, a sua volta, era stato discepolo di Luca Giordano! Numerose anche le sculture intagliate nel legno, arte di cui la capitale vicereale poteva vantare una solida e famosa tradizione. Tra questi si segnalano quelle di S. Anna, l’Ecce Homo, un pregevole crocifisso e due splendidi angeli settecenteschi ai lati dell’altare maggiore.        
Nella sacrestia sono conservati una decina di dipinti, ignoti agli schedari della Sovrintendenza e mai citati in alcuna pubblicazione. Essi sono di grande interesse e sono opera di seguaci di Pacecco De Rosa e Filippo Vitale.   
Dietro all’altare maggiore vi è un ampio vano con una spettacolare affacciata su panorama: in basso il Cavone, di fronte l’ex carcere minorile.
Sulla sinistra della chiesa vi è il vecchio monastero, da tempo divenuto il Palazzo delle Conciliazioni, con un chiostro molto bello che presenta tre bracci restaurati (fig.10), mentre un quarto versa in condizioni fatiscenti. Di grande effetto sono sulle pareti il doppio partito di lesene e cornici, da cui si sviluppano in perfetta continuità i piani di piperno dei balconi e nelle volte degli ambulacri le coperture, a cellule giustapposte di basse cupolette ovali. Al centro uno splendido pozzale in piperno (fig.11), opera negli anni Quaranta del Settecento di Tagliacozzi Canale, uno dei principali esponenti del rococò napoletano.  

 

fig. 8 - Chiesa di San Giuseppe dei Vecchi (lato sinistro)

 
fig. 9 - Antonio Sarnelli - San Francesco Caracciolo

fig.10 - Nicola Tagliacozzi Canale - Scala dell'ex convento

fig.11 - Nicola Tagliacozzi Canale - Chiostro con pozzale

Ed inoltre nella chiesa di San Giuseppe dei Vecchi, oltre a venerare la tomba di don Dolindo, di cui abbiamo parlato nel capitolo Corbellerie e boiate a volontà,  si può consultare l’archivio parrocchiale: una miniera inesauribile di notizie tra processetti matrimoniali, certificati di battesimi e di morte. Tra questi spicca per la gioia degli storici del futuro il fascicolo 386, ai quali lo proponiamo, che conserva gelosamente il certificato di battesimo (fig.12) di un illustre personaggio napoletano, che indichiamo con tutti i suoi nomi: Achille, Giovanni, Antonio, Gertrude. Ma come Gertrude? Un nome femminile per il celebre Pelide? Spiegazione semplicissima: Gertrude è la protettrice dei neonati e da secoli tutti i rampolli del nobile casato della Ragione, maschi o femmine che siano, lo tengono come nome secondario. Al fianco del documento battesimale, 1° giugno 1947, è riportata la data del matrimonio, avvenuto nella famosa chiesa di Santa Chiara il 15 settembre 1973, quando il focoso Pelide impalmò una giovane fanciulla che rispondeva e risponde ancora dopo 47 anni al nome di Elvira Brunetti. E sulla destra vi è ancora uno spazio vuoto che attende e attenderà a lungo, forse invano, a causa dell' l’immortalità del personaggio, la data e la località del decesso.        
Nella chiesa il celebre Achille ha celebrato anche la sua prima (ed anche ultima) comunione (fig.13 ) avendo come compare il fratello maggiore Carlo (fig.14) e come officiante il cardinale in carica all’epoca.
 

 

fig.12 - Battesimo Achille - fascicolo 386

 

fig.13 - Prima comunione di Achille

fig.14 - Achille con il cardinale


Poco più di 200 metri e dalla chiesa di San Giuseppe dei Vecchi ci portiamo in quella di San Giuseppe dei Nudi (fig.15–16) costruita  nel 1785 grazie all'Arciconfraternita e Real Monte di San Giuseppe, formata principalmente da nobili, avvocati, architetti, artisti, prelati (pontefici inclusi) desiderosi di dedicarsi anche ad attività benefiche. La chiesa è un ampliamento del precedente edificio religioso agostiniano dedicato a Santa Maria dell'Olivo. Il progetto venne affidato a Giovanni del Gaizo, ma, nel 1888, la chiesa venne completamente rimaneggiata grazie a Luigi Angiolia. Tuttavia, il tempio ha conservato l'articolazione ad aula quadrata, coperta da volte con due cappelle affondate e il coro absidale poligonale. La chiesa è a croce greca; l'altare maggiore è sovrastato da un dipinto di Achille Jovene del 1872, rappresentante San Giuseppe e la pia opera di vestire gli ignudi (fig.17), che è presente anche sulla copertina (fig.18) della splendida monografia edita nel 2017 dall’editore Longobardi. I due altari laterali sono entrambi settecenteschi e sono sovrastati dalle pregevoli tele raffiguranti l'Adorazione dei Pastori di Girolamo Starace-Franchis e Santa Margherita da Cortona di artista ignoto del XVIII secolo. La contigua sagrestia contiene arredi settecenteschi, una elegante cassa da morto (fig.19) da utilizzare in condominio dai soci dell’arciconfraternita nel giorno fatidico del trapasso e due dipinti (fig.20–21) da attribuire con certezza al virtuoso pennello di Niccolò De Simone.
 
 
fig. 15 -San Giuseppe dei Nudi (facciata)

 
fig.16 -San Giuseppe dei Nudi (interno)

 
fig.17  - Achille Iovane - Vestire gli ignudi - firmato 300x230

 
fig.18 - Copertina monografia

fig.19  - Catafalco condominiale

 
fig. 20 Niccolò De Simone - Incontro degli apostoli Pietro e Paolo alle porte di Roma - 230x305

 
fig. 21 - Niccolò de Simone - Martirio di San Gennaro nella Solfatara - 230x305


Dal Dal numero civico 19 di via Giuseppe Mancinelli si accede ai locali dell'omonima arciconfraternita, dove si conservano: l'archivio storico dell'opera, un prezioso archivio musicale con spartiti di Giovanni Paisiello e un'interessante raccolta di dipinti , tra i quali si annoverano una Madonna dell'Umiltà (fig.22) del XIV secolo, oltre ad opere di Onofrio Palumbo (fig.23), Giuseppe Ribera (fig.24), Francesco De Mura (fig.25), Giuseppe Bonito (fig.26) e Giovanni Sarnelli (fig.27), sculture, paramenti sacri e reliquie (tra queste spicca la celebre "mazzarella" di San Giuseppe, da cui la nota frase in vernacolo: “Non sfrocoliate 'a mazzarella e San Giuseppe”, della quale abbiamo parlato nel capitolo dedicato alle Corbellerie). 
Il Real Monte ed Arciconfratera di San Giuseppe dell’Opera di Vestire i Nudi fu fondata il 6 gennaio 1740. Su consiglio e incoraggiamento del padre spirituale Giuseppe Maria di San Carlo dei Carmelitani Scalzi, e per iniziativa di alcuni nobili napoletani: Francesco Cerio, Domenico Orsini e Nicola Antonio Pirro Carafa. Il 30 giugno 1740 con l'adesione del Re di Napoli Carlo di Borbone assume il nome di Regal Monte e Congregazione di San Giuseppe dell’Opera di Vestire i Nudi e Vergognosi. Scopo precipuo era la donazione di sette vesti per altrettanti poveri e bisognosi, che continuò fino alla prima metà del Novecento, e fu poi sostituito da altre attività caritatevoli. Furono ascritti alla confraternita i papi Pio VI, Pio VII, Leone XII, Pio IX, Leone XIII, Pio X e Pio XII, nonché i sovrani del Regno di Napoli: Carlo III ne fu superiore perpetuo e protettore, così come Ferdinando I, Francesco I, Ferdinando II e Francesco II.

 

fig.22 - Ignoto pittore napoletano del Tracento - Madonna dell'umiltá - Tempera e oro su tavola - 105x61

fig. 23 - Onofrio Palumbo - Santissima trinitá con cinque arcangeli - 265x207

fig. 24 - Jusepe de Ribera - San francesco di Paola - 75 x61

 

fig.25 - Francesco De Mura - S. Elisabetta con San Giovannino - 76 x94

fig.26 - Giuseppe Bonito - Madonna col Bambino e San Giovannino - 106x92

fig.27 - Giovanni Sarnelli - San Giuseppe col Bambino - firmato e datato 1787 - 53x39