17/12/2005
Si riparla di amnistia e questa volta pare che possa essere la volta buona.
Marco Pannella con il suo invito suadente, con il suo sciopero della fame, più simbolico che reale, sembra aver compattato le forze parlamentari sia di destra che di sinistra, riuscendo lì dove fallì il grande Giovanni Paolo II, che aveva chiesto al Parlamento un gesto, anche minimo, di clemenza.
L’emergenza criminale spaventa i cittadini, ma la vita dei carcerati è una realtà scottante ed il livello di civiltà e di democrazia di un Paese si valuta a seconda del modo in cui vengono trattati i più deboli e non esiste categoria più abbandonata e negletta della popolazione carceraria, privata non solo del bene più prezioso per un individuo: la libertà, ma costretta, per il disumano sovraffollamento delle nostre diaboliche “caienne”, a subire una infinità di pene accessorie più varie, dalle violenze sessuali alla sporcizia obbligatoria, stipati come bestie in gabbia, fino a limiti allucinanti di 16 persone in una cella di 4 metri per 4, più una squallida ed angusta latrina per i bisogni corporali, per lavarsi e per lavare le stoviglie dopo i pasti.
Napoli, come sempre, quando si tratta di record negativi è in testa alla classifica con il sovraffollamento da quarto mondo dei suoi penitenziari, al cui confronto i gironi infernali danteschi impallidiscono miseramente. In queste disperate condizioni, prive di qualsiasi dignità, naturalmente qualsiasi tentativo di recupero è mera utopia: diritto allo studio, al lavoro, ad un minimo spazio vitale rappresentano chimere irraggiungibili.
E così ogni giorno si calpesta e si ignora sfacciatamente il terzo comma dell’articolo 27 della nostra Costituzione, il quale recita solennemente: ”… le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
Inoltre, alle disperate condizioni di vita nei penitenziari si associano ulteriori disfunzioni, quali la esasperante lentezza con cui i giudici di sorveglianza esaminano le posizioni dei detenuti, che avrebbero diritto ad uscire dal carcere ed usufruire del regime di semilibertà.
Se Napoli è da record, anche gran parte degli altri istituti di pena italiani soffrono di condizioni di sovraffollamento più o meno gravi e di condizioni di vivibilità ai limiti dell’incubo. Un inferno che neanche la fertile fantasia di Dante avrebbe potuto immaginare, causato dal gran numero di detenuti.
Un record europeo del quale vergognarsi, che potrebbe in parte attenuarsi attraverso una diffusa adozione del braccialetto elettronico, che permetterebbe un maggior utilizzo degli arresti domiciliari, soprattutto per i detenuti in attesa di giudizio, i quali per i 2/3 verrà assolto al termine del giudizio. Ma soprattutto un gesto di clemenza, anche ridotto, per dimostrare che lo Stato non dimentica nessun cittadino.
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