giovedì 25 febbraio 2016

La storia di Giulio Cesare

 

di Leonardo Carignani di Novoli

Degna di encomio questa breve tesina, illustrata da belle immagini, di uno scrittore in erba (nove anni), ma che siamo sicuri percorrerà una brillante carriera


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L'histoire de Jules Cesar


I Qui était ce grand homme ?

Jules César est un des personnages les plus importants de l'histoire.
C’est un romain (né à Rome en Italie) qui a vécu pendant l’Antiquité.
Il est né en 100 avant JC et est mort assassiné en 44 avant JC par des sénateurs.
Jules Césarest un général en chef de l'armée romaine, un grand homme politique et un écrivain romain.
Il va jouer un grand rôle dans l’agrandissement des territoires de l’Empire romain



II Son ascension politique – le triumvirat

Jules César rêve du pouvoir et commence une grande carrière politique qui va le mener jusqu’au Sénat de Rome (les sénateurs sont les représentants du peuple romain).
Il va faireun pacte secret (une alliance secrète) avec deux autres généraux romains célèbres : Pompée et Crassus.
A eux trois, ils veulent se partager le pouvoiret régner sur Rome.
C'est le triumvirat.
Grâce à cette alliance, Jules César devient consul de Rome (c’est comme président de la République romaine et commandant des armées)




III La Guerre des Gaules

A la tête de l’armée romaine, il va remporter de nombreuses batailleset agrandir l'empire romain.
Il se lance dans l'une des campagnes les plus connues: la conquête de la Gaule. (C’està peu près la France d’aujourd’hui).
Il va gagner la fameuse bataille d'Alésiacontre les Gaulois et leur chef Vercingétorix
Vercingétorix, le chef arverne (actuellement l’Auvergne) jette ses armes aux pieds de César.
Officiellement, la Gaule est vaincue, c’est une victoire triomphale pour César !





L’empire romain tout autour de la Méditerranée


IV Le Rubicon

Pompée,est jaloux des succès de César et ne veut plus qu’il soit le chef des armées romaines en Gaule.
César décide de retourner à Rome avec son armée pour faire la guerre au Sénat et à l’empereur Pompée.
Il franchit une petite rivière entre la Gaule et l’Italie qui s’appelle le Rubicon et prononça ces mots : « Alea jacta est » « Le sort en est jeté. ».





V La guerre civile entre César et Pompée

César et Pompée vont faire la guerre pendant quatre ans pour obtenir le pouvoir absolu.
Pompée est vaincu et doit fuir en Égypte où il est assassiné sur ordre du pharaon Ptolémée XIII.
César arrive en Égypte pour venger l’assassinat de Pompée.
Il détrône Ptolémée XIII et donne la couronne d'Égypte à Cléopâtre qui devient la reine d’Egypte.


VI Le pouvoir absolu

Lorsque César revient à Rome, il est le maitre absolu et est alors au sommet de sa gloire.
Il se fait nommer dictateur de Rome pour dix ans.
L'imperator règne sur l’empire romain et sur toute la Méditerranée.
Pour donner du travail aux romains il embellit Rome et il accorde des terres à ses soldats vétérans.


VII L’assassinat de César

Mais le peuple accuse César de vouloir se faire roi à vie ! (Ce serait la fin de la république romaine pour de bon)
Il sera assassiné en pleine séance du Sénat par des sénateurs partisans de la restauration de la république.
César tombe au pied de la statue de son ancien ennemi Pompée et apercevant son fils adoptif Brutus, il s'exclame :
«tu quoque, mi fili» « Toi aussi mon fils. »
Dans son testament, l'empereur désigne comme héritier son fils Octave qui sera le tout premier empereur romain (le futur empereur Auguste)

venerdì 19 febbraio 2016

Nuovo libro di Achille della Ragione


Finalmente è disponibile il nuovo libro di Achille della Ragione dal titolo "Scritti sulla pittura del Seicento e Settecento napoletano" I tomo, il quale raccoglie una serie di articoli  pubblicati dall’autore nel 2015 su riviste cartacee e telematiche.
Si tratta in prevalenza di contributi alla storia della pittura napoletana del Seicento e del Settecento, ma non è trascurata la grafica e soprattutto l’invito a scoprire, in egual misura, vecchie chiese e nuovi musei, come nel caso della Cattedrale di Pozzuoli o della chiesa della Consolazione a Villanova, o del nuovo museo etrusco del Denza o di Palazzo Caracciolo di San Teodoro.
Un articolo è dedicato alla scultura lignea, un argomento trascurato e che merita di essere conosciuto, come pure sono recensite alcune delle più importanti mostre tenutesi negli ultimi mesi.


Capitoli del nuovo libro

Il libro si può ordinare presso
Libro Co Italia – tel. 055 8229414 – 055 8228461 – libroco@libroco.it
Libreria Neapolis – tel. 081 5514337 – info@librerianeapolis.it
Oppure contattando direttamente l’autore  a.dellaragione@tin.it

Nostalgia di Mike




Avendo partecipato 44 anni fa all’ultima puntata del Rischiatutto ero stato contattato per partecipare alla prima del nuovo ciclo, avrei così costituito un filo conduttore tra Mike ed i suoi epigoni, ma dopo aver visto le brevi presentazioni in onda ogni sera sul Tg3 dei potenziali concorrenti sono stato colto da sconforto. Possibile che il livello culturale del nostro Paese è sceso così in basso, da non conoscere da quante regioni è composta l’Italia o tante altre domande banali, a cui dovrebbe saper rispondere un bambino delle elementari e che viceversa lasciano stupefatti i futuri partecipanti al telequiz.
Il fantasma di Mike sicuramente si starà rivolgendo nella tomba al pensiero che la sua gloriosa trasmissione, che ha fatto, se non la storia di Italia, almeno la storia della nostra televisione, sia animata da personaggi che non hanno alcun rapporto con la conoscenza.
O tempora o mores avrebbe esclamato qualcuno, ma non provate a chiedere il suo nome ai prossimi concorrenti.

Achille della Ragione


giovedì 18 febbraio 2016

Il ritmo frenetico della ‘ndrezzata, una tarantella armata

'Ndrezzata



La stessa parola tarantella richiama alla mente Napoli, anche se, secondo autorevoli studiosi, deriva da una tarantella ballata nelle Puglie che, secondo la credenza popolare, serviva a liberare dal veleno iniettato dal morso della tarantola.
Ben presto la tarantella napoletana acquistò una sua precisa autonomia, divenendo una danza caratterizzata da precisi movimenti segnati da ritmica gioiosità e  da una evidente allusività erotica, che ne ha fatto per due secoli uno dei balli più popolari del mondo.
Bisogna precisare che il tarantismo rinvia ai culti orgiastici dell’antichità greca nei quali la musica ha una funzione catartica in linea con le pratiche culturali del dionisismo; poi, con il predominio del cristianesimo, si determinò una crisi degli orizzonti mitico rituali del mondo antico, a tal punto che vi fu una polemica tra San Paolo e la Chiesa di Corinto, che praticava una liturgia che tendeva eccessivamente al raggiungimento dell’estasi.
Le pulsioni represse durante il medio evo trovarono nella danza sfrenata seguaci in tutta Europa, come i danzatori di San Giovanni e di San Vito ricordati da Nietzche nei suoi scritti.
Il tarantismo è da interpretarsi come l’esorcismo coreutico musicale dell’eros represso, quell’eros che poteva manifestarsi liberamente nell’orgiasmo pagano e che in epoche successive era costretto ad utilizzare travestimenti simbolici e differenti modalità di estrinsecarsi. A Napoli nel 1721 l’illustre medico Cirillo identificò nell’Ospedale degli Incurabili un caso di tarantismo che riuscì a guarire attraverso l’intervento di suonatori da lui convocati.
E passiamo ora alla nostra tarantella, non più danza di possessione bensì danza di costume. Sotto il profilo musicale dobbiamo  rilevare una  sostanziale differenza tra il tarantismo pugliese,che ha un tempo pari, e la tarantella, nella quale il tempo dispari crea un ritmo più svelto e brioso.
Accenniamo infine all’ipotesi sostenuta dallo studioso Renato Penna che fa derivare la tarantella dalla fusione del ballo  di Sfessania, di origine moresca, con ilfandango di origine spagnola.
Per quel che riguarda gli strumenti d’accompagnamento vi è il predominio di quelli a corda ed a percussione (calascione e tamburello) su quelli a fiato con l’introduzione  di nuovi strumenti autoctoni come il putipù, lo scetavajasse, ‘o siscariello e il triccaballacco.
Inoltre, nella tarantella la gestualità viene scandita in tre fasi: in piedi, caduta al suolo e movimenti a terra, oltre ad altri  passi e figure d’incerta origine.
Ne esistono due forme: una semplice, ballata da sole donne, ed una complicata, in cui si esibiscono anche gli uomini.
La tarantella, come raffigurano numerosi dipinti, veniva ballata dal popolo in occasioni importanti come la festa della Madonna dell’Arco, quando i partecipanti si scatenavano in maniera talmente eccitata da far esclamare al Mantegazza che essa gli ricordava, per lo sfrenato erotismo, le orge di alcune popolazioni selvagge.
All’epoca del Gran Tour essa viene illustratapiù volte dagli artisti che accompagnavano i ricchi visitatori, come il nobile Bergeret de Grancourche portò con sé in Italia il sommo pittore Fragonard.
La tarantella ritorna anche in numerosi immagini del Voyagepittoresque dell’Abbè De Saint-Non, pubblicato a Parigi nel 1781. Seguì poi, ad uso dei forestieri meno danarosi, una vera e propria produzione in serie di immagini da riportare in patria come souvenir.
Di nuovo abbiamo però rappresentazioni della tarantella eseguite da artisti famosi come Angelica Kauffman, Filippo Palizzi ed Edoardo Dalbono, che ci forniscono una serie importante d’informazioni sulla classe sociale ed il sesso dei ballerini, sull’ambiente dove si svolge, sugli strumenti musicali d’accompagnamento, sulle gestualità più comuni. Abbiamo anche testimonianza di una tarantella tra femminielli.
Anche la letteratura ci fornisce descrizioni accurate della tarantella, soprattutto da parte di autori stranieri, che costantemente sottolineano le valenze erotico sessuali della danza.
Valenti musicisti sono stati attirati dall’energia che sprizza vigorosa dai movimenti dei ballerini. Tra questi  possiamo citare Ciaikovsky che conclude il Capriccio Italiano op.45, tutto luminoso e vibrante, con una trascinante tarantella, oppure Stravinsky, autore nel 1919 del balletto Pulcinella, che si compone di più brani, uno dei quali, appunto, è una tarantella, o, andando a ritroso, la celeberrima Tarantella di Rossini, cavallo di battaglia, ancora oggi, dei più importanti cantanti lirici.
Nell’ultimo secolo il celebre ballo, da fenomeno di costume popolare, si è trasformato in attrazione turistica e solo nell’area sorrentina e nelle isole del golfo si possono, raramente, ammirare esibizioni spontanee.
Tra i libri, che cercano di conservarne viva la tradizione, fondamentale è il testo di Max Vajro, pubblicato nel 1963 per conto dell’Azienda di Soggiorno e Turismo di Sorrento oltre al volume, edito nel 1967 dal Touring Club Italiano, dedicato ai balli popolari.
Vogliamo ora, dopo questo lungo preambolo, ricordare una rarissima forma ballata ancora oggi a Barano d’Ischia: la ‘ndrezzata, una tarantella armata in cui gli uomini brandiscono bastoni, ricordata anche in un celebre film di Pieraccioni, che si pratica il lunedì dell’Angelo a Buonopane, perché a differenza di altri eventi, non è ispirata alla risurrezione di Cristo, ma simboleggia un momento di pace e la fine delle ostilità tra gli abitanti di due frazioni: Barano e Buonopane.
Si racconta infatti che intorno al 1500 un pescatore baranese aveva regalato alla propria fidanzata una cintura di corallo, ma questa un giorno venne trovata nelle mani di un giovane di Buonopane. La lotta che ne seguì non si limitò soltanto ai due, ma coinvolse la popolazione di entrambi i paesi. Dopo scontri sanguinosi, la pace avvenne ai piedi della statua della Madonna della Porta, nella chiesa di San Giovanni Battista, il lunedì in Albis. Da allora questo ballo popolare si ripete il giorno della Pasquetta e il 24 giugno in onore del Santo Protettore, San Giovanni Battista.
L’origine della danza si intreccia con altre tradizioni che alimentano e rendono vivace il folklore isolano.
"A mascarata", "Ndrizzata" e "A vattute e ll'astreche" erano le danze popolari legate ad alcuni momenti della comunità ischitana, oggi divenute danze folkloristiche grazie alla nascita di gruppi specializzati.
Secondo alcune fonti "A mascarata" ha origini greche, secondo altre spagnole in quanto si ballava in alcune sue località il giorno di Pasquetta o in occasione della festa di San Giovanni, tra l'altro Santo patrono di Buonopane.
Ci sono diverse ipotesi che riguardano la genesi del ballo. Quella che unisce mito e leggenda sostiene che la danza affonda le proprie radici nel 1500 in una faida tra gli abitanti di Buonopane e Barano. Il manoscritto, rinvenuto nella sacrestia della Chiesa di San Giovanni Battista a Buonopane, documenta la venuta del Vescovo per placare la lite tra due abitanti dei rispettivi paesi nata per la contesa di una ragazza. E' dal lontano 1540, che il lunedì in Albis, a Buonopane, si ripete questa tradizione.
Altre fonti, sicuramente più attendibili, definiscono il ballo " 'Ndrizzata" e risalgono al primo dopoguerra. In questo periodo un numero considerevole di buonopanesi, spinti dalla povertà, emigrarono negli Stati Uniti. A New York, un gruppo di oltre centosessanta  persone iniziò a ballare la danza che fu subito repressa dalle autorità statunitensi perché interpretata come addestramento di un gruppo sovversivo filo-comunista. Questo causò l'immediata espulsione dei ballerini, che una volta rimpatriati ripresero la tradizione definendo la danza "Mascarata" per la mancanza di un costume ufficiale, in quanto non si disponeva di mezzi economici per realizzarlo. Solo negli anni '30 comparve il primo, costituito principalmente da tessuti modesti come canapone, seta grezza e lana, che attingevano agli abiti dei pescatori del '600.
Nel 1941, il gruppo di allora si recò alla Reggia di Caserta. L'esibizione fu riportata nel libro di Maria Bianca Galante, pubblicato nel 1943 dall'Università di Roma in cui furono descritti, nei minimi particolari, la danza, il costume e la disposizione dei ballerini.
Durante gli anni '50 la danza diventò un connubio tra diversi balli  praticati sull'isola, assumendo il nome di " 'Ndrezzata", che ancora oggi è eseguita dal "Gruppo Folk 'Ndrezzata". Figlia della "Trallera" per la presenza della serenata del paesino collinare di Fontana, della "'Ndrizzata" di Campagnano per la predica, della "Intrecciata" di Forio per i costumi da pescatore e della "Mascarata" di Buonopane per il ballo. Anche il costume cambiò radicalmente con l'utilizzo del velluto e del tricolore italiano. Le donne furono rigorosamente escluse . Solo dal 1983, grazie alla nascita della "Piccola 'Ndrezzata" è stato  possibile ballare la danza nuovamente tra coppie miste. Con la nascita della "Scuola del Folklore", nel 1997, è stata ripresa quella cultura popolare infangata in passato, realizzando la danza con gli  stessi costumi e la stessa struttura che la caratterizzavano nella prima metà del '900.
'A Vattute e ll'Astreche, invece, deriva dall'usanza di costruire fino agli anni '50 i tetti delle case a botte o a forma di piccole cupole emisferiche, dette a carusiello, attingendo dalla cultura architettonica greco-araba. Le case che oggi si costruiscono in cemento armato e spesso lasciano spazio a storie di abusivismo e devastazione, prima venivano realizzate secondo canoni ben precisi. La sagoma veniva preparata con un'intelaiatura di pali di castagno su cui venivano appoggiati i "penicilli" (fasci di viti secche), che si ricoprivano con un manto di creta (argilla o altro materiale lavico) e pietra pomice (pietre vulcaniche leggere, ma forti e compatte). Terminata questa fase, il proprietario issava di buon'ora una bandiera: era il segnale con cui si chiamavano a raccolta parenti, amici, vicini, compagni. Tutto il paese era coinvolto e felice di dare il proprio contributo alla realizzazione finale della nuova abitazione. Coloro che partecipavano, portavano un puntone, un palo di pioppo con una parte più larga, che serviva per comprimere il lapillo bagnato da calce bianca viva, fino a renderlo impermeabile. Tale fatica durava per tre giorni, giorno e notte ininterrottamente , ore che i puntunari scandivano cantando, raccontando aneddoti o intonando filastrocche. Chi sapeva suonare uno strumento accorreva.
Si iniziava con un canto propiziatorio Jesc sole, si passava a quello Saluta allu padrone, per giungere al pettegolezzo principe del paese Nu sacce che succise a Murupane. Poiché molti erano omonimi, il capo mastro dava il ritmo chiamandoli per soprannome. Se il bere e il mangiare tardavano ad arrivare si era soliti ricordare la Una volta completato il tetto si usava buttare del grano di tanto in tanto per evitare la comparsa di piccole fessure.
Nel frattempo, le donne, accorse numerose, si dilettavano in cucina preparando pietanze prelibate. Finita la grande abbuffata si iniziava a ballare tammurriate e tarantelle, cantando per un'intera giornata. Il popolo era felice perché un altro concittadino era riuscito a costruirsi un tetto e quindi il nido dove far prosperare la propria famiglia.
Ritorniamo ad esaminare la genesi della ‘ndrezzata che racchiude l’anima di Ischia, dove si balla, si beve e si fischia….come recita un detto popolare napoletano.
Non sono chiare le origini di questa danza, per alcuni è un poemetto nato nel medioevo  di tipo bellicoso e guerresco. Ma le origini del canto appaiono ben più remote, strettamente connesse al retaggio mitico della cultura greca che si era andata diffondendo a Ischia grazie ai primi coloni di Pithecusa.
Le fonti storiche disponibili sono due: un testo custodito nella Biblioteca Antoniana di Ischia dove è citata un'ode del 1600 di Filippo Sgruttendio, in voga nel beneventano: "a Cecca - invito a vedere la Ntrezzata" ed  un manoscritto, rinvenuto nella sagrestia della chiesa di San Giovanni Battista a Buonopane, una frazione del comune di Barano d’Ischia  in cui si racconta dell'intervento del Vescovo al fine di dirimere una controversia tra gli abitanti della contrada di Buonopane e quelli di Barano.
Si racconta che due uomini, Rocc'none di Barano e Giovannone di Buonopane, corteggiavano la stessa donna. Rocc'none era un marinaio e in uno dei suoi viaggi aveva acquistato una per farne dono alla donna amata. Nessun altro possedeva quella fusciacca, così quando l'innamorato tradito vide Giovannone indossarla, lo sfidò a risolvere la faccenda tra uomini presso il ponte che divide i due paesi. Intorno al 1930 fu realizzato il primo costume, inspirato al passato della gente comune, per lo più pescatori. I tessuti erano poveri e per risparmiare la stoffa le maniche delle camicie vennero cucite al panciotto di tela, assicurato da una doppia fila di bottoni; i pantaloni arrivavano sotto le ginocchia, con stringhe allacciate all'estremità e per finire venivano calzati sandali di cuoio.
Il mito antico legato alla ‘ndrezzata invece racconta di che Zeus trovò un giorno Demetra furibonda e disperata perché Ade, dio dell'Averno, le aveva rapito la figlia Persefone. Mosso da pietà verso la povera madre, il capo degli dei le inviò le Muse e Afrodite per placarne l'animo, allietandola con musica e danze. Tradizione vuole che la danza fosse praticata dalle Ninfe al ritmo di spade di legno battute dai Satiri su rudimentali manganelli che accompagnavano la melodia prodotta dalla cetra d'oro di Apollo. Apollo, pizzicando la cetra, si innamorò della ninfa Coronide e dall'unione dei due nacque Esculapio. Appagato dall'amore con la ninfa, il dio concesse alla sorgente Nitrodi, lì dove si svolgevano le danze, la proprietà di offrire bellezza e guarigione.La cultura della danza si diffuse ben presto in tutta l'isola, trovando terreno fecondo presso la sorgente di Nitrodi a Buonopane, vicino Barano, zona agricola sul versante sud-orientale di Ischia e divenendo un elemento talmente caratterizzante del folklore locale.
Per via di tutti questi elementi carichi di fascino, mistero e leggenda la ‘ndrezzata non può essere considerato un semplice ballo ma è da ritenersi un vero e proprio rito, composto da tre fasi distinte:  sfilata, predica e danza. Ciascuno dei 18 danzatori tramanda ai propri discendenti i segreti della danza e il privilegio di parteciparvi. Durante la sfilata metà dei danzatori entra in scena con un giubbetto di colore rosso, che rappresenta gli uomini, mentre l'altra metà indossa un corpetto verde che simboleggia le donne. Alla testa del gruppo sfila il caporale, al suono di due clarini e due tammorre, un tempo flauti e fischietti.
Al termine della sfilata i gruppi di danzatori formano due cerchi concentrici, impugnando, proprio come i fauni della leggenda, un mazzariello nella mano destra e una spada di legno in quella sinistra. Agli ordini del caporale e al ritmo dei suonatori parte la danza, che ricalca le mosse di base della scherma: saluto, stoccate, parate e schivate. All'interno della danza due sono le figure fondamentali: la formazione della rosa con l'intreccio delle mazzarielle a mani alzate e l'elevazione  su di essa del caporale, che in antico dialetto ischitano recita la parte narrata (predica): le strofe sono dedicate all'amore, alla paura dei saraceni, alle fughe sul Monte Epomeo, alla difficoltà del lavoro nei campi e alla A vattut´ e ll´ astreche, cioè alla costruzione del tetto bombato in pomice e calce delle abitazioni di Ischia e Procida. Per ammirare questa danza l’appuntamento principale è la festa di San Giovanni Battista a Buonopane, frazione di Barano d’Ischia alla fine di giugno.

lunedì 8 febbraio 2016

Acque miracolose, Lourdes? No terme ischitane

fig. 1 - Il Poseidon
Napoli e provincia, per la presenza di due distinti vulcani, sono ricchissime di acque termali che, a seconda della composizione, sono dotate di prodigiose virtù curative per le più svariate patologie, un grandioso patrimonio sottoutilizzato che potrebbe trasformarsi in una grande risorsa economica.
Sin dal medioevo Pozzuoli e Baia, per la caratteristica peculiarità delle loro acque, ad uso della balneoterapia, vennero alla cronaca attraverso una sorta di “Guida” che costituiva non solo una localizzazione delle fonti naturali ed attive che esistevano in quel tempo nel territorio flegreo ma, soprattutto, ne indicava l’utilità nei rimedi per combattere qualsiasi genere di dolore. Il testo, che è considerato tuttora un valore documentale della medicina medioevale, sia per le scienze che per la terminologia e la pratica attuativa, è il codice  pergamenaceo “De balneis Puteolanis” attribuito a Pietro Anzolino da Eboli, un chierico della corte di re Manfredi, forse medico, testo che si fa risalire alla scuola medica campana operante tra il 1258 ed il 1266, che già prima di questa pubblicazione godeva di una notevole fama. Il prezioso codice, che comunque ha subito nel tempo la mutilazione di diciotto carte miniate descriventi trenta bagni, è conservato in pochissimi esemplari in alcune biblioteche tra le quali la Biblioteca Angelica di Roma, dove abbiamo potuto consultarlo con grande interesse. In esso sono descritte una serie di terme, molte delle quali non ancora esaurite.
L’isola verde, per la presenza dell’Epomeo, attivo fino ad alcuni secoli fa, possiede una varietà infinita di acque in grado di curare le più svariate affezioni.
Quelle sulfuree, localizzate soprattutto nella zona di Sant’Angelo, a fronte di un aspetto poco invitante, dal verdastro al giallognolo, dovuto all’ossidazione dello zolfo, vengono adoperate per le affezioni cutanee, ginecologiche e respiratorie. Io stesso posso testimoniare che, dopo un bagno nelle piscine dell’Apollon, che possiede anche saune umide in antiche grotte romane, uscivo completamente rinfrancato dalla rinite allergica e con il naso completamente liberato.
Nella zona di Casamicciola e Lacco Ameno vi sono poi sorgenti radioattive che costituiscono un formidabile toccasana per ogni tipo di dolore artrosico o artritico. Molti alberghi ne potenziano l’effetto terapeutico adoperandole sotto forma di fanghi ed anche in questo caso i grandi hotel hanno come clienti, oltre ad imprenditori e professionisti, atleti di svariate discipline.
Tra i clienti celebri possiamo ricordare lo stesso Garibaldi, reduce dalla ferita al piede, che si beccò nella battaglia d’Aspromonte, grazie ad una fucilata piemontese. La sua permanenza per molti giorni fu resa pubblica dalle corrispondenze di molti giornali napoletani come “Il Pungolo”, ed il periodico “Lo corpo de Napule e lo Sebbeto”, redatto in vernacolo, ed indussero molti napoletani a recarsi sull’isola in cerca di un rimedio alle loro malattie al punto che i battelli emettevano un biglietto comprensivo del trasporto e della cura termale.
Prima di parlare ancora a lungo delle acque ischitane, incluse quelle della  piscina della mia villa: oligominerali, sgorganti a 55 gradi, accenniamo a quelle veramente miracolose del “Gurgitello”, già conosciute dagli antichi Romani che le utilizzavano per rimarginare le ferite. Esse sono dotate, a parte uno scarso contenuto di minerali, di una particolare tensione superficiale che produce un effetto simile a ciò che accade a Lourdes: uscire completamente asciutti dopo una doccia.
I primi e più prestigiosi centri termali dell’isola di Ischia sorsero a Casamicciola dove già nell’800 le famiglie patrizie trascorrevano lunghe vacanze in stazioni termali sorte accanto alle ricche sorgenti di acqua calda. Una delle fonti di Casamicciola nota fin dalla antichità romana per le sue acque miracolose è quella del Gurgitiello. Tanto incredibili le proprietà di questa sorgente termale che accanto agli studi scientifici dedicati al Gurgitiello dai primi studiosi del termalismo isolano, furono create delle fabule mitiche . Una di queste narra la favolosa origine della falda acquifera dalle lacrime di un satiro innamorato. La riporta De Quintiis in un suo libro del 1726 intitolato "Poetica origine del Bagno del Gurgitello in Casamicciola dal poema Inarime seu de balneis Pithecusarum. Il satiro è Teleboo ed è innamorato di una ninfa, ma non può averla, col cuore trafitto si aggira per l’isola piangendo, si ferma a Casamicciola è qui per una di quelle straordinarie metamorfosi che accadono soltanto nei racconti mitici le lacrime copiose danno vita ad una fonte, una fonte calda come il cuore appassionato di Teleboo.
L'Isola d'Ischia, già ricchissima di sorgenti di acque termali dalle innumerevoli virtù terapeutiche, gode anche di una fortunata collocazione geografica che assicura all'intero territorio isolano condizioni climatiche ed ambientali ideali per ritemprare il corpo e lo spirito: le balze rocciose dell'Epomeo, le dolci colline coltivate a vigneto, le riposanti pinete, la fresca  brezza marina, le spiagge ed i tanti, suggestivi, panorami fanno dell'antica terra di Inarime una sorta di dolce giardino incantato dove godere degli effetti benefici delle fonti dell'eterna giovinezza.
Miniere d’oro, così il medico Giulio Jasolino aveva ribattezzato le sorgenti termali dell’isola d’Ischia in un celebre volume del 1588. E non poteva non essere giudizio più attendibile, visto che lui a quelle acque benefiche aveva dedicato lunghe ed approfondite ricerche per anni. Queste gli avevano consentito di individuare i 29 bacini termali da cui scaturiscono le 103 sorgenti diffuse sul territorio isolano. Già Jasolino aveva dimostrato che ogni sorgente presenta proprie peculiarità e proprietà curative, come poi sarebbe stato verificato anche dai nostri ricercatori contemporanei. Erano stati per primi i Romani, grandi fruitori delle terme, ad accorgersi di quella particolare ricchezza dell’isola, conseguenza della sua origine vulcanica. Ma proprio l’intensa attività sismica ed eruttiva che raggiunge il suo acme in quell’epoca, impedì che i Romani costruissero delle Terme.
Comunque dei benefici delle acque usufruivano gli abitanti dell’isola, che frequentavano la sorgente di Nitrodi, nel territorio di Barano. Una fonte miracolosa immersa in una natura selvaggia che gli antichi identificavano con la dimora delle Ninfe Nitrodi, cui dedicarono dei bassorilievi votivi. E c’è poi Cavascura sempre nel comune di Barano. Un luogo che ancora oggi evoca profonde suggestioni, con le vasche scavate nella roccia dove scorre l’acqua, che acquista le sue qualità curative dal contatto col fuoco che cova nelle profondità dell’isola.
Che le terme siano una “scoperta” degli antichi romani è cosa nota, ma non tutti sanno però che sull’isola di Ischia vi sia un luogo rimasto intatto dall’epoca in cui imperatori e senatori romani si recavano per prendersi la loro dose di “otium e benessere”. Questo magico posto si trova sulla spiaggia dei Maronti, il suo nome è “ Cavascura”
Gli appassionati di geologia non potranno non ammirare nel percorso che dalla spiaggia li conduce alla zona termale la bellezza delle chiare pareti rocciose scolpite dagli agenti atmosferici di questo piccolo canyon, mentre il sentiero si snoda circondato da piante spontanee, canne e papiri.
Qui in questa cava vi è una delle più grandi fonti di acqua termale dell'isola: la Sorgente della Cava Scura. Qui immutate, da secoli, le vasche scavate nel morbido tufo ischitano dove immergersi per un bagno termale che è anche un passaggio indietro nel tempo, qui la sauna naturale in una grotta profonda e caldissima, qui le vasche fredde dove gettarsi con energia dopo saune e bagni caldi.
Qui nel tempio del benessere naturale la vigorosa cascata di acqua tiepida da farsi scivolare su tutto il corpo per una sferzata di puro termalismo. E come gli antichi romani godendo vi rimetterete in sesto, magari scegliendo di potenziare le cure termali con un benefico massaggio rilassante o drenante, anticellulite o rivitalizzante: ma attenzione qui l’arte del massaggio ha solo duemila anni!
L’acqua curativa può anche essere bevuta, come nel caso di Nitrodi, e giovare alle malattie all’apparato digerente, dei reni e delle vie urinarie. Oppure si possono fare i bagni, particolarmente indicati per le malattie della pelle, reumatiche, del sistema nervoso, degli apparati circolatorio e urogenitale.
Ma Ischia è famosa soprattutto per i fanghi, utili alle forme reumatiche e in ginecologia. L’argilla viene messa a maturare per sei mesi in vasche contenenti acqua minerale, rigorosamente controllata nella sua purezza, e il fango così ottenuto viene poi applicato sulla parte bisognosa di terapia. Sempre la acque termali vengono utilizzate per cure inalatorie che curano le infiammazioni croniche delle vie aeree.
Lo sfruttamento delle acque termali sull’isola risale ai primi decenni del Seicento, a Casamicciola, dove si trovano due dei migliori bacini termali, quello de La Rita e soprattutto quello del Gurgitello, a poca distanza dalla costa. Sorsero in quella cittadina, decretandone una veloce crescita. Fu l’inizio del turismo sull’isola, che doveva svilupparsi soprattutto nel secondo dopoguerra. Rizzoli rilanciò il termalismo ischitano negli anni ’50, costruendo dei grandi alberghi dotati di terme sul litorale di Lacco Ameno, lì dove sgorga la sorgente della Regina Isabella. Da allora la capacità recettiva di Ischia è cresciuta senza sosta. Oltre 300 strutture alberghiere, in gran parte dotate di proprie terme di piscine di acqua calda, rappresentano una realtà all’avanguardia in Europa, testimoniata dalla modernità degli stabilimenti termali.
Notevole il livello dei servizi offerti alla clientela nelle strutture ischitane. Le cure tradizionali si accompagnano a massaggi, fisioterapia, ginnastica correttiva e riabilitativa, sauna. Secondo una tendenza sempre più accentuata, le terme sono diventate luoghi di recupero psico-fisico dell’individuo. Così anche sull’isola sono nate presso le strutture alberghiere più attrezzate beauty farm che coniugano i bagni termali con fitness, cura dell’alimentazione e trattamenti estetici. Il tutto sfruttando i vantaggi di un ambiente salubre e ecologicamente sano, in grado di favorire un soggiorno tranquillo e piacevole.
L’isola d’Ischia è l’unico luogo al mondo in cui la natura e l’impegno dell’uomo hanno saputo creare quelle meraviglie che sono i parchi termali, tra cui i più grandi: Giardini Poseidon, Parco Termale Negombo, Parco Termale Castiglione. Nei luoghi più panoramici dell’isola, offrono ai loro visitatori piscine termali di diverse gradazioni incastonate in lussureggianti giardini, spiagge private, reparti per le cure tradizionali e servizi di alto livello.
La padrona dei Giardini di Poseidon, il più grande parco termale d’Europa, è una giovane architetta, Lucia Beringer, figliola di Anton Staudinger che li acquistò dal magnate tedesco Ludwig Kuttner.
Sposata con una figlia, ha esercitato la professione a Monaco, mentre ora fa la pendolare tra Ischia e la Germania. I suoi nemici le rimproverano i modi da generale e una rigidità prussiana. Gli estimatori ne lodano il rigore e l'amore per l'Italia. Lucia Beringer in Germania era un affermato architetto noto per aver realizzato il Trias, un moderno complesso di tre torri che si staglia nel cuore della capitale. Poi ha lasciato il suo studio di progettazione a Monaco di Baviera. ha cambiato vita e mestiere: se n'è venuta a Ischia per occuparsi a tempo pieno del più grande parco termale d'Europa. Terza dei cinque figli di una famiglia bavarese con interessi in varie parti del mondo, Lucia sull'isola ci veniva già da ragazza per accompagnare il padre Anton, proprietario dei Giardini Poseidon di Forio. Ottimista di carattere, ha portato a Ischia nuove idee e si è tuffata a capofitto per realizzare i suoi progetti: dare ai Giardini  un' oasi di 60 mila mq ecologicamente intatta , un nuovo look con più alberi, fiori, viali, una nuova piscina coperta. Stando attenta a ogni dettaglio, ha rivalutato il tufo verde ischitano per i muretti di contenimento e trovato una mattonella per le 23 piscine che si disinfetta con la luce. Sicché ha trascorso l'intero inverno a lavorare dalle 6:30 di mattina alle 11 di sera, instancabile.
Si sente parte napoletana ma non accetta alcune logiche che nel sud sono legge, come l’abuso degli ingressi gratuiti alle autorità. Si fa forte dell’esempio della Merkel, vecchia ed assidua frequentatrice dell’isola, la quale quando prende l’aliscafo paga il biglietto.
Nel breve tempo trascorso sull'isola, Lucia ha imparato a conoscerne i tanti difetti con lunghe passeggiate a piedi: le strade rotte, l'immondizia, il traffico caotico, la mancanza di parcheggi. Ma soprattutto si è resa conto delle potenzialità sprecate: «Qui pochi hanno una visione chiara del futuro. Eppure Ischia è una delle isole più belle del Mediterraneo e vive di turismo. Bisognerebbe difenderne le bellezze, non deturparle, invece molti non rispettano alcuna regola».
Il rapporto con i dipendenti, tutti ischitani, è quello che sta dando le maggiori soddisfazioni alla manager. «I miei collaboratori all' inizio non mi conoscevano, poi hanno capito come sono fatta e di mattina, quando cominciamo il lavoro, c'è una bella atmosfera. Non sono una che comanda e basta. Cerco invece il dialogo e la collaborazione con gli altri. Ma per gestire un'azienda, alla fine, si devono avere idee chiare e prendere decisioni». Lucia non ha ancora deciso quanto tempo rimarrà a Forio: «Per ora faccio la pendolare tra la Germania e Ischia e sono contenta. Dell'Italia, che considero uno dei più bei paesi del mondo, mi piacciono la cultura, il mare, il cibo, la gente. E anche i poeti: sto leggendo le poesie di Ungaretti. Non mi piacciono invece certi modi di fare che sono in contrasto con l' educazione che ho ricevuto e col mio senso del dovere».
Il suo sogno è creare con i Giardini di Poseidon un vero e proprio modello ambientale, che come per altre località italiane, quali ad esempio Saturnia, dove gli alberghi lavorano 12 mesi l’anno,  meriterebbe di stare sempre aperto e non da Pasqua a Novembre, creando ricchezza ed occupazione.
Purtroppo un’arcaica normativa che regola i lavoratori stagionali non lo permette!!
Chi è causa del suo mal pianga se stesso.
La baia di San Montano è una delle più belle dell'isola, nell'abbraccio di due verdi colline l'acqua di questo mare è verde come lo smeraldo. E un trionfo di natura, tra fiori, piante tropicali ed alberi mediterranei, è il parco termale Negombo. Dove l'acqua e l'arte sono protagoniste di un giardino delle delizie.
Elioterapia, massaggi, aerosol, inalazioni, piscine termali dotate di getti per idromassaggi; insomma tutto per rigenerare e regalare benessere, senza dimenticare che le acque termali possono essere efficaci in numerose affezioni dell’apparato osteo – articolare.L'attuale fisionomia del parco deve molto all'intervento appassionato di un celebre paesaggista. Il suo impegno è stato quello di creare un giardino profondamente ancorato alla millenaria cultura contadina del luogo e ricco di sorprese e soluzioni inaspettate: la vasca in cemento che ricorda i vasconi di raccolta dell'acqua piovana, la lastra in ardesia che ripropone i salti d'acqua, la cascata ispirata alle cadute di ossigenazione.
In questo giardino, luogo privilegiato del rapporto fra uomo e natura, il paesaggio rurale si integra con la magnificenza di piante provenienti dall'Australia, dal Giappone, dal Sudafrica e dal Brasile.  
Il parco del Negombo dispone di un'arena di 1700 posti, animata, nelle serate estive, da concerti di musica classica, leggera e jazz.
Vi si sono esibiti ,tra gli altri, Miles Davis e Mireille Mathieu, Tina Turner e Ray Charles, Arbore e Baglioni, Dalla e Morandi.
Una fonte antichissima alimenta le piscine del parco termale Castiglione, nel comune di Casamicciola. Un vero e proprio centro relax con panorami mozzafiato sul mare e sulla costa napoletana.
Si scende con una pittoresca funicolare dalla quale potrete osservare la bellezza del parco che ha 10 piscine di cui 8 termali, con varie gradazioni: dai 30 ai 40 gradi centigradi, percorsi Kneipp, sauna naturale, e reparto termale dove si possono effettuare fanghi, bagni, inalazioni, aereosol, massoterapia.
Un ottimo ristorante proprio sul mare ed un bar ristorante self – service sono dei punti ideali per una pausa dolce o salata.
Al centro termale Castiglione troverete inoltre un pontile sul mare attrezzato con sedie sdraio e lettini. E per chi ama lo sport corsi di acqua gym in piscina.
Il Parco Termale Tropical è situato all'ingresso del famoso villaggio di pescatori Sant'Angelo d'Ischia, la parte più esclusiva ed incontaminata dell'isola a pochi passi dalla fermata dei bus di linea e dalla baia di Cava Grado. La posizione unica, rialzata su una collina a picco sul mare, offre un panorama incomparabile di S. Angelo e della famosa "Torre". Concedetevi un'immersione in un'oasi di relax
Oltre alle 10 piscine ed altre strutture balneari, nel centro di benessere sotto controllo medico è possibile sottoporsi a numerose cure e trattamenti. Fisioterapia, massaggi, cure inalatorie, fango, trattamenti di bellezza, trattamenti antistress: affidatevi alle cure del nostro personale altamente specializzato per stabilire un programma personalizzato di trattamenti adatti alle vostre esigenze. Il Tropical offre numerose piscine termali di varie temperature che vanno dai 18 ai 40 °C con acqua batteriologicamente pura, naturale, radioattiva e limpida. Già gli antichi romani erano a conoscenza delle miracolose proprietà terapeutiche delle acque dell'Isola d'Ischia, delle loro naturali capacità a lenire dolori di ogni genere. Le nostre acque termali sono particolarmente indicate per tutte le malattie dolorose e degenerative della colonna vertebrale, delle articolazioni, dei tendini, dei muscoli e dei legamenti. Così come per disturbi dei movimenti e della circolazione dopo ferite ed incidenti, per malattie della pelle e peeli impure. Sono inoltre efficaci per combattere disturbi neuro-vegetativi. Le sorgenti termali "Tropical" vengono catalogate dal Prof. Dr. Marotta e Dr. Sica nel catalogo delle sorgenti d'Italia come alcaline-salso-solfato-terrose. Il valore PH delle sorgenti è di 7,2. Queste acque incontaminate (alla sorgente di una temperatura fino a 98 °C) vengono fatte sgorgare in superficie da una profondità di oltre 100 m., raffreddate e filtrate con la più moderna tecnologia, in modo da poter offrire al visitatore acqua batteriologicamente pura e cristallina, conservando i minerali in essa disciolti.
Concludiamo con alcune considerazioni sui benefici dell’acqua”calda”.
I ritmi frenetici della modernità necessitano di opportuni palliativi, per cui, da alcuni anni, molti hanno riscoperto antichi riti rigenerativi, già largamente adoperati da Greci e Romani e diffusi anche nel mondo arabo con gli hammam. La nuova moda si è perciò trasformata in una sorta di pellegrinaggio laico alle fonti del benessere, cercando nell’acqua calda il rimedio contro il logorio dello stress.
Nell’antica Grecia i guerrieri dopo le battaglie curavano le ferite con acque cicatrizzanti sulfuree, in seguito i Romani, grandi costruttori di acquedotti, crearono nelle terme uno spazio pubblico dedicato a ritemprare il corpo e lo spirito.
Vi era un giorno dedicato ad immortalare i fasti di queste divinità liquide: i Fontanalia, il 13 ottobre, in ricordo delle quattro ninfe che custodivano un’antica fonte sacra dell’Elide.
Anche i grandi luoghi di culto dell’antichità sorgevano e prendevano energia dall’acqua e dai suoi vapori. Il tempio di Zeus ad Olimpia sorgeva presso una sorgente di acqua minerale, mentre il santuario di Apollo a Delfi si trovava a ridosso della fonte Castalia pregna di acque vaticinanti, dove i fedeli si immergevano, come oggi a Lourdes e dove la profetessa Pizia, dopo averne bevuto abbondantemente, si sedeva su una fenditura della roccia da cui uscivano vigorosi vapori, che la penetravano, ponendole in bocca parole divine. Quindi, posseduta,  raggiungeva l’estasi orgasmica e prediceva il futuro.
Nell’Ottocento vi è un revival delle terme e sorgono moderni templi del benessere frequentati dalla ricca borghesia a Baden Baden, Karlsbad, Marienbad, Plombiers, Vichy ed ad Spa, cittadina belga, dal nome che è un acronimo del latino salus per acquam, da cui prendono nome gli attuali centri benessere. Anche in Italia diventano famose ed affollate località come Bagni di Lucca e Salsomaggiore ed a metà del Novecento Ischia con le sue molteplici acque dagli effetti miracolosi, che erano ben noti e sfruttati dai Romani.
Oggi, in un mondo stressato da impegni incalzanti, frequentare un bagno turco o sottoporsi ad un massaggio shiatzu, è divenuto un rito obbligato per liberarsi dalle velenose tossine provocate dai ritmici frenetici imposti dal consumismo, una liturgia obbligata e defaticante.
Spendere denaro, e tanto, è un po’ come sacrificare alle antiche divinità acquatiche per ottenere in cambio benessere e felicità. Una moda che ha contagiato anche l’universo dei fedeli, che si immergono speranzosi, non solo a Lourdes, ma anche nei tanti bagni dedicati a Madonne più o meno miracolose.
Non chiediamo più alle acque di conoscere il nostro futuro, bensì vogliamo preservare e migliorare il nostro presente, conservando la giovinezza. Come tanti insaziabili Narcisi cerchiamo la depurazione dalle scorie di un’alimentazione ipercolesterolemica e non più la purificazione dello spirito.
Ai nostri giorni cerchiamo la resurrezione del corpo nelle maliziose offerte di un resort, ci sottoponiamo mansueti a robusti linfodrenaggi e ad ingurgitare tisane diuretiche. La nostra massima ambizione è salvare il corpo, incuranti del destino dell’anima, chiediamo al potere liquido la salute e non la salvezza, non vogliamo un’acqua santa che mondi i peccati, purché liberi dalle tossine.


fig. 2 - Lucia Beringer, la regina del Poseidon
fig. 3 - Parco termale Castiglione-Casamicciola
fig. 4 - Parco termale  Tropical- S. Angelo
fig. 5 - I benefici del massaggio

mercoledì 3 febbraio 2016

Sette superbi inediti di pittura napoletana


fig. 1 - Francesco Fracanzano - San Pietro - collezione straniera
fig. 2 - Particolare delle chiavi

Continuamente antiquari e collezionisti  mi inviano foto di dipinti di scuola napoletana, chiedendomi un parere sull’attribuzione e questa circostanza mi permette di visionare una cospicua mole di inediti, alcuni di notevole qualità, come nel caso di questo superbo San Pietro (fig. 1) di Francesco Fracanzano appartenente ad una famosa collezione straniera.
Il dipinto trasuda un inconfondibile afrore napoletano, per cui siamo certi che sia stato realizzato in quella straordinaria officina di talenti che per anni fu costituita dalla bottega di Ribera e per quel che riguarda la tela in esame riteniamo di trovarci davanti ad uno dei massimi raggiungimenti di Francesco Fracanzano, uno dei suoi allievi più dotati.
La rappresentazione di mezze figure di santi e filosofi, investigati con crudo realismo, fu una moda nata nella bottega del valenzano a Napoli ed affermatasi poi anche in provincia grazie ai suoi discepoli, tra i quali si distingue Francesco Fracanzano, che nel 1622, dalla natia Monopoli, si trasferisce con la famiglia nella capitale, entrando giovanissimo nell’ambiente artistico partenopeo, grazie anche al matrimonio, celebrato nel 1632, con la sorella di Salvator Rosa.
Lavorando con il Ribera ne recepì la stessa predilezione per la corposità della materia pittorica e ripropose spesso i soggetti più richiesti dalla committenza: studi di teste e mezze figure di filosofi e profeti.
Si tratta di poderosi personaggi vestiti di rudi panni,  a volte distinguibili grazie agli attributi iconografici, come nella tela in esame (fig. 2)
San Pietro assume l’aspetto di un filosofo e dalla tela trasuda una profonda umanità che comunica allo spettatore un messaggio di poderosa forza morale, senza indulgere ad un formalismo decorativo: una figura, severa e bonaria allo stesso tempo, realizzata con una pennellata generosa, grassa e pastosa, quella che sarà definita tremendo impasto, piena di impeto e pregna di una luce rigorosa che penetra nelle pieghe della fronte e nelle mani, forti e nodose (fig. 3).
I colori smaglianti del San Pietro e la ridondante materia pittorica colloca cronologicamente l’opera intorno o poco dopo al 1635, in consentaneità con le austere figure presenti nelle Storie di San Gregorio Armeno, il vero capolavoro dell’artista.
Trovandoci tra santi e filosofi segnaliamo un monumentale dipinto del van Somer (fig. 4), di proprietà dell’antiquario Febbraio di Napoli.
Hendrick Van Somer è un altro degli allievi del Ribera ricordati dal De Dominici, un artista dalla forte anche se disordinata personalità. La definizione del suo catalogo è particolarmente difficile per la contemporanea presenza a Napoli di due artisti con uguale nome e cognome, uno, figlio di Barent ed un secondo, figlio di Gil. Il primo nato nel 1615 e morto ad Amsterdam nel 1684, il secondo, nato nel 1607 e scomparso forse durante la peste del 1656, presente in città dal 1624.
Dai santi passiamo alle sante, partendo da una tela conservata in collezione Spiga: una languida figura femminile (fig. 5) ritratta mentre impugna una croce volgendo lo sguardo al cielo, dal volto in estasi e dal seno ben esposto, eseguita da Niccolò De Simone, un geniale eclettico, che oggi la critica conosce più che bene per i caratteri distintivi del suo stile pittorico: anatomie sommarie, tipica concitazione delle scene, caratteristico volto delle donne, tutte mediterranee dai pungenti occhi scuri, assenza di profondità spaziale con bruschi passaggi di scala, folle in preda ad un’intensa agitazione, cieli tempestosi e baluginanti, squisita sensibilità da espressionista nordico, ripetitività nella costruzione dell’impianto generale della scena, personalissima resa cromatica nell’uso di colori stridenti ed incarnati rossicci
Molte sono anche le sue piccole telette a mezzo busto di donne, molte ancora da identificare ed attribuire con precisione, in cui palese è il modulo di riferimento a Vaccaro, Stanzione e Cavallino; tra le quali particolarmente importante una S. Caterina d’Alessandria nei depositi di Capodimonte, siglata NDS, che ha permesso di raggruppare sotto il suo nome altri dipinti simili, come quello in esame nel quale l’artista raggiunge uno dei vertici della sua produzione.
Un’altra santa notevole (fig. 6) è quella di Andrea Vaccaro della collezione Tedesco a Salerno, con i caratteristici occhi volti verso al cielo e dalla foltissima capigliatura fluente.
Il Vaccaro fu artista abile nel dipingere donne, sante che fossero, pervase da una vena di sottile erotismo, d’epidermide dorata, dai capelli bruni o biondi, di una carnalità desiderabile sulle cui forme egli indugiò spesso compiaciuto col suo pennello, a stuzzicare e lusingare il gusto dei committenti, più sensibili a piacevolezze di soggetto, che a recepire il messaggio devozionale che ne era alla base.
Dopo aver girato e rigirato attorno a tematiche chiaroscurali di derivazione caravaggesca, senza sentirle profondamente e dopo aver assimilato dal plasticismo riberiano quanto gli era necessario per modificare il suo stile pittorico, nel pieno della sua attività si ispirò ai modi pittorici di Guido Reni, da cui derivò, oltre al piacere delle immagini dolciastre, anche la padronanza di schemi compositivi di sicuro successo.
Egli si ripeté spesso su due o tre modelli femminili ben scelti, di lusinghiere nudità, che gli servirono a fornire mezze figure di sante martiri a dovizia tutte piacevoli da guardare, percepite con un’affettuosa partecipazione terrena, velata da una punta di erotismo, con i loro capelli d’oro luccicanti, con le morbide mani carnose e affusolate nelle dita, con le loro vesti blu scollate, tanto da mostrare le grazie di una spalla pallida, ma desiderabile. I volti velati da una sottile malinconia e con un caldo languore nei grandi occhi umidi e bruni, che aggiungono qualcosa di più acuto alla sensazione visiva delle carni plasmate con amore e compiacimento.
L’ultima santa che esaminiamo, più antica delle precedenti, è quella (fig. 7) della collezione Ferorelli di Bari, esito ragguardevole del delicato pennello di Francesco Guarino.
L’artista nei quadri raffiguranti sante recepisce con sempre maggiore evidenza la maniera stanzionesca e le languide dolcezze pittoriche del miglior Pacecco De Rosa, come pure è permeato dagli impreziosimenti vandychiani e neoveneti, al pari di tutto l’ambiente artistico napoletano.
Nello stesso tempo  sceglie sempre più spesso il piccolo formato, che era stato portato al successo dal Cavallino e dialoga alla pari con il Vouet, con il Domenichino e persino con Francesco Cozza.
Grazie al progredire degli studi la personalità del Guarino è riemersa come quella di uno dei massimi pittori napoletani del secolo. Napoletanissimo come pochi altri per discepolato, per stile, per committenza e per le tematiche affrontate e napoletano anche per il modo di morire, almeno a prestare fede al racconto del De Dominici: infatti, mentre il solofrano era nel pieno della maturità, a soli 43 anni, la sua vita ebbe un epilogo improvviso, non per la peste, come avvenne per tanti suoi colleghi nel 1656, bensì per un’esplosione di gelosia in cui sarebbe stato coinvolto alla corte di Ferdinando Orsini a Gravina in Puglia. Sulle cause del decesso vi possono essere dubbi, tenuto conto della fertile fantasia del biografo settecentesco, mentre sulla data, fornitaci da un documento, non vi è incertezza: 13 luglio 1654.
Per le ultime due opere che presentiamo, due capolavori del De Matteis, ci portiamo tra la fine del Seicento e l’inizio del secolo successivo.
Per la prima, una Madonna col Bambino (fig. 8), appartenente alla più celebre raccolta privata italiana: quella dell’avvocato Fabrizio Lemme di Roma, ci riserviamo di leggere la dotta scheda predisposta dal professor Riccardo Lattuada per il volume che celebrerà ad aprile i 50 anni di collezionismo dell’illustre proprietario.
Un libro alla cui stesura partecipano i direttori dei più importanti musei del mondo ed i più prestigiosi studiosi a livello internazionale. E per il sottoscritto è stato un onore incommensurabile partecipare a questo aureo consesso, compilando una scheda per un dipinto di Giovan Battista Spinelli.
La seconda tela, dal soggetto originale: una Esposizione del Bambino, (fig. 9) della collezione Murena di Napoli fa da copertina all’ultima edizione della mia monografia sul pittore: Paolo De Matteis opera completa.
Nella composizione è possibile riscontrare, oltre al sostrato giordanesco, una forte ispirazione dallo stile del Maratta, anche se il De Matteis tende ad equilibrare le due componenti, raggiungendo un equilibrio nella rappresentazione della scena, con il Bambinello in primo piano, immerso nella luce, che fa da protagonista della narrazione.

Achille della Ragione

fig. 3 - Particolare della fronte e delle mani
Fig. 4 -Hendrick  Van Somer -  Filosofo -  Napoli antiquario Febbraio
fig. 5 -  Niccolò De Simone - Santa -  Italia collezione Spiga
fig. 6 - Andrea  Vaccaro  - Santa in estasi penitente  - Salerno, collezione Tedesco
fig. 7 - Francesco Guarino - Santa - Bari collezione Ferorelli
fig. 8 - Paolo De Matteis - Madonna col Bambino - Roma collezione Lemme
fig. 9 - Paolo De Matteis - Esposizione del Bambino - Napoli collezione Murena