sabato 27 novembre 2021

Carmelina di Capri, celebre pittrice

fig.1 - Carmelina di Capri
- Funicolare di Capri -
Napoli collezione della Ragione

Prima di raccontare la storia di Carmelina di Capri, celebre pittrice naif, vogliamo mostrare ai nostri lettori uno dei suoi quadri più belli: Una Funicolare (fig.1), che dal 1998 ha l'altissimo onore di far parte della mia collezione e che mi fu regalata  dal dottor Luigi Pellegrini, medico di Cosenza, in cambio del mio aiuto nel compilare il catalogo dei quadri della sua raccolta privata. In un primo tempo il collega voleva ricompensarmi con del vile denaro: 10 milioni, che io rifiutai sdegnosamente, perché all'epoca ero miliardario, per cui lui con quella cifra  acquistò un dipinto della pittrice isolana, all'ora sulla cresta dell'onda con quotazioni altissime e me ne fece dono dopo una cena romantica, con relative consorti, nel ristorante Rosolino.
Prima di passare al racconto della vita di Carmelina, come donna del popolo, ma soprattutto come artista di fama internazionale vi invito dal mio libro: Capri tra arte, bellezza e mondanità a leggerne un interessante capitolo digitando il link
https://achillecontedilavian.blogspot.com/2017/10/capri-una-piccola-isola-dalla-grande.html.
Carmelina di Capri”, nella sua veste di pittrice (fig.2), per più di quarant’anni è stato un nome di fama internazionale. Di lei si parlava a New York, a Los Angeles, a Filadelfia, a Londra, a Stoccolma, a Parigi dove nel 1964, esponeva i suoi quadri nella importante Galleria Benezit e, pur essendo ancora del tutto sconosciuta, venne definita dal grande Anatole Jakovsky “la naive la plus fameuse d’Italie”.
La prima mostra di Carmelina è realizzata a Roma nella primavera del 1959 e già d’allora i consensi per la sua arte sono unanimi e straordinari. Al mondo della pittura, come lei stessa raccontava, si accosta non più giovanissima e per puro caso. Figlia di un pescatore della Marina Grande, Carmelina vive la sua infanzia semplice e serena in seno alla sua numerosa famiglia, in mezzo ai tanti fratelli e sorelle più grandi che la coccolano, ma si adoperano anche per farle imparare un mestiere, mandandola a dieci anni presso una buona sarta dell’isola. Adolescente, viene colpita da una grave forma di meningite, ma ne guarisce. Allorché riprende la sua vita abituale, agli occhi di tutti Carmelina appare un’altra donna, scontrosa, insoddisfatta di quello che ha, di quello che fa, rifiutando persino di tornare dalla sarta e preferendo trascorrere il suo tempo girovagando per le viuzze del paese, senza meta, tutta assorta nei suoi pensieri. Che cos’è accaduto a Carmelina? I familiari, preoccupati, la fanno ricoverare in una casa di cura, ma dopo poco ne viene dimessa perché la sua mente funziona perfettamente.
Ritornata a Capri, riprende le sue passeggiate solitarie e la si vede spesso seduta su una panchina, su di un muretto, sulla balza di una roccia a contemplare con gli occhi stupefatti, e per ore intere, il paesaggio di Capri, i colori dei fiori, il verde dei prati, come se volesse imprimere nei suoi occhi lo spettacolo suggestivo della lussureggiante natura caprese. Quando sposa un giovane di Capri, la gente rimane perplessa: riuscirà Carmelina, con il suo comportamento incantato, a vivere tranquillamente la sua vita di sposa e madre?
Nasce il figlio Pasqualino, poi la figlia Emilia. Il marito trova un lavoro fisso presso il Cimitero comunale di Capri e Carmelina svolge con responsabilità e capacità il suo ruolo di moglie e specialmente di madre. Un giorno, Pasqualino che ha pochi anni si ammala e la mamma pensa di fargli un regalo. Con le poche centinaia di lire che racimola in casa corre a comprare una scatola di colori e pennelli e, pur non avendo mai preso in mano un pastello o una riga, diventa la maestra del figlio malato e, intanto, impara lei stessa a dipingere. Quando il bambino guarisce, Carmelina, che ha scoperto il gusto dei colori, guarda con stupore fanciullesco i fogli di carta sui quali la sua mano un po’ tremante ha creato scene colorate meravigliose. Sorride divertita di quello che è riuscita a fare e, dopo qualche giorno, compra scatole di colori più importanti, e tele piccole e grandi, pennelli, e ai suoi amici racconta che ha fatto un sogno meraviglioso: ha visto san Costanzo, il patrono di Capri, e il Cuore di Gesù che le hanno detto che diventerà un’importante pittrice. Non avendo mai sentito parlare di prospettiva e di chiaroscuri, ma tenendo impresse nella sua anima e nei suoi occhi le casette bianche e rosa dei pescatori con le finestrelle e i balconcini traboccanti di rossi gerani, le barche che solcano il mare di un azzurro cobalto, le villette ridenti della Marina Piccola disseminate tra il verde delle balze, la Certosa con i suoi chiostri armoniosi, i monumentali portici, la bella Chiesa, la Piazzetta così colorata e suggestiva, comincia a dipingere sul serio. Accade, però, un fatto straordinario.
Ogni via, ogni scorcio, ogni oggetto che rappresenta sulla tela, sotto il suo pennello appare reinventato dalla sua fantasia. Le case, le strade, le piazze corrispondono a quelle dell’isola, ma Carmelina contamina (nel significato latino di mescolare) i luoghi, collocando per esempio nella Piazzetta la famosa piscina della Canzone del mare con un Faraglione in mezzo all’acqua, trasferendo nel paesaggio caprese scorci della laguna veneta, come se volesse salvare, nel mare allora incontaminato di Capri, Venezia dall’avvelenamento delle sue acque, e poi accostando strade dell’isola lontane l’una dall’altra, rappresentando la realtà ma modificandola secondo il suo cuore di vera innamorata della sua terra. Nel suo universo artistico, dove sembra che il tempo si sia fermato e lo spazio abbia perduto la sua rigida connotazione, Carmelina esprime il suo mondo interiore fatto di sogni, di speranze, di desideri che hanno un comune denominatore: l’amore per la sua isola e per la sua gente che vorrebbe vedere in perfetta sintonia. Ed ecco venire fuori dalle sue mani quadri in cui l’isola ora è rappresentata come racchiusa in una particolare arca che, come quella di Noè, dovendo mettere in salvo tutti, superba e sicura sovrasta la distesa dell’azzurro mare, ora assume l’aspetto di un’enorme nassa che naviga in un mare calmo e trasparente, ora di un grande scoglio con ville, piscine, strade alberate in un tripudio di fiori colorati che spuntano ovunque, persino sui binari della rossa Funicolare stracarica di passeggeri. Scoperta per caso, Carmelina passa di trionfo in trionfo, raccoglie premi nei concorsi dei pittori naifs di tutto il mondo, i suoi quadri sono ammirati da intenditori fieri di acquistarli. Gli elogi, tra i quali quelli di Giancarlo Vigorelli e del grande De Chirico, e il successo non insuperbiscono Carmelina che continua a vivere semplicemente. Si fa costruire una villetta (“La Naive”), ma preferisce vivere ancora nel suo piccolo studio in fondo a via Fuorlovado dove comincia a dipingere all’alba, particolarmente sollecita anche nella educazione dei figli che segue con attenta partecipazione fino alla loro laurea in medicina. Dopo gli anni dei successi, Carmelina si rifugia nella sua villetta alla Cercola, circondata dall’affetto dei figli. Non abbandona i pennelli e i colori che, spesso, costituiscono un salutare antidoto ai malanni dell’età avanzata e talvolta si rammarica di essere stata quasi dimenticata specie da chi, nei tempi d’oro della sua attività ha beneficato con ogni sorte d’aiuto (fig.3).  Conquistata a duro prezzo la felicità, lei prese a riversarla a piene  mani sulla tela e fu il successo. La bellezza dell’isola, rivelata nell’Ottocento dai romantici tedeschi, immortalata da Corot e prediletta dai suoi allievi fino a Renoir, riapparve in una veste assolutamente nuova e candida, destinata anche per questo ad incantare un pubblico vastissimo. Era una visione nello stesso tempo assolutamente fedele alla realtà eppure surreale. Umana e contemporaneamente fantastica, come può essere soltanto una fiaba. Carmelina guardava il suo piccolo mondo affacciata ad una finestra magica, ed ecco che dai suoi pennelli prendevano forma e colore la piccola piazza del paese, con gli ombrelloni colorati ed il campanile; la processione dei devoti, dipinti in lunghe fila di figurine puntiformi, dietro la statua argentea del santo; le case della marina, con il “suo” palazzo rosso che troneggia in mezzo ad esse. Qualche volta invece la pittrice si librava in volo, per mostrare a tutti la tragica visione della sua isola assediata dalla flotta saracena, o al contrario trasformava Capri in un quieto presepe, con la gente che tornante dopo tornante (come lungo via Krupp) si avvicina alla grotta dove è nato Gesù, mentre in alto i re Magi lasciano il loro castello cavalcando i cammelli.
Ne aveva fatta di strada, Carmelina, quando lasciò ad 84 anni i suoi pennelli e la sua amata famiglia. E tanto tempo è trascorso da allora. Eppure ancora oggi, a chi passi davanti alla sua “tanto desiderata casetta” di via Cercola, può accadere di sentire il fruscio della sua barchetta-aquilone che ancora naviga nel cielo. Sarà per questo che i suoi quadri, a cento anni dalla sua nascita, lasciano in chi li guarda la dolcissima sensazione di ritornare bambini. Sia pure solo per pochi attimi.

 

 

fig.2 -  Carmelina di Capri mentre lavora

 

fig.3  - Carmelina di Capri nel suo studio bottega

  


 

giovedì 25 novembre 2021

CORRADO GIAQUINTO opera completa

 

In copertina
- Madonna con le anime purganti -
Lecce, collezione privata

 
Prefazione

Corrado Giaquinto è un pittore che lavora tra Barocco e Rococò ed è un esponente di primo piano delle varie correnti di gusto che si intrecciarono tra Napoli, Roma, Torino, per cui da tempo si sentiva il bisogno di una esaustiva monografia sulla sua attività, compito che  mi  sono  volentieri  assunto  per  la  gioia  di  studiosi  e appassionati.  
Corrado Giaquinto nacque a Molfetta l’8 febbraio 1703 e morì a Napoli  il  18  aprile  1766.  Avviato  inizialmente  alla  carriera ecclesiastica, si distinse per il suo talento artistico cosicché venne affidato al pittore Saverio Porta. in seguito si trasferì a Napoli al seguito  di  Monsignor  De  Luca,  suo  mecenate.
Prestigiose  le committenze a Torino e Roma, dove realizzò, tra l’altro, la volta della Cappella Ruffo nella Basilica di S. Lorenzo in Damaso, la volta  e  il  coro  di  S.  Giovanni  Calibita  sull’isola  Tiberina  ed  il grande programma decorativo di S. Croce in Gerusalemme. Corrado Giaquinto ebbe l’incarico di primo pittore di corte a Madrid dal re di  Spagna,  Ferdinando  VI,  e  poi  direttore  dell’Accademia  di  S. Ferdinando; alle sue soluzioni guardò anche F. Goya. Lavorò per i castelli  reali  di  Aranjuez  e  del  Buen  Retiro  presso  Madrid  e  per l’Escorial.       
Molte sue opere si trovano nel museo del Prado, a Madrid ed in altri prestigiosi musei stranieri.
Nella monografia dopo una serie di articoli sulla sua produzione abbiamo pubblicato infinite tavole  colori, attingendo dall'archivio fotografico  di  Dante  Caporali,  uno  scrigno  prezioso, che gentilmente ci ha messo a disposizione.        
Non mi resta che augurare a tutti buona e proficua lettura e dare appuntamento al prossimo libro.

Achille della Ragione 


Napoli, dicembre 2021


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in 3° di copertina  I magnifici tre: Leonardo, Elettra e Matteo Carignani di Novoli



 INDICE

  • Prefazione  
  • Corrado Giaquinto
  • Biografia  
  • Manoscritto del Notar Muti sulla famiglia Giaquinto
  • Due interessanti inediti di Giaquinto  
  • Giacinto Corrado al Louvre     
  • “Allegoria della Giustizia e della Pace” di Giaquinto:  una rappresentazione paradigmatica del regno di Ferdinando VI  
  • Galleria opere d'arte di Giaquinto Corrado    
  • N°  64 Tavole         

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in 4° di Copertina
- Deposizione -
Acerra, collezione Pepe 


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mercoledì 24 novembre 2021

Un San Gerolamo di Ribera che parla all'osservatore

 

fig.1 - San Gerolamo -
Soriano Calabro, collezione privata

Mi capita spesso che mi vengano inviate foto di dipinti attribuiti a Ribera con disinvoltura, anche da noti studiosi, mentre quasi sempre si tratta di opere di bottega di qualità mediocre e di modesto valore commerciale.
Viceversa il San Gerolamo (fig.1), conservato in una  collezione  di Soriano Calabro, di cui discuteremo in questo nostro articolo rientra perfettamente nello stile del celebre pittore Jusepe de Ribera, il quale amava la rappresentazione del dolore, delle rughe, della sofferenza a tal punto che lord Byron affermò perentoriamente trattarsi di un pittore che amava intingere il pennello nel sangue di tutti i santi.
Con una tavolozza accesa vengono rappresentati con enfasi appassionata e senza alcuna pietà i personaggi, sadicamente indagati nella smagrita decadenza dei corpi consunti, dalla epidermide incartapecorita e grinzosa, dagli occhi lucidi e brillanti (fig.2-3). Il Ribera si abbandona ad un verismo esasperato al di là di ogni limite convenzionale col suo pennello intriso di una densa materia cromatica, con un vigore di impasto che ricorda l’accesa policromia delle più crude immagini sacre della pittura spagnola coeva, segno indefettibile della sua mai tradita hispanidad, ignara dei risultati della pittura rinascimentale italiana. Ed ecco rappresentato un infinito campionario di umanità disperata e dolente, ripresa dalla realtà dei vicoli bui della Napoli vicereale con un’aspra e compiaciuta ostentazione del dato naturale.
Concludiamo il nostro breve contributo accennando all’attività napoletana del Ribera, che raggiunse il culmine della celebrità all’ombra del Vesuvio.  
Nell'estate del 1616 lo Spagnoletto giunge a Napoli e si trasferisce subito in casa dell'anziano pittore Giovanni Bernardino Azzolino e dopo appena tre mesi sposa Caterina, la figlia sedicenne di quest'ultimo, da cui avrà sei figli.  
In pochi anni egli acquista una fama europea facendo uso della tragicità del Caravaggio, suo punto di forza. Inizia anche un'intensa produzione che non lo mantiene lontano dalla sua Spagna, dove comunque continuava a spedire opere. Il tema pittorico si fa più crudo e realistico e nascono così opere come il Sileno ebbro, 1626, oggi al museo nazionale di Capodimonte ed Il Martirio di Sant'Andrea, 1628, al Szépművészeti Múzeum di Budapest, solo per citarne alcune. Si accende in quel periodo la rivalità tra lui e l'altro grande protagonista del Seicento napoletano, Massimo Stanzione.  
Negli anni Trenta subì l'influenza di artisti come Antoon van Dyck e Guido Reni e perfezionò il suo stile. Eseguì in questi anni capolavori assoluti ospitati oggi in diversi musei nel mondo. Dall'Adorazione dei Pastori del Louvre al Matrimonio mistico di Santa Caterina conservato al Metropolitan Museum of Art. Il decennio che va dagli anni Trenta fino ai Quaranta fu il più prolifico per il Ribera. Compose in questo periodo essenzialmente temi religiosi: la Sacra Famiglia con i santi Bruno, Bernardino da Siena, Bonaventura ed Elia (1632-1635) al Palazzo reale di Napoli, la Pietà al museo nazionale di San Martino, il Martirio di San Bartolomeo (1639) e il Martirio di San Filippo (1639) entrambe al Prado di Madrid. Non tralasciò anche opere profane, come le figure dei filosofi o la Maddalena Ventura con il marito e il figlio (1631). A Pozzuoli presso la Cattedrale di San Procolo è conservato il dipinto Sant'Ignazio da Loyola e San Francesco Saverio. A Cosenza, presso la Galleria Nazionale di Palazzo Arnone, è conservato un suo bellissimo dipinto del 1635-40, dal titolo Ecce Homo.  
A Napoli, il pittore si impegnò nella monumentale opera di decorazione della Certosa di San Martino, portata a compimento in cinque anni (1638-1643). Per il luogo di culto partenopeo, Ribera aveva già dipinto la Pietà nel 1637. Nel 1638, sempre per la Certosa, gli fu commissionato il dipinto Comunione degli apostoli, terminato tredici anni più tardi e caratterizzato da un approfondimento psicologico dei personaggi.  
L'ultima parte della sua vita è segnata tragicamente dalla malattia che di fatto riduce drasticamente il numero di opere eseguite. Gli anni Quaranta sono segnati da un ritorno alla sua prima fase compositiva, tenebrosa e cupa, abbandonando le luci assimilate dal Reni. Jusepe de Ribera morì nel 1652 e fu sepolto, come confermato dai documenti, nella chiesa di Santa Maria del Parto a Mergellina, nell'omonimo quartiere di Napoli. A causa dei rimaneggiamenti apportati alla chiesa, tuttavia, dei suoi resti oggi non è rimasta traccia


Achille della Ragione

 

fig.2 - San Gerolamo - (particolare)
Soriano Calabro, collezione privata

 

 

fig. 3 - San Gerolamo - (particolare)
Soriano Calabro, collezione privata

 



lunedì 22 novembre 2021

Il mito di Frida Kahlo


Frida Kahlo


Frida Kahlo si può considerare il ritratto dei ritratti del Messico, in quanto è l’emblema di quella tradizione popolare e culturale, che rivendicava in quegli anni la salvaguardia e l’autonomia del proprio patrimonio. Ne sono un esempio le sue rappresentazioni pittoriche che la ritraggono con abiti e acconciature indigene e a volte estrose. Il vestito lungo tuttavia aveva anche la funzione di nascondere le sue malformazioni fisiche.
Preferiva dire di essere nata nel 1910 invece che nel 1907, per identificarsi con la rivoluzione, dal momento che anche la sua produzione artistica era una forma di ribellione, la testimonianza della lotta continua contro le avversità della vita.
Diego Rivera nella sua biografia la cita come: ’Unico esempio nella storia dell’arte ad aver rivelato la verità biologica dei suoi sentimenti... una pittrice superiore e la prova più forte del Rinascimento dell’arte del Messico’.
Frida nasce e muore nella ’Casa Azul’ a Coyoacan, un quartiere assorbito oggi completamente dalla metropoli Città del Messico, da un padre di origine tedesca ed una madre di origine indiana. Contratta la poliomelite nell’infanzia, a 17 anni è vittima di un drammatico incidente sull’autobus della scuola. Ne porterà i terribili segni per tutta la vita. Inchiodata per mesi a letto, incomincia a dipingere grazie ad uno specchio opportunamente inclinato. Subisce molti interventi operatori, ma il dolore più grande sarà per lei la rinuncia forzata alla maternità dopo aver affrontato tre aborti.
Con Diego Rivera ha un rapporto d’amore violento e tumultuoso. Divorzia e lo sposa di nuovo. Negli anni ’30 la coppia raggiunge gli Stati Uniti, dove lui è chiamato a realizzare murales presso sedi istituzionalizzate prestigiose.  

 

fig.1 Ritratto dei coniugi

Grande successo mediatico per tutti e due (Fig.1). Diego ha quasi il doppio dei suoi anni ed il triplo del suo peso. E’ un artista famoso ed affermato, che aveva tra l’altro soggiornato a Parigi ai tempi del Bateau Lavoir con Picasso. E’ di sicuro il maggiore pittore della rivoluzione rispetto agli altri due artisti della celebre triade: Orozsco e Siquieros. Seduttore inveterato di gonnelle femminili ci prova anche con la cognata Cristina. Frida restituisce il tradimento. Ben nota è la sua relaziona con Léon Trotzky, mentre meno nota è quella con Josephine Baker ed altre donne.
Fedele per tutta la vita all’ideologia marxista, diventa membro del partito comunista messicano e col marito sostiene diverse battaglie politiche.
Nel 1953 le amputano la gamba destra. Non può presenziare alla inaugurazione della sua prima mostra personale a Città del Messico. Ma si reca ugualmente all’appuntamento, destando incredibile sorpresa tra i convenuti; c’era perfino un giornalista del ’Time’. In tal modo Frida Kahlo strappa alla vita negatale l’ultimo diritto, quello di assistere all’unico successo veramente trionfale prima di morire.
Una ventina di tele, un’acquaforte ed alcuni disegni, oltre al suo diario intimo sono le opere esposte, provenienti tutte dal museo Dolores Olmedo di Città del Messico, la più grande collezione privata. Accompagnano il percorso della mostra un insieme di grandi specchi obliqui che ricordano le difficili condizioni di esecuzione di molti suoi lavori.
Il primo quadro é bellissimo il ’Retrato de Alicia Galant’1927. Frida era praticamente un autodidatta ma con una buona educazione che le aveva permesso di familiarizzare con la storia dell’arte. Si legge l’influenza del Rinascimento e del Manierismo italiano, come pure l’ammirazione per i colli lunghi di Amedeo Modigliani. Il secondo è famoso per il richiamo all’incidente, ma il pathos è assente, sono passati ben 4 anni.  

 

fig. 2 Il camion

 

fig. 3 Vegetazione lussureggiante
 
fig.4 Ritratto con piccola scimmia 194

 In ’El camion’ 1929 (Fig.2) l’artista ha voluto fissare sulla tela l’ultimo brano di vita allegra e spensierata. Frida appare seduta, ma in una posa borghese ed elegante rispetto agli altri personaggi. La messicana che allatta il bambino ha uno spazio maggiore ed occupa una posizione centrale. Sembra di vedere un quadro di Rousseau il Doganiere. In Francia gli artisti sognavano un altrove esotico, Frida invece lo vive e non ha bisogno di ispirarsi alla letteratura di Rimbaud o Loti o Apollinaire. La vegetazione lussureggiante dei suoi quadri è il suo habitat quotidiano (Fig.3). Nel ’Ritratto con piccola scimmia’ 1945 (Fig.4) un nastro giallo avvolge tutti e quattro i soggetti con chiara allusione al legame biologico con tutte le creature viventi, altrove il nastro circonda anche le piante. La presenza della statuetta precolombiana, di reminiscenza gauguiniana, ribadisce la sua appartenenza al passato. Il quadro costituisce il logo della mostra e racchiude i simboli della sua poetica espressiva.
Un’opera a cui la pittrice era molto legata è: ’Minana y yo’ (La nutrice) 1937 (Fig.5). L’indiana che l’allatta, di cui non ricorda più il volto, è coperta da una maschera azteka di pietra ed indica la forza della natura che aiuta la fragile Frida a superare i suoi handicap. Forse un doppio autoritratto, la donna debole aiutata dall’altra forte che a volte sonnecchia. In altre opere si presenta col suo doppio (Fig.6).
Ogni momento doloroso è stato immortalato sulla tela come se si trattasse di un’opera letteraria, una biografia. 

 

fig.5 La nutrice

 

fig.6 Il doppio autoritratto

Nel quadro arcinoto ’La columna rota’ (Fig.7) si raffigura prigioniera di un busto d’acciaio sopportato per cinque mesi. Mostra le ferite come un San Sebastiano, ma non guarda in alto verso il cielo come il martire cristiano bensì in faccia, invitando l’osservatore a notare l’impassibilità emotiva del volto che con forza affronta la sofferenza quotidiana. E’ un quadro molto bello, sensuale e un po’ surreale.
In ’Hospital Henry Ford’ 1932 Frida realizza una specie di confessione grafica altamente simbolica, riguardante un aborto subito a Detroit. Il suo corpo nudo giace in un mare di sangue, immersa in un’atmosfera da incubo che esprime la sua disperata solitudine. L’orchidea fa pensare all’utero, il bacino è mutilato, la chiocciola rimanda alla lentezza dell’aborto. Nella litografia ’Frida y el aborto’ 1932 , quasi una scheda scientifica analizzata al microscopio, la cosa interessante è il terzo braccio che brandisce la tavolozza come uno scudo. Solo l’impegno costante puo’ esorcizzare il dolore. Frida dipingeva perché solo così’ poteva alleviare la sua pena.
Possiamo definirla per alcuni aspetti della sua produzione artistica una surrealista messicana. André Breton quando la incontrò fu toccato dalla sua opera, in quanto vi scorgeva una ingenuità primitiva ed una originalità assente tra gli artisti europei. Senza una cultura di base, era in grado di creare intorno ad eventi realmente accaduti e riconoscibili un substrato surreale.
Interessante e di memoria dechirichiana per l’affastellamento degli oggetti in uno spazio stretto, è la tela ’Sin esperanza’ 1954 (Fig.8), in cui Frida anoressica viene alimentata forzatamente. La si vede in lacrime e senza difese in un letto sospeso nello spazio surreale.
In conclusione con le sue opere, Frida Kalo sancisce per l’ennesima volta l’esistenza del mito di una donna coraggiosa e libera.
 

 Elvira Brunetti

fig.7 Columna rotta

 

fig.8 Senza speranza


domenica 21 novembre 2021

Fiction carcerarie televisive fuorvianti la realtà

 

 


Da anni in Un posto al sole si vedono scene in cui le celle di Poggioreale sembrano eleganti suite, mentre le sale per i colloqui richiamano a viva voce una hall di un grande albergo, a differenza della cruda realtà che è completamente diversa.
Ma il colmo dello stravolgimento della verità si è raggiunto con la trasmissione settimanale Mare fuori, giunta al secondo anno di programmazione, che dovrebbe essere ambientata nel carcere minorile di Nisida, viceversa le scena sono tutte girate nel molo San Vincenzo del porto di Napoli, ma la sciocchezza ​ più eclatante è far credere che i detenuti, maschi e femmine possano vedersi liberamente ogni giorno, civettare, simpatizzare ed al limite abbandonarsi a pratiche bibliche. Una stupidaggine fuori misura che invoglia i ragazzi a compiere qualche reato per trascorrere un periodo di piacevole vacanza.

Achille della Ragione

venerdì 19 novembre 2021

Due interessanti inediti di Giaquinto

 

fig.1  -  Giaquinto -
Madonna col Bambino e le anime purganti
- Lecce, collezione privata


fig.2 - Giaquinto -
Deposizione - Acerra, collezione Pepe

Mentre la mia monografia era già pronta per andare in stampa ho avuto l'opportunità di esaminare due pregevoli dipinti dell'artista, conservati in 2 prestigiose collezioni private, che vanno ad incrementare il catalogo del pittore.
Essi sono una Madonna col Bambino e le anime purganti (fig.1) di una raccolta di Lecce ed una Deposizione (fig.2) di recente acquisita nella celebre raccolta Pepe di Acerra.
Il primo quadro raffigura una tematica molto cara alla cultura napoletana, che da sempre delinea un confine molto sottile tra la vita e morte e considera la redenzione delle anime purganti (fig.3) un impegno per diminuire attraverso messe di suffragio il periodo da trascorrere lontano dalla vetta del Paradiso ed in questa opera benevola assiste attenta la Madonna col Bambino (fig.4).
La seconda iconografia rappresenta una Deposizione, altra tematica frequente nella pittura sacra, e la parte inferiore della tela (fig.5) è pervasa da luminescenze ancora solimenesche integrate da un colorismo marattesco non immemore degli esempi dei grandi bolognesi del Seicento, dal Reni al Lanfranco, che ci inducono a datarlo intorno alla metà del quarto decennio del Settecento.
Due inediti che orgogliosamente proponiamo all'attenzione di studiosi ed appassionati.


Achille della Ragione 

fig.3 - Anime purganti

fig.4 - Madonna col bambino

fig5 - Deposizione (parte inferiore)












lunedì 15 novembre 2021

Salviamo Villa Bisignano e gli affreschi di Aniello Falcone

 
 
 
Villa Bisignano già Villa Roomer a Barra

 
“Villa Bisignano è una perla del Barocco smarritasi in un mare di degrado in uno dei quartieri periferici della città: Barra. Essa fu nel Seicento dimora di Gaspare Roomer, ricchissimo mercante, proprietario di una delle più importanti collezioni d’Europa, ricca di oltre mille dipinti. Nel Settecento il palazzo fu proprietà del principe di Bisignano, che l’arricchì ulteriormente di colonnati, fontane, scaloni ed uno straordinario orto botanico. La villa, oggi, proprietà comunale, ospita un plesso scolastico, mentre 4-5 famiglie hanno occupato abusivamente il resto del palazzo.
Trattandosi di Napoli un abuso quasi normale, ma tra gli ambienti occupati c’è l’antica biblioteca, che raccoglie un prezioso ciclo di affreschi del famoso pittore Aniello Falcone, miracolosamente scampato. La famiglia impossessatasi dei locali respinge vigorosamente qualsiasi visitatore, inclusi i professori di storia dell’arte della scuola, mentre numerosi piccioni coabitano nell’abitazione e sull’elegante porticato sono state erette abusivamente delle verande. Uno scandalo macroscopico che grida vendetta, possibile solo a Napoli”.

Questa lettera è di una sconfortante attualità, poiché attualmente al museo diocesano è in corso una importante mostra su Aniello Falcone.  
Sembra una leggenda metropolitana, come se si trattasse dell’invenzione di una sfrenata fantasia, si tratta purtroppo di una triste e perdurante verità, per cambiare la quale mi batto senza successo da oltre 20 anni.


P.S. allegate tre foto degli affreschi dal mio libro Aniello Falcone opera completa, che riuscii a scattare dando del denaro al turpe occupante, il quale permise anche una frettolosa visita della sua … casa agli Amici delle chiese napoletane, l’associazione fondata dal sottoscritto nel 1992.  

 

 



venerdì 12 novembre 2021

ANTONIO DE BELLIS opera completa

  
in copertina
-  Antonio De Bellis -
Orfeo ed Euridice - 135 x 96 - 
Lecce, collezione privata

Prefazione

Antonio  De  Bellis  è  considerato  un  allievo  di  Massimo  Stanzione,  ma  tra  i  tanti  seguaci  uno  dei  migliori,  come  giustamente  affermo  nella  mia  monografia:  un  minore  di  lusso.
Negli ultimi decenni, grazie alle ricerche archivistiche di De  Vito ed alla scoperta di alcuni suoi dipinti in Dalmazia da  parte di Mario Alberto Pavone, documentati dopo il 1656, è  cambiata  la  sua  biografia  e  soprattutto  la  collocazione  cronologica del suo ciclo di dipinti per la chiesa napoletana  di San Carlo alle Mortelle, che si credevano eseguiti durante  la peste del 1656, mentre ora sappiamo che sono precedenti  di oltre un decennio.
Sul  mercato  sono  comparsi  numerosi  inediti,  alcuni  di  notevole  qualità,  per  cui  necessitava  una  esaustiva  monografia sulla sua attività, compito che mi sono assunto  con  piacere,   partendo  da  una  aggiornata  biografia  per  procedere  poi  con  quanto  ho  a  lui  dedicato  nel  mio  libro  "Massimo  Stanzione  e  la  sua  scuola".  Seguono  degli  o   expertise  che  ho  elaborato  su  alcuni  suoi  quadri,  per  concludere  in  bellezza  con  32  tavole  a  colori  dei  suoi  più  importanti dipinti.   Non  mi  resta  che  augurare  una  piacevole  ed  istruttiva  lettura a studiosi ed appassionati, dando loro appuntamento  al mio prossimo libro.

 
Achille della Ragione
Napoli, novembre 2021

in 3^ di copertina 
Achille con due allieve


 

Indice

 

  • Prefazione  
  • Antonio De Bellis – Biografia  
  • Dal mio libro “ Massimo Stanzione e la sua scuola”  
  • Antonio De Bellis un minore di lusso  
  • Una interessante aggiunta al catalogo di Antonio De Bellis   
  • 10 inediti di pittura napoletana dal Cinquecento all’Ottocento
  • N. 32 Tavole a colore  

 
 
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in 4^  di copertina
- Antonio De Bellis -
San Sebastiano curato dalle pie donne –  154 x 129 - 
Lione, museo des Beaux 


 
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giovedì 11 novembre 2021

Il mausoleo Schilizzi, una potenziale attrazione turistica

 

mausoleo Schilizzi a Posilipo-Napoli



Dopo anni di chiusura il 4 novembre, in occasione della celebrazione dei caduti in guerra, il nostro sindaco Manfredi ha potuto visitare per la prima volta il mausoleo Schilizzi, l’originale monumento funebre in stile egizio, con annesso parco, che, con piccoli lavori di manutenzione, potrebbe trasformarsi in una interessante attrazione turistica, oltre a costituire un corroborante polmone di verde per la popolazione alla disperata ricerca di giardini dove trascorrere ore liete.
Sul finir dell’Ottocento doveva essere la tomba di una ricca famiglia livornese, ansiosa di gareggiare con i più potenti faraoni, è divenuto poi da decenni un sacrario in memoria dei tanti giovani che hanno sacrificato la vita per la patria nel corso della 1° guerra mondiale. 
Il panorama è mozzafiato, con Capri in primo piano, gli alberi maestosi, i prati numerosi, senza considerare la calma serafica che emana da un luogo di memorie, che induce alla meditazione.
Cosa aspettano le istituzioni con una spesa modesta a restituirlo degnamente alla fruizione di indigeni e forestieri?
La monumentale tomba inserita in uno splendido parco, dotata di una maestosa scalinata e di uno scorcio di panorama indimenticabile, fu costruita alla fine dell’Ottocento per volere di Matteo Schilizzi, un banchiere livornese attivo in città quando Napoli era una capitale europea del commercio, il quale voleva una sontuosa sepoltura per il fratello Marco, scomparso prematuramente e per i suoi discendenti. Incaricò dell’opera l’ingegnere Alfonso Guerra, che si adoperò alacremente per circa 10 anni, ma dovette poi sospendere i lavori per il sopravvenuto disinteresse del committente.
In seguito, grazie all’interessamento della contessa Martinelli, sarà il figlio dell’ingegnere Guerra, Camillo, a completare l’edificio, che verrà destinato a partire dal 1929 ad ara votiva per i caduti della Patria. Dopo quelli della Grande guerra, trasferiti da Poggioreale, arriveranno quelli della 2° guerra mondiale e delle Quattro giornate di Napoli. A lungo e si vede ancora la nicchia, ma è vuota, ha riposato in eterno Salvo D’Acquisto, prima che i suoi resti mortali fossero trasferiti nella chiesa di S. Chiara.
A sentire gli abitanti del luogo, ogni tanto al tramonto, sembra che il mausoleo si animi, si odono passi ed altri rumori non identificati, molti credono che sia il fantasma di Matteo Schilizzi che vaga inquieto nel parco alla disperata ricerca di una degna sepoltura. Più probabile che sia la voce della città, che richiama al dovere i suoi amministratori, impegnati unicamente a spartirsi fondi e ad accaparrarsi biglietti omaggio per le partite del Napoli.


Achille della Ragione
 

 

mausoleo Schilizzi

 

Il Mattino - pag. 46 - 14 novembre 2021


mercoledì 3 novembre 2021

CARLO SELLITTO opera completa

 

1° di copertina - Carlo Sellitto -
Maddalena penitente
Acerra, collezione Pepe


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Prefazione

Carlo  Sellitto  è  stato  il  primo  seguace  di  Caravaggio  a  Napoli, morto a soli 34 anni. 
Nel 1614, gli fu dedicata nel 1977 al museo di Capodimonte una mostra didattica tenuta in collaborazione dalla cattedra di Storia dell'arte  medievale  e  moderna  dell'Università  di Napoli  e  la Soprintendenza  ai  beni  artistici  e  storici  della  Campania, da  cui nacque un catalogo ragionato delle sue opere.
Negli  ultimi  anni  sul  mercato  antiquariale  sono  comparsi  alcuni dipinti che possono essergli attribuiti con ragionevole certezza, che hanno  incrementato  il  suo  scarno  catalogo,  ma  si  sentiva  la necessità  di  un  libro  che  raccogliesse  i  progressi  che  la  critica  ha compiuto dalla fatidica data della mostra didattica: 1977, per cui ho  deciso  di  raccogliere  una  serie  di  expertise  ed  articoli  che  ho dedicato all'artista.
Parto  da  una  esaustiva  biografia,  dotata  di  una  corposa bibliografia,  per  passare  poi  ad  inquadrare  il  pittore  nel naturalismo caravaggesco sorto a Napoli dopo il doppio soggiorno del Merisi.
Seguono  una  serie  di  miei  articoli  pubblicati  su  riviste specializzate, per concludere in bellezza con una trentina di tavole a colori, che ci fanno apprezzare lo stile e l'abilità del Sellitto.
Non  mi  resta  che  augurate  a  studiosi  ed  appassionati  buona  quanto fruttuosa lettura 

Achille della Ragione 

Napoli, novembre 2021

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3° di copertina
L'autore con due celebri personaggi di "Un Posto al sole"

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INDICE

  • Prefazione
  • Carlo Sellitto – Biografia
  • Carlo Sellitto e il naturalismo caravaggesco
  • Due interessanti dipinti del Seicento napoletano
  • Carlo Sellitto e Filippo Vitale due caravaggisti doc
  • Caravaggio? ma quale Caravaggio
  • Elenco tavole a colore

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4° di copertina
- Carlo Sellitto - S. Cecilia all'organo -
Napoli, museo di Capodimonte

 

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Carlo Sellitto Opera Completa by kurosp on Scribd

 

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