19/2/2010
Esplodono anche al nord le contraddizioni e le rivolte
Una, dieci, cento Rosarno, sembra di riascoltare esterrefatti le farneticanti minacce degli anni di piombo, mentre uno spettro si aggira per l’Europa: la rabbia di milioni di immigrati clandestini, disperati e decisi a reclamare anche solo le briciole della nostra opulenza.
Oggi il pericolo che incombe sulla nostra convivenza civile, non è più il terrorismo, ma una bomba ad orologeria che, se non disinnescata in tempo, rischia di deflagrare, per l’inadeguata gestione del fenomeno migratorio, tra deleterio buonismo ed esasperato rigore.
Non si riesce a scegliere una linea di condotta inequivocabile, che costituisca una bussola certa e permetta di governare l’ingovernabile.
Gli scontri tra etnie diverse avvenuti nel cuore di Milano, hanno dimostrato che il malessere non alberga soltanto nelle zone derelitte del Paese, dove comanda indisturbata la criminalità organizzata, ma anche tra le strade della capitale morale, roccaforte del nostro sistema industriale.
I primi a soffrire per queste rivolte, oramai sempre più frequenti, sono i vecchi abitanti delle zone trasformate in ghetti e la massa degli stranieri in regola, desiderosi soltanto di lavorare e di vivere in pace.
Combattere l’immigrazione clandestina e le sue connessioni con la criminalità più o meno organizzata non è facile, ed ancor più difficile è contrastare la formazione di concentrazioni etniche nelle grandi città, soprattutto in presenza di operatori sociali, religiosi ed interi settori dell’opinione pubblica che predicano un’eccessiva indulgenza al punto da sfiorare la complicità.
Bisogna che la Chiesa si decida ad amministrare le anime, lasciando alla politica il gravoso compito di governare i corpi.
Non si può più giustificare la presenza della clandestinità, foriera di disordine economico e sociale, non bisogna dimenticare che il favoreggiamento è un reato penale.
Urge un programma di grandi dimensioni, in accordo con l’Europa, che preveda un gigantesco aiuto ai paesi poveri, creando in loco le condizioni per una vita migliore e stroncando alla base i motivi della diaspora.
Nelle more sarebbe opportuno investire nella creazioni di strutture che facilitino l’integrazione: scuole gratuite di lingua e di cultura italiana, programmi televisivi dedicati agli stranieri, uffici per facilitare lo svolgimento delle pratiche burocratiche, favorire i matrimoni internazionali, unico modo, nei tempi lunghi per pacificare gli animi, creando le basi per il futuro.
Il tempo è oramai scaduto e se non troviamo adeguate soluzioni dovremmo abituarci a convivere con disordini e rivolte quotidiane.
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