mercoledì 30 ottobre 2013

Un virtuoso della tastiera

Michele Campanella

Michele Campanella, Napoletano DOC, è considerato internazionalmente uno dei maggiori virtuosi e interpreti lisztiani, Michele Campanella ha affrontato in oltre 40 anni di attività molte tra le principali pagine della letteratura pianistica.
La Società "Franz Liszt" di Budapest gli ha conferito il Gran Prix du Disque nel 1976, 1977 e nel 1998, quest'ultimo per l'incisione “Franz Liszt – The Great Transcriptions I-II” edita dalla Philips. Nel 1986 il Ministero della Cultura ungherese gli ha conferito la medaglia ai “meriti lisztiani”, così come l’ American Liszt Society nel 2002. Formatosi alla scuola pianistica napoletana di Vincenzo Vitale, Michele Campanella è un artista di temperamento assai versatile. Questa sua caratteristica lo ha portato ad avvicinare autori quali Clementi, Weber, Poulenc, Busoni (Premio della Critica Discografica Italiana nel 1980 per le incisioni con la Fonit Cetra), Rossini, Brahms, Ravel e Liszt, di cui ha recentemente inciso un’antologia di Parafrasi, primo grande capitolo di un'importante serie dedicata all'opera lisztiana che comprenderà ben 9 CD, in uscita per l'etichetta Brilliant.
La sua discografia comprende incisioni per etichette quali Emi (Ravel), Philips (Liszt, Saint-Saëns), Foné (Chopin), PYE (Liszt, Ciajkowskij), Fonit Cetra (Busoni), Nuova Era (Ciajkowskij, Liszt, Musorgskij, Balakirev), Musikstrasse (Rossini), P&P (Brahms, Liszt, Scarlatti), Niccolò (Schumann). Nell’estate del 2005 è stata pubblicata dal Rossini Opera Festival la registrazione della Petite Messe Solennelle di Rossini diretta da Campanella a Pesaro.
Ha suonato con le principali orchestre europee e statunitensi, collaborando con direttori quali Claudio Abbado, Gianluigi Gelmetti, Eliahu Inbal, Charles Mackerras, Zubin Mehta, Riccardo Muti, Georges Prêtre, Esa-Pekka Salonen, Wolfgang Sawallisch, Thomas Schippers, Hubert Soudant, Christian Thielemann. È frequentemente invitato in paesi quali Australia, Russia, Gran Bretagna, Cina, Argentina ed è stato ospite dei festival internazionali di Lucerna, Vienna, Praga, Berlino e Pesaro (Rossini Opera Festival). Negli anni ’90 è stato al fianco di Salvatore Accardo e Rocco Filippini, quali partner ideali per affrontare i capolavori della musica da camera. Spiccano tra gli ultimi importanti traguardi l'esecuzione di tutti i concerti di Beethoven e Mozart, e l’integrale della musica per pianoforte di Brahms.
Negli anni recenti si è molto sviluppata l’attività di Michele Campanella in veste di direttore -solista con le più prestigiose orchestre italiane, come l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, l’ORT-Orchestra della Toscana, l’Orchestra da Camera di Padova e del Veneto, I Filarmonici di Verona, l’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento. Da sottolineare il repertorio: Ravel, Fauré, Poulenc, Franck, Saint-Saëns, Schumann, Weber, Liszt, oltre a Mozart e Beethoven. Si dedica con passione all'insegnamento: è stato titolare della cattedra di pianoforte all'Accademia Chigiana di Siena dal 1986 al 2010 e per otto anni ha tenuto corsi di perfezionamento a Ravello. Ha diretto il Centro di Studi pianistici Vincenzo Vitale presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli . È stato insignito dei prestigiosi riconoscimenti della “Fondazione Premio Napoli” e della “Fondazione Guido e Roberto Cortese”. E’ membro delle Accademia di Santa Cecilia, dell’Accademia Filarmonica Romana, dell’Accademia Cherubini di Firenze. È stato per nove anni direttore artistico di tre stagioni concertistiche nate nell’ambito delle Università di Napoli, Benevento e Catanzaro.Di recente è stato nominato direttore artistico del Maggio della Musica di Napoli. Dal 2008 è Presidente della Società Liszt, chapter italiano dell’American Liszt Society.
Nel 2011, anno in cui si celebra in tutto il mondo il bicentenario della nascita di Franz Liszt, Campanella dedica interamente la sua attività di pianista e direttore d’orchestra al compositore ungherese da lui studiato e amato fin dall’età di quattordici anni. In programma concerti solistici con assolute rarità all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia a Roma (Sala Sinopoli, 7 gennaio, 11 marzo e 21 ottobre), A Torino per l'Unione Musicale (16 gennaio), all'Aquila (23 gennaio), alla Fondazione Cini di Venezia il 13 febbraio, al Conservatorio Verdi di Milano il 25 febbraio, al San Carlo di Napoli (7 aprile e in ottobre), a Buenos Aires e Rosario in Argentina (14 e 15 luglio), cui si aggiungono un concerto di musica sacra corale all’Accademia Musicale Chigiana di Siena (20 aprile) e una tournée italiana, con quattro tappe a fine marzo Piacenza il 25, Cremona il 26, Udine il 27, Parma il 29 – in giugno a Ravenna nell’ambito del celebre Festival, e a settembre a Milano per MiTo, con l’Orchestra Luigi Cherubini per l’esecuzione, in una sola serata, come solista e direttore, di tutta la musica per pianoforte e orchestra di Liszt.
Fra gli appuntamenti di spicco di questo impegnativo 2011, quello del 30 settembre (replica l’1 e 4 ottobre), in cui Campanella ha raggiunto Riccardo Muti a Chicago per il culmine delle celebrazioni lisztiane con l’esecuzione, insieme alla Chicago Symphony Orchestra, del Primo Concerto per pianoforte e orchestra.
Inoltre, in collaborazione con l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e con l’Accademia Musicale Chigiana, Campanella ha creato e diretto al Parco della Musica di Roma l'avvio delle Maratone lisztiane il cui intento è eseguire l’integrale della musica scritta per il pianoforte da Liszt. Si tratta di un evento che coinvolge ben 75 pianisti e che ha rilevanza eccezionale in quanto mai realizzato al mondo prima d'ora.
All’attività di musicista, Campanella affianca quella di scrittore: il 10 marzo 2011 lo Spazio Risonanze del Parco della Musica di Roma ha ospitato la presentazione del suo libro Il mio Liszt (Milano, Bompiani, 2011), che il pianista dedica al suo autore di riferimento. Tale incontro è stato replicato nelle principali città italiane nell'arco di tutto l'anno lisztiano.

L’artista della montagna di sale

Mimmo Paladino


Domenico Paladino, più conosciuto come Mimmo, Nato a Paduli (BN) nel 1948, pittore, scultore ed incisore è uno dei più noti artisti italiani. Le sue opere sono collocate in permanenza in alcuni dei principali musei internazionali tra cui il Metropolitan Museum of art di New York. Ed inoltre alla Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea di Roma, e al museo d’arte contemporanea Donnareggina MADRE e al Museo Nazionale di Capodimonte di Napoli
Mimmo Paladino è uno dei rappresentati più noti della Transavanguardia. Con questo movimento, teorizzato nel 1980 da Achille Bonito Oliva, assistiamo a quel vasto fenomeno di ritorno alla pittura, dopo che quest’ultima sembrava quasi scomparsa per la presenza delle tanti correnti concettuali che si erano manifestate negli anni ’70. Il nucleo storico della Transavanguardia è formato, oltre che da Mimmo Paladino (nato a Paduli, Benevento, nel 1948), da Sandro Chia (nato a Firenze nel 1946), Francesco Clemente (nato a Napoli nel 1952), Enzo Cucchi (nato a Morro d’Alba, Ancona, nel 1950) e Nicola De Maria (nato a Foglianise, Benevento, nel 1954). Artisti tutti italiani che formano la prima corrente artistica europea che, in questo secondo dopoguerra, riuscirà ad affermarsi anche in America.
L’ispirazione di base della Transavanguardia deriva dall’espressionismo storico, ma anche dal Neo-espressionismo manifestatosi in Germania negli anni ’70 con artisti quali Baselitz, Penk, Lupertz, Immendorf, Kiefer. Non è un caso, infatti, che la Transavanguardia trovi immediato successo proprio in Germania, dove provoca una sempre maggiore adesione al Neo-espressionismo da parte di artisti quali Fetting, Middendorf, Dahn e altri.
Dal Neo-espressionismo la Transavanguardia prende il concetto di immagine ridotta ai suoi elementi espressivi fondamentali, realizzati con tratti violenti e colori accesi. Ma contemporaneamente se ne distacca per una visione meno drammatica ma più solare. In particolare per quel gusto tutto mediterraneo di un’affabulazione sensuale che si ritrova soprattutto in Paladino.
Il concetto di Transavanguardia, così come formulato da Bonito Oliva, fa sì che questo movimento possa essere considerato in toto un fenomeno della cultura post-modern. Nella Transavanguardia troviamo infatti il ricorso alla memoria e alla citazione, con la scelta optata verso la tradizione delle Avanguardie storiche. Memoria e citazione che rimangono però legati esclusivamente allo stile. I riferimenti poetici, specie in Paladino sono ben altri. Essi riguardano la riscoperta della memoria "profonda", quella dove, con spirito quasi metafisico, le forme restano fisse in istanti senza tempo. Devitalizzati dalle tensioni contingenti, per mostrare l’essenza delle cose, le forme stesse si riducono a quel nocciolo duro che più duramente e lentamente il tempo riesce a scalfire.
L’opera di Paladino ha le divisioni tipiche dell’arte tradizionale, esplicandosi nel campo della pittura, della scultura e della grafica. In essa ricorrono immagini che rimandano ad un universo arcano e primitivo, dove le forme sono tradotte in segni eleganti e semplificati. Anzi, è proprio il passaggio dall’«immagine», come linguaggio analogico, al «segno», dove l’immagine ha un significato logico, a costituire il tratto più tipico dell’universo formale di Paladino. Un universo in cui compaiono e si moltiplicano una quantità enorme di «segni», generati per necessità artistica e formale, ma nel quale sembra di entrare in contatto con una cultura del tutto nuova, se non del tutto a noi estranea, i cui «segni» come un alfabeto sconosciuto aspettano ancora di essere decifrati e compresi.
Nel 1995 Napoli gli dedica una mostra alle scuderie di Palazzo Reale, a Villa Pignatelli Cortes e in Piazza Plebiscito dove installa la Montagna di Sale, un’opera straordinaria che gli procura una fama internazionale, seguirà anni dopo una identica performance a Milano in Piazza Duomo, che farà proclamare al filosofo Arthur Danto: «… debbo affemare l’eminenza di Mimmo Paladino tra le fila dell'arte contemporanea, qualità particolarmente vera per le installazioni all'aperto. Non c'è niente che regga il confronto con l'imponente "Montagna di sale" che l'artista ha eretto in piazza del Plebiscito a Napoli, disseminata di cavalli arcaici; il mondo dell’arte dell'ultimo quarto di secolo non ha nulla di paragonabile. C'è qualcosa di magicamente alchemico nella visione di questi cavalli arcaici che si dibattono su una piramide di sale».
È pittore, scultore, regista, architetto. Ma Mimmo Paladino, big della Transavanguardia, è molto altro. Le sue opere sono popolate da cavalli, maschere e forme geometriche che raccontano storie misteriose. Amico di Lou Reed, in passato ha collaborato con Lucio Dalla e Peppe Servillo (scritturati per un suo film), e Brian Eno. Poco strano quindi che il festiva) musicale di Ravello lo celebri oggi con una mostra. Il fil rouge? Le note. Un itinerario nella melodia attraverso 60 sculture negli spazi di Villa Rufolo (tra cui l'installazione dei venti Testimoni in dialogo con l'architettura di Oscar Niemeyer) e manifesti realizzati per il Teatro dell'Opera di Roma. Per culminare in un film su Gesualdo di Venosa, noto per i suoi madrigali (ma anche per aver ucciso la moglie adulterina).
Che effetto le ha fatto dialogare con le architetture di Niemeyer? 
L'architettura è pittura vedente, ha un forte legame con la mia opera. A Firenze ho fatto un'enorme croce di marmo in Piazza Santa Croce. È stata una sfida occupare la piazza, solo Benigni o Dante ci erano riusciti. 
Perché visitare la mostra? 
Perché Ravello è speciale. E per riscoprire Gesualdò di Venosa a cui ho dedicato un corto. Nel mio lavoro è tutto collegato: una scultura porta a un disegno, un disegno a un film. 
Che rapporto ha con la musica? 
Musica e pittura sono cugine. Lo spazio di una scultura o di una tela è come uno spartito. Si compie lo stesso processo mentale per creare una sinfonia o un quadro.
Wagner o Verdi? 
Verdi, per la sua potenza figurativa eccezionale. 
Dipinge, scolpisce, crea video: qual è la forma d'arte più completa? 
Forse il disegno: si può fare facilmente ovunque e sempre. 
È cambiata la sua arte dagli anni della Transavanguardia? 
Sono cambiati i mezzi e i metodi, però ancor oggi ritrovo formule uguali a quelle di 30 anni fa. Credo che nell'arte, alla fine, tutto sia ciclico. 
Nei suoi lavori sono spesso protagonisti i cavalli, perché? 
Perché è un animale puro, veloce e (soprattutto) libero. Ha una forma arcaica e una struttura geometrica precisa. È puro pensiero. 
Ha mai usato l'aura dell'artista per sedurre? 
L'arte ha un potere intrinseco di seduzione se si ha capacità di comprenderla.
E non rinuncia ad esprimersi attraverso il cinema, come nel suo film su Gesualdo, la cui vicenda, a suo parere fa percepire le luci e le ombre di Napoli.
Un lavoro collettivo: con Haber, la chitarra di Mussida e le foto di Accetta.
«La notte, unica regina della mia musica, mi tormenta a riscrivere in eterno lo stesso madrigale, per possederlo in ogni sua parola….», È il settembre del 1613. Sono i suoi ultimi giorni. Il principe di Venosa, Carlo Gesualdo, grande madrigalista del Seicento, scrive il suo testamento. E, nello stesso tempo, riscrive la sua musica, rivoluzionaria per l'epoca. Rivive i momenti salienti della sua esistenza, Pensa soprattutto a quella tragica alba in cui tornò nel suo appartamento di Palazzo Sansevero, in piazza San Domenico Maggiore, a Napoli, per sorprendere - e uccidere – la moglie Maria d' Avalos in compagnia dell'amante, Fabrizio Carafa. 
Così. in «Labyrirmus» un film documentario di quindici minuti, Mimmo Paladino sulla sceneggiatura di Filippo Arriva racconta il controverso personaggio e una vicenda di sangue e mistero circondata dalla leggenda che da sempre ha segnato l'immaginario napoletano, e non solo. 
Ma perché un film, Paladino? 
«Cinque anni fa avevo girato "Don Chisciotte". Aspettavo questo secondo cimento cinematografico, era il momento giusto e il soggetto molto stimolante, mi ci sono gettato con voracità e curiosità». 
lei ha dedicato a Gesualdo anche una mostra, attualmente allestita a Ravello sul piazzale dell' Auditorium Niemeyer e nella cappella di VilIa Rufolo. 
«Con il Principe dei musici ho un rapporto quasi "fisico" visto che la mia tenuta-studio di Paduli è a poca distanza dal castello di Gesualdo, la sua terra è la mia terra. Tra le opere che gli ho dedicato c'è anche un'installazione con un arciliuto imprigionato in un groviglio di bronzo. Un labirinto cui s'ispira anche il titolo del filmato, un labirinto che è la sua vita, la sua musica, unica, irripetibile». 
Dove avete girato? 
«Data la ristrettezza del budget abbiamo fatto tutto in una sola giornata nel cortile borrominiano e nella Sala Alessandrina dell'Archivio di Stato, a Roma». 
Cosa si vede nel film?
«Ci sono voci che si sovrappongono, quella fredda e burocratica del testamento originale di Gesualdo, quella che noi abbiamo immaginato dei suoi pensieri, delle emozioni, della musica. È un ritratto veritiero in cui si dice quasi tutto di lui e della sua storia, per me è un artista tragico come Caravaggio, con tutte le luci e ombre che da sempre accompagnano Napoli». 
Insomma, lei "disegna" il personaggio con la telecamera. 
«Pero questo filmato è diverso dal racconto libero e visionario che avevo realizzato per l'eroe di Cervantes. Vorrei che fosse il primo tassello di una serie di personaggi, tutti più o meno "prigionieri" di un labirinto artistico o legati a un' ossessiva ricerca musicale». 
Per esempio? 
«Glenn Gould il Pontormo».
Quindi non esclude la possibilità di ripetere ancora l'esperienza dietro la macchina da presa?
«È un campo molto affine al mio. lo che di solito lavoro da solo, spesso solo con la mia matita, qui ho assaporato il piacere del lavoro collettivo, della condivisione con un gruppo di amici. Se per "Don Chisciotte" avevo lavorato fianco a fianco con Lucio Dalla, qui sono con Alessandro Haber che impersona proprio Gesualdo, Franco Mussida che ha creato la colonna sonora con la sua chitarra o Cesare Accetta, mago della fotografia». 
E la musica?
«La considero la cugina della pittura, si costruisce su basi logiche e matematiche ma poi sfugge all'artista e raggiunge altri territori». 
Lei ha anche prestato le sue opere come scene per la lirica, al San Carlo: «Fidelio». (Beethoven) e il rossiniano «Tancredi». 
«Sì, e confesso che recentemente, disegnando i manifesti delle opere verdiane dirette "da Riccardo Muti all'Opera di Roma,ho scoperto Verdi, un musicista che è l'Italia. Ma se dovessi di nuovo affrontare le scene per un' opera mi piacerebbe disegnare il genio Mozart e il suo fantasmagorico "Flauto Magico"».
Un emozionante dialogo fra mondi lontani, eppure segretamente vicini. Un artista "antico", assiduo frequentatore di archetipi e di leggende. E un fotografo "arcaico", impegnato a trasfigurare brandelli di mondo, scorci di realtà. Mimmo Paladino e Antonio Biasiucci. La loro sfida: non dar vita a una "personale doppia". Nelle sale della Mep hanno disegnato un percorso segnato da corrispondenze e da risonanze, in cui scultura, pittura e fotografia sembrano continuarsi.
Si dissolvono i confini che separano i vari linguaggi. Il visitatore è invitato ad attraversare un vero impero dei segni: cifre e figurazioni transitano, si intrecciano, si combinano. Il percorso è avvolto dentro un'atmosfera mistica, religiosa. Non ci sono eccessi. Nessuna provocazione. Un silenzio appena sfiorato da affioramenti oggettuali. In un gioco di penombre, Paladino e Biasiucci sembrano comportarsi come involontari archeologi, impegnati a svelare relitti, rovine: tessere infrante di mosaici ormai invisibili. Ecco il ciclo dei Dormienti (Paladino). Ed ecco le foto degli ex voto e le colate di lava (Biasiucci), Ed ecco decine di scarpe d'argento conficcate alle pareti (ancora Paladino). La Mep viene trasformata in una Casa Madre, destinata ad accogliere un seduttivo viaggio alla ricerca delle origini.
Gli piacciono molto le collaborazioni con altri artisti come nel percorso a due voci, presso La maison Europeenne della Photograpie di Parigi o più modestamente a Nola dove una mostra celebra 20 anni di collaborazione con lo stampista Avella.
L'altro volto di Mimmo Paladino. Non quello di artista superstar, con quotazioni da capogiro tra aste e gallerie accessibili solo ai grandi collezionisti, ma quello più sensibile, di artista solidale che accende la sua creatività di scultore e pittore anche a sostegno d'iniziative e manifestazioni di carattere culturale di un certo rilievo. Sueccede a Nola  dove, nello spazio espositivo Amira diretto da Avella si espone un nutrito
corpus di libri d'autore, incisioni, xilografie e serigrafie realizzate dal maestro della Transavaguardia in oltre un ventennio di collaborazione, dal lontano 1991, con la stamperia d'arte nolana «il laboratorio»di Vittorio Avella. Occasione dell'incontro fu la V edizione di Futuro Remoto e la manifestazione «si stampi» dove con Paladino erano invitati Ernesto Tatafiore e Adriana de Manes. Negli anni segue una lunga serie di incisioni e serigrafie, tra le prime, nel 1992, quella per le celebrazioni dei 100 anni de «Il Mattino», quando Paladino realizzò una colorata e gioiosa composizione nella quale, tra la testata e le date 1892-1992, pochi segni essenziali che rimandano al ruolo del quotidiano come voce della città. Tra gli altri lavori in esposizione a Nola, una serie di opere grafiche poco note, alcune finanche inedite, messe insieme per raccontare una storia di amicizia e collaborazione tra un artista di fama internazionale, quale è appunto Mimmo Paladino, ed una stamperia d'arte che da più di 40 anni opera a Nola










Consoliamoci con la bellezza


di Marina della Ragione


Voltaire nel Dizionario filosofico si interrogava su cosa fosse la bellezza: Se lo chiedete ad un rospo, vi risponderà la sua femmina, se lo chiedete ad un nero della Guinea, vi parlerà di un naso schiacciato, di una grossa bocca e di una pelle oleosa, se lo chiedete ad un filosofo lo metterete in imbarazzo, perché da Platone ad oggi non hanno ancora trovato un accordo.
Per cui concluderemo che è bello ciò che piace e ci dobbiamo proporre di abbandonarci alla sua contemplazione, perché ammirare la bellezza fa bene allo spirito ed al corpo.
Il sorriso della Gioconda, Marlon Brando nel Padrino, il fisico di Kate Moss, La nona sinfonia di Beethoven, le cascate del Niagara o più semplicemente un sorriso di un bimbo, un raggio di sole, la quiete dopo la tempesta, le onde che si infrangono su una scogliera. E’ questa la bellezza ed indipendentemente da gusti musicali, fede calcistica, età, sesso e religione essa ci salverà e rappresenterà un’arma per sopravvivere in questo mondo in crisi, per avvicinarsi agli altri, fare politica, ritrovare fiducia in se stessi.
Non dobbiamo giustificarci perché un quadro, un paesaggio, un tramonto, una canzone, siano belli, quando percepiamo che ciò che è davanti ai nostri occhi ci piace esprimiamo un giudizio senza concetto, senza interesse e senza finalità e ci troviamo in buona compagnia, perché è la definizione di bello che dava Kant, il più grande tra i filosofi.
Frequentiamo la bellezza il più possibile, moltiplichiamo le esperienze estetiche, le occasioni di provare il morso delizioso di questo puro slancio verso l’universale.Davanti ad un quadro di un museo non ascoltiamo l’audio guida, ma abbandoniamoci all’emozione di condividere la fragilità della nostra umanità che nessun ragionamento può imporre. Il sentimento del bello ci conduce ad aspirare al bene. Davanti ad un bel viso accettiamo di essere a confronto con un mistero, che non capiamo, ma siamo certi di amare. Grazie alla bellezza si compie la felice esperienza del mistero.


martedì 29 ottobre 2013

Neapolis Aneddotica e Memoria


Una raccolta di articoli di Aurelio De Rose


Il libro raccoglie una serie di articoli, per l’occasione riveduti ed ampliati, di Aurelio De Rose, i quali vennero pubblicati anni fa sul quotidiano il Roma. 
Essi si propongono di ricordare a quanti si dilettano di napoletanità eventi e personaggi del passato, tra cronaca e curiosità, ma soprattutto è rivolto a quanti, distratti dall’incalzare della modernità, sembrano voler dimenticare uno straordinario patrimonio di cultura e tradizioni. Sono come le definisce l’autore, piccole “cotes de l’histoire”; vicende che ha mostrato, da sempre, nel bene e nel male, tutta la sua particolare vivacità.
I Napoletani sono gente antica, che non ha reciso le radici col passato e che ha rifiutato vigorosamente le saudenti sirene della modernità. Rappresentiamo una delle ultime tribù della terra in lotta contro la globalizzazione.
Abbiamo alle spalle una storia gloriosa di cui siamo fieri, passeggiamo sulle strade selciate dove posò il piede Pitagora, ci affacciamo ai dirupi di Capri appoggiandoci allo stesso masso che protesse Tiberio dall’abisso, cantiamo ancora antiche melodie contaminate dalla melopea fenicia, ma soprattutto sappiamo ancora distinguere tra il clamore clacsonante delle auto sfreccianti per via Caracciolo ed il frangersi del mare sulla scogliera sottostante.
Avere salde tradizioni e ripetere antichi riti con ingenua fedeltà è il segreto e la forza dei Napoletani, gelosi del loro passato ed arbitri del loro futuro, costretti a vivere, purtroppo, in un interminabile e soffocante presente.
Gli episodi rievocati con puntigliosa precisione, si gustano in pochi minuti. Sono storie di amori segreti, di follie, di fantasmi, di antichi palazzi, di tradizioni dimenticate e, lo confesso, sconosciuti agli stessi napoletanisti.
Un libro che non può mancare nella biblioteca sia dell’appassionato che dello studioso e se non lo troverete in libreria niente paura lo potrete ordinare direttamente all’autore aurelioderose@libero.it oppure sui siti on line come Amazon ed altri.


Aurelio De Rose


Sull’origine dell’Universo


di Marina della Ragione


Possiamo essere atei o credenti, ma non possiamo rimanere indifferenti alle diverse ipotesi sull’origine del mondo. Da un lato un pauroso Big Bang che dà origine ad una materia densa di energia, la quale si espande senza fine, dando luogo agli elementi. Un universo privo di anima e di finalità. Poi un giorno, da acque melmose, per pura combinazione, da molecole di carbonio, sorge il primo essere unicellulare, in grado di riprodursi. E’ nata la vita, che nel tempo si differenzierà sempre più fino alla comparsa dell’uomo, dotato di intelligenza e coscienza, capace di contemplare un universo ostile o quanto meno indifferente al suo destino. Se viceversa leggiamo i primi capitoli della genesi, osserviamo uno spettacolo grandioso con un Dio che, con inesausto ardore, organizza il tempo e lo spazio, crea la luce, separa le acque dalle terre, brulicanti di vita, popola i cieli di nuvole foriere di pioggia, fa salire i monti e distendere le valli, genera sorgenti e torrenti impetuosi, suscita venti e inneva le cime.Crea il sole, la luna e gli astri del firmamento, produce erbe, germogli, fiori, alberi colmi di frutta e tutti gli esseri viventi che affollano mari e terre, dai pesci che nuotano, ai serpenti che strisciano, agli uccelli che dominano il cielo, dalle lepri paurose ai leoni coraggiosi ed alla fine plasma l’uomo dalla polvere, come dal suolo fa germogliare alberi ed animali.

Genere: Femminielli un argomento affascinante



Eugenio Zito e Paolo Valerio scrivono di nuovo su un argomento di grande interesse: Il pianeta costituito dai Femminielli Napoletani.
I due autori, oltre al loro parere, frutto di anni di studio dedicati alla problematica, raccolgono i contributi di altri 10 ricercatori, che hanno indagato su varie sfaccettature e così abbiamo un capitolo sull’origine del nome, un altro sugli aspetti antropologici, uno sui nuovi percorsi identitari, sulla loro affettività, sui riti del matrimonio, dell’iniziazione, sulla celebre figliata e sull’annuale gita al santuario di Montevergine. Mi ha particolarmente colpitociò che scrive Corinne Fortier, una studiosa francese che ci offre un approccio antropologico, letterario e psicoanalitico del fenomeno, a dimostrazione che l’interesse verso i Femminielli non è solo “Cosa Nostra”.
Vengono riprese le accurate descrizioni di Abele De Blasio, di Salvatore Di Giacomo, di Patroni Griffi, di Malaparte, di Lombardi Satriani, il quale cura anche la Prefazione. Inoltre vi sono numerosi altri autori che nelle loro opere hanno trattato di questi pittoreschi personaggi, che animano da secoli alcuni quartieri popolari napoletani.
Un libro che prima si legge tutto, per ritornare poi con maggiore attenzione su quei capitoli che hanno destato maggiore interesse e curiosità.
Termino segnalando, per chi volesse approfondire l’argomento, di consultare su internet due miei brevi saggi, il primo incluso né ”Le ragioni di della ragione” pagine 52-57, il secondo, in “Napoletanità, arte, miti e riti a Napoli” pagine 52-60.

Miglioriamo l’efficienza sessuale


Cistiti frequenti e benessere femminile


Negli ultimi anni, i disturbi legati all'apparato uro-genitale maschile e femminile colpiscono fasce sempre maggiori di popolazione e fasce d'età sempre più basse, a causa spesso (o quasi sempre) di stili di vita non adeguati e di cattiva alimentazione. 
Per evitare che i disturbi si trasformino in malattie, che un'infiammazione diventi cistite o che un affaticamento della prostata diventi prostatite conclamata la medicina ufficiale oggi punta molto sulla prevenzione. 
Gli specialisti in urologia sono tutti concordi nell'affermare che stili di vita regolari, una moderata attività fisica e un'alimentazione che faccia poco uso di sale, di bevande alcoliche e di conservanti sono il primo passo per evitare disturbi dell'apparato urinario, poiché nell'80% dei casi questi accorgimenti sono sufficienti per ridurre o eliminare del tutto il problema. Successivamente entrano in gioco gli integratori alimentari, che sono in grado di supportare in modo efficace tutte le forme di prevenzione, e i test diagnostici, fondamentali per scongiurare il pericolo di incappare in patologie più o meno gravi o per bloccarle negli stadi iniziali. 
E se l'universo femminile, più attento ai temi della salute, sta rispondendo alla prevenzione in modo più coerente e veloce, l'universo dell'utenza maschile, invece, ancora stenta a rendersi conto del fatto che, a partire dai 45/50 anni di età, un monitoraggio annuale o biennale (il medico di base può consigliare in proposito) dell'apparato uro-genitale non solo è assolutamente consigliabile, ma è decisamente opportuno. L'incidenza dei tumori della prostata è infatti ancora troppo elevata tra la popolazione (non solamente italiana) e comporta interventi invasivi che potrebbero essere evitati nella stragrande maggioranza dei casi ricorrendo alla prevenzione o a terapie di contenimento. 
Le principali associazioni di categoria (SIU e SIA) si sono da tempo organizzate per far partire progetti legati alla prevenzione e per fare azione informativa sul territorio, tra l'utenza di base. Non c'è bisogno di dire che, se da parte dell'apparato pubblico questi interventi fossero in qualche modo supportati, questa attività potrebbe dare risultati di gran lunga più eclatanti. 
Il bruciore ricorrente, i dolori e le perdite di urina sono un problema fisico per la donna, ma hanno anche importanti risvolti psicologici. Un forte disagio e uno stato di prostrazione sono nella norma per le pazienti colpite da cistite. 
L'informazione e un percorso terapeutico adatto consentono di minimizzare ansia e stress aiutando il malato a vivere meglio. 
Spesso, infatti, i disturbi uro-genitali possono essere curati con pochi, efficaci strumenti, garantendo alla donna una ripresa piena della funzionalità urogenitale e scongiurando le recidive. Il “Journal of Clinical Urology”, pubblicazione ufficiale dell’ Associazione Britannica dei Chirurghi Urologici, ha recentemente pubblicato gli atti di un seminario sulla gestione delle infezioni urinarie ricorrenti nelle donne adulte. Nel- l'articolo si ribadisce che il meccanismo chiave delle infezioni alle vie urinarie femminili consiste nella colonizzazione della vagina da parte di enterobatteri uropatogeni (principalmente, ma non solo, Escherichia coli) e dalla loro successiva migrazione in vescica. 
Sebbene la profilassi antibiotica sia attualmente il trattamento più utilizzato per combattere le infezioni urinarie batteriche, l’allarme emergente della resistenza a questa tipologia di farmaci rende necessaria una maggiore cautela e la presa in considerazione di terapie alternative. La rivista scientifica spiega che tra i rimedi meno conosciuti, in grado di evitare i rischi da abuso di antibiotici, figurano ad esempio i vaccini contro l'Escherichia coli, oppure l'assunzione di probiotici, che aiutano a ridurre il rischio di colonizzazione e adesione batterica. Tra gli integratori sul mercato, saranno quindi da ricercare quelli contenenti probiotici specifici, come: Saccharomyces Boulardii, Lactobacillus Plantarum, Bifidobacterium Longum, Lactobacillus Acidophilus DDS-1 e Lactobacillus Rhamnosus. Questi probiotici e lieviti sono in grado di inibire l'attecchimento e la diffusione dei ceppi batterici più ricorrenti e quindi di evitare il sorgere o il ripresentarsi di infezioni. Recentemente, buoni risultati si sono ottenuti anche con integratori contenenti il principio attivo del mirtillo rosso americano o Cranber (utile anche nelle patologie maschili della prostata). Studi clinici ne dimostrano l'efficacia come agente preventivo per le persone soggette ad infezioni vescicali ricorrenti. Recentemente sono state realizzate delle formulazioni in compresse contenente estratto secco concentrato di Cranberry abbinato a vitamina C (acido ascorbico). 
L'alimentazione, poi, è importante: sia quando il disturbo non è ancora conclamato, che nelle fasi iniziali della patologia, ma soprattutto quando il disturbo urogenitale si è presentato ed è stato curato, per evitare che si ripresenti una corretta alimentazione si rivela fondamentale. La dieta riveste un ruolo importante perché alcuni alimenti peggiorano il problema. In generale, quindi, bisognerà evitare alimenti altamente acidi, cibi piccanti, bevande come tè, caffè, alcool, i dolcificanti artificiali e i conservanti perché possono provocare irritazioni della vescica e peggiorare il quadro infiammatorio. Da evitare anche i formaggi stagionati, i cibi in scatola e le bevande alcoliche. 
Nella cura dei disturbi dell'apparato uro-genitale, l'acqua è l'elemento più importante, sia a livello di prevenzione, sia a livello di supporto alla terapia. Tutte le acque potabili contengono sali minerali ma la definizione" minerale" è riconosciuta dalle legge esclusivamente alle acque che possiedono caratteristiche Igieniche particolari e proprietà favorevoli alla salute, legate alla presenza di specifici sali minerali e oligoelementi. Il Ministero della Sanità vieta qualsiasi trattamento risanante sull'acqua minerale. A differenza dell'acqua di rubinetto che in genere subisce diversi trattamenti (filtrazione, clorazione, aggiunta di ozono) prima di essere distribuita, l’acqua minerale deve essere già "sana" alla sorgente, ovvero batteriologicamente pura e priva di inquinati e va imbottigliata così come sgorga alla fonte. Spesso ci si chiede quale sia l'acqua minerale più idonea alle diverse condizioni di salute o quale sia la migliore acqua minerale in assoluto. Va detto che non esiste un'acqua "migliore tra tutte le altre", però ognuno può trovare l'acqua più consona alle proprie esigenze e per orientarsi fra le centinaia di acque attualmente in commercio, bisogna innanzitutto saper leggere l'etichetta.
Anche nell'ambito delle patologie legate all'apparato uro-genitale, una scelta ragionata può risultare utile i molte situazioni patologiche o più semplicemente può contribuire a riequilibrare situazioni fisiologiche alterate. In linea generale, le acque minimamente mineralizzate, che presentano cioè un contenuto di sali molto basso, determinano un aumento della diuresi, impediscono la formazione di fosfati e ossalati e favoriscono l'eliminazione dei sali (es. acido urico) e delle scorie. Esse sono quindi preferibili per i soggetti con calcolosi delle vie urinarie così come per i soggetti che necessitano di una dieta a basso contenuto di sodio, come ad esempio soggetti con ipertensione arteriosa, edematosi, ascitici e nei casi di elevata ritenzione idrica. le acque oligominerali o leggermente mineralizzate, definite anche acque" leggere" per la scarsa concentrazione di sali minerali, di metalli pesanti e di oligoelementi, rappresentano il 56% delle acque italiane in bottiglia e la maggior parte dell'acqua potabile distribuita dagli acquedotti italiani. Questi tipi di acqua sono indicati nella prevenzione della calcolosi renale, in quanto agevolano il trasporto dei calcoli e la loro espulsione, e nelle diete iperproteiche per facilitare l'eliminazione con le urine delle scorie azota

Una mostra su Scipione Pulzone



Finalmente una mostra su Scipione Pulzone, un’artista che anticipò di 20 anni il naturalismo di Caravaggio e che ai suoi tempi fu famoso e richiesto per i suoi ritratti da potenti e pontefici, prima che l’esuberanza di pittori di gran nome presenti a Roma lo relegasse nell’ombra, che solo ora si dissipa grazie alla sua città natale: Gaeta, la quale, presso il locale museo diocesano ha organizzato una ricca esposizione, aperta fino al 27 ottobre:
“Scipione Pulzone, da Gaeta a Roma alle corti europee”.
Le opere provengono da musei prestigiosi dal Metropolitan di New York alle Trafalgar Galeries di Londra, da Capodimonte al Kunsthistorisches di Vienna.
I restauri a cui sono stati sottoposti i quadri hanno permesso di ritrovare firme e date, ma soprattutto hanno fatto emergere una qualità della luce e del colore prettamente solare, mediterranea e nel caso della Maddalena anticipi di naturalismo con le lacrime che si distinguono chiaramente una ad una.
Per le grandi pale d’altare inamovibili sono state realizzate delle immagini ad altissima definizione, che permettono di ammirarle come se stessero davanti agli occhi del visitatore.
Pulzone secondo i cronisti dell’epoca sapeva “cogliere ogni filo di capello”.
Dagli esordi, tra cui un raro autoritratto si passa alla committenza per i Colonna e per i Medici, ai ritratti di nobili e dame, all’arte sacra, a papi (ben cinque) e cardinali.
Una mostra da non perdere, che ci permette di apprezzare un artista poco noto.

Bianca Cappello (Vienna)
Ferdinando de Medici

Crocifissione (Chiesa  S. Maria in Vallicella)

Maria Maddalena Penitente (Roma)
Marcantonio II Colonna (Roma)
Ritratto Cardinale Granvelle

lunedì 28 ottobre 2013

Lampedusa



Nelle acque del mediterraneo, quello che una volta orgogliosamente chiamavamo mare nostrum, giacciono decine di migliaia di carcasse divorate dai pesci di disperati che cercavano un briciolo di dignità sulle nostre coste, la loro terra promessa, mentre per l’aria si agitano disperate le loro anime; che Dio le accolga misericordioso e mitighi l’egoismo delle Istituzioni colpevoli di questo silenzioso genocidio che grida vendetta.

sabato 26 ottobre 2013

La vera Filumena Marturano

Pupella Maggio


Pupella Maggio, nata a Napoli il 24 aprile 1910 e spentasi a Roma nel 1999, grande attrice di cinema e di teatro è stata la più superba interprete del personaggio di Filumena Marturano nella celebre commedia di Eduardo De Filippo.
Nacque figlia d'arte, e come i suoi genitori intraprese la strada del teatro. Insieme a lei anche altri fratelli calcarono le scene; tra questi ricordiamo Enzo, il primogenito, Beniamino, Dante e Icadio e le sorelle Rosalia e Margherita.
Il padre è stato uno dei più grandi capocomici e fine dicitore della storia del teatro partenopeo: Domenico Maggio detto Mimì e la madre Antonietta Gravante, erede della famosa famiglia Gravante gestori del rinomato circo equestre "Carro di Tespi".
La madre ebbe le doglie proprio durante le prove di uno spettacolo al Teatro Orfeo (oggi non più esistente) in via Carriera Grande (siamo nei pressi della stazione di Napoli), e pertanto la piccola Giustina vide la luce nel camerino dello stesso.
Il battesimo artistico lo ricevette all'età di circa due anni, quando con la compagnia teatrale del padre rivestì il ruolo della bambola di pezza nello spettacolo di Eduardo Scarpetta La Pupa Movibile. Fu questa partecipazione e il vezzeggiativo datole dal padre Mimì a far sì che piccola Giustina venisse chiamata affettuosamente Pupella.
La scuola la lasciò ai primi anni delle elementari e sin da piccina prendeva parte agli spettacoli diretti dal padre, che in quegli anni riscontrava successo con la famosa sceneggiata napoletana. Seguiva la compagnia per tutte le tournée, ma non le mancarono esperienze lontano dalla famiglia come per la rivista La Rinie n°1.
Negli anni quaranta decise di abbandonare le scene, a seguito della morte della madre (1940) e del padre (1943).
Trasferitasi a Roma, intraprese il mestiere di modista, ma un'amicizia con alcuni ebrei che nascondeva in casa la costrinse ad andare altrove. Si diresse a Terni dove lavorò in un'acciaieria, per la quale curava le regie teatrali degli spettacoli del Dopolavoro. La notizia dell'amicizia scottante circolava, quindi dovette andare di nuovo altrove: Napoli, poi Stroncone, ancora Roma e infine Milano. Qui raggiunse sua sorella Rosalia e sempre qui lavorò in una compagnia di rivista al Teatro Nuovo, accanto a Remigio Paone, Carlo Croccolo, Dolores Palumbo ed altri ancora.
La sua insofferenza migratoria la riportò a Napoli e da lì a qualche anno ebbe modo di conoscere il suo maestro Eduardo De Filippo.
La consacrazione di Pupella come attrice avviene dopo la morte di Titina De Filippo, quando Eduardo le dà la possibilità di interpretare i grandi personaggi femminili del suo teatro, da Filumena Marturano a donna Rosa Priore in "Sabato, domenica e lunedì", ruolo che Eduardo scrive per lei e che le vale il premio Maschera D'Oro, fino alla famosissima Concetta di Natale in "casa Cupiello".
Il sodalizio Pupella-Eduardo si rompe nel 1960, a seguito anche di incomprensioni caratteriali dovute alla severità del maestro, ma si ricuce quasi subito. L'attrice continua a lavorare con Eduardo De Filippo, intervallando il loro sodalizio con altre esperienze artistiche.
Nel 1959 la sua consacrazione quale primadonna l'ottenne grazie al ruolo di Rosa in Sabato, domenica e lunedì, personaggio scritto apposta per lei dal grande Eduardo e che le fece vincere tre grandi premi: la Maschera d'oro, il premio San Genesio e il premio Nettuno.
A seguito della prima di una lunga serie di incomprensioni, nel 1960 Pupella si allontanò da Eduardo per lasciarsi dirigere da Luchino Visconti nel testo de L'Arialda di Giovanni Testori.
Sempre nel 1960 inizia la sua vera e significativa esperienza cinematografica: tra i tanti registi ricordiamo Mario Amendola, Camillo Mastrocinque, Mauro Morassi in un primo luogo, per poi passare al grande Vittorio De Sica, Roberto Rossellini, Nanni Loy e l'americano John Huston nel film La Bibbia.
Ottenne il Nastro d'Argento alla migliore attrice non protagonista nel 1969 per il ruolo de la prima paziente ne Il medico della mutua di Luigi Zampa, accanto al giovane Alberto Sordi.
Intanto svariate furono le volte in cui tornò sotto la direzione di Eduardo, ma non mancarono grandi registi come il napoletano Giuseppe Patroni Griffi in testi come Napoli notte e giorno, ispirato ai testi di Raffaele Viviani, in Persone naturali e strafottenti e nel testo scritto apposta per lei In memoria di una signora amica.
Il 1973 fu l'anno del famoso film Amarcord di Federico Fellini, vincitore del Premio Oscar come miglior film straniero, al quale Pupella prese parte nel toccante ruolo della madre del protagonista, doppiata però da Ave Ninchi.
Nel 1976 divorziò da Luigi Dell'Isola, che aveva sposato nel 1962 e che rimase primo ed unico marito.
Dal 1979 iniziarono gli anni in cui Pupella partecipò attivamente alle messinscena diretta da Tonino Calenda in diversi testi che le diedero modo di portare fuori un'interpretazione all'apice della sua maturità. Fu il momento di Brecht del quale Calenda curò la regia de La Madre, in una Pupella nei panni di Pelagia Vlassova, un personaggio che grazie all'interpretazione del tutto personale dell'attrice divenne madre napoletana e insieme universale.
Nel 1981 è accanto all'amico di sempre Pietro De Vico nello spettacolo Farsa, tratto dai testi di Antonio Petito e nel 1983 si riunisce la parte superstite della famiglia Maggio: Pupella, Rosalia e Beniamino vanno in scena diretti sempre da Calenda col testo ...’Na sera ...’e Maggio. Fu l'ultima volta che i fratelli recitarono insieme, e grazie a questa pièce ottennero il Premio della critica italiana per la Stagione di Prosa 1982/1983 come miglior spettacolo dell'anno e per l'interpretazione particolarmente singolare. Un ictus cerebrale bloccò Beniamino nel camerino del Teatro Biondo di Palermo.
Fu la volta del testo di Shakespeare Amleto, da cui Calenda scrisse Questa sera... Amleto, con la collaborazione di Mario Prosperi. Successivamente sempre Calenda le pone uno dei testi più famosi del drammaturgo Samuel Beckett: Aspettando Godot.
Il 1º aprile del 1987 ebbe un incidente stradale che la costrinse a fermarsi per qualche tempo.
Si trasferì a Todi, confrontandosi successivamente ancora col cinema. Fu la madre (da vecchia) del protagonista nel film da Oscar Nuovo cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore del 1989.
Nel 1997 scrisse e pubblicò il suo primo ed unico romanzo, l'autobiografico Poca luce in tanto spazio per "Carlo Grassetti Editore".
L'8 dicembre 1999 morì all'ospedale Sandro Pertini di Roma, per emorragia cerebrale lasciando un grande vuoto nel mondo dello spettacolo italiano. Qualche mese prima, durante un afoso mese d’agosto, aveva partecipato al film Fate come noi del giovane regista Francesco Apolloni, che rimane la sua ultima apparizione. Riposa al Cimitero di Prima Porta a Roma.
L'allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi emise un comunicato che recitava così:
«Il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha inviato alla famiglia Maggio un messaggio di profondo cordoglio per la scomparsa di Pupella Maggio. Figlia d’arte della straordinaria famiglia Maggio che ha dato così grande prestigio alla tradizione della commedia napoletana, recitò da protagonista nella compagnia scarpettiana. L'incontro artistico con Eduardo De Filippo segnò il clamoroso successo personale come sensibilissima interprete di gran parte dei lavori del maestro. Non è stata solo la più grande attrice napoletana del '900, ma una protagonista della storia teatrale italiana che resta legata anche al suo nome. Con questi sentimenti giunga a tutti i familiari, l'espressione del commosso rimpianto degli italiani che tanto l'hanno ammirata e ne conservano il ricordo».
(Carlo Azeglio Ciampi, 9 dicembre 1999).
Partecipa a numerosi film:
Sperduti nel buio, regia di Camillo Mastrocinque (1947)
Il Passatore, regia di Duilio Coletti (1947)
Il medico dei pazzi, regia di Mario Mattoli (1954)
Il terribile Teodoro, regia di Roberto Bianchi Montero (1958)
Serenatella sciuè sciuè, regia di Carlo Campogalliani (1958)
Mogli pericolose, regia di Luigi Comencini (1958)
Il terrore dell'Oklahoma, regia di Mario Amendola (1959)
Sogno di una notte di mezza sbornia, regia di Eduardo De Filippo (1959)
La duchessa di Santa Lucia, regia di Roberto Bianchi Montero (1959)
Caravan petrol, regia di Mario Amendola (1960)
A qualcuna piace calvo, regia di Mario Amendola (1960)
Anonima cocottes, regia di Camillo Mastrocinque (1960)
La ciociara, regia di Vittorio De Sica (1960)
Mariti in pericolo, regia di Mauro Morassi (1961)
Le quattro giornate di Napoli, regia di Nanni Loy (1962)
La Bibbia, regia di John Huston (1966)
Il medico della mutua, regia di Luigi Zampa (1968)
Il prof. dott. Guido Tersilli primario della clinica Villa Celeste convenzionata con le mutue, regia di Luciano Salce (1969)
Joe Valachi - I segreti di Cosa Nostra, regia di Terence Young (1972)
Amarcord, regia di Federico Fellini (1973)
Lacrime napulitane, regia di Ciro Ippolito (1981)
I giorni del commissario Ambrosio, regia di Sergio Corbucci (1988)
Nuovo Cinema Paradiso, regia di Giuseppe Tornatore (1988)
Sabato, domenica e lunedì, regia di Lina Wertmüller (1990)
Fate come noi, regia di Francesco Apolloni (2001)
Ripercorriamo in maniera diversa la sua vita in base ad una conversazione confidenziale che ci concesse anni fa, e partiamo dalla legenda «A due anni mi portarono in scena dentro uno scatolone legata proprio come una bambola perché non scivolassi fuori. E così il mio destino fu segnato. Da "Pupatella" attraverso la poupée francese, divenni per tutti "Pupella" nel teatro e nella vita»
(Pupella Maggio, Poca luce in tanto spazio).
Fu chiamata col nome di Giustina, non essendocene molti ancora a disposizione sul calendario. Avendo dovuto portare altri venti figli alla fonte lustrale, papà e mamma avevano ormai saccheggiato il libro del martirologo cristiano. Glielo cambiarono tre anni dopo (1913), quando all’«Orfeo» Mimì Maggio e la moglie, ex giocoliera di circo equestre, per le esigenze del loro numero, la «La pupa invisibile», ebbero bisogno di tirar fuori da una scatola una «pupatella». Decisero di ficcarcene dentro una in carne ed ossa, lei. Ribattezzata Pupella, comparve così per la prima volta sul palcoscenico. A sette otto anni, accompagnandosi con un mandolino, cantava «Vita ‘e notte» in una «sceneggiata», fino all’interpretazione di Donna Concetta in «Natale in casa Cupiello». Un personaggio difficile – e che forse perciò le sta più a cuore – perché Concetta Cupiello non parla, agisce, e il difficile sul palcoscenico è proprio stare zitti. Questo gliel’ha detto nientedimeno che Eduardo, il suo dio, il suo dio intoccabile, ma poco misericordioso.
Una volta tanto, almeno con Pupella, Eduardo ricambia le cortesie. Su una copia di «Sabato, domenica, lunedì» le ha scritto: «Alcune di queste pagine furono tue fin dalla nascita. Le altre te le dedico con un abbraccio». Poi, in ricordo della sua «Marturano», le ha regalato uno dei tre gruppi di pupazzetti d’oro smaltati coi tre figli di «Filumena» - il camicaio, l’idraulico e il letterato – scolpiti dall’incisore di Cartier e destinati appunto a lei, a Titina e all’attrice russa che l’aveva trionfalmente eseguita a Mosca. «A Pupella» diceva il bigliettino di Eduardo «voce, faccia e anima di questa Filumena mia, che adesso è un poco pure sua».
Non poteva mancare il calembour nell’autografo di Montanelli alla protagonista del suo «Kibbutz»: «A Pupella, ebrea esemplare, il non esemplare cristiano Indro Montanelli».
Pupella s’era trovata davvero in mezzo agli ebrei. Fu tra la fine del ’43 e la metà del ’45, quando, scappata da Terni dove per un paio di anni aveva lavorato come coreografa per il «dopolavoro» di quell’acciaieria, pur di trovare alloggio era andata a cascare in una famiglia ebrea, che poi scampò al rastrellamento soltanto per l’abilità con cui recitò la parte della padrona di casa di pura razza ariana, davanti alla pattuglia nazista che aveva bussato alla porta, se per bussare può intendersi anche l’uso ripetuto ed energico del calcio di uno «Stein».
Altra sconvolgente e indimenticabile immagine di donna dolente, quella da lei disegnata per «In memoria di una signora amica» di Patroni Griffi, in contrasto assoluto e totale con la petulante cliente del «Medico della mutua».
Di film, come di lavori teatrali, ne ha fatti tanti che neanche se li ricorda. Forse il primo è stato «Anonima cocottes», con Rascel e Anita Ekberg. Tra gli ultimi, «La Bibbia», di John Houston (che gli stava costando un esaurimento nervoso per lo sforzo di parlare inglese), «Amarcord» di Fellini e il «Il carteggio Valachi» di Terence Young.
Di straordinaria versatilità, Pupella Maggio giura di essere una analfabeta, o quasi, che non tiene a mente nemmeno un rigo di tutta la valanga di roba che ha recitato, che è assai religiosa, che ha la «Capa tosta» e che le piacciono la pulizia e l’esattezza. Vivendo sola e senza aiuti, guai se non fosse così. Si alza alle sei anche se è andata a letto quattro ore prima e così trova il tempo di fare tutto. Anche qualcosa «fesserie», precisa con l’uncinetto o con i ferri. «Sfilo quella vecchia» dice «e nun’accatto manc’’a lana».
Per tirarla fuori di casa, data la sua efferata pigrizia, non bastano due coppie di buoi. Una volta a Parigi si perdette il panorama dalla Tour Eiffel. «Me scucciavo ‘e saglì», si giustificava.
Non va a teatro che per il suo mestiere, anzi per il suo pane quotidiano, perché quel poco che ha guadagnato si è volatilizzato insieme a coloro ai quali lo aveva dato per aiutarli. E’ l’unico pentimento della sua vita di lavoro. Perciò, conservatrice com’è, la sera se ne sta con i suoi piccoli ricordini, ninnoli, «pazielle», bamboline e via dicendo.
Alta quanto il classico soldo di cacio, è esattamente la metà della figliuola, una ragazzona che, quand’era in fasce, lei si portava dietro fin nel camerino, in una cesta senza coperchio (a differenza di sua madre, l’ex giocoliera, che veniva a sfornare figli a Napoli e poi andava a rincorrere il marito qua e là per l’Italia, o addirittura in Francia).
Era l’epoca del «varietà», della compagnie di giro, delle carattelle traballanti per spostarsi da un paesino all’altro, dei «polpettoni» a puntate che duravano «na sera sana»: «Le due orfanelle», «La cieca di Sorrento», «I due sergenti», «Il fornaretto di Venezia». Drammoni ad anno luce di distanza, per esempio, dall’«Arialda» di Testori, che a Milano, dopo la prima rappresentazione, incappò nei fulmini dell’allora Cardinale Montini, tra la sorpresa di Luchino Visconti, che l’aveva impunemente diretta a Roma. all’«Eliseo», e la disperazione della povera Pupella, che vedeva sfumare la sua già magra paga.
Anche senza mai sguazzare nell’abbondanza, non ha mai accettato un ruolo che non le andasse a genio e, del resto, i personaggi di Eduardo hanno riempito tutti i suoi desideri.
Modestissima, non s’è mai comperata belletti o profumi e si vanta di non aver debiti, né di aver mai firmato cambiali. Eppure di momenti difficili  ne ha avuti, e come. Benché facesse tutto quello che si può fare su una scena – farese, canzoni (aveva una bella vocina bianca) e danze (fu anche ballerina di fila) – di soldi ne vedeva pochi. Forse anche perché per molti anni era stata con un inconsueto capocomico, il padre.
Inconsueta anche l’avventura vissuta a Catania, appena quattordicenne. Si trovarono in quella città, contemporaneamente tre compagnie, la Maggio-Coruzzolo-Ciaramela al «Ganci»; la Gondrano-Trucchi di operette al «Pacini» e al «Verdi» la terza, che dava pochade in italiano. La soubrette della Gondrano-Trucchi, Cettina Bianchi, un giorno s’ammalò e il teatro rischiò di chiudere, proprio mentre era annunciato in cartellone «Il paese dei campanelli» e al borderò un incasso mai visto.
Qualcuno si ricordò che Pupella conosceva a memoria quell’operetta e propose a Mimì Maggio di «prestargliela» per un paio di sere. Detto fatto, Pupella salvò capra e cavoli, oltre ad assicurarsi un bel successo personale, quantunque al duetto clou Gondrano avesse dovuto inginocchiarsi per non sovrastarla e consentirle di mettersi le mani nei fianchi in segno di sfida.
La famiglia Maggio è forse quella che ha fornito al teatro, in tutti i suoi aspetti, il più alto numero di persone. Addirittura sette e tutte di grande rilievo nel campo rispettivo. Proviamo a citarle: Rosalia, Margherita, Dante, Beniamino, la mostra Pupella e i loro genitori. Altro che famiglia Barrimore.
Come tutte quelle troppo numerose, però, anch’essa soffre della triste dispersione. Pupella ha un solido motivo per consolarsi: di figli – lo abbiamo detto – ne ha uno solo.
Quasi tutti i componenti della famiglia Maggio meriterebbero una biografia. Ci limitiamo ad accennare a Rosalia nata a Palermo nel 1921 e spentasi a Napoli nel 1995 grande attrice di cinema e teatro. Rosalia era la penultima dei componenti della famiglia Maggio, i cui capostipiti erano Mimì e Antonietta: sorella di Enzo, Dante, Beniamino, Pupella, e della più piccola Margherita; era famosa per la sua avvenenza e bellezza. Nacque a Palermo, perché i suoi genitori erano in tournèe lì.
Il debutto sulle scene avvenne, com’era d’uopo all’epoca. Prestissimo: a quattro anni salì sul palcoscenico tra le braccia della madre nel drammone Mastu Giorgio ‘o ferraro.

Pupella Maggio

Pupella Maggio


venerdì 25 ottobre 2013

Pittore d’avanguardia e scenografo.

Lino Fiorito

Lino Fiorito è nato a Ferara nel 1955, pittore e scenografo, vive e lavora tra l’Italia e New York. Membro fondatore del gruppo teatrale d’avanguardia “Falso Movimento”, ha collaborato come scenografo in numerose produzioni e con registi tra i quali Mauro Bolognini, Tonino De Bernardi, Mario Martone e Toni Servillo.
Ha contemporaneamente continuato la sua attività di artista esponendo in numerose gallerie.
Insieme a Gino Tuccillo ha pubblicato “Polveri”, Cronopio 1998.
Mostre personali
Spazio Libero, Napoli 1980
Galleria Taide, Salerno 1981
Artaud Theater Gallery, San Francisco 1983
Galleria Grita Insam, Vienna 1983
Galleria Pellegrino, Bologna 1983
Galleria Trisorio, Napoli 1984
Studio Tam Tam, Roma 1984
Galleria Trisorio, Napoli 1985
Studio Soligo, Roma 1985
Galleria Idra Duarte, Napoli 1986
Galleria A.A.M., Roma 1987
Galleria Planita, Roma 1989
Galleria Carlo Virgilio, Roma 1990
Galleria Corraini, Mantova 1991
Galleria Jeong, Seul 1992
Galleria Corraini, Mantova 1992
Pasco Art Center, Naples FL 1993
Autori-messa, Roma 1994
Arena Gallery, Brooklyn N.Y. 1995
Studio Morra, Napoli 1995
Galleria Corridor, Rekjiavik 1995
Galleria Corraini, Mantova 1995
Gina Fiore Salon, New York 1996
Magazzino dell’Arte Moderna, Roma 1996
Galleria Figure, Torino 1997
Pittore, scenografo di teatro e di cinema, Lino Fiorito è una figura unica nel panorama artistico italiano. Attivo fin dai primissimi anni Ottanta ha sviluppato una pratica trasversale dei mezzi espressivi legati alla visione, una vera e propria traversata dello sguardo. La sua collaborazione col teatro inizia con Falso Movimento e continua con Teatri Uniti. A lui si devono alcune delle soluzioni visive più stimolanti e nuove negli spettacoli di quelle compagnie, basti fare il caso di spettacoli come Tango glaciale (1982) e Ritorno ad Alphaville (1986) di Mario Martone, Zingari (1993) di Toni Servillo, Le avventure di Pinocchio (2002), Santa Maria d’America (2004) e Tradimenti (2010) di Andrea Renzi. L’apertura al teatro si è espressa, però, anche in collaborazioni diverse, come la straordinaria edizione del Flauto magico (2009) realizzata dall’Orchestra di Piazza Vittorio. In tutti questi casi, la definizione ‘scenografo’ va stretta al lavoro di Fiorito che si qualifica, piuttosto, come una vera e propria ‘scrittura pittorica’, che concorre in una maniera autoriale alla realizzazione dello spettacolo. 
Diversa nella forma, ma non nell’intenzione, la collaborazione col cinema. Qui l’intervento pittorico si realizza attraverso un’attenzione particolare per le location che diventano delle opportunità per la sceneggiatura prima di essere soluzioni di ambientazione scenica del set. Fiorito collabora con Paolo Sorrentino da L’uomo in più (2001) fino al recente Il divo (2008), ma ha lavorato anche con Antonio Capuano, La guerra di Mario (2005), e Stefano Incerti, per Gorbaciof (2010). Alla base di tutto questo lavoro c’è l’attività di pittore. Non che Fiorito la applichi agli altri mezzi espressivi ma è essa il suo laboratorio creativo, il luogo di un’invenzione libera e riflessiva ad un tempo. Nel suo percorso artistico Fiorito ha attraversato fasi anche molto diverse tra loro. Da un esordio caratterizzato da accesi accenti metropolitani, linee scheggiate di una figurazione ritmica e bidimensionale, Fiorito è passato a un’astrazione a tratti minimale a tratti, come testimonia l’acquerello che ha realizzato per AAR, vagamente onirica. Ciò che è costante, pur nella sostanziale diversità delle scelte stilistiche, è una efficacissima precisione compositiva, che dà all’immagine una forza espressiva vivace quanto contenuta e un sensibilissimo senso del colore che si realizza, nel caso del nostro acquerello, nel gioco inquieto dell’ombra nera col rosso smorzato della cornice. Lino Fiorito assieme ad Ela Caroli, Aurora Spinosa e Tony Stefanucci partecipò come relatore al Circolo canottieri Napoli al convegno: "L’Accademia della Belle Arti e l’arte contemporanea a Napoli" organizzato dal salotto di mia moglie Elvira.

Lino Fiorito - ACQUARELLI E CERAMICHE 

Lino Fiorito- bozzetto per manifesto inchiostro per acquerello

opera di Lino Fiorito


Un artista eclettico.

Tony Stefanucci

Tony Stefanucci, classe 1935, potrebbe scrivere una storia dell’arte (in tutte le sue espressioni) a Napoli degli ultimi cinquant’anni: artista eclettico, appassionato di vela e di mare, con un passato di direttore degli allestimenti scenici di teatri come il San Carlo e il Mercadante, nonché di docente titolare della cattedra di scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Napoli: due artiste in mostra, Zaira De Vincentiis ed Alessandra Torella sono state sue allieve. Pittore per elezione e scenografo per curiosità, è stato fondatore con Colucci e Biasi del “Gruppo dei pittori nucleari Napoli Milano”, fa parte dei Patafisici napoletani  e ha colorato i sogni di tanti bambini con l’Edenlandia che ha progettato e realizzato. Le sue opere sono presenti in collezioni private e pubbliche (Museo Bargellini di Pieve di Cento, Galleria dell’Accademia di Belle Arti di Napoli) e recentemente i suoi ritratti compaiono sulle colonne del quotidiano “Napoli più” per la serie ritratti napoletani della giornalista Donatella Gallone. Numerose le esposizioni a cui ha preso parte, ultima in ordine di tempo, nel 2006, alla Mostra d’Oltremare di Napoli in cui ha esposto con la moglie Rosa Panaro i suoi ultimi lavori realizzati con tecnica digitale.
Tony Stefanucci assieme a Lino Fiorito. Ela Caroli ed Aurora Spinosa partecipò come relatore al circolo Canottieri Napoli al convegno: “L’accademia delle belle Arti e l’arte contemporanea a Napoli” organizzato dal salotto di mia moglie Elvira.

opera di Tony Stefanucci

ritratto di Tony Stefanucci

brochure mostra di Tony Stefanucci


IL PATRIARCA DEI LIBRI



Mario Guida
Mario Guida, 81 anni, per oltre 60 anni ha rappresentato un raro esempio di diffusione della cultura attraverso la sua casa editrice, la più importante di Napoli, ed attraverso la sua catena di librerie la cui regina è stata per decenni quella di Port’Alba, l’agorà della lettura partenopea. Ha inventato mille modi per accattivarsi i clienti, convincendoli della centralità del libro nella crescita intellettuale e civile dell’individuo.
L'”Alfredo Guida” rappresenta la continuità nel mondo dell'editoria del marchio Guida, già noto nel settore commerciale. In un catalogo di oltre 600 titoli, vanta la pubblicazione di collane prestigiose, che sintetizzano una filosofia imprenditoriale volta a perseguire una costante ricerca del nuovo ed un'attenzione ad aree di mercato generalmente trascurate dai grandi editori, insieme alla volontà di essere presenti con proposte originali e stimolanti nel grande territorio della letteratura e saggistica italiana e straniera. 
Fondata nel 1920 da Alfredo, capostipite della famiglia, la casa editrice vide, nella prima metà del Novecento, accrescersi sempre più il prestigio culturale grazie alla preziosa collaborazione e l’apprezzato consiglio di autori quali Benedetto Croce, Francesco D'Ovidio, Fausto Nicolini. Subito viene pubblicata l'”Opera omnia” di Francesco D'Ovidio che conferisce immediatamente importanza e lustro alla casa editrice tanto che nel 1935, alla Prima Fiera Internazionale del Libro di Bruxelles, le viene assegnata la "Medaglia d'oro" per meriti editoriali.  Alla fine degli anni Sessanta Mario e Giuseppe, figli di Alfredo, riprendono l'attività editoriale con la sigla “Guida Editori” che si afferma sul mercato con un catalogo rivolto principalmente alla varia saggistica, articolato in collane organicamente concepite e funzionalmente distinte, lontano da ogni imposizione industrializzata, al servizio esclusivo della libera editoria, quindi dell'intelligenza dei lettori.
Mario Guida è stato il primo in Italia ad “inventare”  gli incontri culturali in libreria, nella storica Saletta Rossa della Libreria Guida a Port’Alba, cenacolo intellettuale che, tra il 1963 ed il 1978, ha ospitato intellettuali di prestigio internazionale come Argan, Barthes, Eco, Fernandez, Ginsberg, Kerouac, Martinet, Moravia, Pasolini, Sanguineti, Sciascia (per citarne soltanto qualcuno).
Mario Guida, nel periodo in cui ha guidato la crescita del patrimonio culturale del proprio gruppo e della città, ha raccolto riconoscimenti ed onorificenze e, nel novembre del 1983, ha accolto con soddisfazione la notizia che, per decreto del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, la libreria di via Port’Alba è stata messa sotto tutela dello Stato (con la legge 1089 del 1939) e dichiarata “Bene culturale degli italiani” per l’attività di promozione svolta in oltre cinquant’anni di attività.
Nel 1968, riprendendo l’attività paterna (premiata nel 1935 con la medaglia d’oro della sezione editoria del premio “Exposition Universelle et Internationale”  di Bruxelles) comincia la produzione editoriale con due testi emblematici: “La Giustizia” di Garin e “L’Antropologia culturale”  di Grotheuysen. Tra i cavalli di battaglia oggi l’editore segnala “Vocali - Soluzioni felici” di Umberto Eco, “L’altra Europa” di Giuseppe Galasso, “Interpretazioni fenomenologiche” di Martin Heidegger, “Lezioni di filosofia della Religione” di Kant, “Romanzo di Napoli” di Emma Giammattei. E poi “Hegel e Spinoza”  di Biagio De Giovanni, “La Novella di Antonello da Palermo, una Novella che non poté entrare nel Decamerone” di Andrea Camilleri.  Oggi il gruppo è presente nel mondo dell’editoria con la sigla Guida e con la collana “Lettere Italiane” dà spazio alle nuove leve della narrativa e poesia.
L’impegno civile e culturale ha portato Mario Guida ad affiancare all’attività di libraio ed a quella di editore  quella di organizzatore di eventi culturali. Nel 1960 nasce l’associazione “Alfredo Guida Amici del Libro Onlus” (senza scopo di lucro, riconosciuta in tutta la Regione) che ha raccolto l’eredità del cenacolo intellettuale della “Saletta rossa”. Nel 1975 arriva la Medaglia d’oro del Presidente della Repubblica. Mario Guida, fondatore della sezione editori presso l’Unione Industriali della Confindustria, è oggi consulente della Camera di Commercio di Napoli oltre che vicepresidente del Collegio dei Probiviri dell’Associazione Librai Italiani e vicepresidente del direttivo nazionale della stessa associazione.
Napoli è una città di famiglie di librai ed editori, ramificate e contorte: i Pironti, i Pacifico e, naturalmente, i Guida.
L’impero di carta di questi ultimi è stato, negli anni, inequivocabilmente il più vasto ed attivo, con numerose librerie sparse per la Campania: ben sei solo a Napoli, altre nei capoluoghi di provincia e nei grossi centri. Poi, a poco a poco, ed in modo incalzante con l’espandersi della crisi economica, hanno chiuso tutte. La parte maggiore delle librerie era quella gestita dai figli (Mario e Giuseppe) e dal nipote di Alfredo Guida (Diego): Port’Alba e Merliani su tutte. Ma i discendenti dei due fratelli  hanno guidato per decenni due altre frequentatissime librerie cittadine.
Sergio Guida, negli anni Settanta ed Ottanta, gestiva Guida a Piazza San Domenico Maggiore: ora al suo posto c’è un bar. Luciano Guida era il libraio di Piazza dei Martiri: gli è succeduto il figlio ma l’apertura  del megastore della Feltrinelli l’ha prosciugata ed ora, al suo posto, c’è una boutique.
Il nome di Guida a Port’Alba è indissolubilmente legato a quello della Saletta Rossa, lo spazio dove per un decennio si sono svolti gli incontri e le presentazioni dei libri.   I più giovani identificano lo spazio con l’ammezzato dell’attuale libreria, che durante i giorni convulsi della vendita della scolastica si trasforma nella succursale di una Borsa con studenti e mamme di studenti che gridano il titolo dei libri. Qui, dagli anni Ottanta, si sono tenuti gli appuntamenti culturali che hanno visto passare generazioni di autori e lettori, fino a pochi mesi fa. Ma la vera Saletta Rossa, quella mitica del decennio abbondante che va dalla prima metà degli anni Sessanta alla seconda metà dei Settanta, era altrove, affianco, al civico 24 dove c’è ora la cartoleria Amodio.
Si saliva per una scaletta ripida e si accedeva al primo piano in uno spazio senza scaffali con le pareti non dipinte che mostravano il rosso pompeiano degli interni degli antichi palazzi del centro di Napoli. Quindi la scelta del nome fu del tutto accidentale e, per accentuarne il carattere, in seguito, furono collocate delle sedie rosse. Non c’era nulla di accidentale, invece, nella processione di grandi scrittori che passavano per la saletta. In pratica, tutti gli italiani, con in prima fila i napoletani Domenico Rea (che faceva da direttore degli incontri, insieme a Pellegrino Sarno ed Achille Bonito Oliva, in tempi diversi), Luigi Compagnone, Michele Prisco, che tenevano a battesimo qui i propri testi. Anfitrione era un giovane e rotondetto Mario Guida, anima instancabile degli incontri. E così sfilavano Umberto Eco (anche lui giovane, reduce del Gruppo 63), Indro Montanelli, Giuseppe Ungaretti che affascinava ed un po’ spaventava il piccolissimo Diego Guida che si aggirava come una mascotte tra questi giganti della poesia, della narrativa e del giornalismo. Solo nel primo anno si sono seduti al tavolo Leonardo Sciascia, Alberto Moravia, Edoardo Sanguineti, Pier Paolo Pasolini, Mario Soldati, Cesare Brandi, Salvatore Battaglia: l’elenco sarebbe interminabile. La Saletta Rossa fece scuola ed ebbe subito degli imitatori, a cominciare dalla libreria Croce di Roma. Fino ad allora, in Italia, le librerie erano essenzialmente dei luoghi commerciali. Al massimo, i lettori ed i clienti più assidui, si fermavano a conversare, a farsi consigliare un’opera appena uscita, a ragionare di quelle appena lette. Da allora niente fu più lo stesso. Tutta la storia della saletta è custodita in una trentina di grossi registri che costituiscono un repertorio culturale straordinario di dediche, commenti, semplici firme. Ad arricchire l’elenco sono raccolte anche le pagine di giornali che raccontano gli eventi. Tra questi spiccano quelli memorabili della beat generation con Allen  Ginsberg, il poeta dell’Urlo, ma soprattutto con Jack Kerouac, il mitico autore di “Sulla strada” che era accompagnato da Fernanda Pivano, la sua traduttrice. Fu un appuntamento che fece epoca e che tracimò dalla Saletta Rossa: infatti, fu tanto l’afflusso di pubblico, che l’angusta stanza non ce la fece a contenere tutti e, per non scontentare nessuno, si decise di cambiare location. Così Napoli fa palcoscenico di un insolito corteo perchè si trasferirono tutti a Villa Pignatelli. Una lunghissima passeggiata da Port’Alba, attraverso via Toledo, via Chiaia fino alla Riviera. E non fu solo uno spostamento di persone. Kerouac volle che non mancasse la birra, tanto che sotto il tavolo da conferenziere c’era una cassetta piena di bottiglie che suscitava lo stupore di una giovanissima Dacia Maraini, seduta a terra tra il pubblico, come documenta una foto. Le immagini in bianco e nero di quelle storiche e leggendarie serate tappezzano ancora le mura degli uffici del palazzetto ora in vendita, che ospiterà solo per altre poche settimane Guida a Port’Alba. Negli ultimi anni, dopo una pausa, la libreria era tornata ad essere sede di presentazioni che si svolgevano nell’ammezzato, ormai istituzionalmente legato agli incontri. Di stagione in stagione, da qui sono tornati a passare tutti, scrittori, politici, economisti. Ma ormai, le imitazioni erano tante. La Saletta Rossa aveva fatto scuola ma quegli anni restano ancora inimitabili. Purtroppo, dopo un secolo di storia, la prestigiosa libreria, travolta dalla crisi, chiuderà a breve  e si dissolverà un inestimabile patrimonio di cultura e di aggregazione. Sono stati soprattutto i libri scolastici digitali a dare il colpo di grazia. “Andremo via entro un mese”, mormora con le lacrime agli occhi il Patriarca, “nessuno ci ha aiutato, le banche ci hanno tartassati ed hanno chiesto il fallimento, sancito a marzo dal tribunale. Ho dovuto licenziare l’80% del personale e l’ultima speranza la riponiamo nel Presidente  Napolitano, cui abbiamo chiesto di intervenire. Purtroppo i lettori si dileguano per la crisi economica e non c’è modo di opporsi al declino economico della città”. Ed ora a Port’Alba si teme l’effetto domino: caduta la regina, tutte le librerie sono in allarme rosso, anche se sembra assurdo che un baluardo di civiltà venga messo in ginocchio. Generale è il rammarico dei colleghi da Eddy Colonnese a Tullio Pironti, da Paolo Pisanti a Raimondo Di Maio. Reazioni a catena anche tra gli intellettuali che hanno rilasciato commosse dichiarazioni. Stupore, sgomento, sconcerto: l’intellighenzia cittadina risponde così, a caldo, alla notizia della chiusura della libreria Guida a Port’Alba. “E’ difficile trovare aggettivi adatti per commentare questo evento, - ammette con amarezza il filosofo e politologo Biagio De Giovanni – è un pessimo segno dello stato della città. Guida è molto più di una libreria ed è molto più di un editore: è la sintesi di un insieme di cose di cui la Saletta Rossa era l’emblema”. De Giovanni parla di luoghi d’aggregazione culturale tradizionali che vanno scomparendo, luoghi dove si poteva ancora “sentire l’odore di libro vecchio”. E se è vero che la libreria Guida era uno di questi luoghi, è “un punto di civiltà della cultura napoletana che si perde”. Per lo stesso motivo parla di una “tragedia”, senza mezzi termini, Mauro Giancaspro, direttore della Biblioteca Nazionale di Napoli: “La nostra generazione ha vissuto una vita intera comprando libri da Guida o frequentando la sua libreria - ricorda -.Già da ragazzi per noi del Vomero, scendere giù a Port’Alba era una consuetudine. Oltre a tutto ciò che ha rappresentato la Saletta Rossa. Chiude perciò una pagina della storia di Napoli che riguarda tutti noi”. Per Marta Herling, segretario generale dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici, è “ un presidio della cultura che perdiamo”. Ed è una perdita tanto più seria in quanto avviene, tra l’altro, in un centro storico “sempre più invivibile e meno frequentabile”. La nipote di Benedetto Croce sottolinea che questa chiusura è soprattutto “un indice d’allarme di una crisi profonda della città: crisi di natura economica, legata alle imprese private, su cui dovremmo prima o poi fare una riflessione profonda e nuova”. E’ Napoli, dunque, a perdere un pezzo importante della sua storia. Ma non si tratta solo del passato. “Una citta che vive sempre più drammaticamente i suoi problemi quotidiani - avverte la Herling -  non potrà che vedere ridursi sempre più drammaticamente gli spazi riservati alla cultura”. Anche per il filosofo Roberto Esposito le prospettive sembrano sempre più scoraggianti: “E’ una deriva – denuncia -  ci troviamo di fronte a biblioteche sempre più abbandonate e librerie che chiudono. Siamo entrati in una stagione diversa da quella in cui mi sono formato. Forse dovremmo cominciare a parlare di un salto di civiltà”. Su questo passaggio epocale è d’accordo anche Gabriele Frasca, presidente del Premio Napoli. “La chiusura di Guida è una sciagura per tutto quello che la libreria ha rappresentato - spiega Frasca -  ma è anche un evento ineluttabile. E’ il destino di tutte le librerie, perché è l’oggetto-libro che sta scomparendo. Negli Stati Uniti ormai la diffusione degli ebook è arrivata al 50% rispetto al cartaceo e presto sarà così anche da noi. Di fronte a questo cambiamento epocale o le librerie si attrezzano per diventare luoghi di intermediazione o sono destinate a sparire, così com’è successo con i negozi di dischi, perché non ci sarà più mercato”.
E’ tutto nelle mani del Presidente Napolitano: se non è riuscito con il suo messaggio al Parlamento a salvare i carcerati, che almeno eviti che i cittadini siano prigionieri dell’ignoranza.

Mario Guida

Guida a Port'Alba

Mario Guida


 Jack Kerouac a Villa Pignatelli

Edoardo Sanguineti e Umberto Eco

Giorgio Napolitano,Giulio Andreotti,Antonio Bassolino