13/11/2009
Allievo prediletto di Andrea Belvedere, che lo chiamava affettuosamente Masillo, Tommaso Realfonso (Napoli 1677 circa – post 1743), già ritenuto dal De Dominici “pittore universale” versato in tutti i soggetti della natura morta, è stato di recente rivalutato dalla critica, che ha visto nella sua opera una ripresa di elementi della migliore tradizione naturalistica nell’ambito del genere, con ispirazione alla lezione di Giuseppe Ruoppolo e Giovan Battista Recco.
La formazione del Realfonso avviene sul finir del secolo nella bottega del Belvedere fino al 1694, quando il pittore si trasferì in Spagna ed è documentata da una serie di tele di cultura più antica raffiguranti fiori e frutta, in particolare uva e ciliegie, mele e pere, quasi tutte siglate e conservate nel museo Duca di Martina (fig. 1 – 2 – 3) ed in alcune collezioni private napoletane (fig. 4 – 5 – 6), dove a volte compaiono anche degli ortaggi. Nonostante il saldo impianto compositivo di derivazione dal Belvedere tutti questi quadri si differenziano da quelli degli altri allievi e dei tanti imitatori del maestro, discostandosi dal gusto barocco dei fioranti contemporaneamente attivi a Napoli per il taglio ravvicinato e la soffusa partitura luminosa, un indice significativo della precocità della ripresa dei modi pittorici seicenteschi, che si manifesteranno chiaramente nei decenni successivi.
Fu il Bologna ad inquadrare l’importanza dell’artista in un momento comune a tutta la cultura europea della metà del secolo, che ebbe a Napoli una stagione felice tra ripresa naturalista in pittura ed affermarsi delle idee illuministe, con la fondazione nel 1732 ad opera di Celestino Galiani e Bartolomeo Intieri dell’Accademia delle Scienze, ispirata al pensiero filosofico di Locke ed alle scoperte di Newton. Furono anni in cui un clima di sperimentalismo neo caravaggesco si diffuse in area padana grazie a Giuseppe Maria Crespi, Arcangelo Resani e Giacomo Ceruti ed all’estero ebbe momenti di grande splendore attraverso l’opera dello spagnolo Luis Melendez, presente alcuni anni a Napoli e suggestionato dalla visione di alcuni tra i migliori esiti della pittura di genere del Realfonso e del Nani ed in Francia dove si toccarono vette di qualità con il parigino Chardin. In questo milieu nascerà anche la pittura di Gaspare Traversi, acuto indagatore della società borghese dell’epoca, ripresa con un gusto caricaturale, ma con una precisione nel dettaglio fisionomico di chiara ascendenza caravaggesca.
Vi sono un nucleo di dipinti firmati e datati tra il 1731 ed il 1740 che permettono di documentare con precisione la sua maturazione culminata nella appropriazione del gusto naturalistico seicentesco. “Processo che, finalizzato al tentativo di restituire concretezza di materia e verità di lume al dato naturale ed oggettivo, era già iniziato anni prima, anticipando su tutt’altro versante lo stesso ritorno neobarocco dell’anziano Solimena e ponendosi come precedente assoluto della ripresa di fatti caravaggeschi condotta dalla metà o dalla fine degli anni’40 dal Traversi nel campo della pittura di figura”(Spinosa).
In questi anni il Realfonso abbandona gli aspetti più sontuosi della pittura del maestro in favore di una nuova essenzialità di linguaggio, in virtù della quale “i fiori belvederianamente più esornativi tornano di colpo alla verità vegetale”(Bologna), mentre nelle numerose tele con ortaggi, ceste di frutta e specialità culinarie della tradizione napoletana l’intonazione scura e la maniera con la quale gli oggetti escono dall’ombra dimostrano la perseveranza della scelta luministica dell’artista, come si può apprezzare in molte tele conservate in collezioni private italiane (fig. 7 – 8 – 9 – 10 - 11) o nella bella natura morta (fig. 12) con vasi, caraffe, tazze e dolciumi, firmata, transitata sul mercato milanese e collocabile ai primi anni Trenta.
I dipinti che hanno permesso una puntuale ricostruzione del suo percorso artistico, firmate e datate, sono quelle fatte conoscere dal Testori in collezione Frangi a Milano e nella fondazione Longhi a Firenze. Alla prima, datata 1731 (fig. 13), sono state avvicinate anche, dal Bologna, una tela, firmata e datata 1740, presso l’antiquario Lorenzelli a Bergamo, che riprende fedelmente alcuni dettagli della composizione milanese e da Spinosa una Natura morta con volatili conservata nel museo nazionale di Budapest, dove viene attribuita dal Nyerges ad un ignoto allievo di Giovan Battista Recco. La seconda (fig. 14), una Natura morta con frutta, ortaggi e prosciutto, eseguita nel 1737, venne rubata e riconosciuta sul mercato dal critico d’arte che la pubblicò. Inoltre una natura morta con asparagi, uova e pere (fig. 15) del 1735 in collezione Maglione a Napoli ed una tela datata 1739 in una raccolta di Barcellona, pubblicata dall’Urrea.
Sono tutti quadri marcati da una lucida, rigorosa attenzione al dato naturale, ripreso in chiave luministica e tradotto in vigorose contrapposizioni chiaroscurali.
Oltre il 1740 viene segnalata dal Bologna anche una Dispensa presso l’antiquario Mortimer Brandt a New York.
Negli ultimi anni sono comparse sul mercato numerose altre tele del Realfonso di qualità molto alta e tra queste segnaliamo la Natura morta con frutta ed uccellini morti (fig. 16) e quella con Alimenti e volatili(fig. 17) di collezioni private italiane. Presentate alla grande mostra sulla natura morta italiana tra Cinquecento e Settecento tenutasi a Firenze nel 2003, una spettacolare tela con Pane, salume, formaggio e bottiglia di vino (fig. 18), la quale, assieme a suo pendant Carciofi evidenzia il precoce orientamento antibarocco dell’artista con” improvvise impennate arcaizzanti neocaravaggesche”(Causa); in particolare il pane riprodotto con tale oggettività da far risaltare la muffa verdastra della mollica è un dettaglio presente frequentemente nelle opere del Melendez, presente per alcuni anni a Napoli, a dimostrazione dei fecondi scambi culturali tra i due pittori ed infine dei Fiori in cassetta (fig. 19), siglato, nel quale possiamo apprezzare la maestria nel dipingere i fiori con “tocchi liberi, che pure si accompagnano alla definizione netta e antibarocca dei madreperlacei fiori di ibisco, mentre l’insolita rustica cassetta è descritta nella sua realtà povera con i chiodi e le venature del legno, fra le quali il pittore ha inserito le iniziali del suo nome”(Gregori).
Le opere collocabili alla più avanzata maturità dell’artista sono considerate i Fiori e vaso figurato con putti conservato nel museo Correale, datato sul retro 1742, le Ciliegie del museo di San Martino e la Frutta del museo di Auxerre, tutte composizioni configuranti un ritorno allo stile ornamentale del Belvedere e che, concludendo una valida carriera, fanno del Realfonso il maggior pittore di natura morta del Settecento napoletano.
Foto di Dante Caporali
BibliografiaDe Dominici B. – Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani Vol. III, pag 577 – 578 - Napoli 1742 - 45
Testori G. – Nature morte di Tommaso Realfonso in Paragone, pag. 63 – 67, n. 97, tav. 36 - 37 - 1958
Bologna F. – Natura in posa. Aspetti dell’antica natura morta italiana(catalogo della mostra), tav. 56- Bergamo 1968
Causa R. – La Natura morta a Napoli nel Sei e Settecento, in Storia di Napoli, vol. V, tomo II, pag. 1025 – Napoli 1972
Urrea J. – La pintura italiana del siglo XVIII en Espana, pag. 354 - 356 – Valladolid 1977
AA.VV. – La fondazione Roberto Longhi, pag. 306 – 307, tav. 179 – Milano 1980
Bologna F – Ancora di Gapare Traversi nell’Illuminismo e gli scambi artistici tra Napoli e la Spagna alla ripresa naturalistica del XVIII secolo, pag. 273- 349 Napoli 1985
Bocchi G. – Bocchi U. - Naturalia. Nature morte in collezioni pubbliche e private, pag. 330, n. 119 – Torino 1992
Spinosa N. – Pittura napoletana del Settecento dal Barocco al Rococò pag. 65 – 68 -96 – 171 - 172 - 388 – 389 – 390 – 391 – 392; fig. 386 – 393; tav. 78 Napoli 1993
Benati D. - in Natura morta italiana tra Cinquecento e Settecento(catalogo della mostra di Firenze pag. 438 – Firenze 2002
Scarpa T. – in Natura morta italiana tra Cinquecento e Settecento(catalogo della mostra di Firenze pag. 474 – Firenze 2002
Gregori M. - in Natura morta italiana tra Cinquecento e Settecento(catalogo della mostra di Firenze pag. 428 – 429 – 446 - 447 – Firenze 2002
Nessun commento:
Posta un commento