26/10/2009
Finalmente apre a Roma il museo dell’emigrazione italiana
Finalmente, dopo tanti progetti accantonati e tante promesse non mantenute, apre a Roma nel complesso del Vittoriano il museo nazionale dell’emigrazione, a testimoniare un esodo doloroso durato oltre un secolo di 29 milioni di Italiani, dei quali meno di un terzo è ritornato in patria e che in alcuni momenti, per le dimensioni macroscopiche del flusso e per le condizioni disumane con le quali è avvenuto, si è configurato come un vero e proprio genocidio.
Visitarlo è importante per meditare sulla circostanza, sottolineata ieri dal Presidente Napolitano all’inaugurazione, che l’Italia è un paese di emigrazione prima che di immigrazione. Questo magmatico fenomeno, segnato da infinite vicissitudini, ha trovato ora un luogo concreto, dal pregnante valore simbolico, dove possa essere raccontato alle nuove generazioni, che sono invitate a conoscere il nostro passato per sapersi adeguatamente comportarsi oggi, che siamo divenuti un paese in grado di offrire lavoro e benessere ad altre popolazioni.
Il percorso espositivo si avvale delle più avanzate tecnologie in campo di comunicazione audio visiva e tecnologia virtuale ed è suddiviso in cinque sezioni, che coprono diversi periodi storici dal periodo pre unitario ai nostri giorni.
Le antiche emigrazioni, quando l’Italia era costituita da una miriade di piccoli stati, rappresenta una interessante sorpresa anche per chi ha già letto e studiato l’argomento e le mete erano rappresentate principalmente dalla Francia e dalla Germania.
Dal 1861 al 1915 cominciano i giganteschi esodi verso l’America ed il centro Europa, è l’epoca eroica dell’emigrazione, durante la quale si sono spostati un numero considerevole di Italiani, spesso accompagnati dalla propria famiglia.
Viene poi esaminato il periodo tra le due guerre mondiali, in rapporto al fascismo, al colonialismo ed alle migrazioni interne, tenuto conto che con la grande depressione del 1929 negli Stati Uniti furono varate norme restrittive.
Segue poi l’esame dei flussi nel secondo dopo guerra, quando il miracolo economico provocò, oltre a ondate migratorie verso l’estero, anche un epocale spostamento di popolazione da sud a nord.
Infine l’attuale realtà della presenza italiana all’estero, fatta da quattro milioni di unità, caratterizzata da un’elevata qualificazione: cervelli pregiati ed imprenditori.
Questo cammino nel dolore di un popolo costretto a trovare lontano dalla patria i mezzi per sopravvivere è corredato da tabelle esplicative, fotografie, documenti, giornali, manifesti, video, film storici, oggetti caratteristici, vecchie cartoline, valigie di cartone ed altri cimeli di famiglia. In alcuni punti è possibile ascoltare antiche canzoni o vedere piccoli quanto rari filmati dell’istituto luce.
Vi è poi una ricca biblioteca specializzata con oltre 500 testi sul’emigrazione utile per studenti e studiosi desiderosi di approfondire l’argomento ed una sala dove è possibile assistere ad un documentario di un’ora con interviste a dieci celebri registi da Salvatores a Squitieri, da Montaldo a Crialese, che si sono interessati al problema intervallate da brani dei loro film.
Non manca un settore dedicato a coloro che oggi cercano fortuna e lavoro in Italia con 60 foto che ci rammentano come il dramma dell’emigrazione non cambia con il tempo: i raccoglitori di pomodori nel foggiano o gli anonimi vu cumprà che affollano le strade ed i mercati delle nostre città.
Le immagini più commoventi sono però quelle che si riferiscono alle vicissitudini dei nostri antenati, quando per la penisola giravano 30.000 procacciatori di carne umana, che organizzavano questi viaggi oltre oceano, con modalità che ricalcano quelle dei moderni negrieri, utilizzando piroscafi vecchi di decenni, stipati fino al doppio della capienza ed in assenza di qualunque presidio igienico sanitario.
Vengono rammentati alcuni episodi dimenticati come il naufragio nel 1891 davanti al porto di Gibilterra della nave Utopia con la morte dei 576 passeggeri tutti meridionali o il caso della Matteo Brazzo, che nel 1884 fu accolta a cannonate nel porto di Montevideo, perché a bordo vi erano alcuni ammalati di colera.
Paradigmatico che il Brasile divenne meta dei nostri emigranti dopo il 1888, quando venne abolita la schiavitù e vi era necessità di nuovi schiavi.
Le partenze nei primi decenni dopo l’Unità avvenivano prevalentemente dal porto di Genova, perché le regioni più interessate al fenomeno erano, oltre al Veneto, anche il Piemonte e la Lombardia, quasi a sfatare definitivamente l’immagine stereotipata di un nord ricco che aveva civilizzato il sud. Quando poi la questione meridionale scoppiò in tutta la sua gravità e venne affrontata con metodi militari, cominciò l’esodo delle popolazioni meridionali e fu da Napoli che cominciarono a partire i famigerati bastimenti carichi di un’umanità dolente, carica di disperazione e di nostalgia, di ansia di riscatto e di antica dignità, anche se questa realtà trova difficoltà ad essere documentata con precisione per un incendio che anni fa ha distrutto gli archivi del porto napoletano.
Nell’immaginario popolare più corrente il binomio emigrante - meridionale, divenuto quasi un termine equivalente, risale a quegli anni dolorosi ed ha avuto poi un rinforzo quando nel secondo dopoguerra è avvenuto un esodo di dimensioni bibliche dal sud, sempre più povero, verso il nord divenuto ricco.
Questo splendido museo, che anticipa le celebrazioni per i 150 dell’Unità d’Italia, dovrebbe essere clonato e divenire itinerante, affinché tutti i cittadini possano visitarlo e soprattutto gli alunni di tutte le scuole, spesso accompagnati ad inutili mostre di arte contemporanea, mentre rimangono ignoranti di questa sofferta quanto interminabile parentesi del nostro passato.
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