venerdì 30 marzo 2012

Giustizia ammalata

17/12/2009

Ieri la stanza del Corriere della Sera pubblicava una ingenua lettera, nella quale si proponeva di prendere provvedimenti disciplinari nei riguardi di quei giudici le cui sentenze fossero state smentite per tre volte in appello e la risposta, sorprendentemente, in parte concordava, segnalando con preoccupazione la disparità di conclusioni tra sentenze di primo grado ed appello. 
Ma il vero scandalo, macroscopico, è costituito proprio dalla piatta uniformità con la quale i giudici, spesso senza nemmeno leggere le carte e le memorie difensive, confermano il parere dei colleghi che hanno emesso il primo grado. 
La percentuale di conferma è impressionante ed il numero di cause discusso in una mattinata, spesso con faldoni di migliaia di pagine, è nell’ordine di decine e decine, una quantità tale da confermare pienamente il sospetto di non volere assolutamente rivalutare la posizione dell’imputato, a parte la scandalosa discrezionalità nel sentire nuovi testi o recepire nuove perizie o elementi di prova.
Possiamo essere certi che, se un imputato fosse sottoposto al giudizio di numerosi collegi, le sentenze sarebbero tutte diverse, spaziando dall’innocenza alla colpevolezza, irrogando in ogni caso pene di diversa entità.
Forse per risolvere i problemi di una giustizia ammalata basterebbe affidarsi ai dadi, si farebbe prima, si eliminerebbe ogni spesa e si raggiungerebbero gli stessi risultati.

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