27/9/2009
Niccolò de Simone, “geniale eclettico” dalle molteplici componenti culturali, può rientrare nella cerchia falconiana, in parte per il racconto fantasioso del De Dominici, che ce lo descrive partecipante alla Compagnia della morte, ma precipuamente per un evidente rapporto stilistico con la produzione di Aniello Falcone, di Andrea De Lione e di Domenico Gargiulo, da cui prendono ispirazione le sue opere.
Originario di Liegi, come si evince nella sua firma, in passato sfuggita alla critica, sotto il Baccanale di collezione privata genovese, De Simone è documentato a Napoli dal 1636 al 1655 e non al 1677 come erroneamente indicato in tanti testi autorevoli, incluso il catalogo sulla Civiltà del ‘600 e sorprendentemente anche il recente regesto dei dipinti del secolo XVII del museo di Capodimonte.
I suoi esordi sembrano affondare nella cultura tardo manierista dominata dal Corenzio, in seguito egli nei suoi dipinti, oltre al marchio della cerchia falconiana risente dell’influsso del Poussin e del Grechetto, dai quali trae spunto anche per particolari tipi di paesaggio, tematiche preferenziali, fisionomie caratteristiche.
Oggi la critica, grazie ai contributi prima della Novelli Radice e poi della Creazzo, conosce più che bene i caratteri distintivi del suo stile pittorico: anatomie sommarie, tipica concitazione delle scene, caratteristico volto delle donne, tutte mediterranee dai pungenti occhi scuri, assenza di profondità spaziale con bruschi passaggi di scala, evidentissimi nel dipinto dell’Educazione della Vergine(fig. 1), folle in preda ad un’intensa agitazione, cieli tempestosi e baluginanti, squisita sensibilità da espressionista nordico, ripetitività nella costruzione dell’impianto generale della scena, personalissima resa cromatica nell’uso di colori stridenti ed incarnati rossicci.
Il de Simone si dedicò con impegno anche all’affresco e la sua più importante produzione è in Santa Teresa degli Studi, documentata grazie al Ruotolo al 1642 - 43, ove la figura della Vergine bambina(fig. 1) richiama lo stile di Cesare Fracanzano, mentre gli effetti di luce sulla sua veste sono chiaramente vandychiani e Niccolò per la sua origine nordica dimostra una particolare propensione a recepirne il messaggio.
Molte sono anche le piccole telette a mezzo busto di donne, molte ancora da identificare ed attribuire con precisione, in cui palese è il modulo di riferimento a Vaccaro, Stanzione e Cavallino(fig. 2); tra le quali particolarmente importante una S. Caterina d’Alessandria nei depositi di Capodimonti, siglata NDS, che ha permesso di raggruppare sotto il suo nome altri dipinti simili.
De Simone si distinse anche nel popolare settore delle scene di martirii di santi, che apparve intorno al secondo decennio nelle scenografie del De Nomè e divenne in seguito molto comune nella pittura napoletana con l’evento drammatico che acquista sempre più preminenza rispetto all’ambiente circostante. Molto nota e la sua Decollazione di San Gennaro(fig. 3), siglata, conservata nel museo di San Martino, mentre per l’altra redazione del Pio Monte della Misericordia(fig.4), nonostante pareri autorevolissimi in passato, incluso quello di Raffaello Causa, bisogna espungerla dal suo catalogo ed assegnarla definitivamente a Carlo Coppola, essendo riconoscibili nella tela alcuni caratteri patognomonici dell’artista, dalla lucentezza metallica delle armature alle fisionomie dei cavalli, identici nel muso e nell’occhio a quelli presenti in opere siglate CC, classico monogramma del pittore. Pure la Vanitas(fig. 5), anche essa nella quadreria del Pio Monte, non presenta alcun elemento di certezza per un’attribuzione al de Simone, per cui è più opportuno farla entrare nell’anonimato.
Per due quadri che vanno via dal corpus, due ne ritornano, infatti a mio parere i due grandi teloni conservati nella chiesa dei SS. Severino e Sossio dall’Ottocento, raffiguranti Mosè che fa scaturire l’acqua dalla roccia(fig. 6) ed Aronne che trasforma l’acqua del Nilo in sangue(fig. 7), che costituirono per la Novelli Radice il punto di partenza per la ricostruzione del percorso dell’artista, ritenuti autografi anche nel repertorio di Spinosa e messi in dubbio dalla Creazzo in un successivo fondamentale articolo sul de Simone, presentano i caratteri tipici riscontrabili in altri quadri firmati o sicuramente attribuibili. Le due tele rappresentano un assemblamento con prelievi letterali da autori diversi, infatti nell’episodio di Aronne i due uomini, l’uno col turbante, l’altro con l’elmo, posti sulla sinistra della composizione, sono ripresi dall’Incoronazione di spine del Negretti, eseguito sul finire del XVI secolo, mentre il gruppo di dignitari è una derivazione, sia nelle fisionomie che nella soluzione pittorica, dal celebre Festino di Erode di Rubens, presente negli anni Quaranta a Napoli ed infine la vegliarda posta sulla destra ricalca una facies tipica, che troviamo inalterata sia in Caravaggio che in una tela del Di Maria, già nella stanza del direttore dell’ospedale Cardarelli.
Volendo ipotizzare un percorso cronologico delle sue opere ai primi posti va collocata la Madonna col bambino (fig. 8) della quadreria dei Girolamini, sicuramente precedente alle tele ed all’affresco(fig. 9) conservati nella chiesa di S. Teresa agli studi documentati al 1642 – 43. Gli episodi raffigurati sono l’Annuncio a San Gioacchino, lo Sposalizio di Maria, l’Educazione della Vergine e la Presentazione al tempio, affrescata nella volta della cappella Anastasio.
Anche il Sacrificio di Noè (fig. 10) del Prado è collocabile sul finire degli anni Trenta, mentre il vertice qualitativamente più alto, nell’ambito della pittura di storia o con soggetto biblico, viene toccato nella serie di tre dipinti conservati a Bari e collocabili agli anni Quaranta: Mosè ed il serpente di bronzo, siglato NDSP, del quale mostriamo una replica autografa(fig.11) presso l’antiquario Porcini, Mosè fa scaturire l’acqua dalla rupe e la Battaglia di Orazio Coclite, firmata Nicolò de Simone fecit 1647.
Di poco successivi un’Immacolata Concezione(fig. 12) nella chiesa di S. Agostino degli Scalzi, che ad un recente restauro ha mostrato la firma dell’autore ed uno splendido inedito in collezione privata romana,un Lot e le figlie(fig. 13 )in precedenza assegnato al Ricca ed al Beltrano e che viceversa è opera tipica del de Simone, con le fisionomie sia del padre che delle figlie presenti in altri dipinti certi dell’autore.
Della metà del quarto decennio sono le numerose tele raffiguranti sante delle quali abbiamo già fatto cenno e di questi anni sono anche la Strage degli innocenti del museo di Capodimonte, iconografia più volte ripetuta con successo, come si evince da questo notevole inedito(fig. 14) transitato a Parigi presso Moratilla. Altri interessante inediti sono questo poderoso San Sebastiano(fig. 15) in collezione Schubert a Milano, un Ratto delle Sabine(fig. 16) ed una Rebecca al pozzo(fig. 17) in collezioni private napoletane e questi due Baccanali, il primo(fig. 18) ad ubicazione sconosciuta, reperito nella fototeca di Federico Zeri, il secondo(fig. 19), pendant di quello genovese firmato, sul mercato italiano anni orsono.
Concludiamo con la famosa tela, purtroppo guasta, sull’altar maggiore della chiesa di San Potito, firmata e datata 1654, raffigurante il santo trafitto dal chiodo infuocato(fig. 20), rinviando ad un prossimo contributo la presentazione di numerosi altri inediti reperiti sul mercato e sotto diversa attribuzione in alcuni archivi fotografici.
Foto di Dante Caporali
Bibliografia essenzialeCausa R. – La pittura del Seicento a Napoli dal naturalismo al barocco, in Storia di Napoli, vol. V, tomo II, pag 945 – 946 – 949 – 965 – Cava de’ Tirreni 1972
Novelli Radice M. – Appunti per il pittore Niccolò de Simone, Napoli nobilissima III XVII, pag 21 – 29 – Napoli 1978
Brejon de Lavergnée A. in Civiltà del Seicento a Napoli(catalogo), pag 131- 254 – 255 – 256- Napoli 1984
Creazzo I. – Alcuni inediti di Niccolò de Simone e altre precisazioni sul pittore, in Scritti di storia dell’arte in onore di Raffaello Causa, pag 223 – 232 – Napoli 1988
Alabiso A.C. – Piscitello P. – in Dipinti del XVII secolo la scuola napoletana pag. 84 – 88 – Napoli 2008
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