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Fig.1 |
Ho una simpatia particolare per Beltrano, del quale posseggo uno dei suoi capolavori ed a cui ho dedicato una monografia: "Agostino Beltrano uno stanzionesco falconiano". Per cui ho subito riconosciuto il suo pennello da alcuni dettagli patogomonici, quando un collezionista napoletano mi ha mostrato un suo dipinto (fig.1) per il quale i più celebri napoletanisti avevano avanzato varie attribuzioni.
Prima di esaminare il quadro in questione voglio fornire al lettore alcune notizie sul pittore, rinviando chi volesse approfondire l’argomento a consultare alcuni miei scritti digitando i link
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Fig.2 |
Agostino Beltrano pittore del '600 napoletano, ebbe la sua prima formazione artistica presso la bottega di Gaspare De Populo un pittore quasi sconosciuto di cui si ricorda solo il suo stretto legame d'amicizia con Massimo Stanzione del quale fu allievo. In seguito lo stesso Beltrano, ha lavorato insieme a Aniello Falcone e Pacecco De Rosa, dei quali è soprattutto con il primo che presenta evidenti affinità.
Per Beltrano fu però molto importante, per la sua maturazione stilistica, la vicinanza, in occasione dei lavori nella cattedrale di Pozzuoli, con altri celebri pittori dell'epoca, quali Giovanni Lanfranco, Artemisia Gentileschi e lo stesso Massimo Stanzione. Sposerà la pittrice Annella di Massimo, sorella di Pacecco De Rosa.
Gli studiosi hanno distinto, analizzando le opere del maestro, una fase naturalista, contigua ai modi falconiani e un secondo periodo più propriamente stanzionesco, contrassegnato da un impreziosimento cromatico e da un ingentilimento delle fisionomie e dei sentimenti, culminante nella spettacolare tela raffigurante "Lot e le figlie" della collezione Molinari Pradelli.
L'attività di Agostino Beltrano è documentata a Napoli nelle chiese di S. Maria degli Angeli a Pizzofalcone (1644–1645), di S. Agostino degli Scalzi (1649), di S. Maria della Sanità (1654-1656) e di S. Maria Donnaregina Nuova (1655).
Questi suoi interessi lo guideranno, in maniera più o meno costante fino a qualche anno prima della metà del secolo, in efficaci composizioni sia di destinazione religiosa (tele per il duomo di Pozzuoli, affreschi in S. Maria degli Angeli a Pizzofalcone) che profana (Ritratto di Carlo Tocco, Pio Monte della Misericordia).
Dal 1649 circa, anno in cui sono documentate le due tele per la Cappella Schipani in S. Agostino degli Scalzi (S. Girolamo e S. Nicola da Tolentino) il suo stile sembra avviarsi verso soluzioni di accademia stanzionesca e tale si manterrà ancora nell'ultima produzione documentata.
Ritorniamo ora al quadro che vogliamo proporre all’attenzione di studiosi ed appassionati, partendo dalla difficoltà di assegnargli un titolo, ma ha poca importanza e continuiamo fornendo altri esaustivi dati biografici.
Scriveva Carlo Volpe in merito nel 1981 "...ora si può comunemente ammettere che le opere più intense del Beltrano valgono tanto quanto quelle di un Pacecco de Rosa, o di un De Simone, anche quando come in questo caso, defletta per una insolita attenzione verso il giovane Salvator Rosa ....". Su queste considerazioni "insolita" e in merito agli studi avanzati in questi ultimi 40 anni mi chiedo se regga ancora il richiamo al giovane Salvator Rosa senza però capire perché Beltrano avrebbe dovuto ispirarsi ad un giovane, o piuttosto si avvicini di più ai modi del giovane Salvator Rosa che guarda altri modelli napoletani.
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Fig.1bis |
Agostino Beltrano nasce a Napoli il 25 febbraio 1607, da Francesco, di professione indoratore e da Vittoria De Grauso, zia di Andrea Vaccaro.
Sposò nel 1626 Diana, alias Annella De Rosa, sorella di Pacecco e figlia di Tommaso, anch'egli pittore, e di Caterina De Mauro che, rimasta vedova, sposò Filippo Vitale. Ebbe sei figli, quattro femmine e due maschi e fu inoltre cognato, oltre che di Pacecco, anche di Aniello Falcone e di Juan Do.
Sua moglie Diana morì di malattia nel suo letto il 7 dicembre 1643, e questo particolare, scoperto dal Prota Giurleo, al quale si debbono anche tutte le altre notizie anagrafiche, fa cadere come inverosimile e partorita dalla fertile fantasia del De Dominici la leggenda del truculento uxoricidio perpetrato dal Beltrano, accecato dalla gelosia per le attenzioni rivolte alla moglie dal suo maestro Massimo Stanzione.
Il Beltrano si trovò invischiato così in una ragnatela di parentele (fig.3) con artisti napoletani di primo piano attivi a Napoli nel terzo e nel quarto decennio che finirono per influenzarsi a vicenda.
Per Beltrano, oltre a questi intrecci parentali, che si trasformarono in influssi reciproci, fu però molto importante per la sua maturazione stilistica la vicinanza, in occasione dei lavori nella cattedrale di Pozzuoli, che, cominciati nel 1635 si protrassero per molti anni, con il Lanfranco, con Artemisia Gentileschi e con Massimo Stanzione.
Il De Dominici lo include tra gli allievi di Stanzione e ne parla nella vita di Pacecco De Rosa, definendolo tra i migliori scolari del maestro. Gli storici hanno ritenuto che la sua prima formazione fosse avvenuta presso il Vitale, ma di recente un documento ha evidenziato che il Beltrano, quattordicenne, fu messo a bottega nel 1621 assieme a Diana De Rosa, diciottenne, da Gaspare De Populo, pittore del quale conosciamo ben poco, se non che fu legato allo Stanzione, di cui tenne a battesimo il primogenito.
La critica si è da tempo impegnata a ricostruire la personalità artistica del Beltrano ed ha distinto una fase naturalista, contigua ai modi falconiani ed un secondo periodo più propriamente stanzionesco, contrassegnato da un impreziosimento cromatico e da un ingentilimento delle fisionomie e dei sentimenti, culminante nella spettacolare tela di «Lot e le figlie» di collezione Molinari Pradelli.
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Fig.3 |