lunedì 30 novembre 2015

Bagni di mare, ma si parliamone sotto la pioggia

Lido delle Sirene a Coroglio
di Marina della Ragione

Gli abitanti dei rioni popolari – Sanità, Vergini, Quartieri Spagnoli, Vasto, ecc… – il mare preferivano vederlo da lontano. Più che goderlo, il mare lo avevano sempre temuto. Pochissimi sapevano nuotare – il Lido «mappatella» è una scoperta abbastanza recente – e per i napoletani i bagni si potevano prendere soltanto tra le due Madonne, quella del Carmine (16 luglio) e quella dell’Assunta (15 agosto).
Prima e dopo questi trenta giorni ben definiti, anche se si moriva di caldo, i bagni di mare non potevano costituire refrigerio o svago. …
Per la borghesia invece i tempi della balneazione erano più dilatati, dalla chiusura delle scuole che avveniva allora alla fine di giugno sino alla festa di Piedigrotta (8 settembre), o addirittura l’onomastico di San Gennaro (19 settembre).
Dopo il bagno ed il pranzo era d’obbligo, specialmente per i più piccoli, riposare sino al calar del sole e poi, con i grandi a passeggiare in attesa dell’ora di cena. E così era per tutti, residenti e villeggianti. La villeggiatura finalizzata ai bagni di mare era privilegio di pochi, quasi sempre aristocratici o ricchi borghesi.
Dove si facevano i bagni?
Cominciamo da oriente. Due stabilimenti balneari costituivano il punto di riferimento per gli abitanti della zona orientale della città, il Lido Azzurro di Torre Annunziata e il Bagno Rex di Portici. Quest’ultimo era frequentatissimo dai napoletani che abitavano tra la città e le falde del Vesuvio.
Da Portici a Santa Lucia non vi era, come non vi è tutt’ ora, alcuna possibilità di bagnarsi in maniera decente. A Santa Lucia nel dopoguerra sopravviveva ancora il Bagno Savoia, stabilimento collocato sulla scogliera sottostante via Nazario Sauro, tra la Canottieri Napoli e la Rotonda.
AI Borgo Marinari, attaccato alla cosiddetta Batteria Spagnola di Castel dell’Ovo, fino alla fine degli anni Cinquanta, funzionava il Bagno Eldorado. Grosso stabilimento balneare, miracolosamente sopravvissuto all’attiguo e famosissimo Cafè Chantant degli anni Venti, con una grande struttura in muratura a più piani integrata nel periodo estivo anche da quella in legno, l’Eldorado rispondeva alle esigenze di un variegato e numeroso pubblico prevalentemente costituito dagli abitanti del centro storico di Napoli.
Alla radice di Posillipo il Sea Garden del marchese Andrea Chierchia era lo stabilimento balneare dei vip dell’epoca. Risalendo la costa subito s’incontrava sulla spiaggia prima di Palazzo Donn’Anna il grande Bagno Elena. Dall’altra parte del Palazzo, sulla spiaggia e la scogliera sottostanti l’Istituto Padre Ludovico da Casoria, il Bagno Sirena della famiglia Ciaramella era molto frequentato.
Rivafiorita era lo stabilimento balneare inventato dal commendator Alfonso Marino che, ad ogni inverno, sistematicamente rosicchiava al mare spazi e volumi per allargare sempre più la sua creatura.
A Marechiaro gli stabilimenti erano due, quello storico sotto la famosa “Fenestella” e poi il più recente Lido delle Rose. Gli scogli di Villa Beck e della Gaiola erano frequentati da pochi eletti considerati i fanatici dei bagni di mare allo stato naturale puro.
A Coroglio, sulla grandissima e bianchissima spiaggia prospiciente l’Isola di Nisida, era famoso il Lido delle Sirene e, per finire, arriviamo sulla spiaggia di Lucrino, al Lido Napoli della famiglia Mailler. Questo stabilimento era frequentato soprattutto dalla buona borghesia napoletana che con la ferrovia Cumana raggiungeva tutte le mattine quella spiaggia.(A tal proposito vi consiglio di leggere in rete, digitandone il titolo, un interessante articolo “Come era bello il lido Napoli” e trovandovi su internet date uno sguardo anche a “Come era bella Villa Beck”, di cui abbiamo parlato prima).
I costumi era castigati, il bikini pura fantascienza, in compenso il mare era pulito e popolato da pesci che sguazzavano felici.

Marina della Ragione

martedì 24 novembre 2015

il mattino sulla terra dei fuochi

Cari amici, dopo La Repubblica, Il Corriere e tanti altri quotidiani anche Il Mattino riprende in una mia lettera un argomento che abbiamo trattato in uno dei nostri incontri del venerdì

martedì 17 novembre 2015

La strage di Parigi provoca unanime cordoglio, ma non si può solo piangere





Il vile attacco terroristico, che ha insanguinato Parigi, provocando oltre 100 vittime ed una giusta ondata di indignazione in tutto il mondo, ben espressa nelle ferme parole di condanna del Pontefice, deve farci riflettere, perché non si può solo piangere, bensì bisogna prendere cognizione della complessa situazione internazionale, che richiede fermezza da parte della politica, chiamata a difficili quanto coraggiose decisioni, illuminazione da parte dei pochi intellettuali ancora in circolazione, ma soprattutto coraggio da parte di tutti noi, pronti ad appoggiare provvedimenti drastici quanto oramai ineludibili.
Cosa può fare l’Italia, cosa l’Europa, cosa l’Occidente? Sono tre percorsi diversi anche se tendono alla fine verso lo stesso obiettivo, fermare o quanto meno arginare il terrorismo.
L’imminente celebrazione del Giubileo fa tremare, anche se l’Italia, da sempre è stata immune dal terrorismo, perché costituisce il ventre molle, attraverso il quale l’immigrazione clandestina fa affluire ogni anno milioni di disperati, tra i quali sarà facile reclutare esaltati disposti a qualunque atto inconsulto.
Ritornando alla prevenzione del terrorismo compito dell’Italia è potenziare i servizi segreti, unica arma in grado di contrastare una guerra senza fronti e senza eserciti schierati. Se non riusciremo a reclutare James Bond, almeno cerchiamo di assoldare agenti esperti provenienti da intelligence dell’est europeo, una via già percorsa con ottimi risultati dalla delinquenza organizzata.
Una strategia che dovrà essere perseguita anche dall’Europa, in grado di affiancare anche efficaci azioni militari, in particolare bombardamenti a tappeto là dove vengono localizzati campi di addestramento, soprattutto nei territori del Califfato islamico, argomento sul quale invito il lettore a consultare in rete un mio breve scritto digitandone tra virgolette il titolo: “Il Califfato islamico: come, quando, dove, perché”.
L’Occidente, Stati Uniti in testa, deve poi prendere atto che ciò che sta succedendo è solo il capitolo iniziale di uno scontro di civiltà epocale, sul cui risultato finale non mi pronuncio (sono pessimista), ma che va combattuto senza esclusione di colpi.
Quando il gioco diverrà duro e le azioni militari si intensificheranno è pura illusione lavorare senza l’aiuto degli Americani e l’assenso, più o meno prezzolato di Putin.

domenica 8 novembre 2015

La Bibbia, Napoli e filosofia, un romanzo umoristico futuro best seller

“La Bibbia, Napoli e filosofia” di Carlo Castrogiovanni

Continuamente ricevo libri da autori novelli che vogliono un parere o, i più audaci, una recensione. Purtroppo dovrei passare gran parte del mio tempo a leggere libri autobiografici che spesso non hanno alcun valore letterario per cui, anche se imbarazzato, sono costretto a dire di no.
Credevo fosse un caso simile il libro scritto da Carlo Castrogiovanni, un mio amico al quale non potevo rifiutarmi, ma dopo aver letto le prime pagine della sua “La Bibbia, Napoli e filosofia” mi sono dovuto ricredere, perché  i capitoli sgorgano impetuosi come un fiume in piena ed appassionano il lettore, il quale brucia il libro tutto di un fiato.
Il protagonista della narrazione è Napoli, ma soprattutto i Napoletani, gente antica che accoppia saggezza e senso dell’umorismo in maniera sorprendente. Scrive l'autore "Un miscuglio d’avvenimenti tra la Napoli antica e quella piccolo borghese. I personaggi s’intrecciano tra storie tragiche e avvenimenti ilari, con un’umanità che alle volte si tinge d’egoismo ed altre di appassionata solidarietà. I sentimenti s’inseguono vorticosamente per l’affermazione di verità, tutte diverse e tutte piene di ragioni. Alcune volte si trasgredisce seguendo un credo non conosciuto e dall’apparenza ambiguo. Alla fine di un anno e mezzo ci sono mille cose da raccontare!
Fabrizio Pietra, in una delle mille viuzze prospicienti Via Toledo s’imbatte nel filosofo semianalfabeta don Peppino, libero di gestire le proprie giornate perché pre-pensionato a seguito di un grave infortunio. Alcuni abitanti del quartiere Montecalvario, anche loro semianalfabeti, nel tempo libero, seguono don Peppino per imparare le sue massime, tutte dal sapore di verità, ma dette con un linguaggio originale tipico di chi esprime un sentimento vero con gravi errori di stile e di grammatica.
Fabrizio, figlio di un ambiente piccolo borghese teso sempre al conseguimento di stabilità e di prestigio, appare a madre, sorelle e fidanzata, come ancora acerbo e impreparato nel percorrere l’unica strada utile che quell’ambiente consente. Due mondi diversi, ostili e diffidenti tra loro, s’incontrano per la prima volta e scoprono di avere un’umanità comune che può collaborare nel percorso di una strada ignota ma avvincente". Gli avvenimenti non tardano a presentarsi.
Subito rimbalza agli occhi l’immagine di una bella Napoli, credo la vera Napoli, molto diversa da quella dei mass media. Essa viene rappresentata in due ambienti tipici della sua realtà: quella dei vicoli e quella piccolo borghese.
In quella dei vicoli, ancora oggi simile a quella raccontata da Eduardo e da Totò, l’esuberanza tipica degli abitanti nel produrre problematiche di ogni genere, fa da cornice al protagonista, don Peppino, che benché semianalfabeta, vive l’ambizione di meditare sui misteri della vita e sul come e perché dei fatti.
In quella piccola borghese, Fabrizio Pietra rifiuta la strada della stabilità e del prestigio, comune a familiari e fidanzata, anche lui per cercare… di capire.
Il racconto disegna sul filo dell’ironia come l’aspirazione di tanti vivaci personaggi produca fatti tragici e comici.
Detto della trama, resta il merito del romanzo di riuscire a coinvolgere emotivamente il lettore. Credo che ciò venga favorito oltre che dal linguaggio semplice ed immediato del racconto, da un aspetto che per la prima volta trovo in un romanzo: Carlo Castrogiovanni scrive due racconti in uno. Infatti il protagonista Fabrizio appare continuamente nelle due versioni di ragazzo inadeguato all’ambiente piccolo borghese e subito dopo, nell’ambiente di don Peppino diviene eroe, protagonista, e punto di riferimento di tutti gli “aficionados”.
Vorrei sottolineare, come ciò, il narrare due racconti  in un unico contesto, rappresenti oltre ad uno stile originale anche una novità assoluta.
Questo nuovo stile produce un aspetto pirandelliano al racconto poiché il protagonista Fabrizio vive inconsapevolmente due personaggi che continuamente si scambiano i panni, ruoli e problematiche.
E’ un libro che incontrerà, ne siamo certi, un grande successo e sarà sicuramente seguito da altri, perché l’autore mette in mostra uno stile ed una fantasia che gli permetteranno di scrivere altre storie in grado di interessare un pubblico anche dal palato raffinato.

Achille della Ragione


Carlo Castrogiovanni








Un inedito capolavoro di Giovan Battista Spinelli

 Giovan Battista Spinelli  -Madonna con Bambino- Roma collezione Lemme 



Giovan Battista Spinelli, attivo fra il 1630 ed il 1660 circa, viene citato dal De Dominici, che poco lo conosceva, come l’ultimo dei sei discepoli dello Stanzione.
La sua personalità artistica ed il ricordo della sua opera si erano persi nel nulla, e solo negli ultimi 40 anni grazie alle felici intuizioni del Longhi, agli accaniti studi del Vitztuhm e, più di recente, alla puntuale ricostruzione dello Spinosa è riemerso come una delle figure di spicco del Seicento napoletano, facilmente riconoscibile non solo per la sua marcata abilità di disegnatore, ma principalmente per le caratteristiche fisiche e fisionomiche delle sue figure: personaggi in preda a torsioni disperate ed alla completa disarticolazione delle forme, immersi in un impasto furente percorso di umori misteriosi, agitati da una elettrizzante energia interiore e gesticolanti come marionette impazzite.
Dopo essere stato per secoli ignorato dalla critica, lo Spinelli (del quale non conosciamo i dati biografici, ad eccezione di notizie sulla sua famiglia, di origine bergamasca, ma residente a lungo a Chieti) è riapparso come un’artista originale e fuori dagli schemi convenzionali, suggestionato da un mondo di immagini antiche, che gli pervenivano attraverso lo studio appassionato, anche se disordinato, delle incisioni dei manieristi nordici, da Luca Di Leyda a Goltius, da Matham ad Aldegrever.
Ad un certo punto del suo percorso artistico vi è un chiaro richiamo a modelli compositivi stanzioneschi con una pittura ampia e rischiarata, e questa ripresa di elementi napoletani possiamo coglierla soprattutto nelle due tele degli Uffizi, capolavori assoluti del Seicento europeo: il Trionfo di David accolto dalle ragazze ebree e David che placa Saul, in cui stringenti affinità ispirative, come ben intuì il Longhi, possono cogliersi con le tele stanzionesche con Storie del Battista, oggi al Prado, ma anche in pale d’altare per chiese abruzzesi e dipinti da cavalletto per collezioni napoletane, come nel caso del dipinto di collezione Lemme a Roma.
Questo momento creativo è però sempre contraddistinto da marcati caratteri di autonomia culturale e da segni di energico vigore formale e di accentuata sensualità come se lo Spinelli, in preda ad una eterna sovraeccitazione, desse luogo a stravolte tipizzazioni fisionomiche, caratteristiche di un pittore inquieto, bizzarro ed anticonvenzionale, capace di recepire influssi diversi, ma di esprimere sempre una cifra stilistica personale originalissima. E questo aspetto della sua pittura sarà sempre molto evidente anche negli ultimi anni della sua attività, quando più marcati si faranno gli slittamenti verso soluzioni di temperato classicismo accademizzante.
La Madonna col Bambino della collezione Lemme, collocabile cronologicamente agli anni Quaranta, si ispira a dipinti prodotti in quel periodo da Massimo Stanzione, ma rispetto allo stile dell’illustre collega, lo Spinelli si pone in una posizione di originale autonomia, accentuando sino all’eccesso l’aspetto bizzarro e la cura della scenografia, prediligendo una gamma cromatica raffinata e selettiva, spesso virando verso tonalità fredde ed azzurrine, mentre il trattamento del chiaro scuro, richiama le esperienze del naturalismo napoletano di seconda generazione.
Il tema della Madonna col Bambino, a figura intera o di tre quarti, lo troviamo più volte ripetuto in una serie di disegni, conservato a Firenze nella raccolta degli Uffizi, nei quali, più chiaramente che nei dipinti, emerge l’indole manierista del pittore e la sua passione per gli esempi della tradizione cinquecentesca flandro germanica.
In più di un foglio tra quelli conservati nel  Gabinetto dei disegni e delle stampe fiorentino (10959 – 10960 – 10963 F) sono rappresentati la figura di una Madonna col Bambino o forse di una semplice donna con in braccio il figlioletto, che possono rappresentare studi preparatori per un dipinto molto simile a quello in esame, più che esercitazioni di un estro grafico fuori del comune.


 

mercoledì 4 novembre 2015

Un gioiello poco noto: la chiesa di S. Maria della Consolazione a Villanova

 
fig. 1  - Napoli, chiesa di S. Maria della Consolazione a Villanova  (facciata)

Nel casale di Villanova vi è la chiesa di Santa Maria della Consolazione (fig.1) dalla spettacolare pianta esagonale, realizzata nel 1737 da Ferdinando Sanfelice, regno incontrastato per oltre cinquanta anni del leggendario parroco Giuseppe Capuano, morto in odore di santità.
Una chiesa di grande interesse, fuori dagli itinerari turistici e sconosciuta anche ai cultori del nostro patrimonio artistico, frequentata solo dai fedeli, tra i quali le mie zie: Giuseppina, da poco centenaria, Elena e Adele ed alla quale sono particolarmente affezionato, perché il parroco di cui sopra era un mio pro zio e fra cento anni o poco più mi piacerebbe si celebrasse il mio funerale.
L’interno (fig.2) è allegro, molto luminoso e sembra sollecitare una preghiera di ringraziamento più che una supplica. Ha una storia alle spalle, ma soprattutto un segreto da svelare.
La storia è semplice e lineare: Eleonora Piccolomini, principessa di Bisignano, nel 1488 fece erigere nel suo fondo una cappella. In seguito nel 1537, a seguito di lasciti e donazioni, venne unita a due chiesette in rovina poco distanti: San Giovanni Battista fuori Porta Posillipo, già proprietà dei Guindazzo, donata agli Agostiniani intorno al 1500 e San Pietro.
La chiesa attuale sorge dunque da questo incontro e ne fa fede un pregevole bassorilievo di scuola del Donatello, conservato in sacrestia, datato 1510, che raffigura la Madonna tra San Giovanni Battista e San Pietro.
La veste attuale prese corpo poi nel 1737, dopo i danni causati da un terremoto, ad opera del celebre architetto già citato, il quale da tempo era impegnato con gli Agostiniani nella realizzazione del convento di San Giovanni a Carbonara.
Il risultato entusiasmò il De Dominici il quale affermò: ”che prospetto così vago e accordato, più bello non si può desiderare”. Infatti il Sanfelice adottò una soluzione rivoluzionaria per quell’epoca, collocando su sei pilastri, nell’interno esagonale con tre finestroni, un’unica struttura di copertura con tre capriate in legno, una finta volta incannucciata e tegole.
La facciata, col corpo centrale aggettante fra due rientranti, preannuncia l’andamento planimetrico interno e sicuramente fu modificata nel corso del restauro cui seguì la consacrazione nel 1853, per cui dello stile dell’architetto non conserva che il finestrone.
L’interno rappresenta invece un accattivante esempio di spazio, molto luminoso, modellato da forme geometriche ossequiose della lezione del Borromini. Si può osservare un alternarsi di pareti piane e di pareti curve che sottolinea il dinamismo plastico accentuato dalla presenza della doppia parasta, in modo che l’ordine architettonico accompagni il disegno planimetrico delle pareti: anche la trabeazione, allora, si incurva per accogliere la calotta che completa la piccola abside. Ampi finestroni inondano di luce l’ambiente illuminando i delicati stucchi (fig.3), di alta qualità e di gusto rococò, che decorano la bella volta esagonale, il cui disegno geometrico è accentuato dai bianchi costoloni che si affiancano sulle vele grigie.
A completare l’insieme concorreva il pavimento, in cotto e ceramica, non più presente e l’altare maggiore (fig.4) in lussureggianti marmi policromi, sovrastato da un’opera proveniente dalla chiesa precedente: una tavola della prima metà del Cinquecento, raffigurante la Madonna col Bambino (fig.5-6).
Alla vecchia chiesa appartengono anche i bassorilievi marmorei del lavabo conservato in sacrestia, ricomposti nell’attuale contesto nel 1575, ma risalenti ai primi anni di quel secolo.
Al momento della ricostruzione sanfeliciana risalgono i due spettacolari pendant eseguiti da Paolo Di Majo, che accolgono gioiosamente il visitatore. Essi raffigurano la Natività (fig.7) e la Madonna col Bambino con i santi Agostino, Monica, Gennaro ed Antonio. Ignorati nell’unica monografia sul pittore, scritta dall’illustre studioso Mario Alberto Pavone, sono due autentici capolavori, eseguiti negli anni in cui l’artista lavorava presso la bottega del Solimena, quando questi era intento ad approfondire la sua esperienza in senso classicista. Essi sono la testimonianza della predilezione del Di Majo per formule geometrizzanti e la ripresa di elementi culturali neocinquecenteschi, in opposizione alle contemporanee proposte di Domenico Antonio Vaccaro. L’adesione del pittore alle direttive ecclesiastiche, volte a depurare le immagini sacre da ogni pur minimo carattere di laicità e interessate alla diffusione del culto mariano, si manifesta pienamente nei due dipinti in esame.

fig. 2 - Napoli, chiesa di S. Maria della Consolazione a Villanova (Interno)
 
 
fig. 3 - Napoli, chiesa di S. Maria della Consolazione a Villanova  (stucchi della volta)
 
 
fig. 4 -Napoli, chiesa di  S. Maria della Consolazione a Villanova  (Altare)

 
fig. 5  - Napoli, chiesa di S. Maria della Consolazione a Villanova  (tavola cinquecentesca)


 
 
fig. 6  -Napoli chiesa di  S. Maria della Consolazione a Villanova  (tavola cinquecentesca)
 
fig. 7 - Paolo di Majo -  Nativitá - Napoli chiesa di  S. Maria della Consolazione a Villanova


Del 1639 sono due pannelli ad olio conservati ai lati dell'altare, entrambi siglati ed uno datato. A grandezza naturale rappresentano Sant'Agostino (fig.8) e San Giovanni Battista (fig.9). Di mediocre qualità, mostrano l'artista suggestionato dalle coeve esperienze di ambito iberico, soprattutto il Battista ricorda in qualche aspetto le affilate impostazioni disegnative di Zurbaran . Influsso della cultura spagnola che ritroveremo ancora in alcune delle tele del Marullo, come nella Pesca miracolosa, nella quale è tangibile lo stile del Greco nella definizione delle figure allungate e spigolose.
Dopo la storia e la descrizione dei dipinti passiamo a rivelare il segreto che nasconde la chiesa e che venne scoperto in occasione del terremoto del 1980, quando una parte del pavimento crollò, mettendo in mostra antiche mura, così descritte in una relazione che abbiamo reperito tra polverose carte nell’archivio della Soprintendenza: “ parte di una pavimentazione in cotto maiolicato e in marmo di età quattrocentesca, resti di murazione intonacata, frammenti di lesene cinquecentesche scolpite” e ancora decorazioni parietali che conservano il colore ed una lapide marmorea con stemma e sedile di pietra (fig.10). Sulla tomba si legge chiaramente Ioannes neapolitanus … 1545. Finalmente una data certa, oltre al pavimento della cripta simile a quello cinquecentesco della chiesa di San Giovanni a Carbonara(entrambe dell’ordine degli Agostiniani), sappiamo che Giovanni Napolitano giace lì dal 1545 e da una trentina d’anni in buona compagnia, perché quando nel 1982 i lavori di consolidamento misero alla luce una ventina di scheletri provenienti da una fossa comune, il parroco di allora, don Enrico, volle dar loro una più onorata sepoltura, mettendoli nella tomba del napoletano privilegiato, una decisione misericordiosa in aperto contrasto con le usanze secolari, che hanno sempre previsto un ossario comune per i poveri ed il monumento funebre per il nobile o quanto meno per il ricco.
Nella pianta Carafa del 1775 sono già ben visibili i villaggi di S. Strato, Portaposillipo e Villanova ed il percorso dell’attuale via del Marzano, all’epoca chiamata Malefioccolo. Poco è cambiato da allora, una certa atmosfera paesana sopravvive in queste stradine e nella piccola piazza antistante la chiesa di Villanova, mentre da sempre il parroco, che conosce tutti, termina il suo ufficio con la frase: “la Messa è finita, andate in pace e buona serata”.
Consigliamo, dopo la visita alla chiesa, percorrendo alcune centinaia di metri, di fare la conoscenza di un luogo mitico: il Canalone, del quale molti napoletani hanno sentito parlare, pochi sanno localizzarlo, quasi nessuno lo ha mai percorso.
Per me esso era leggendario perché mia madre, da bambina, siamo negli anni Venti del secolo scorso, lo scendeva e saliva ogni giorno per andare a scuola, cosa impensabile oggi che non facciamo un passo per nessun motivo, condannandoci anzi tempo ad obesità ed arteriosclerosi.
Questo tortuoso tragitto (per il Tuttocittà Salita Villanova) mette in comunicazione via Manzoni con via Posillipo, attraversando da sotto via Petrarca all’altezza della chiesa dei Gesuiti.
Il primo tratto (fig.11) è a gradoni, che dolcemente scendono a valle, costeggiando lussureggianti giardini dove il tempo pare si sia fermato, il secondo (fig.12) è una serie di ripidi scalini che in un battibaleno conducono all’arrivo.
Per tutta la passeggiata, che dura non più di quindici minuti, scorci di panorama mozzafiato ed angoli bucolici inaspettati. Bisogna però tollerare un po’ di rovi ed un po’ di spazzatura portata dalla pioggia, ma di monnezza, almeno in questi ultimi tempi, forse ne troviamo altrettanta nella elegante e centralissima via dei Mille.
Questa originale passeggiata ha costituito l’ultimo appuntamento della stagione 2008 per gli Amici delle chiese napoletane, i quali, dopo lo scarpinetto si rifocillarono abbondantemente, a prezzo fisso, in un famoso ristorante, brindando alla cultura, osannando il presidente (il sottoscritto) e dandosi appuntamento a settembre per un nuovo ciclo di visite delle bellezze napoletane; purtroppo hanno dovuto attendere 7 anni prima di godere di nuovo, apprendendo con gioia le bellezze della nostra amata Napoli.

Achille della Ragione
Foto di Dante Caporali 
 
fig. 8 - Giuseppe Marullo -  S. Agostino - siglato e datato 1639 - Napoli chiesa di S. Maria della Consolazione a Villanova
fig. 9 - Giuseppe Marullo-  S. Giovanni Battista - siglato - Napoli chiesa di S. Maria della Consolazione a Villanova
fig. 10 - Napoli chiesa di S. Maria della Consolazione a Villanova  (cripta)
fig. 11 - Napoli, inizio del Canalone
fig. 12 - Napoli, parte finale del Canalone