28/9/2009
La settimana scorsa i giornali hanno riportato la notizia che al largo delle Calabria, a breve distanza dalla costa, in un mare dove ogni estate milioni di bagnanti si immergono ed una moltitudine di pesci ci vive prima di finire nelle nostre padelle, giacciono ben trenta navi colme di rifiuti tossici e scorie radioattive, affondate dalla ndrangheta.
A distanza di pochi giorni, nonostante l’enormità dell’episodio, del quale si è venuto a conoscenza grazie alle confidenze di un pentito, nessuno sembra più interessarsi della cosa. Mi sembra di ripercorrere una storia già vissuta, quando alcuni anni orsono nel mio libro di denuncia Monnezza viaggio nella spazzatura campana(consultabile in rete) segnalavo che in centinaia di pozzi del casertano la camorra aveva depositato un egual carico di veleni e di morte e nel corso delle presentazioni in tutta Italia il pubblico apprendeva incredula la notizia, senza che nessuno: magistrati, autorità, giornalisti si impegnassero per controllarne la veridicità e prendere gli opportuni provvedimenti. E dire che sulla copertina del libro era riportata una pecora a due teste, uno squallido trofeo fotografato nella casa di un camorrista di Casal di Principe, a tangibile dimostrazione delle mutazioni genetiche provocate dall’uranio e le immagini di Beatiful cauntry, un film coraggioso, che quasi nessuno ha potuto vedere, perché maldestramente distribuito, mostrassero che in ogni gregge nella terra dei casalesi vi fosse qualche esemplare affetto da mostruosità.
Cosa aspettiamo ad indignarci e poi indagare e soprattutto provvedere?
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