12/9/2009
Caravaggio due volte si è misurato con il tema della Flagellazione, nella celebre tela in San Domenico Maggiore, da anni conservata nel museo di Capodimonte e con un’iconografia diversa, nella quale il Cristo è legato ad una colonna, della quale esistono varie redazioni, tra le quali l’originale(fig. 1) è ritenuto oggi da gran parte degli studiosi quello del musée des beaux arts di Rouen.
Noi abbiamo identificato nella collezione privata di un’antica famiglia calabrese una ulteriore redazione del soggetto(fig. 2), che va ad aggiungersi a quello di Rouen ed a quelli in collezione privata svizzera(fig. 3), a lungo ritenuto anche dal Longhi(a) l’originale, in una raccolta romana, precedentemente a Lucca ed in una collezione napoletana, citata dal Marini(b).
L’iconografia è trattata in maniera audace con i personaggi a tre quarti impregnati da una carica dinamica tipica del Merisi, mentre l’azione si svolge da destra verso sinistra. Il Cristo, a differenza della tela di Capodimonte, non è posto al centro della scena, bensì sulla sinistra con i due scherani che si avvicinano dal lato destro; uno dei due aguzzini, dal volto patibolare, prelevato letteralmente da un vicolo di Forcella o del Pallonetto, compare in altri famosi quadri caravaggeschi eseguiti dopo il 1607, come la stessa Flagellazione e la Salomè di Londra, un elemento, unito alla classica trama napoletana della tela, che contribuisce a collocare l’esecuzione in uno dei due periodi di permanenza dell’artista all’ombra del Vesuvio.
L’episodio coglie il momento di preparazione del supplizio con i due delinquenti che stanno, l’uno legando le mani alla vittima, l’altro tirando il Cristo per i capelli, un gesto, come sottolineato dalla Gregori(c), reperibile anche nella Coronazione di spine della Cassa di risparmio di Prato e nella celebre Flagellazione di Capodimonte.
Nel quadro da noi esaminato, in attesa di più complesse indagini radiografiche e spettrografiche alla ricerca di eventuali pentimenti che saranno tra breve eseguite, vogliamo segnalare la presenza sulla tela di alcune incisioni visibili a luce radente, in due distinte zone del dipinto, una particolarità tecnica che talune volte veniva adoperata dall’artista per memorizzare la distanza tra i personaggi della composizione. Un dettaglio molto significativo, il quale unito ad un potente fascio di luce proveniente dall’alto, appena presente nella tela svizzera e del tutto assente nel presunto originale di Rouen, potrebbe riaprire il discorso mai chiuso definitivamente tra quale sia il prototipo e quali siano le copie.
La storia attributiva del dipinto è lunga e complessa ed è ben riassunta nella scheda compilata da Mina Gregori nel catalogo della mostra Caravaggio ed il suo tempo tenutasi nel 1985 a Napoli ed a New York(c), a partire da una antica attribuzione a Mattia Preti che il direttore del museo di Rouen riteneva fosse la più plausibile al momento dell’acquisto del quadro, in precedenza proprietà di un collezionista francese ed ancor prima in vendita presso l’Hotel des Ventes di Parigi(d).
In seguito decisiva fu la decisione di Longhi di pubblicare il quadro di Rouen come originale(e), parere che negli anni successivi ha ottenuto consensi, ma anche dissensi, per i quali un eccellente riepilogo è stato fatto da Cinotti e da Salerno(f).
Come per molti dipinti del Merisi manca una documentazione antica sicura, per cui è difficile avere un’unanimità di consensi.
Un Cristo alla colonna del Caravaggio è segnalato da antichi cronisti nella collezione Borghese(g), nella villa di Porta Pinciana(h) e nel palazzo in Campo Marzio, ma non vi è alcuna prova che si tratti del quadro oggi ritenuto l’originale. Infine il Moir(i), sulla base di una notizia riferita dal Baldinucci(j) ha ricordato che una copia del Cristo alla colonna di Caravaggio fu copiata alla perfezione da Angelo Caroselli che ne siglò l’esemplare.
Ritornando al dipinto da me rintracciato voglio precisare che le dimensioni sono le stesse del quadro di Rouen(134 – 175) e nelle more di ulteriori accertamenti sulla tela, che potrebbero riservare piacevoli sorprese, ho consultato alcuni studiosi per avere un loro parere. Spike ha parlato di copia discreta, mentre Marini ha giudicato l’opera”molto fascinosa e probabilmente eseguita da Louis Finson, uno di primi interpreti, con Carlo Sellitto, del verbo caravaggesco a Napoli, del quale peraltro sono note altre copie, anche queste molto riuscite delle opere napoletane del maestro, come la Maddalena di Paliano o il Sacrificio di Isacco”.
Bibliografia
a- Longhi Roberto – Mostra del Caravaggio e dei caravaggeschi, catalogo della mostra, pag. 28 e seg. - Milano 1951
b- Marini Maurizio – Io Michelangelo da Caravaggio, pag. 223, nota 65 E3 – Roma 1974
c- Gregori Mina –Caravaggio e il suo tempo, catalogo della mostra, pag 319, 320- Napoli 1985
d- Rosenberg Pierre – Tableaux francais du XVI siecle et italiens des XVI e XVIII siecles – Paris 1966
e- Longhi Roberto – Un originale del Caravaggio a Rouen e il problema delle copie caravaggesche, in Paragone n.121, pag 23 e seg. – 1960
f- Salerno Luigi – Caravaggio:a Reassessment, in Apollo CXIX, pag. 438 – 441
g- Venturi Lionello – Note sulla Galleria Borghese in L’Arte, XVIII, pag. 39 – 1909
h- Manilli Iacomo – Villa Borghese fuori di Porta Pinciana, pag. 64 – Roma 1650
i- Moir Alfred – The italian followers of Caravaggio, vol. I, pag. 54, nota 134 - Cambridge Mass. 1967
j- Baldinucci Filippo. - Notizie de’ professor del disegno da Cimabue in qua, 6 volumi, Firenze 1681 – 1728, edizione 1845 – 47, III, pag 745 – Firenze 1846
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