La grande mostra su Cranach in questi giorni alla Galleria Borghese, per la cui recensione si rimanda ad altro sito, ci permette di apprezzare un rinascimento nordico ben diverso da quello italiano, con cui siamo soliti confrontarci ed una differente idea dell’amore nei Paesi protestanti, alla quale si affianca una concezione puritana dell’erotismo.
Nelle terre riformate toccate dalla protesta di Lutero il sesso allo stesso modo perseguita le creature con le sue lusinghe e le induce in errore.
Il focoso monaco di Wittenberg, seguiva parzialmente la lezione paolina, ammettendo che la continenza era un dono, la castità virtù somma, ma non bisognava pretendere troppo, per cui attraverso il matrimonio era concesso di condividere i piaceri del corpo con una donna ed anche i ministri di Dio potevano placare i richiami della concupiscenza. Una visione particolare dell’inestricabile dilemma tra sesso, potere e piacere.
Cranach assume pienamente questi dettami nella rappresentazione della sensualità femminile, che resta fedele ad un ideale di bellezza elegante e decorativa.
Non viene attratto dal tema della vanitas che ebbe successo nella cultura nord europea alla pari della rappresentazione delle tre età della vita. La transitorietà della bellezza fu un tema ispirativo per gli artisti amanti del gusto del macabro e del tragico, in particolare nelle città di osservanza protestante, ma non ebbe alcuna presa sulla pennellata di Cranach, che ci racconta la lotta tra i sessi con immagini dove figurine femminili efebiche e serpentine, sempre sul punto di trasfigurare in una sinuosa linea grafica, tentano Adamo con la mela (fig. 1- 2 - 3), minacciano Oloferne (fig. 4) con la spada, sfidano Tarquinio con il pugnale. Le sue eroine sono Giuditta, Lucrezia (fig. 5 – 6 – 7 ), Venere (fig. 8).
Hanno tutte il corpo bianco, magro, i seni piccoli, testoline come corolle reclinate sul lungo collo. Sono nude, impudiche sotto veli trasparenti (fig. 9), che fanno trasparire, anzi risaltano la gioia di un corpo esposto nella sua totalità allo sguardo compiaciuto dell’osservatore.
Sono acconciate con splendidi quanto incredibili cappelli (fig. 10) di uno sfarzo spropositato, hanno spesso preziose collane e possiamo immaginarcele profumatissime. Intorno a loro un putto alato od un farfallone variopinto nelle vesti di un eros impertinente e complice dei loro sogni inconfessabili, con il quale queste adorabili Twiggy cinquecentesche intessono un estenuante duetto, che sembra anticipare le note di un’aria mozartiana.
Le loro invitanti fattezze sembrano sconcertarci con quei visini ammiccanti con occhi vagamente orientali, incorniciati da capelli rossi o biondi, quei corpi affusolati, evanescenti illeggiadriti da piccoli seni, che contrastano con il ventre leggermente prominente, mentre le mani ed i piedi sono sottili. Si espongono orgogliose al giudizio di Paride (fig. 11) o con i figlioletti al giudizio del proprio consorte (fig. 12), mentre un interminabile ciocca di capelli copre maliziosamente l’oscuro oggetto del desiderio.
Gli uomini raffigurati da Cranach sono cupi, barbosi, nodosi a volte obesi e ci danno l’impressione di essere poco lavati, come spesso capitava in quei tempi.
Vengono ripresi gioiosi in classiche iconografie quali la fontana della giovinezza o l’età dell’oro (fig. 13 – 14 - 15), mentre si divertono in innocenti trastulli con accattivanti fanciulle.
Raffigurati sempre nel pieno fulgore della loro bruttezza hanno però una solennità priva di ironia, che non sfocia mai nella caricatura ed in questo Cranach influenza l’espressionismo tedesco e la secessione viennese, soprattutto artisti come Grosz, Dix ed alcune corde di Schiele.
A volte combattono vigorosamente, mentre le donne placidamente attendono di offrirsi al vincitore (fig. 16 17 - 18) o appaiono nella loro devastante bruttezza, che lascia però indifferente il gentil sesso (fig. 19).
Il capolavoro assoluto del pittore è il Venere ed Adone (fig. 20), conservato a Roma nella Galleria Borghese, nel quale giunge ad un livello qualitativo mai più raggiunto. L’iconografia è tratta dal mondo pagano, una miniera inesauribile per gli artisti ansiosi di sovrapporre alla narrazione il motivo del nudo, che prima di Cranach nella pittura tedesca era stato affrontato soltanto dal Durer.
Nei primi anni del XVI secolo l’ideale di bellezza era legato ai principi di proporzione ed armonia, certamente infranti dall’artista, che ci offre una Venere anticonformista, dalle gambe lunghissime e slanciate e dal corpo impudicamente esposto, mentre un velo ai limiti della trasparenza e leziosamente tenuto dalla dea tra le mani accentua maggiormente lo splendido corpo, al quale fa da corona un elegante cappello, calzato con spavalderia.
Il seno, appena accennato e pur solenne, gotico, di vichinga altezzosità risplende nel biancore dell’incarnato porcellanato ed ammicca maliziosamente l’osservatore, incurante dello sguardo innocente dell’amorino, che ai suoi piedi le reca in dono un favo di dolcissimo miele.
Il pensiero della morte è il segno tangibile dello scorrere del tempo e della caducità della bellezza femminile; ogni seno rigoglioso è destinato ad avvizzire e a divenire polvere. I seguaci della reincarnazione possono, anzi debbono credere, che i seni più belli dopo la morte continueranno a vivere in un fiore dai colori smaglianti o in una farfalla dalle ali iridescenti e via via in forme sempre più delicate ed evanescenti, fino a giungere alla perfezione per l’eternità, definitivo archetipo della femminile bellezza. Per i cattolici lo spettacolo della resurrezione della carne sarà memorabile, perché le donne risusciteranno nude con i loro seni creati ex novo, pulsanti e desiderosi di nuova vita. Non potevano certo sparire dopo aver riempito di gioia e di inquietudine gli uomini ed infatti risorgono imperiosi e seducenti come mai lo furono.
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