giovedì 2 gennaio 2014

L’amore Saffico



Saffo è stata una poetessa greca vissuta tra il VII e il VI secolo A.C. di famiglia aristocratica, nacque a Mitilene, nell’isola di Lesbo, dove trascorse gran parte della sua vita. Da un suo componimento si desume che sia vissuta a lungo, non si conoscono le circostanze del suo decesso, che, secondo una leggenda avvenne precipitandosi in mare da un faro per un amore non corrisposto per un battelliere. Tale versione e’ accolta da Ovidio nelle Eroidi e da Giacomo Leopardi nel’Ultimo canto di Saffo.
Saffo era la direttrice e insegnante di un tiaso, sorta di collegio in cui fanciulle di famiglia nobile venivano educate. Secondo la tradizione, fra l’insegnante e le fanciulle nascevano rapporti di grande familiarità, anche sessuale. Probabilmente il fatto va inquadrato secondo il costume dell’epoca, come forma prodromica di un amore eterosessuale, cioè una fase di iniziazione per la futura vita matrimoniale. Saffo compose degli ipitalami, struggenti canti d’amore per le sue allieve destinate a nozze e questo ha lasciato supporre un innamoramento anche con componenti sessuali. In realtà è presumibile che Saffo, comunque affezionata alle sue allieve, li abbia scritti poiché le vedeva destinate ad un triste destino: lasciavano infatti l’isola dove si trovavano, dove erano accudite e felici, per andare nella casa dei loro mariti senza uscirne quasi mai; li sarebbero state in pratica rinchiuse a vita, come voleva la tradizione greca.
L’educazione delle giovani fanciulle dell’epoca era incentrata sui valori che la società aristocratica richiedeva a una donna: l’amore, la delicatezza, la grazia, la capacità di sedurre, il canto, l’eleganza raffinata dell’atteggiamento.
Nel quadro dell’eros omosessuale dell’epoca, diverso da quello delle epoche successive e dettato da un preciso contesto culturale, scrisse liriche che alludono a rapporti di tipo omosessuale con le sue giovani studentesse (dedicò a una di loro la poesia “A me pare uguale agli dei”). Non è affermabile né respingibile con sicurezza che i  rapporti cui la poetessa allude fossero reali e non semplicemente interpretazioni auto ricavate dal contesto.
Gli antichi furono concordi nell’ammirare la sua maestria. Solone, suo contemporaneo, dopo aver ascoltato in vecchiaia un carme della poetessa, disse che a quel punto desiderava due sole cose: impararlo a memoria e morire. Stradone, a distanza di secoli, la definì: “un essere meraviglioso”.
Il poeta Anacreonte, vissuto una generazione dopo Saffo (metà del VI secolo a.C.), accreditò la tesi che la poetessa nutrisse per le fanciulle che educava alla musica, alla danza e alla poesia un amore omosessuale: tale pratica non è incredibile né immorale peraltro in un contesto storico e sociale in cui vigevano una stretta separazione dei sessi e la visione della donna quasi unicamente come fattrice di figli e signora del governo domestico; inoltre, per gli antichi Greci l’erotismo – che si teneva strettamente lontano dalla pedofilia tutelando i bambini d’ambo i sessi che non avessero compiuto una certa età e da figure estranee – si faceva canale di trasmissione di formazione culturale e morale nel contesto di un gruppo ristretto, dedicato all’istruzione e alla educazione dei giovani, qual era il tiaso femminile. Inoltre, non necessariamente la donna Saffo doveva essere “innamorata” delle destinatarie delle liriche della poetessa Saffo che avevano quale “io lirico” il personaggio Saffo: esse potevano essere la riproposizione a fini educativi di una gamma di situazioni affettive, sentimentali, relazionali, erotiche.
Nel corso dei secoli scrittori e uomini di cultura, cui sfuggiva come peraltro in gran parte oggi la diversa natura dell’amore omosessuale nella cultura greca antica rispetto alle epoche successive, con il fine di non snaturare la grandezza poetica di Saffo con ipotesi scandalose ai loro occhi, intesero piuttosto che tale amore fosse solo affetto puro esasperato fino all’iperbole per fini poetici. Alla luce di un’evoluzione delle conoscenze in proposito, si indicano tali amori omosessuali vissuti nel contesto formativo come normale percorso educativo che le adolescenti intraprendevano quando facevano parte del tiaso (ricordiamo i nomi di alcune allieve di Saffo: Archianassa, Arignota, Attis, Dica, Eirana, Girinno, Megara, Tenesippa, e Mica). Il tiaso di Lesbo aveva come maestra proprio Saffo e alla luce di una formazione culturale completa (artistica, musicale e sociale) in Grecia era contemplata di norma anche l’iniziazione all’amore e al rapporto sessuale mediante il rapporto omosessuale. Il ruolo di Saffo in proposito, evinto dalle sue liriche, frainteso ed estrapolato dal contesto storico-culturale, ha dato origine ai termini “lesbico” e “saffico”, che designano l’omosessualità’ femminile.
La poetica di Saffo s’incentra sulla passione e sull’amore per vari personaggi e per tutti i generi. La parola “lesbico/a” deriva dal nome della sua isola natale, Lesbo, mentre il nome della poetessa ha dato origine alla parola “saffico”; tale termine non è stato applicato all’omosessualità femminile prima del XIX secolo. Le voci narranti di molte sue poesie parlano di infatuazioni e di amore (a volte ricambiato, a volte no) per vari personaggi femminili, ma le descrizioni di atti fisici tra donne sono poche e oggetto di dibattito.
Gli studiosi della biblioteca di Alessandria suddivisero l’opera della poetessa in otto o forse nove libri, organizzati secondo criteri metrici: il primo libro, ad esempio, comprendeva i carmi composti in strofe saffiche, ed era composto da circa 1320 versi.
Di questa produzione ci rimangono oggi pochi frammenti: l’unico componimento conservatosi integro dalla tradizione è il cosiddetto Inno ad Afrodite (fr. 1 V.), con cui si apriva il primo libro dell’edizione alessandrina della poetessa. In questo testo, composto secondo i criteri dell’inno cletico, Saffo si rivolge alla dea Afrodite chiedendole di esserle alleata riguardo a un amore non corrisposto.
Più di ogni altro poeta prima di lei, Saffo indaga sulle emozioni provate da una persona innamorata, in particolare nella focalizzazione femminile.
La sua poesia, nitida ed elegante, si espresse in diverse forme metriche tutte tipiche della lirica monodica, fra cui un nuovo modello di strofe, dette “saffiche”, composte di quattro versi ciascuna. Tale forma metrica fu ripresa da molti poeti, fino alla “metrica barbara” di Carducci. Una curiosità consiste nel fatto che la strofa non è chiamata saffica perché fu la poetessa di Lesbo ad inventarla; la nascita è da attribuire ad Alceo ma la denominazione deriva dal fatto che fu la poetessa ad utilizzarla maggiormente ispirando anche Catullo nel carme 51 (Ille mi par esse deo videtur).
Nell’inno ad Afrodite, forse una delle più belle e delicate liriche pervenuteci, Saffo esprime la pena e l’ansia per l’amore non sempre corrisposto e il penoso tormento che questo le dà.
In questa poesia la forza emotiva si coniuga con l’eleganza e la dolcezza delle espressioni che raggiungono l’acme nella sesta strofa in cui la parola della dea diventa impegno, conciso e perentorio.
Ippolito Pindemonte, nella sua mirabile traduzione, è riuscito a cogliere e a rappresentare lo stato d’animo che la poetessa ha trasfuso nell’ode, mantenendo al contempo la potenza della passione e la soavità del tono poetico.
“Afrodite eterna in
variopinto soglio,
Di Zeus figlia, artefice
D’inganni,
O Augusta, il cor deh tu
Mi serba spoglio,
Di noie e affanni.
E traggi or quà, se mai
Pietosa un giorno,
Tutto a’ miei prieghi il
Favor tuo donato,
Dal paterno venisti
Almo soggiorno,
Al cocchio aurato
Giuguendo il gioco. I
Passer lievi, belli
Te guidavano intorno al
Fosco suolo
Battendo i vanni
Spesseggianti, snelli
Tra l’aria e il polo,
Ma giunser ratti: tu di
Riso ornata
Poi la faccia immortal,
qual soffra assalto
Di guai mi chiedi, e
Perché te, beata,
Chiami io dall’alto.
Qual cosa io voglio più
Che fatta sia
Al forsennato mio core,
qual caggia
Novello amor ne’ miei
Lacci: chi, o mia
Saffo, ti oltraggia?
S’ei fugge, ben ti
seguirà tra poco,
Doni farà, s’egli or
ricusa i tuoi,
E s’ei non t’ama, il
Vedrai tosto in foco,
Se ancor nol vuoi
Vienne pur ora, e
Sciogli a me la vita
D’ogni aspra cura, e
Quanto io ti domando
Che a me compiuto sia
Compi, e m’aita
Meco pugnando.”
Saffo è il titolo di un’opera seria scritta dal compositore bavarese Johann Simon Mayr e rappresentata al Teatro La Fenice nel 1794.
Roberto Secchioni ha scritto e cantato Il cielo capovolto (Ultimo canto di Saffo) tratto dall’album Il cielo capovolto del 1995.
Angelo Branduardi ha scritto il brano La raccolta, tratto dall’album Cogli la prima mela del 1979 e ispirata da un componimento della poetessa.







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