lunedì 27 gennaio 2014

Amore e morte


L’ammore è comme fosse nu malanno ca,
all’intrasatta, schioppadint’ ‘o core
senza n’avvertimento, senza affanno,
e te pòffàmurì senza dolore.

Cominciamo questo capitolo con i versi immortali di una poesia di Totò (al secolo Antonio De Curtis), che, noto per la sua ‘A Livella, ha scritto numerosi versi ispirati al nobile sentimento.
Spesso gli amanti, nel culmine della passione, adoperano frasi ad effetto: “Ti amo da morire”, “Se mi lasci mi ammazzo”, ma, sempre più spesso, anche “Se mi lasci ti ammazzo”. Infatti, una delusione amorosa, un abbandono, possono farci divenire santi ma, con sempre maggiore frequenza, anche assassini.
Sono sempre di più gli uomini, di ogni cultura e latitudine, che non tollerano che la persona amata possa amare ed essere amata da altri.
Da qui nasce la piaga esponenziale di cui vogliamo parlare, analizzandone motivazioni ed origini.
Per millenni gli uomini, sulla base di una concezione patriarcale e maschilista della società, hanno educato le donne a ricoprire nella famiglia un ruolo subordinato sottoponendole ai voleri ed agli ordini degli uomini, costringendole a pagare un pesante tributo di violenza e di sangue ad ogni, pur larvato, tentativo d’insubordinazione.
Ancora oggi, in gran parte del mondo, soprattutto nelle società dominate da princìpi religiosi, ha dominato un modello maschilista e questo non solo nei paesi islamici, dove il Corano esplicitamente prevede sanzioni e comportamenti che le donne devono pedissequamente rispettare, ma anche nel mondo cattolico, dove la figura di Dio addossa interamente la concupiscenza, considerata peccato mortale, alla responsabilità femminile, a tal punto che più di una volta, preti ultramoralisti, oltre ad omelie infuocate dal pulpito contro gonne troppo corte e seni in libera uscita, hanno distribuito volantini nei quali giustificavano le violenze ai danni delle donna come giusta reazione ai loro comportamenti provocatori e spudorati.
Chi legittima i rapporti di possesso dell’uomo sulla donna? Il Vaticano, ancora nel 1988, si esprimeva senza remore sulla “dignità e la vocazione della donna”, facendo esplicito riferimento ad essa unicamente come “moglie e madre ubbidiente, succube dell’uomo per fondamentale retaggio dell’umanità”. Ovvero, come fatto voluto da Dio, che, dunque, non gradisce una donna autonoma ed indipendente, impegnata in un’attività lavorativa qualsiasi, magari di natura dirigenziale. La Riforma protestante, per parte sua, liberò le suore dai loro voti controllando, tuttavia, che esse divenissero brave “donnette” di casa, docili e mute. Lutero in persona definì l’uomo “superiore e migliore” e la donna “un mezzo bambino, un animale pazzo”.
Anche questo monaco, in verità, parlò con l’animo ed il lessico più tipico del proprio sesso predicando come “massimo onore della donna mettere al mondo figli maschi”. Ma anche Papa Giovanni Paolo II, nel 1996, si è richiamato all’apostolo Paolo utilizzando una tra le innumerevoli frasi più misogine del celebre santo dispregiatore della femminilità: “La donna impari in silenzio, con sottomissione. Non sia permesso ad essa d’insegnare, né di usare autorità sul marito, perché Adamo fu formato per primo, poi venne Eva; perché Adamo non venne sedotto, bensì fu la donna, la quale cadde in tentazione. Nondimeno, essa sarà salvata partorendo figlioli e perseverando nella fede, nell’amore e nella santificazione con modestia”. Così parlò San Paolo: che le donne sappiano, una volta e per sempre, cosa debbono o non debbono fare. La misoginia clericale dimostra, insomma, come la volontà della Chiesa non senta minimamente bisogno di trasformarsi: i suoi capisaldi rimangono univoci, la definizione dei ruoli sociali immutabili, stabiliti nel tempo. Ma quel che storicamente appare più grave è il fatto che, quando la predicazione clericale inizia a non dare più frutti, ecco che si comincia a far ricorso al “femminicidio”.
Innumerevoli sono state, nella Storia, le donne denunciate come “streghe” che, in base a tale accusa, dovettero morire, perché così vollero gli annunciatori della “Lieta Novella”. Fintantochè questa Chiesa avrà potere sugli animi e non rianalizzerà le proprie colpe millenarie, gli uomini la faranno sempre “pagare” alle donne, mantenendole in una condizione di subalternità. Di quale e quanta morale dispone, dunque, la Chiesa cattolica? Il “Maglio delle streghe”, pubblicato nel 1487, ebbe la benedizione di un Papa. Esso venne divulgato in tutto il mondo come autorevole documento della Chiesa e, in tutte le sue edizioni (una trentina), vi è perennemente rimasta inclusa una “bolla” che incitava espressamente all’uccisione delle donne. Contro di essa, per più di 200 anni, non vi fu uno “straccio” di pontefice disposto a spendere una parola in senso contrario. Ecco, dunque, con quale pretesto giuridico le donne vennero sottoposte a penosi interrogatori o furono oggetto di invereconde investigazioni da parte dei religiosi. Essi estorsero confessioni utilizzando la tortura, unitamente ad altre innumerevoli sconcezze. L’Occidente cristiano si è concesso migliaia di carnefici che mai si sono stancati di esaminare sul corpo e sulla pelle delle donne la loro appartenenza a Satana. Le donne, in ultima analisi, come anche dichiarato nel protocollo di un processo del XIV secolo, “non possono che lasciarsi conciliare con la Chiesa, senza tuttavia impedire di essere consegnate al potere temporale, che provvederà alle pene richieste”. Il Concilio di Trento (1545-1563) fruttò nuovi importanti dogmi per reagire allo scisma luterano, senza spendere nemmeno una parola sullo sterminio degli eretici, degli ebrei e delle donne. La qual cosa ha sempre dato luogo a legittimi interrogativi circa le effettive origini del nazismo, fondato da un cattolico austriaco di nome Adolf Hitler. I roghi, che da quel Concilio discesero, non hanno mai destato, più di tanto, l’interesse degli storici, soprattutto in Italia. Eppure quella strage, protratta nei secoli, non ha riguardato solamente alcuni casi isolati di “peccatrici”: fu una vera e propria dottrina papale. Si pose fine alle uccisioni solo dopo che s’imposero voci provenienti dall’esterno della Chiesa, che si è sempre giustificata attribuendo le proprie “malefatte” alla volontà di Dio.
Il sommo teologo Alberto Magno definiva le donne “esseri difettosi”, mentre San Tommaso d’Aquino, dottore supremo, sulle cui disquisizioni si basa gran parte dell’edificio culturale della Chiesa, oltre a corbellerie del tipo che l’anima entra nel corpo dell’uomo a 40 giorni dalla fecondazione e nella donna dopo 90, definiva l’altra metà del cielo come “degli uomini mal riusciti, delle persone cui manca qualcosa per realizzare la più autentica natura umana”.
La tradizione cattolica ritiene che le donne devono aspirare a presentarsi come verginali fidanzate del Signore, come consorti fedeli e madri di molti bambini. La conseguenza non può essere che una società esposta al dominio del maschilismo più retrivo. Viviamo in una società, giustamente definita “liquida”, rissosa e priva di guida, condannata a seguire gli errori e gli orrori della storia, in preda all’aridità morale ed alle più ataviche delle pulsioni. 
Non vi è più speranza nel futuro: cadute le ideologie, siamo divenuti un popolo di morti che camminano.

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