venerdì 10 gennaio 2014

Da Caravaggio in camicia nera a Civiltà dell’Ottocento

Caravaggio: Sette opere di misericordia  (Napoli)

A differenza di tante altre cariche apicali dai prefetti ai questori, dai ministri agli imprenditori, la Sovrintendenza alle belle arti di Napoli negli ultimi 70 anni ha costituito un’isola felice abitata da insoliti titani. Prima Bruno Molajoli gestì i difficili anni del dopo guerra salvando il patrimonio artistico dalla furia dei bombardamenti, trasferendolo al sicuro e, cessate le ostilità, riaprendo a tempo di record tutte le gallerie, dalla Nazionale ai Gerolamini, dalla Floridiana a San Martino; quando le truppe di occupazione alleate ... strappavano senza ritegno le sete dei saloni di Palazzo Reale e regalavano antiche poltrone alle sciagurate signorine dei vicoli off limit dei quartieri spagnoli, in cambio del soddisfacimento delle loro più turpi pulsioni sessuali. Poi venne il ciclone Raffaello Causa, l’ideatore di mostre che hanno sbalordito il mondo, da Civiltà del Settecento a La pittura da Caravaggio a Luca Giordano, tappe incalzanti di un trionfo clamoroso dell'arte napoletana. E scomparso prematuramente Causa, il testimone è stato degnamente ereditato da Nicola Spinosa, che ha continuato, incrementandola, l'opera meritoria del predecessore.
Senza dimenticare la luminosa figura di Ferdinando Bologna, che dopo sessanta anni di indefessa attività, durante la quale ha investigato ogni angolo della pittura napoletana dalle origini, ha recentemente organizzato una esaustiva mostra su Antonello da Messina.
Con Raffaello Causa in accesa quanto rispettosa competizione, percorse le tappe del cursus honorurn. Furono per trenta e più anni i numi tutelari degli studi, sulle arti figurative meridionali, felice connubio tra amministrazione dello Stato ed università, a tal punto da essere definiti,  giustamente, i due Dioscuri. Vi furono poi per entrambi l'incontro con il gran maestro. Il Longhi, che da Firenze pontificava sull'arte europea ed aveva aperto quella leggendaria palestra intellettuale costituita dalla rivista Paragone, della cui redazione faranno parte  assieme alla crema della intellighenzia italiana: Arcangeli, Bologna, Briganti, Gregori, Toesca, Volpe e Zeri.
Nel cenacolo, dominato dalla figura incontrastata del sovrano, si parlava un linguaggio forbito, una vera e propria lingua con desinenze particolari. A parte il lessico del Longhi, inimitabile, si oscillava dal periodare del Briganti, che in età matura sarà la stella di un grande quotidiano italiano, alla costruzione della frase sontuosa e neo proustiana di Arcangeli.
La pittura napoletana ha potuto godere di intonati cantori, che ne hanno permesso una conoscenza da parte di un pubblico internazionale, attraverso una serie ininterrotta di mostre di inusitato spessore culturale, partite da Napoli per approdare nei più celebri musei del mondo.
Sotto  il regno di Causa si partì con Civiltà del settecento, seguita dalla memorabile mostra sul Secolo d’oro, mettendo così in moto un circuito virtuoso che non accenna a fermarsi e che fa di Napoli una indiscussa capitale delle arti figurative.


Parata militare per la mostra sui tre secoli della pittura a Napoli



il re Vittorio Emanuele in visita alla mostra

Tutto cominciò nel 1938 con la mostra della Pittura Napoletana del 600-700-800, tenutasi nelle austere sale del Maschio Angioino e fortemente voluta da Mussolini.
La mostra di Napoli nacque dall’idea del geniale e ambiguo Ugo Ojetti, Accademico dell' Italia fascista e animatore culturale, che capì come dalla mostra di Firenze sul Seicento e Settecento in Italia (1922) potesse nascere una rassegna sui secoli dell'arte migliore di Napoli. Tale visione è all' origine di tutte le ricostruzioni successive, che hanno posto i «Tre secoli» al centro della storia delle arti a Napoli con esiti controversi: da un lato il lungo oblio di quasi tutto ciò che in città risale a prima del Seicento, e anche di quanto continuò a prodursi dopo l'Ottocento fino al 1938. Dall'altro lato l'aporia - tipica del fascismo - tra la retorica vuota e l'organizzazione, ben più efficiente di quella di oggi; lo iato tra il mix ideologico che alimentava la politica culturale del regime e il peso dei contributi in catalogo, con cui generazioni di studiosi si sarebbero misurate nei decenni successivi.
Il catalogo della mostra, mai ristampato, costituisce un libro cult, una chicca antiquariale che non può mancare dalla biblioteca dei napoletanisti e che ricordo, dopo lunghe ricerche, riuscii ad acquistare per un milione.
I tre curatori: Sergio Ortolani, Costanza Lorenzetti e Michele Biancalana stilarono dei saggi sui quali si sono confrontate generazioni di studiosi ed intellettuali, generando l'immagine attuale della pittura del Seicento. Immagine perpetuata in  mostre, libri, saggi infittitisi dal dopoguerra ad oggi in un sedimento di filologia, acquisizioni, ma anche ritorni indietro dei lavori di studiosi giovani e di lungo corso.
La mostra di Napoli fu un unicum per la Città ma non per la vita italiana del tempo. La sola mostra su Augusto Imperatore (Roma, 1937) fa capire come il Fascismo producesse eventi fondati sulla retorica e la demagogia ma affidati a studiosi, curatori, tecnici di primo piano, in grado di produrre ricerche di grande portata scientifica. Piaccia o no, in molti ambiti - compresa la storia dell'arte - dopo l'ultima guerra si ricominciò da dove il Fascismo era stato interrotto. Ed è triste prendere atto come gli eventi culturali abbiano fatto passi indietro nella considerazione sociale dell’Italia dei nostri giorni, che vergognosamente annovera ministri i quali perentoriamente affermano che “con la cultura non si mangia”.

Caravaggio: Flagellazione (Napoli)

Bruno Molajoli

Causa con Pertini

Ferdinando Bologna

Ugo Ojetti

5 commenti:

  1. Pensare che invece ci si potrebbe anche mangiare con la cultura, se non avessero fatto regredire l'Italia a un posticino da cenerentola.
    Cristiana



    L’Italia, si legge nel rapporto, possiede il più ampio patrimonio culturale a livello mondiale con oltre 3.400 musei, circa 2.100 aree e parchi archeologici e 43 (ora 47) siti Unesco. Nonostante questo dato di assoluto primato a livello mondiale, il RAC, un indice che analizza il ritorno economico degli asset culturali sui siti Unesco, mostra come gli Stati Uniti, con la metà dei siti rispetto all’Italia, hanno un ritorno commerciale pari a 16 volte quello italiano. Il ritorno degli asset culturali della Francia e del Regno unito è tra 4 e 7 volte quello italiano. Le stime di PwC indicano che l’economia turistica ed il settore culturale e creativo contribuiscono al PIL dei principali Paesi europei in media per il 14%. L’Italia con il 13%, circa 203 miliardi di Euro, è ben lontana dal 21% della Spagna (pari a 225 miliardi di Euro) ed è ultima per valore assoluto di PIL. I ricavi complessivi da bookshop per i musei statali italiani sono pari al 38% del solo Metropolitan Museum, di dimensioni simili al solo Louvre (poco più di 20 milioni di euro annui).

    continua su: http://www.fanpage.it/l-italia-e-un-paese-che-punta-su-turismo-e-cultura-dai-dati-non-sembrerebbe/#ixzz2q0yAyIm4
    http://www.fanpage.it

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  2. I commenti di tutti sono sempre i benvenuti!
    Soprattutto quando sono interessanti come quelli di Cristiana.

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    1. Ciro, sei l'ingegnere che ha finito le vacanze?
      Cristiana

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    2. Certo... faccio quanto possibile per rendere attivo il blog :)
      a tal proposito un saluto a tutti i navigatori, ed un invito a commentare e/o condividere i post più interessanti.

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