mercoledì 22 gennaio 2014

Il più longevo dei Dioscuri

Ferdinando Bologna


Ferdinando Bologna, nato a l’Aquila nel 1925 più grandi storici dell’arte italiani viventi.
Allievo di Pietro Toesca e collaboratore di Roberto Longhi, è professore emerito di storia dell’arte medievale e moderna presso l’Università’ degli Studi di Roma “Tor Vergata”, e insegna “Metodologia e storia della critica” presso l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli.
Si è laureato in lettere e filosofia presso l’Università “La Sapienza” nel 1947, discutendo una tesi in Storia dell’Arte medievale e moderna con Pietro Toesca. Nel 1948 ha vinto la borsa di studio “Max Ascoli” presso l’Istituto Italiano di Studi Storici fondato l’anno precedente da Benedetto Croce a Napoli, dove ha seguito i corsi di Benedetto Croce, Federico Chabod e Giovanni Pugliese Caratelli. Nel 1951 si è diplomato in “Art flamand: histoire e technique” presso il Brussel Art Seminar di Bruxelles, dove ha lavorato inoltre con Paul Coremans al Musee du Cinquantenaire. 
Dal 1950 al 1958 è stato direttore della Pinacoteca nazionale di Napoli, curandone il trasferimento presso la sede del Palazzo Reale di Capodimonte e il riordinamento scientifico e museografico (1953-1956).
Dal 1955 ha insegnato storia dell’arte medievale e moderna e dal 1958 è stato professore di ruolo presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli e quindi di Roma. Nel 1965 è divenuto professore ordinario di storia dell’arte medievale presso la facoltà di Magistero dell’Università di Messina, passando quindi nel 1967 all’Università di Napoli e nel 1984 all’Università di “Tor Vergara” a Roma.
Con Raffaello Causa in accesa quanto rispettosa competizione, percorse le tappe del cursus honorum. Furono per trenta e più anni i numi tutelari degli studi, sulle arti figurative meridionali, felice connubio tra amministrazione dello Stato ed università, a tal punto da essere definiti, giustamente, i due Dioscuri. Vi furono poi per entrambi l’incontro con il gran maestro. Il Longhi, che da Firenze pontificava sull’arte europea ed aveva aperto quella leggendaria palestra intellettuale costituita dalla rivista Paragone, della cui redazione faranno parte assieme alla crema della intellighenzia italiana: Arcangeli, Bologna, Briganti, Gregari, Toesca, Volpe e Zeri.
Nel cenacolo, dominato dalla figura incontrastata del sovrano, si parlava un linguaggio forbito, una vera e propria lingua con desinenze particolari. A parte il lessico del Longhi, inimitabile, si oscillava dal periodare del Briganti, che in età matura sarà la stella di un grande quotidiano italiano, alla costruzione della frase sontuosa e neo proustiana di Arcangeli.
Dopo 60 anni di indefessa attività, durante la quale ha investigato ogni angolo della pittura napoletana dalle origini, ha recentemente organizzato una esaustiva mostra su Antonello da Messina dimostrando un grande esempio di energia, di polemica e anche di faziosità a tratti spettacolare ma sempre foriera di dibattito nella storia dell’arte degli ultimi sessant’anni, Strepitosa, ad esempio, è la tesi che qualunque forma di divergenza dalle tesi del grande storico dell’arte Roberto Longhi, catalogata come “revisionismo anti-longhiano”, coincida “quasi sempre con opzioni, o derive, antistoriche”.

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