domenica 5 gennaio 2014

Amore ed omosessualità





Un argomento delicato e considerato oggi politicamente corretto, ma se partiamo da una visione biologica della questione e riteniamo che l’etica debba trovare il suo fondamento e la sua giustificazione sulle leggi naturali, non possiamo esimerci da un giudizio di condanna del fenomeno, in aumento in tutto il mondo occidentale, in preda ad un epicedio di valori e comportamenti, pronto ad accettare e regolamentare la nuova morale sessuale.
Solo la nostra specie conosce l’omosessualità: alcuni primati, come le scimmie, la praticano solo in condizioni eccezionali ed in cattività, quando in un ambiente ristretto aumentano significativamente i componenti; come se la natura, nella sua infinita sapienza, abbia previsto, in caso di sovraffollamento, un meccanismo compensativo che metta “fuori gioco” alcuni membri del gruppo, per il tempo sufficiente a che si ristabilisca l’equilibrio demografico.
Nella cultura greco-romana l’omosessualità era pratica accettata, anche se, spesso, era una forma occasionale e transitoria di curiosità sessuale. Il lesbismo è il termine con il quale si definisce comunemente l’omosessualità femminile.
Gli slogan del nuovo millennio pongono davanti all’alternativa tra libertà ed imposizione di una logica politicamente corretta e la conseguente rivoluzione antropologicamente sta investendo e plasmando l’intero Occidente e costituisce probabilmente la più grande sfida globale di questo nuovo secolo, dopo che, in passato, si è dovuto affrontare la sfida globale dell’antropologia marxiana e nazionalsocialista.
Il Parlamento si appresta a varare una legge molto severa sull’omofobia, al limite della violazione della libertà di pensiero e di opinione. Raffigura una forma di criminalizzazione di approcci alla realtà che non passano attraverso la censura del pensiero unico.
Di recente una sentenza dell’Alta Corte di Giustizia Europea ha stabilito che alle coppie gay vanno applicati i benefici di legge, anche se appartenenti a Paesi che non riconoscono i matrimoni tra persone dello stesso sesso.
Accadrà anche nei Paesi europei che ancora non riconoscono legalmente le unioni gay, anzi questa sentenza C-267/12 sembra tagliata su misura proprio per loro. Almeno in via di principio. Dice infatti la Corte di Giustizia Ue: uomini che si sposano o convivono legalmente con uomini, e donne che si sposano o convivono legalmente con donne, hanno il diritto alla licenza matrimoniale quando si stipula la loro unione, ed altri benefici offerti dal datore di lavoro; né più né meno come avviene per le coppie eterosessuali. Se così non fosse, rileva il supremo organismo che dirime dubbi e contrasti vegliando sulle norme fondamentali comuni a tutti i 28 Stati, allora vi sarebbe una discriminazione. Uno squilibrio di diritti umani e sociali basato sulle scelte sessuali dei cittadini. In altre parole: la norma europea – in questo caso l’uguaglianza dei benefici per tutti – prevale sulle leggi nazionali. E’ l’enunciazione di un principio, naturalmente, perché la Corte non usa certo i carri armati per imporre le proprie sentenze: ma quel principio viene considerato assai importante, da molti giuristi europei, come “apripista” di futuri sviluppi normativi.
Anche perché, per esempio, proprio in questi giorni la Croazia, nazione “neo-europea”, ha messo in pista una legge che dovrebbe accordare alle coppie gay più diritti civili (ma non più il diritto al matrimonio, bocciato da un referendum popolare). Mentre, dall’altra parte del mondo, la Corte Federale australiana ha bloccato con un deciso “no” le stesse nozze gay. E più o meno lo stesso è capitato in India, dove è in atto uno scontro fra la Corte Suprema (contraria alla legalizzazione) ed il governo (favorevole).
Il caso da cui ora tutto è nato nella Ue ha origine in Francia, nazione che ha legalizzato il matrimonio fra persone dello stesso sesso solo dal 17 maggio 2013. In Francia, appunto, in una banca che si chiama Crédit agricole mutuel 2, lavorava il signor Fréderic Hay. La banca ha un contratto collettivo che offre un premio economico ed alcuni giorni di licenza ai suoi impiegati, quando si sposano. E anche Hay, un giorno, si è sposato: o meglio, ha concluso un Pacs (patto civile di solidarietà, unione di fatto) con un altro uomo. Ma per lui, niente licenza matrimoniale e niente premio economico: il contratto collettivo, secondo i suoi dirigenti, riguardava solo i matrimoni eterosessuali. Hay si è rivolto ai giudici, fino alla Corte di Cassazione francese. E quest’ultima, davanti al dubbio interpretativo, ha chiesto alla Corte di Giustizia Ue se il diverso trattamento fra coppie, quelle licenze matrimoniali concesse o negate, violassero il diritto dell’Unione che proibisce la discriminazione basata sull’orientamento sessuale. La risposta è stata “sì”, e così l’Europa ha avuto il parere giuridico che cercava. Altri pareri, e ben più vecchi, arrivano invece dalla Russia: nel suo discorso sullo Stato dell’Unione, il presidente Vladimir Putin ha difeso la legge contro la propaganda pro-gay e definito la stessa Russia una trincea “contro la cosiddetta tolleranza, sterile e senza identificazione sessuale”.
Fuori dall’Europa, l’Australia boccia le nozze gay. Infatti in quel paese non passa la legalizzazione delle nozze omosessuali perché l’Alta Corte di Canberra ha annullato la prima legge del Paese che riconosceva i matrimoni dello stesso sesso. Restano così in mezzo al guado ventisette coppie gay e lesbiche che si erano scambiate l’anello poco tempo fa, con una cerimonia pubblica seguita con enfasi dai media, dopo l’entrata in vigore della legge sulla cosiddetta “uguaglianza dei matrimoni” approvata in ottobre dall’Assemblea legislativa del piccolo Territorio della Capitale /Act). Le loro nozze, a questo punto, non sono infatti valide. La Corte ha accolto all’unanimità il ricorso del governo nazionale, conservatore, secondo cui la legge è incostituzionale perché in contrasto con quella federale in base alla quale il matrimonio resta fra un uomo ed una donna ed ha respinto la tesi dell’Act secondo cui la normativa locale si sarebbe limitata a definire un “tipo differente di matrimonio”.
Nel frattempo, i gay africani perseguitati chiedono asilo da noi. Lo scorso 7 novembre la Corte di Giustizia Europea ha sentenziato che gli omosessuali perseguitati in patria hanno diritto d’asilo in tutta l’Unione. I tre gay, che avevano portato il loro caso fino in Lussemburgo, sono rimasti anonimi: X, Y e Z. Si conoscono invece i tre Paesi da cui erano in fuga: Sierra Leone, Senegal ed Uganda, dove la pena per “gli atti contro natura” è rispettivamente l’ergastolo, cinque anni di carcere e di nuovo l’ergastolo. Non si tratta di casi isolati. L’Africa è la nuova frontiera dello sviluppo economico: la World Bank ne stima la crescita al 4,9 per cento quest’anno ed al 5,5 per cento nel 2015, mentre gli analisti di McKinsey già da un paio d’anni preconizzano l’era dei leoni subsahariani dopo quella delle tigri asiatiche. Ma alle immani contraddizioni del continente, si aggiunge ora la crescente omofobia, che fa sì che in 38 Stati su 54 essere gay sia reato, con un crescendo di pene che in Mauritania, Sudan, Somalia e parte della Nigeria, porta i partner dello stesso sesso a rischiare la pena di morte.
«Nell’Africa postcoloniale ci sono sempre state leggi antiomosessuali», spiega Eric Gitari, attivista kenyota co-autore del rapporto State-sponsored Homofobia pubblicato dall’International Lesbian Gay Association. «Se queste leggi vengono ora messe in pratica è perché il movimento gay è più visibile ed offre un perfetto capro espiatorio ai fallimenti dei governi».
La prima Costituzione al mondo che protesse il diverso orientamento sessuale venne emanata nel 1996 da Nelson Mandela che la presentò al Parlamento con una semplice frase: “I’m an african”.
Cinema e letteratura si sono interessati costantemente alla tematica ed un certo scalpore ha suscitato l’ultimo romanzo di Margaret Mazzantini, Splendore, che racconta in chiave universale la storia impossibile tra due gay.
La vera sfida intellettuale è, casomai, nel tentativo di identificarsi in psicologie totalmente opposte, per comporre monologhi di umanità, amore, rapporti d’interdipendenza che vengono visti dall’interno. E’ questo lavoro esplorativo, mimetico, il filo rosso dei tanti romanzi di chi ha saputo fare sue le personalità di vagabondi, mariti fedifraghi, sorelle ossessive, ed è una voglia ed una capacità d’immedesimazione che oggi, in Splendore trova un esempio davvero riuscito. Non tanto, o non solo, per come l’autrice sa calarsi all’interno del cuore e della testa di un omosessuale che ci racconta quarant’anni di una storia di passione; non è questo a rendere il suo protagonista, Guido, una mente “altra” da esplorare. Il punto è diverso: il punto è che Guido è un uomo finito. Ed è in quest’ottica straziante, questo sguardo all’indietro sui giochi già fatti, che non è dell’autrice ma che l’autrice fa suo, ciò che regala al nuovo libro la sua forza espressiva.
Perché, certo, Splendore è un romanzo d’amore. Ed è anche un romanzo sull’omosessualità, ovviamente, motivo di gioia e di dolore dei personaggi principali. E, tuttavia, leggendo bene, non si può neanche fare a meno di pensare che qui si parli, in fondo, d’altro, e si affronti un problema generale. I rimpianti, cioè; e la domanda dolorosa: perché la vita non coincide con quello che siamo e che vogliamo davvero? In fondo Guido e Costantino, chi sono lo sanno fin da subito: il primo, rampollo trascurato di una famiglia alto-borghese; il secondo, figlio del portiere, ragazzo sensibile e massiccio, dell’ultima Roma proletaria. Sanno di essere due anime sole. Sanno di essere innamorati. Sanno che non riusciranno mai a dirsi sì ed a stare insieme totalmente, davvero. Dagli anni Settanta ai giorni nostri, dai banchi di scuola ai matrimoni che contraggono o per rifiuto o per inerzia, il sentimento che li unisce è profondo e, soprattutto, inaccettabile.
Inaccettabile per l’epoca e la società italiana: da adulti, costretti ad incontri clandestini, non riusciranno a non guardare con invidia i ragazzi stranieri che si baciano in pubblico. Ma soprattutto è inaccettabile perché è un sentimento così puro che non si adatta mai ai doveri, ai cliché ed alle convenzioni che appesantiscono ogni età: non al machismo del liceo, non alla rispettabilità dell’età adulta, ai figli, alla malinconia; né alle paure della vecchiaia, quando tutto ciò che cerca l’uomo è la serenità dell’assoluzione.
Così un amore omosessuale, che è sempre vivo ed rifiutato, forse è soltanto un rimpianto fra tanti, una di quelle passioni di cui non abbiamo il coraggio di farci carico. E, nel suo essere racconto di una vita intera, Splendore dà alla Mazzantini anche lo spunto per uno stile di scrittura nuovo perché è un romanzo che procede come potrebbe farlo un bilancio che viene scritto in tarda età: anni che vanno avanti rapidi, come una frana, con le loro perdite, con le mode e con gli eventi storici sullo sfondo che nascono e muoiono in un attimo. E poi, all’improvviso, le pause: il tempo che si dilata per lasciar spazio ai momenti significativi, di splendore, che restano. Gli attimi in cui, per poco, l’uomo ha il coraggio di essere autenticamente se stesso, prima che arrivi un nuovo crollo.






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