martedì 14 gennaio 2014

C’era una volta Edenlandia




C’era una volta Edenlandia, l’eden per i bambini, con il Drago, una passione per piccoli ed adolescenti con il fiocco da catturare al volo, le tante giostre che versano oggi in uno stato di totale abbandono, come tutte le attrazioni di quello che fu uno dei più belli tra i parchi dei divertimenti italiani. Tutto è lasciato all’incuria, dal vecchio west al tenebroso castello della strega, mentre tutte le saracinesche sono abbassate, solo il personale tiene a cuore, come può la manutenzione del parco, abitato dai fantasmi, pulendo le strade ed i giochi nella disperata attesa di un nuovo acquirente.
Ora è silenzio, sporco, degrado, cocci rotti e soffitti che iniziano a crollare; ieri era gioia, allegria, risate di bimbi, suoni di banda, profumo di dolciumi e frittura. L’Edenlandia non c’è più: dopo la lunga agonia s’è spenta come tutte le giostrine dei bimbi che scoloriscono al sole in un silenzio irreale.
Siamo entrati nel parco giochi che ha fatto sognare tre generazioni di napoletani, abbiamo percorso i viali, spiato le attrazioni, vissuto da vicino il degrado e l’abbandono delle strutture.
La rabbia potrebbe raccontare più delle immagini, è una sofferenza infinita che va via quando compaiono i ricordi.
In tutta la zona interna al parco, il tempo sembra essersi fermato: come entrare in una città fantasma. Una innaturale tristezza avvolge gli spazi che erano dei bimbi. L’eco dei passi rincorre l’intruso, proprio come in certi b-movie americani, solo che stavolta il filmaccio non è finzione: è realtà vera e orribile.
Ragnatele e ruggine stanno letteralmente invadendo le giostre storiche dell’Edenlandia: nel tentativo di salvarle, gli addetti provano a restituirle a nuova vita portandole “in trasferta” nella vicina Mostra d’Oltremare. E’ accaduto in occasione di mostre ed esibizioni, ma è una medicina temporanea che non sconfigge l’aggressione del degrado. Decine di mattonelle in ceramica che ricoprivano gli spazi centrali dei giardinetti, sono saltate, sotto la pressione della vegetazione che ormai cresce indisturbata.
I dipendenti che da trent’anni lavoravano all’interno del parco, e che sono cresciuti professionalmente in questo teatro di divertimento, tentano di fare il possibile per arrestare il declino delle strutture, ma i loro sforzi sembrano essere insufficienti. I vecchi stabili che ospitavano ristoranti e negozi di caramelle sono chiusi e abbandonati; sbirciando all’interno si vedono sporcizia e intonaco caduto dal soffitto e dalle mura. Scaffali vuoti, mensole accatastate l’una sull’altra, banconi deteriorati, vetri rotti: le attività commerciali, un tempo fiorenti, non esistono più.
Nelle settimane passate ladri e vandali hanno tentato incursioni: sono spariti pupazzi, sono state colpite le giostre. Del parco sembra essere rimasto solo lo scheletro a ricordare che qui, fino a sei mesi fa, c’erano bimbi emozionati e felici.
Un tempo l’odore dello zucchero filato, delle caramelle glassate e della “graffa dell’Edenlandia” invadevano il parco, oggi c’e’ solo odore d’erba bruciata e asfalto rovente. Da lontano arriva il rumore delle scope dei dipendenti che cercano, con rabbia e puntiglio, di mantenere pulita la piazza principale e le giostre, in attesa del prossimo acquirente. Un tuffo al cuore è la “vecchia America”: il percorso dell’antico west oggi è una via crucis di tristezza e abbandono.
Manichini scoloriti dal sole abitano un paesaggio degradato; gli stagni – al margine della rotaia centrale che direzionava le auto – sono invasi da foglie, alghe, zanzare. Le automobiline sono ferme all’ingresso e circondate da arnesi per riparazioni, che forse non riceveranno mai più.
Tutto ciò nel quadro di una vicenda locale che vede, nel caso di Bagnoli, la cartina di tornasole di un progetto di rilancio della città, naufragato e fallito. Bagnoli ha dimostrato il vero limite del periodo bassoliniano, con un’idea di città che ha saltato il tema della rigenerazione produttiva e culturale capace di invertire il declino. A Bagnoli, ex cuore industriale della città, si è puntato su un’idea da Arcadia, basata su boschi e laghetti, che dopo 20 anni non ha prodotto niente, se non degrado e inchieste giudiziarie. In una città normale si sarebbe preso atto che quel progetto è fallito, ma a Napoli no; il progetto beatificato, diviene una sorta di Bibbia e la colpa del suo fallimento viene addebitata a chi doveva realizzarlo ma non l’ha fatto. Peccato che erano gli stessi che avevano inventato il piano.
E’ drammatico vedere che i decisori politici, inseguendo politiche di corto respiro, non capiscono che c’e’ un filo che lega la crescita drammatica della disoccupazione, l’affermarsi sempre più prepotente della camorra e il contemporaneo crollo dei servizi pubblici e della qualità della vita, in una parola il declino della città con l’incapacità di mettere in campo un piano industriale per Napoli, che in pochi anni riporti aziende innovative in città e ricrei decine di migliaia di posti di lavoro. E questo può essere fatto solo riportando la questione napoletana (così come quella meridionale) all’attenzione del paese e per quanto ci riguarda si può iniziare solo ripartendo da Bagnoli e dai Campi Flegrei.
Ha ragione allora Montesano, come tutti gli artisti in grado di vedere più in là. Se Bagnoli è ferma, se la Biblioteca di Marotta viene abbandonata al suo destino, se la Napoli che va, quella capace di performance positive, viene oscurata dal negativo, allora forse non è un caso, ma il frutto di una scelta distruttiva.
E come tutti i drammi di questa sfortunata città cala un velo d’oblio.






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