mercoledì 22 gennaio 2014

L’arte del potere tra feste, farina e forca

Carnevale al Largo di Palazzo (Napoli, Museo di San Martino)
Panem et circenses recitavano gli antichi romani i quali sapevano bene come tenere calma la plebe. A Napoli l’esercitazione del potere ha utilizzato per secoli una triade: feste, farina e forca e soprattutto le feste erano straordinarie, fantasmagoriche.
“Torneo più ricco di questo non credo Italia già mai abbia fatto”, scrive il cronista Francesco Valentini nell’anno 1612. E’ la festa barocca secondo l’uso napoletano. Cavalli e bandiere, lance e spade, carri e macchine decorati ispirati all’antico ma anche alla letteratura coeva, il Furioso dell’Ariosto e la Gerusalemme di Tasso. Duelli incruenti, un teatro allestito davanti al Palazzo Reale, livree mantelli armature e cappelli. Elefanti, struzzi, pastori, giganti e persino l’ippogrifo. E ancora maghi, draghi, scimmie, leoni e coccodrilli. I carri ispirati a soggetti mitologici, alle piramidi d’Egitto, alla sirena Partenope e al Vesuvio, al giardino incantato di Armida e persino agli indiani. Insomma, parafrasando Giambattista Marino, è della festa il fin maraviglia.
Trattasi di un torneo di nozze. Ma la ricchezza di questa macchina favolosa lascia stupefatto il lettore, e persino inquieto per questo fastoso protocollo di corte che procede parallelo ai percorsi di una folla di poveri e sbandati, di monaci e truppe spagnole, di donne bellissime e nobiluomini eleganti, di bande pericolose e di flotte che eseguono manovre al porto. E’ la Napoli di quattrocento anni fa, la seconda città d’Europa dopo Parigi. Per governarla e per controllare le sue folle altro non esiste di meglio che la festa pubblica. Ecco perché Napoli è stata da allora la capitale dell’Effimero, antica parola che la modernità ripesca dalla cultura greca. Non a caso la Natura Morta è uno dei segni di questa rappresentazione “border line” ed è uno dei generi privilegiati dalla pittura seicentesca che proprio a Napoli trova le scuole pittoriche più significative.
Davanti ai nostri occhi sfilano la corte e i baroni, le famiglie nobili e le comunità religiose, il popolo e gli artigiani, tutti uniti nell’investire somme sempre crescenti per allestire circhi e tornei, cuccagne e processioni di San Gennaro, fuochi artificiali e architetture fantastiche. Ingaggiando di volta in volta i migliori poeti, architetti, artificieri, pittori e cavalieri. La festa barocca è soprattutto un’invenzione politica. Che comincia in pieno Cinquecento e dura almeno tre secoli, trovando il suo apice nel Barocco.
“La festa è un trattamento morbido del conflitto sociale” e al tempo stesso “un momento di formazione della convivenza urbana”. Stordisce il passante, consente a tutti i gruppi sociali di frequentare situazioni d’elite, mette in scena l’immaginario e diventa un vero crocevia delle arti. Il ruolo privilegiato di Napoli, dovuto alla combinazione di fattori sociali e culturali altrove inesistenti, si evidenzia durante tutto il percorso storico grazie anche alla particolarissima situazione della città. Sociale ma non solo. Il Vesuvio è una macchina pirotecnica naturale. Le navi nel golfo eccitano la guerra finta. Le comunità religiose si servono della festa per le ricorrenze cristiane. Persino lo scenario urbano ne viene influenzato: le guglie di San Domenico e piazza del Gesù’ ricordano il modello delle macchine da fuoco, costruite soprattutto per esorcizzare eventi luttuosi.
Fino a qualche anno fa non era chiaro cosa succedesse durante queste che essa è luogo da cui osservare le dinamiche sociali, politiche dalla Modernità, la festa come una delle componenti, certo. Ma che ben si addice completare quel settore di studi che parte dall’immagine storica di Napoli (Del Tufo, Capaccio, Celano) e arriva alla tradizione letteraria in lingua napoletana: (Cortese, Basile), al teatro con le sue maschere (Pulcinella) a uno dei testi fondanti del genere fiabesco (Lo cunto de li cunti), alla filosofia nera di Tommaso Campanella, alle prime biblioteche e musei (Gianbattista Della Porta).
Due manoscritti sui cerimoniali nel viceregno di recente ristampati ci permettono di conoscere gli eventi ufficiali che si svolgevano a Palazzo Reale.
La storia di questi manoscritti, oggi nell’Archivio di Stato di Napoli, è rocambolesca: finiti in fondo al mare nel corso del Settecento per un non meglio precisato naufragio nel Golfo, furono fortunosamente salvati e trascritti. Vi troviamo una puntigliosa registrazione di arrivi e partenze di viceré, e di festa, visite alla città di autorità e persone importanti; e matrimoni e scomparse di persone illustri, con gli eventi effimeri ad essi legati. E poi parate militari, feste religiose e laiche legate al calendario; e funzioni descritte nei dettagli di un cerimoniale a volte semplice nella sua essenzialità, altre volte di una complicazione che deve aver inflitto ore di noia – almeno dal nostro punto di vista – a chi vi presenziava.
La Corte si apre ai visitatori illustri; si sposta in luoghi eminenti della città e dei suoi dintorni come i Monasteri Reali, la Certosa si San Martino o Santa Maria di Pugliano. I cerimonieri annotano con minuzia la sequenza dei gesti rituali, la prossemica dei loro attori nelle sale di Palazzo Reale: impressionante per la precisione di ogni gesto, di ogni inchino, della posizione di ogni paggio come quella del Cardinale e del Viceré, è il rituale legato alla festa di San Gennaro del 16 dicembre (pp.195-198). Il cerimoniale rende l’immagine di una vita di corte intensa, punteggiata pressoché quotidianamente da eventi più o meno importanti.
Se ancora ce ne fosse bisogno, la lettura di questa fonte mostra quanto poco storicamente fondata sia l’idea di una Corte napoletana immobile, chiusa in una dimensione provinciale, e irrilevante sulla scena politica internazionale dell’età barocca. Le cose non stavano così: per Napoli – a prescindere dalla subalternità rispetto a Madrid o a Vienna – è passata una porzione grande e importante della vita politica e culturale europea.
Gli autori del libro sono molti, ed è merito del curatore essere riuscito a coordinare un’equipe così vasta, disseminata fra l’Italia e la Spagna, alle prese con un profilo secolare della vita della Capitale che ruota intorno al motore immobile del Palazzo Reale: edificio che è stato sede, scena e al tempo stesso fondale del potere. E a chi già più di tre lustri fa ha cercato di comunicare tale realtà in una mostra sull'Effimero barocco a Largo di Palazzo”, fa piacere notare che in questo libro la storia sia stata raccontata al lettore anche attraverso riproduzioni di opere d’arte e fonti visive. La Storia sta imparando dalla Storia dell’arte a narrare non più solo con la parola scritta, ma anche con le immagini.

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