20/1/2011
La totalità degli italiani e, purtroppo, gran parte dei napoletani, credono oramai che la città sia perduta ed irrecuperabile, per cui l’hanno abbandonata, come si lascia una vecchia moglie che col tempo diventa sempre più brutta e petulante. Oggi i giovani cercano altrove un’amante, che sia in grado di far dimenticare il passato e le radici e la cercano in tanti luoghi diversi, a Londra come a Barcellona, in Germania ma anche in Brasile.
Da anni la ricerca di un lavoro per i giovani è divenuto il problema più assillante a Napoli dove pure le emergenze non si contano.
E lentamente sta erodendo il sistema sociale e sta depauperando in maniera irreversibile l’unica risorsa primaria costituita dalle giovani generazioni, che tristemente hanno preso la via del Nord e dell’estero per non più ritornare. Siamo davanti oramai ad una diaspora rovinosa, che toglie ogni speranza di un futuro per la città e nello stesso tempo sta cambiando anche la composizione sociale dei quartieri. Zone come Posillipo ed il Vomero, una volta abitate dalla borghesia, lentamente stanno divenendo la residenza di spavaldi commercianti con attività ai margini della legge, gli unici che oggi possono disporre di cifre cospicue di denaro per acquisti di immobili che hanno raggiunto quotazioni record.
Nello stesso tempo nei quartieri del centro storico gli abitanti, stanchi di bassi e di case malsane, si trasferiscono verso l’immensità di un hinterland senza strutture e senza servizi, senza collegamenti, ma soprattutto senza anima. Al loro posto legioni di extra comunitari, felici di passare dalle capanne ad un tetto qualsiasi e disposti ai lavori più umili pur di riscattare un domani migliore.
I motivi di questa deriva si perdono nella notte dei tempi e storici ed intellettuali si sono scervellati a cercarne una spiegazione.
Per Francesco Durante tutto è cominciato da quando la città da tranquilla polis medioevale è divenuta una capitale di regni, che si sono succeduti l’uno dopo l’altro; Benedetto Croce faceva risalire l’inizio di questa sventurata eclisse al Trecento, per aggravarsi in epoca vicereale col dominio degli Spagnoli, quando il paradiso abitato da diavoli, divenne un eden affollato di lazzari ; Raffaele La Capria spostava l’inizio della fine al 1799 con il fallimento della rivoluzione ed il cementarsi dell’alleanza tra plebe e monarchia.
Altri, come Ermanno Rea, hanno indicato il dopoguerra come momento fatale per la città con l’inizio della guerra fredda che ha tarpato le ali alla vocazione mercantile e commerciale dei napoletani o con la scomparsa della cultura operaia successiva alla chiusura dell’Italsider.
Sono spiegazioni parziali, che in ogni caso non risolvono la situazione divenuta drammatica e tale da far apparire la città ed i suoi abitanti come un’entità clinicamente morta e qualunque tentativo di rianimarla semplicemente un inutile accanimento terapeutico.
Ed ogni giorno la situazione è più drammatica del giorno precedente, sempre più giù verso un fondo che diviene sempre più profondo e sempre più somigliante ad uno spaventoso gorgo, che inghiottirà tutto e tutti e dopo il quale il mondo non sarà certo migliore e Napoli non sarà più quella che per secoli abbiamo conosciuto.
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