9/3/2011
Onofrio nasce a Napoli nel 1608, fratello maggiore e collaboratore del più famoso Andrea nei cicli ad affresco.
Allievo di Belisario Corenzio lavorò in parecchie imprese decorative del maestro, seguendone pedissequamente lo stile.
Si sposò nel 1642 con Isabella Sangervasio ed in seconde nozze, nel 1651, con Candida Falcone, sorella di Aniello.
Le sue opere sono tutte a Napoli in chiese e palazzi nobiliari.
Fu impegnato certamente negli affreschi per la sala degli ambasciatori di Palazzo Reale a Napoli, ma la critica non ha ancora identificato con certezza le parti a lui spettanti. Dipinse inoltre due dipinti per una cappella.
In molti lavori è arduo distinguere le mani dei due fratelli e spesso la critica si basa sulla qualità dell’affresco, prediligendo il più quotato Andrea.
La Novelli Radice ha pubblicato una serie di documenti, nel 1635 e nel ‘36 per affreschi perduti nella chiesa di S. Maria Apparente, nel ’37 in collaborazione con un ignoto quadraturista, tale Domenico Migliacci, per pitture nella casa di Chiaia della duchessa Felice Maria Orsini; infine nel ’43 e nel ’44 per la decorazione di quarantotto ventagli da inviare in Spagna, a dimostrazione che Onofrio era disponibile anche per commissioni di tipo artigianale.
Tra gli affreschi in case nobiliari, probabilmente numerosi e tutti perduti, ricordiamo quelli nella casa di Scipione Brancaccio segnalati in un documento(fig. 1), che il Ricciardi attribuisce ad Andrea, mentre sono opera di Onofrio.
Tra le opere che gli vengono attribuite, ricordiamo nella cappella San Sebastiano in San Pietro a Maiella, eseguite nel 1643 il Miracolo di San Francesco di Paola e il Miracolo della mula di S. Antonio(fig. 2). In questi affreschi le figure sono poste in artificiosi fondali scenografici prive di dinamicità con una funzione puramente illustrativa.
In S. Maria la Nova l’unica scena superstite è il Patto di Assisi, nella cappella di San Francesco, nel quale si palpa un tocco di animazione popolaresca, che indusse il Causa ad assegnargli un San Gennaro esce illeso dalla fornace(fig. 3) della quadreria dei Gerolamini, precedentemente creduto di Niccolò De Simone, una tela modesta ispirata certamente al grande rame eseguito nel 1642 dal Ribera per la Cappella del Tesoro di San Gennaro, di cui riprende il personaggio in fuga con le mani a ventaglio ed i corpi dei guerrieri a terra tramortiti dal prodigio e di conseguenza collocabile cronologicamente intorno alla metà del quinto decennio. Anche in questo dipinto si coglie nella rappresentazione una certa staticità ed una reiterazione di attardati moduli manieristici. L’attribuzione fu confermata dalla Novelli Radice.” Le mani a ventaglio, gli sproporzionati fondali, la gesticolazione approssimativa, il gusto popolaresco suggeriscono di ricondurre a lui(Onofrio) senza esitazioni la piccola tela”.
Il dipinto è una conferma dell’interesse della committenza napoletana negli Quaranta verso i supplizi dei santi ed altri soggetti sacri, ambientati in uno sfondo paesaggistico o di rovine, genere in cui si distinse la bottega di Aniello Falcone.
Un altro olio su tela che gli viene attribuito dal Pacelli è un Muzio Scevola davanti a Porsenna di collezione privata napoletana, che lo studioso, ipotizzando per Onofrio un esordio falconiano, accosta agli affreschi nella chiesa dei SS. Severino e Sossio e data intorno agli anni Cinquanta.
Nella chiesa di San Paolo nel cupolino del vestibolo della seconda cappella della navata sinistra era affrescato un Paradiso oramai illeggibile, come pure scomparso negli eventi bellici dell’ultima guerra il grande affresco sotto la volta raffigurante il Trionfo della croce nella chiesa di S. Patrizia.
Il ciclo più integro che si conserva del pittore è quello nella sacrestia della chiesa dei SS. Severino e Sossio, firmato e datato 1651, dove egli decorò con scene del Vecchio Testamento le volte e le pareti. Il riquadro più noto è quello raffigurante la Battaglia di Sennacherib (fig. 4), dove, nell’affollata composizione si può leggere una certa drammaticità degli atteggiamenti, anche se sono ripetuti moduli tardo manieristici ispirati al Corenzio ed al Cavalier D’Arpino.
Leggermente più moderno è il Convito di Baldassarre (fig. 5), nel quale si può apprezzare qualche vago richiamo stanzionesco. Sul ciclo domina il lavoro di Belisario Corenzio: la Battaglia contro gli Amaleciti.
A dire la verità, nonostante la firma per esteso in primo piano, nella Battaglia di Sennacherib, la qualità molto alta della decorazione farebbero pensare ad una decisiva collaborazione di Andrea, pur in contrasto con quanto riferito dalle fonti. Nell’affresco Onofrio predilige “un fare compositivo più largo e dilatato, con inserti di oggetti prelevati dal vero e la resa al naturale di panni, epidermidi e vigorosi particolari anatomici”(Spinosa).
Nella chiesa della Pietà dei Turchini, nella seconda cappella sinistra, vi è un ciclo di affreschi con Storie della Passione, attribuite ad Onofrio sia dal Galante che dal D’Afflitto. Essi raffigurano l’Incoronazione di spine e l’Andata al Calvario.
Nella chiesa di San Lorenzo nella quinta cappella destra sono conservati due affreschi che gli attribuisce il Galante: una Deposizione ed un Seppellimento di Cristo, mentre la Novelli Radice propende per Andrea. Da questa cappella nel 1950 fu staccato un affresco, trasportato poi nella penultima a sinistra e posto ai lati di un crocifisso, raffigurante la Madonna e san Giovanni Evangelista (fig. 6), che il Middione dubitativamente assegna ad Onofrio.
Un documento di pagamento del 1652, pubblicato da Nappi, per alcuni angioletti in un affresco del Falcone ci conferma la sua partecipazione col fratello alla bottega dell’Oracolo.
Nella Biblioteca nazionale di Madrid sono conservati due suoi disegni: uno sul quale è scritto Padre N. Gelormino eseguito da Onofrio de Lione e l’altro raffigurante un gentiluomo con un collare in uso intorno al 1650 con la firma “D. Honofrio De Leone” .
La critica, a partire dal De Dominici, non ha molto apprezzato i suoi lavori, per cui la sua fama è stata sempre molto modesta: “non fu corretto né il migliore dei suoi scolari(del Corenzio); dappoichè egli non fu pittore di molta stima” mentre Andrea” fu più studioso e riuscì migliore di lui”.
L’unica studiosa che si è dedicata ad approfondire la sua opera è stata la Novelli Radice, autrice di tre contributi(1976 – 1988 – 1991) sull’artista sulle pagine di Napoli nobilissima.
Morì con la peste del 1656 e lasciò i suoi averi al fratello Andrea che gli sopravvisse per quasi trenta anni.
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