domenica 28 maggio 2023

Finalmente una piazza intitolata ad Achille Lauro

 




Finalmente qualche ignoto estimatore si è sostituito alle autorità comunali e dopo un'attesa estenuante di 40 anni una piazza è intitolata ad Achille Lauro, sindaco plebiscitario, grande armatore e presidente a vita del Napoli.

In particolare si tratta della piazza dove si affaccia la villa di un altro illustre personaggio: Achille della Ragione, medico, scrittore, napoletanista.


 


 Il Fatto quotidiano - 30 maggio 2023



sabato 27 maggio 2023

Una antica veduta di Napoli torna a Napoli


Fig.1

Alcuni mesi fa, Umberto Giacometti noto mercante d’arte partenopeo (ha una importante galleria in via Morelli), dall'occhio infallibile, intercetta un’antica veduta della città di Napoli appartenente (dicono) al periodo settecentesco. Base di partenza: 1.500 euro. Giacometti che di fiuto ne ha da vendere, intuisce che l’opera è di valore, forse anche di più di quanto esplicitato dal battitore. Si dà da fare, analizza le fotografie, cerca con qualche peripezia e i contatti giusti di ottenere qualche immagine più dettagliata che possa confermare la sua intuizione. 

Prima di continuare il racconto invitiamo i lettori che vogliono conoscere meglio l'antiquario di cui parliamo a consultare in rete un mio vecchio articolo su di lui dal titolo: "Giacometti chi era costui?" 

Come un Indiana Jones dell’arte antica, corroborato da alcuni decenni di selezione e vendita di opere d’arte rare, l’antiquario affronta il rilancio. Dopo qualche battuta, si aggiudicherà per 30 mila euro il quadro che vale almeno dieci volte di più e che risulterà essere davvero opera del Barra (Metz,1590–Napoli,1652), vedutista, innamorato di Napoli e ben inserito nella cerchia di quei paesaggisti provenienti dal Nord Europa, collaboratore peraltro di Belisario Corenzio. Ma con una datazione ben diversa. Dopo a una serie di expertise, valutazioni incrociate, l’operazione di restauro, con almeno tre saggi in successione, rivelerà che la tavola di quasi tre metri per settanta centimetri (fig.1-2) è una veduta notturna della città databile quasi sicuramente al 1622, con una rara intensità di chiaroscuri, evidente omaggio alla lezione del Caravaggio. 

«Una veduta eccezionale, un’opera davvero rara, per quel tempo», commenta entusiasta Giacometti. Una straordinaria panoramica “a volo d’uccello” della capitale del Viceregno spagnolo in grado di rilevare con precisione topografica l’intera linea di costa da Miseno alle mura del Carmine. La prima veduta nota di Didier Barra a Napoli, che anticipa di ben 25 anni l’unico riferimento cronologico finora certo all’interno della sua produzione: la tela conservata al Museo di San Martino (fig.3), firmata e datata sul retro “Desiderius Barra ex civitate metensi in Lotharingia f. 1647” (olio su tela, 69x120cm). In primissimo piano, un corteo di navi dispiega le vele, come in partenza dalla città. Sventolano i vessilli bianchi e rossi della marina spagnola. La tavola fa bella mostra di sé nella prima sala della galleria. «Tra qualche giorno andrà in ricovero, per ulteriori fasi di restauro». E dopo? «La galleria — conclude Giacometti — ha un rapporto costruttivo con alcuni dei principali musei italiani. In particolare con il Museo di San Martino che ha da me ha acquisito due opere di Micco Spadaro. Mi piacerebbe che anche questa preziosa tavola potesse far loro compagnia».

Speriamo che così si concluda la vicenda e turisti e Napoletani potranno vedere un'antica immagine della nostra città.

Achille della Ragione


Fig.2
   

Fig.3


Fig.4

lunedì 22 maggio 2023

SAN GENNARO ora basta!

Il best seller di Achille della Ragione

In 1^ di Copertina - Domenico Gargiulo
Decapitazione di San Gennaro nella Solfatara-
 Napoli collezione della Ragione


Finalmente ha visto la luce il 153° libro di Achille della Ragione,  ricco di oltre cento foto a colori, e dal titolo altisonante: 

San Gennaro ora basta!

Potete scaricare gratuitamente il libro in formato PDF, ma se volete arricchire la vostra biblioteca col cartaceo vi basta telefonare alla LibroCo 0558229414 ed in 24 ore sarà consegnato a domicilio.


Buona e proficua lettura


INDICE

  • San Gennaro ora basta!
  • San Gennaro tra storia e leggenda
  • Ritratti di San Gennaro
  •  Il martirio di San Gennaro nella pittura
  •  L'ospedale di San Gennaro dei poveri
  •  Le Catacombe di San Gennaro
  •  La Cappella di San Gennaro a Napoli e il suo Tesoro
  •  San Gennaro oscurato dallo scudetto del Napoli
  •  Bibliografia 


Scarica il PDF


lunedì 15 maggio 2023

Come risolvere il problema dell'obiezione di coscienza

  

L'aborto in Italia 45 anni dopo la L.194.


In questi giorni la stampa ha dedicato attenzione al problema dell'obiezione di coscienza, che in alcune regioni raggiunge oltre l'80% dei medici, rendendo impossibile alle donne di usufruire delle strutture pubbliche per interrompere una gravidanza indesiderata.
L'Espresso, oltre ad una copertina esplicativa, ha riservato oltre dieci pagine all'argomento.
La soluzione è quanto mai semplice e ci metterebbe in linea con tutti i paesi europei ad eccezione della Polonia.
Permettere ai privati: cliniche e studi medici di praticare l'interruzione di gravidanza applicando il metodo  Karman, oltre a diffondere l'uso della pillola Ru 486.
Ciò che è lecito nelle strutture pubbliche è reato nel privato. Una scempiaggine colossale che lascia esterrefatti.
Colpa del Papa o della nostra limitata intelligenza?
A voi la risposta.

Achille della Ragione 

 

Oggi, pag.9 - 2 giugno 2023

 



domenica 14 maggio 2023

Due campioni dimenticati

 

Vinicio e Canè. 

In questi giorni di festa perenne per la conquista dello scudetto i giornali hanno dedicato decine di pagine all'evento, ma hanno dimenticato di ricordare due campioni del passato, oggi novantenni, ma ancora lucidi ed abitanti a Posillipo.
Il primo è Vinicio, detto "o lione" per la sua forza penetrativa, il quale dalla sua casa di via Manzoni può ammirare lo stadio dove ha giocato per anni e gli vengono le lacrime agli occhi.
Il secondo è Canè detto "o niro" famoso per la spiritosa filastrocca.:
Vavà, Didì, Pelè vuoi sita a uallera e Canè. Abita a Porta Posillipo ed è facile incontrarlo mentre fa la spesa.
Entrambi sono stati acquistati dal leggendario Achille Lauro, presidente a vita del Napoli, famoso armatore e per anni sindaco della città.

Achille della Ragione  

 

Mattino pag.38 - 26 maggio 2023


giovedì 11 maggio 2023

La Cappella di San Gennaro a Napoli e il suo Tesoro


La Cappella di San Gennaro.


La Cappella di San Gennaro è una delle meraviglie dell’arte barocca a Napoli, adorna di capolavori del Domenichino, Giovanni Lanfranco, Jusepe de Ribera, Cosimo Fanzago, Francesco Solimena, oltre che di opere di altissima oreficeria.
La storia della sua realizzazione racconta inoltra le vicissitudini umane fra rivalità, aspirazioni, gelosie, tramandate da numerose leggende: la Deputazione della Cappella (fondata nel 1601 a tale scopo e ancor oggi incaricata della custodia della Cappella e del Tesoro) decise di affidarne la decorazione ad artisti non napoletani, al fine di ricorrere ai migliori talenti europei ed evitare lotte locali. Ne seguì la rivolta dei pittori partenopei che sfociò in veri e propri atti di violenza.
affrescata da Giovanni Lanfranco con il Paradiso. Nei quattro pennacchi si dispiegano gli affreschi del Domenichino dedicati alle storie di San Gennaro e dei Santi Compatroni di Napoli.

Cupola


L’edificio fu costruito lungo il fianco destro del Duomo, quale ringraziamento a san Gennaro per la fine della peste che nel 1527 aveva flagellato la città, in quegli anni colpita anche dalla guerra fra Francia e Spagna. Nel 1630 la sua decorazione fu affidata al Domenichino, dopo che numerosi pittori fra i quali il Cavalier d’Arpino e Guido Reni avevano rinunciato all’incarico a causa delle minacce e delle persecuzioni messe in atto contro di loro. Lo stesso Domenichino portò a termine il lavoro fuggendo a più riprese, e a più riprese convinto dalla Deputazione a tornare a Napoli, fino alla morte improvvisa nel 1641: avvelenato, secondo una voce popolare.
Nel corso di dieci anni Domenichino realizzò un ciclo di affreschi e dipinti dedicati alla vita di San Gennaro e ai Santi compatroni di Napoli: si ammirano nei sottarchi, nei pennacchi, nei lunettoni e nei cinque dei sei dipinti su rame che sormontano gli altari laterali della Cappella. Il sesto dipinto è opera di Jusepe de Ribera, raffigurante “San Gennaro illeso nella fornace”.


Giandomenico Vinaccia, paliotto dell’altare maggiore


La morte improvvisa del Domenichino rese necessario il coinvolgimento di un altro artista al fine di completare la decorazione interna: fu dunque chiamato Giovanni Lanfranco, che a Napoli aveva già lavorato alla  Certosa di San Martino, al Gesù Nuovo e nella chiesa dei Santi Apostoli. Lanfranco affrescò la cupola della Cappella con una rappresentazione del Paradiso, magnifico esempio di illusionismo barocco.
Oltre alle opere d’arte, la Cappella di San Gennaro è uno scrigno di altissima oreficeria: vi si ammirano infatti il celeberrimo Busto – risalente al 1305, dono di re Carlo d’Angiò II – e il paliotto in argento opera del Vinaccia, preceduto da due sontuosi candelieri del 1671. La Cappella è inoltre popolata da cinquantaquattro statue e busti in argento dei Santi compatroni, opere fra gli altri di Giulio Finelli allievo di Gian Lorenzo Bernini. Fra le altre opere d’arte vanno annoverati l’altare in porfido, disegnato da Francesco Solimena, il pavimento e il grande cancello d’ingresso, entrambi di Cosimo Fanzago.

Altare laterale destro, sormontato dal dipinto di Jusepe de Ribera rappresentante “San Gennaro illeso nella fornace”


Nella Cappella sono custodite le reliquie e il sangue di San Gennaro: in una cassaforte d’argento dietro l’altare maggiore sono racchiuse le ampolle con il sangue del Santo, che vengono estratte tre volte l’anno in occasione delle ricorrenze liturgiche, mentre il Busto trecentesco contiene le ossa del cranio.
Il corpo del Santo si trova invece nel succorpo del Duomo, la cripta rinascimentale ricavata sotto il presbiterio della Cattedrale e a lui intitolata.
Per comprendere tale separazione delle reliquie è opportuno riferirsi alla storia del martire Gennaro, vescovo di Benevento  che nel IV secolo morì decapitato nei pressi della solfatara di Pozzuoli. Nel V secolo le reliquie furono trasportate da Pozzuoli alle catacombe di Napoli (che da lui presero il nome), per essere poi trafugate nell’831 dal principe longobardo Sicone e portate a Benevento (dal 571 Ducato Longobardo). A Napoli rimasero alcune ossa del cranio – custodite entro lo splendido busto donato da Carlo II d’Angiò – e le ampolle con il sangue. Tra il XII e il XIII secolo, in un’epoca funestata da guerre e saccheggi, le ossa furono riparate al santuario di Montevergine da dove, nel 1497, furono solennemente traslate del Duomo di Napoli e collocate sotto il presbiterio.

Collana di San Gennaro, Museo del Tesoro


Le opere d’oreficeria che non si trovano nella Cappella sono esposte presso l’adiacente Museo del Tesoro di San Gennaro, una collezione di capolavori unica al mondo che si è creata nel corso di settecento anni a testimoniare sia l’incredibile abilità artigiana e la creatività di maestri orafi, scultori, argentieri dal quattordicesimo al ventesimo secolo, sia la devozione di fedeli di varia estrazione, dai popolani ai nobili, re e regine.
Fra gli oggetti esposti – calici, pissidi, ostensori, candelabri, busti e statue, parati d’altare – due in particolare colpiscono per il loro aspetto, del tutto straordinario, e per le storie che raccontano: la collana di San Gennaro e la mitria.


Mitra di San Gennaro

La collana di San Gennaro fu realizzata a partire dal 1679 per ornare il Busto del Santo: l’incarico fu conferito dalla Deputazione della Real Cappella del Tesoro all’orafo napoletano Michele Dato con l’utilizzo di diamanti, smeraldi e rubini donati dalla Deputazione stessa e montati su tredici elementi collegati a maglia. Il risultato finale però fu ritenuto poco prezioso e nei decenni successivi la collana fu arricchita da gioielli donati da re e regine in visita: tra di essi la regina Maria Carolina d’Asburgo, Francesco I d’Austria, Giuseppe Napoleone Bonaparte, la regina Maria Cristina di Savoia, Vittorio Emanuele II di Savoia, Carlo III di Borbone.
Nella parte superiore della collana furono inseriti due orecchini con diamanti e perle donati da una semplice popolana, che si era recata nella Cappella per ringraziare San Gennaro di averla salvata dalla peste del 1844: gli orecchini erano il bene più prezioso della devota, tramandati di madre in figlia da generazioni. La Deputazione, ritenendo il gesto nobile, decise di applicare i due gioielli all’opera.
Al centro si osserva invece un anello con diamante, donato da Maria José del Belgio in occasione della sua visita: la consorte di Umberto II di Savoia si presentò in visita alla Cappella a mani vuote, mentre la tradizione prevedeva di offrire un dono al patrono. Dopo un iniziale imbarazzo, Maria José si sfilò dal dito l’anello e lo donò alla Deputazione, che decise di inserirlo al centro, fra gli orecchini della popolana. La composizione finale dell’opera è dunque il risultato di 250 anni di storia, nel magnifico assemblaggio di gioielli di manifatture ed epoche diverse e di committenze illustri.
La Mitra gemmata di San Gennaro è il capolavoro più celebre del Tesoro e uno degli oggetti più preziosi al mondo, composta da 3.694 pietre preziose, 198 smeraldi, 168 rubini, 3.328 diamanti, montate a comporre un disegno di fiori, foglie e racemi. Fu realizzata a partire dal 1712 da Matteo Treglia insieme a 50 collaboratori grazie a donazioni e sottoscrizioni che coinvolsero popolani, esponenti del clero, nobili, l’imperatore stesso. La Deputazione della Cappella del Tesoro ne commissionò la realizzazione per ornare il busto-reliquiario di San Gennaro.
Oltre all’argento della montatura, che costituisce il fondo della Mitra, si osservano dorature che esaltano la cromia dei diamanti, dei rubini e degli smeraldi. Ogni pietra inoltre rappresenta un valore morale e religioso, quale l’aspetto spirituale della fede (i diamanti), l’umanità simboleggiata dal sangue di San Gennaro (i rubini), la perfezione dell’unione con Dio che dona la conoscenza (gli smeraldi). Gli smeraldi sono stati inoltre nominati dai gemmologi con il nome dei deputati che commissionarono l’opera: tra di essi Don Carlo Caracciolo, Don Fabio Russo, Don Carlo Serra principe di Pado, Don Giuseppe Piccolomini d’Aragona, Don Ottavio Gesualdo.

cupola affrescata da Giovanni Lanfranco con il Paradiso


Oltre che per la sua preziosità la Mitra è anche un capolavoro d’ingegneria: dal peso di 18 kg, possiede un sistema interno di ammortizzatori per assorbire i colpi del trasporto durante le processioni religiose.
Meritano infine una menzione le sagrestie, che precedono la Cappella e che appartengono al percorso di visita: s’incontrano dopo aver ammirato il Museo e prima di accedere alla Cappella. Anch’esse affidate nel corso dei secoli alla Deputazione, sono ricche di affreschi, stucchi e marmi. In particolare, nella Sagrestia di Luca Giordano si ammira al centro del soffitto un affresco del 1668 eseguito dal pittore accompagnato dalla sua firma “Jordano F” [Fecit].

Altre immagini della Cappella di San Gennaro: 

 

Giacinto Gigante-Interno della Cappella del Tesoro di San Gennaro


Cupola della Cappella del Tesoro


Jusepe de Ribera, San Gennaro illeso nella fornace

Altare maggiore, con a sinistra il busto del 1305 dono di Carlo II d’Angiò

 

Gennaro Monte-San Gennaro (Cancello d'ingresso Cappella del tesoro)

Cosimo Fanzago-Cancello d'ingresso Cappella del Tesoro 

mercoledì 10 maggio 2023

Le Catacombe di San Gennaro

Catacombe di San Gennaro.
 
 
La rinascita delle Catacombe di San Gennaro risale a 54 anni fa. Nel luglio del 1969 fu inaugurato il nuovo ingresso e si avviò una fase di intensi lavori per la sistemazione dell'eccezionale monumento cristiano che specialmente durante l'ultima guerra, trasformato in ricovero antiaereo, aveva subìto notevoli danni. Le catacombe risalgono al II secolo e probabilmente sorsero nel luogo di una tomba gentilizia che, ceduta alla comunità cristiana della città, venne trasformandosi in cimitero ufficiale e in centro religioso, dopo che vi furono deposti Sant'Agrippino, vescovo di Napoli (secolo III) sulla cui tomba venne edificata una basilica, e poi San Gennaro. La catacomba fu meta di pellegrinaggi e accolse più tardi le spoglie del vescovo duca Stefano e di Cesario Console, morto nell'878. Nel 762-764 durante la lotta iconoclasta, fu sede del vescovo Paolo II, impossibilitato a entrare in città dove prevaleva il partito bizantino. Il suo splendore decadde quando nel1'831 Sicone, principe di Benevento, rapì le reliquie di San Gennaro e le portò in quella città. Verso la metà del IX secolo il vescovo San Giovanni IV trasferì nella cattedrale i corpi dei vescovi suoi predecessori, ma lui stesso al pari del suo successore Sant'Anastasio fu poi sepolto nella Catacomba. Questa non fu per allora abbandonata, perché vi si eseguirono pitture nel X e probabilmente anche nell'XI secolo. Ma dal XIII al XVIII secolo non vide che devastazioni e saccheggi.
Chi voleva visitare la catacomba napoletana doveva, fino al 1969, affrontare un'avventura spingendosi attraverso il rione della Sanità per una rete stradale affogata da un'edilizia poverissima e indecorosa. Il turista che non si arrendeva prima di raggiungere la meta, quando riusciva a trovarla doveva subire l'ultimo shock passando per l'Ospizio dei poveri.
Molti napoletani anziani ricordano ancora questi ”pezzenti di San Gennaro” che racimolavano qualche soldo seguendo mestamente i cortei funebri e che passavano gran parte della loro giornata seduti sulle panchine sgangherate dei viali dell'ospizio. Se arrivava da Roma il turista era facilmente portato a fare un paragone con gli ingressi suggestivi delle grandi catacombe di quella città, con quelle dell'Appia Antica, ad esempio.
Quel libro dei sogni che era il piano regolatore del 1958 prevedeva anche una nuova strada che da Santa Teresa al Museo avrebbe portato alla Catacomba di San Gennaro. Ma chissà quanto tempo sarebbe passato prima di concludere qualcosa. La realtà ha dimostrato che il problema è oggi allo stesso punto di allora. C'era una soluzione più semplice, e a questa pensò uno studioso napoletano, Aldo Caserta, direttore negli archivi di Stato e docente di discipline storiche nella Pontificia facoltà teologica dell'Italia Meridionale. Nominato, alla fine del 1967, ispettore per le catacombe napoletane dalla Pontificia commissione di archeologia sacra, monsignor Caserta pensò subito alla valorizzazione della più importante, quella di San Gennaro. Suo predecessore era stato padre Antonio Bellucci, che aveva ricoperto l'incarico di ispettore dopo il 1929 (quando con il Concordato le catacombe venivano affidate alla Santa Sede) e che era stato un benemerito per gli scavi compiuti e i vari studi pubblicati.

I Santi Pietro e Gennaro 

Chiesa di San Gennaro extra moenia

  

Fonte battesimale

Il primo problema da affrontare era quello dell'ingresso. Come fu risolto? Nella catacomba c'era un lucernario chiuso da un muro di tompagno: bastava demolire questo muro e si sarebbe potuta installare una scala che avrebbe consentito di accedere nella catacomba dal piano superiore anziché da quello inferiore. Si sarebbe entrati, cioè, da Capodimonte invece che dalla Sanità.
Fatti i progetti per la sistemazione, bisognava trovare i finanziamenti ed ottenere le autorizzazioni per i lavori. Per le opere interne occorreva l'approvazione della Pontificia commissione di archeologia sacra e per quelle esterne ci voleva il nulla osta della Soprintendenza ai monumenti. Specie all'interno i lavori erano di notevole portata: durante la guerra la catacomba era diventata un rifugio antiaereo e vi erano stati installati servizi ospedalieri di emergenza. La Pontificia commissione si assunse l'onere di questa sistemazione mentre l'Azienda di cura, soggiorno e turismo, presieduta dal dott. Alberto Del Piero, finanziò le spese per il nuovo ingresso dopo che l'arcivescovo cardinale Ursi aveva concesso il passaggio attraverso i viali del tempio del Buon Consiglio a Capodimonte. Si ricorse ad una scaletta di ferro che, penetrando attraverso il lucernario, non alterava la visione delle gallerie catacombali e nello stesso tempo avrebbe potuto essere facilmente rimossa se in futuro si fosse voluta dare un'altra sistemazione.
Sembrerebbe paradossale, eppure la semplice realizzazione di questo ingresso diede una vita nuova alla catacomba. C'era la possibilità di un ampio parcheggio per auto e per pullman; per la zona transitavano varie linee di trasporto; era vicinissimo il Museo di Capodimonte; si offriva al visitatore una visione estetica e panoramica assai suggestiva. Realizzata inoltre la tangenziale, con un'uscita a pochi metri, questo immediato incontro con la catacomba intitolata al santo patrono, è oggi quasi un biglietto da visita per il turista che entra a Napoli.
Dopo la prima sistemazione interna la Pontificia commissione d’archeologia sacra iniziò, nel 1971, una regolare campagna di scavi e di restauro di alcuni affreschi (anche con distacco) e di mosaici. In tre anni, fino al 1973, si ebbero sorprendenti risultati con nuove scoperte che hanno consentito una rilettura del monumento nelle varie fasi del suo sviluppo topografico. Un’ampia documentazione di questi restauri è disponibile nel volume dell’animatore e coordinatore delle ricerche, il prof. Umberto Fasola, all’epoca segretario della Pontificia commissione di archeologia sacra e docente nel Pontificio istituto di archeologia cristiana. Peccato che questo grosso e illustratissimo volume (“Le Catacombe di San Gennaro a Capodimonte”, Editalia, 1975) sia esaurito.
Ispettore per le catacombe napoletane era in quegli anni monsignor prof. Raffaele Calvino, docente di archeologia cristiana nella Facoltà teologica di Napoli, affiancato dal reverendo prof. Nicola Ciavolini, vice-ispettore. Con questi due studiosi continuarono, sia pure in misura ridotta, i lavori di scavo, nel 1977-78, e si cominciò a studiare il problema di una migliore conservazione delle altre catacombe napoletane: San Gaudioso (sotto la chiesa di San Vincenzo alla Sanità), San Severo (presso l'omonima chiesa alla Sanità); Sant'Efebo (presso la chiesa di Sant’Eframo Vecchio).
Chi visita oggi la Catacomba di San Gennaro si trova dinanzi ad uno spettacolo non comune. A differenza delle catacombe romane con i loro dedali di gallerie buie , qui si aprono ampi locali in cui lo sguardo spazia individuando straordinari effetti prospettici. Un impianto di illuminazione, eseguito con rigorosi criteri tecnici, consente, con la sua luce diffusa e con i piccoli fari schermati, sia la visione d'insieme del monumento sia un'osservazione particolare degli affreschi e dei mosaici. Il visitatore può subito riconoscere, grazie a chiare didascalie, gli elementi presso cui fermarsi.
Ecco un accenno ai più notevoli risultati ottenuti dopo le recenti campagne di scavi e il restauro delle pitture: una scoperta importante è stata quella della “cripta dei vescovi”; nell'arcosolio centrale sarebbe stata individuata in un ritratto l'immagine del vescovo Giovanni I che volle la traslazione nella catacomba dei resti di San Gennaro; è stato restaurato un affresco del secolo VI con l'immagine del primo vescovo di Napoli, Asprenas; sono stati messi in luce alcuni dipinti eseguiti dopo che, nell'879, le catacombe furono affidate ai benedettini; nel cubicolo denominato di San Gennaro e compagni, vicino alla tomba del martire, sono stati liberati dipinti che erano nascosti da pitture sovrapposte ed uno di questi dipinti rappresenta il patrono di Napoli tra i monti Somma e il Vesuvio. È solo un rapido accenno al ricco patrimonio storico-artistico che si aggiunge a quello già prezioso della catacomba, che dopo anni di semiabbandono ritorna ad essere un elemento essenziale della cultura della città.
I monumenti si salvano se in essi continua la presenza attiva della comunità. Un monumento chiuso - è questa la convinzione dei responsabili dell'ispettorato per le catacombe napoletane - anche se è custodito, è destinato a lento ma inesorabile degrado. Partendo da questa considerazione sono state promosse varie iniziative per richiamare sempre più l'attenzione dei pubblico, soprattutto napoletano, sulla catacomba: si stimolano i docenti di storia dell'arte e di religione perché organizzino visite per gli studenti; si invitano gli insegnanti delle scuole elementari a far conoscere agli alunni questo importante monumento; si organizzano conferenze con proiezioni; si svolgono celebrazioni liturgiche nelle ricorrenze del patrono, con visite guidate. Ed anche con queste iniziative si concorre ad eliminare le incrostazioni leggendarie e genericamente folkloriche che si sono sovrapposte nei secoli all’immagine genuina del patrono di Napoli.

    

San Gennaro e un monaco 
  
San Gennaro tra le oranti
  
San Gennaro 

Achille della Ragione

Foto di Dante Caporali


lunedì 8 maggio 2023

San Gennaro tra storia e leggenda

 

San Gennaro 

Biografia

Gennaro nacque a Benevento nel mese d’aprile del 272. Si narra che il bimbo nascesse con le mani giunte e con le ginocchia piegate in atteggiamento di preghiera. Fin nei primi anni della sua vita Gennaro aveva un forte senso di carità che lo portava ad offrire ai poveri tutto quello che aveva. Furono molti i miracoli e quelli che si convertirono alla sua dottrina. La fama di Gennaro giunse fino a Benevento, la città chiese che diventasse suo vescovo, ma il santo rifiutò per ben tre volte. Poi gli fu detto che non poteva continuare a respingere le richieste di un popolo che lo invocava. Accettò dopo aver chiesto consiglio a papa Marcellino.
In quel periodo Diocleziano andava perseguitando i cristiani. Il diacono di Pozzuoli, Procolo, ed altri cristiani erano torturati. Gennaro  corse a Pozzuoli per supplicare il loro rilascio. Fu allora che il  proconsole Timoteo cominciò a perseguitare Gennaro. Ordinò che fosse bruciato vivo, ma le fiamme tra le quali venne gettato non lo lambirono neanche. Timoteo si accanì nei confronti di Gennaro con ogni sorta di supplizio, ma tutto fu inutile.
Timoteo allora, infuriato, ordinò che il santo fosse decapitato. L’esecuzione avvenne mercoledì 19 settembre 305. Il sangue rimasto sulla pietra fu raccolto dalla nutrice di Gennaro, Eusebia, che lo fece gocciolare in due ampolle di vetro: nell’una il più limpido, nell’altra quello misto a polvere. Il corpo fu deposto nella Nuova Cattedrale fatta erigere da Carlo d’Angiò nel XIII secolo.
Si racconta che durante una scorribanda di Saraceni a Pozzuoli, uno di loro, per sfregio, con un colpo mozzò il naso al busto di marmo del santo, lo raccolse e lo portò con sé. Appena le navi degli infedeli salparono, una burrasca li costrinse a rientrare in porto. Durante la tempesta il naso cadde in mare. I Puteolani poi cercarono di ridare a San Gennaro l’originale aspetto. Un giorno alcuni pescatori trovarono frammenti di marmo che, messi insieme, assunsero la forma di un naso: quello era il naso di San Gennaro.  Lo portarono in chiesa e fu rimesso al suo posto.
Il santo ha sul lato destro del viso una cicatrice, anch’essa ha una storia. Si dice che, durante un’epidemia di pestilenza, il busto venne portato in processione perché salvasse la popolazione. San Gennaro pose fine al flagello, ma sulla sua guancia destra si presentò una ferita: San Gennaro aveva salvato i fedeli dalla malattia e l’aveva presa su di sé.
Il popolo napoletano, nel 1527, volle costruire per il suo santo patrono una apposita cappella come atto di riconoscenza per aver allontanato la peste dalla città.

Le reliquie del sangue di San Gennaro 


Le reliquie 

Nella storia di San Gennaro il 1767 è un’ altra data importante, che vide protagonista padre Rocco. Questi era un uomo dotato di grande capacità dialettica. Per diffondere nel popolo la parola di Dio e seminare il sentimento della verità si intrufolava nei luoghi più impensabili, ovunque ci fosse gente poco raccomandabile, e cominciava a predicare in dialetto. Il 19 ottobre di quell’anno ci fu una delle più terribili eruzioni del Vesuvio. Il popolo, in preda al panico, si diresse alla cappella di San Gennaro con l’intenzione di prenderne le reliquie. Intervenne allora padre Rocco a calmare gli animi, invitando il popolo alla preghiera. Il giorno successivo organizzò una spettacolare  processione durante la quale invocò la protezione del santo patrono. Dopo alcune ore il corso della lava rallentò fino a fermarsi. L’ episodio commosse tutta Napoli e San Gennaro fu dichiarato il più grande santo del Paradiso. Il sangue di una delle due ampolline è tuttora in Spagna e ogni anno, quando avviene il miracolo a Napoli, esso avviene anche nella chiesa di Madrid.  Oggi le due ampolle sono conservate nella cassaforte dietro l’altare della cappella del Tesoro di San Gennaro. Una delle due è riempita per tre quarti, mentre l’altra, più alta, è semivuota poiché parte del suo contenuto fu sottratto da re Carlo di Borbone che, divenuto re di Spagna, lo portò con sé. Tre volte l’anno (il sabato precedente la prima domenica di maggio e negli otto giorni successivi; il 19 settembre e per tutta l’ottava delle celebrazioni in onore del patrono, e il 16 dicembre), durante una solenne cerimonia religiosa guidata dall’arcivescovo, i fedeli accorrono per assistere al miracolo della liquefazione del sangue di San Gennaro.

domenica 7 maggio 2023

Strepitosa vittoria del maestro Achille della Ragione

 


Oggi il celebre maestro di scacchi Achille della Ragione, ha vinto un affollato torneo rimanendo imbattuto e percependo un corposo premio in denaro. Come immortalato dalla foto, mentre riceve  la busta col denaro dal presidente Francesco Roviello.

https://www.scacchisticapartenopea.org/

Achille della Ragione 




sabato 6 maggio 2023

San Gennaro oscurato dallo scudetto del Napoli

 



Oggi sabato 6 maggio è uno dei due giorni in cui avviene il prodigio di San Gennaro, con un corteo che dal Duomo si reca alla chiesa di Santa Chiara, seguito (in passato) da migliaia di fedeli.
Tutti i quotidiani, drogati dallo scudetto del Napoli, non hanno dedicato un rigo all'evento, provocando con certezza l'ira del patrono, le cui conseguenze si faranno sentire a breve, speriamo non siano terribili.


Achille della Ragione 

 

Oggi - pag. 9 -
19 maggio 2023