sabato 26 febbraio 2022

Frase famosa di Pasolini su Napoli

 





Nel centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini voglio ricordare a tutti una sua meditazione su Napoli, ancora valida e che rappresenta un elogio per la città: 

«Napoli è una tribù che ha deciso di non arrendersi alla cosiddetta modernità, e questo suo rifiuto è sacrosanto»

disse il grande friulano in una conversazione con Antonio Ghirelli.


Achille della Ragione

 

 

La Repubblica - pag.33
Domenica, 27 febbraio 2022


La Repubblica N - pag.13
Lunedì 28 febbraio 2022


Il Mattino - pag.34
Mercoledì 2 marzo 2022

domenica 20 febbraio 2022

Conferimento del titolo di cavaliere ad Achille

 

Diploma di Benemerenza Scienze Mediche e Salute
Fondazione Internazionale Papa Clemente XI Albani
MEMBRI D’ONORE DELLA FONDAZIONE
n.188 Prof. Achille della Ragione






Venerdì 18 febbraio 2022 nei prestigiosi saloni della sua villa posillipina Achille della Ragione ha ricevuto la prestigiosa pergamena di cavaliere di papa Clemente XI, consegnatagli dalle delicate mani del delegato pontificio: il soprano Teresa Sparaco.


 

Achille della Ragione membro d'onore della
Fondazione Internazionale Papa Clemente XI Albani
https://fondacionipapaklementi.com/membri-donore/


Biografia

Achille della Ragione nasce a Napoli nel 1947 da una famiglia della borghesia napoletana. Nel 1972 consegue la laurea in Medicina, in seguito si specializzerà in Ostetricia nel 1976 ed in Chirurgia generale nel 1980.
Nel 1972 partecipa a Rischiatutto con relativo raddoppio.
Nel 1973 si sposa con Elvira Brunetti con la quale ancora convive, che gli regalerà 3 figli: Tiziana, Gian Filippo e Marina.
La primogenita gli ha donato 3 nipoti: Leonardo, Matteo ed Elettra.
Dopo aver esercitato con successo per oltre 30 anni la professione di ginecologo, che lo ha reso miliardario, (infatti da mezzo secolo abita una delle più belle ville di Napoli a Posillipo, 5 piani ed un giardino di 1000 metri), da tempo è divenuto scrittore e giornalista ed ha dato alle stampe 147 libri, tutti consultabili in rete gratuitamente digitandone il titolo.
Per chi volesse approfondire la sua biografia consigliamo di andare sul suo blog
www.dellaragione.eu
e consultare il capitolo i miei primi 70 anni, 400 pagine con centinaia di foto.

 



 









lunedì 14 febbraio 2022

Il ritratto di un nobile di Giuseppe Bonito

tav.1 - Giuseppe Bonito -
Ritratto di nobiluomo - 130x93 -
Lecce. collezione Terragno


Il dipinto che presentiamo ai nostri lettori, raffigurante un nobile (fig.1) , conservato nella collezione Terragno di Lecce, non ha creato nessun problema per identificare l'autore: Giuseppe Bonito, ma non siamo riusciti ad individuare il personaggio in esame, nonostante lo studio accurato di alcuni dettagli (fig.2), soprattutto quello in cui nella mano destra mostra un biglietto (fig.3) nel quale forse è scritto il suo nome.
Nel dipinto inedito di cui discutiamo, di palmare autografia, si possono riscontrare, accanto ai caratteri aulici e celebrativi del ritratto ufficiale, la capacità del Bonito di introspezione psicologica e di cordiale partecipazione emotiva alla concreta identità del personaggio rappresentato, un chiaro segno della dipendenza dei suoi modi pittorici dalla lunga e consolidata tradizione della ritrattistica napoletana tra Seicento e Settecento.
A parte le scene di genere Bonito ottenne il massimo successo nella ritrattistica, grazie alla quale  occupò numerose cariche accademiche: da pittore di camera del re (1751) ad accademico di San Luca (1752) e direttore dell’Accademia del disegno (1755).
La sua produzione più celebre rappresenta con un’acuta osservazione dal vero un’infinita gradazione di tipologie fisiognomiche, che comprendano l’intera scala di espressioni umane. I suoi quadri raffigurano insigni personaggi della corte e della nobiltà napoletana, sottoposti ad un’introspezione psicologica accurata, prima che i volti trapassino dalla caducità della vita all’immortalità della tela.
Riuscì ad amalgamare elementi di cospicua eleganza formale e di sicura piacevolezza pittorica con un moderato naturalismo, in linea con la locale tradizione figurativa.
Le sue tele raffiguranti membri della corte sono conservati nel Palazzo Reale di Madrid, nel Palazzo Reale a El Pardo, ed in Italia nei Palazzi reali di Napoli e Caserta, oltre che in importanti musei e prestigiose raccolte private.
Iconografia borbonica - I primi sovrani della dinastia borbonica ad essere rappresentati dal Bonito sono naturalmente Maria Amalia e Carlo III. Da poco il Bonito si era procurato, grazie all’intercessione del marchese di Montelegre la prima importante commissione dalla Real Casa con l’incarico di effigiare il gruppo di ambasciatori turchi e di quelli inviati dal Bey di Tripoli. Il successo dei quadri fu tale che qualche anno dopo ebbe il privilegio di ritrarre la coppia sovrana, affiancandosi così a quella schiera di pittori parmensi come Carlo delle Piane o Clemente Ruta e divenendo il primo specialista napoletano.
L’esecuzione dei due pendant, raffiguranti Carlo e la consorte Maria Amalia, in vistosi abiti regali risale al 1744, all’indomani della vittoria nella battaglia di Velletri, che sancisce l’inizio della fortuna della dinastia. 

 

tav.2 - Giuseppe Bonito -
Ritratto di nobiluomo - 130x93 - (particolare)
Lecce. collezione Terragno

 

tav.3 - Giuseppe Bonito -
Ritratto di nobiluomo - 130x93 - (particolare)
Lecce. collezione Terragno


Di Ferdinando IV abbiamo minori testimonianze; una tela conservata a Chigaco e per Maria Carolina due dipinti in collezione privata, il primo, ce la raffigura giovane e di accettabili sembianze, il secondo, nella raccolta di Paolo Onofri a Roma, mentre con sguardo sprezzante pone le mani sulla corona, conferma la nomea di una sovrana di aspetto arcigno e poco guardabile, in linea con tutte le altre rappresentazioni degli altri pittori contemporanei dalla Kauffmann al Liani ed all’Angelini, oltre ad alcuni ignoti, i cui quadri sono conservati rispettivamente nel museo di San Martino  e nella Reggia di Caserta.
Seguono poi i ritratti dei principi di casa reale, dei quali esistono due serie.
Tra il 1740 ed il 1757 dal matrimonio di Carlo di Borbone e Maria Amalia di Sassonia nacquero sei maschi e sette femmine, delle quali tre morirono nel primo anno d’età, una quarta a due anni ed una quinta nel 1749 a cinque. La prima serie cominciata nel 1748 è conservata in Spagna ed esposta al Prado.  
Comprende i ritratti di Maria Isabella(nata nel 1743), Maria Giuseppa (1744), Maria Luisa (1745) e Filippo(1747), del quale esistono varie repliche autografe, tra cui una di notevole qualità è stata esposta alla mostra Ritorno al Barocco, che raffigura il fanciullo di appena un anno entro una festosa atmosfera floreale, senza che sul volto si possano riscontrare i segni della grave demenza, causa della sua esclusione dalla successione al trono.
In seguito vennero immortalati Carlo (nato nel 1750), Ferdinando (nato nel 1751), del quale tra le numerose repliche in collezione private ne segnaliamo una, in cui il principe è ritratto con una voliére ed un uccello che svolazza legato ad una corda, Gabriele (nato nel 1752) ed Antonio Pasquale (nato nel 1755).
Il lavoro di Bonito rispondeva ad un preciso programma iconografico ed i dipinti venivano spediti in Spagna a più riprese, per permettere alla corona di Spagna di conoscere volti e stato di salute dei futuri discendenti. Tutti i ritratti sono privi di atteggiamenti forzatamente declamatori e sono ambientati in un’atmosfera domestica resa con colori allegri e brillanti.
La seconda serie fu eseguita dieci anni dopo, prima della partenza del re per la Spagna, nel 1759, quando a Napoli rimase il solo Ferdinando IV, sotto la reggenza del Tanucci ed i principi sono rappresentati in un’età più avanzata.
In tutti i quadri di questo gruppo il Bonito perde le qualità di vivace quanto prezioso fotografo del candore e dell’innocenza dei principi, caratteristica della prima serie ed è evidente  un desiderio di ufficialità, per l’intenzione di mettersi in concorrenza con il Mengs, celebre ed affermato pittore “di Stato”. Dei quattro esemplari, attualmente nel museo di San Martino se ne conservano tre, mentre un quarto dipinto, oggi smarrito, probabilmente rappresentava le due principessine con attributi legati alle arti figurative, per distinguersi dai fratelli Filippo e Pasquale, immortalati con oggetti allusivi all’arte della guerra(la pianta di una fortezza ed un’armatura); Antonio Pasquale e Francesco Saverio con strumenti e spartiti musicali, mentre Ferdinando e Gabriele  sono in compagnia di strumenti scientifici.
Questo ultimo dipinto venne esposto alla mostra Civiltà del Settecento e rappresenta uno dei più rilevanti risultati del Bonito quale ritrattista di corte ed è utile per marcare la differenza con altri celebri specialisti come il Batoni o il Mengs
Ritratti aristocratici – Gran parte della fama di Bonito, più che per celebri lavori, come la Carità del Monte di Pietà o i perduti affreschi nella chiesa di S. Chiara è legata alla ritrattistica, ufficiale per i membri della corte borbonica, come abbiamo già visto, ma anche per l’aristocrazia napoletana, che amava farsi immortalare in pose affettate e con abiti eleganti.
I primi ritratti eseguiti dal pittore, dagli esordi in chiave purista, fino agli ultimi anni, in cui a soluzioni di ricercata eleganza formale accoppiava costantemente una genuina ricerca del “vero”, cercando di scandagliare nel personaggio raffigurato carattere e stati d’animo.
Ritratti che andavano ad adornare i salotti della nobiltà, soddisfacendo vanagloria ed esigenze di rappresentanza del ceto dominante, desideroso di affermare pubblicamente  ruolo e prerogative.
I suoi quadri si rifacevano alla lunga e consolidata tradizione napoletana del settore e nella ricerca di soluzioni espressive in linea con l’individualità del protagonista della tela creò una valida alternativa alla vacua pomposità della ritrattistica ufficiale che veniva imponendosi in città, per via del Mengs, che rispondeva compiutamente alle nuove istanze ideologiche ed alle esigenze di autocelebrazioni della corte.
Lunga è la serie di ritratti, a partire dal quello che raffigura Il principe di Bisignano, databile al 1734 per la presenza nel dipinto del Toson d’Oro, il quale nell’ultimo anno del vice regno austriaco ricoprì la carica di Gran giustiziere, fino al famoso Autoritratto, conservato agli Uffizi, di grandissima espressività, nonostante sia stato eseguito, per la tarda età mostrata dall’artista, dopo gli anni Settanta, in una fase di indebolimento delle sue preclare qualità di illustratore della corte napoletana. Dal dipinto prese anche ispirazione lo scultore, scelto dalla amministrazione di Castellammare che, dopo un lungo periodo di colpevole dimenticanza, decise di ricordare con un busto marmoreo l’insigne concittadino.
Ci piace ricordare l’Ambasceria turca presso la Corte di Napoli del Prado, del quale esiste una copia autografa di buona qualità nel Palazzo Reale di Napoli: una galleria di volti scandagliati e messi a nudo senza che possano celare all’artista i lati più profondi e reconditi del loro carattere.
Nella sala XII del Palazzo Reale, arredata con mobili e vasi di stile Impero sono conservati cinque grossi dipinti rappresentanti Episodi della vita di don Chisciotte eseguiti dal Guastaferro, dal Bonito, che esegue La regina Micamiconi che invoca don Chisciotte di essere rimessa sul trono  e Don Chisciotte mentre combatte contro un mulino a vento dal Fischetti e dal della Torre.
Vi sono poi altri due dipinti eseguiti dal Bonito che rappresentano I ritratti in gruppo degli inviati straordinari del Sultano e del Bey di Tripoli, venuti a Napoli nel 1742 a rendere visita a re Carlo, il quale volle che fossero immortalati sulla tela. Dell’episodio il De Dominici racconta un curioso aneddoto: ”Bonito dipinse naturale tanto che il Mustafa Bey, non avendo mai veduto simile artificio di ritrarre sì vivamente le persone, andava sovente a vedere dietro la tela, ove osservato non esservi nulla e mirando la sua effige viva per la superficie di essa pieno di meraviglia disse al pittore che egli sarebbe stato tenuto a rendere conto dell’anima di colui che dipingeva, al che il pittore rispose facendogli constatare che quelle tele dipinte non avevano né anima né spirito alcuno, benché sembrassero vive”.
Per chi volesse approfondire la figura di Bonito consiglio di consultare in rete la monografia che anni fa gli ho dedicato (fig.4), disponibile anche in cartaceo ed ordinabile alla Libro Co di Firenze (tel.055 -8229414).
Voglio concludere in bellezza invitando i lettori ad ammirare il ritratto di un fanciullo di nobile schiatta conservato nella prestigiosa collezione napoletana dei Carignani di Novoli (fig.5).

Achille della Ragione 

 

tav.4 - Copertina
monografia Giuseppe Bonito

 

tav.5   - Giuseppe Bonito -
Ritratto di un nobile fanciullo -
Napoli, collezione Carignani di Novoli

 


venerdì 11 febbraio 2022

Una natura morta di Giacomo Recco

 

tav.1 - Copertina monografia

La dinastia dei Recco occupa un posto di rilievo nel panorama della natura morta napoletana del Seicento. Si parte da Giacomo Recco e dal fratello Giovan Battista, per proseguire con Giuseppe, il più celebre, figlio di Giacomo e con i suoi due figli Elena e Nicola Maria. Ad essa ho dedicato una corposa monografia (tav.1) consultabile in rete digitandone il titolo, sulla cui copertina troneggia uno splendido dipinto di Giuseppe Recco, appartenente alla mia collezione privata.
La pittura di genere, il paesaggio e, in particolare, la “Natura morta” ebbero a Napoli, nel Seicento, grande sviluppo. Tema privilegiato dell’indagine naturalistica di pittori fiamminghi e caravaggeschi, la natura morta subì, nella pittura napoletana, una sorta di trasposizione in chiave barocca, con graduale passaggio dall’effetto di ammirazione per la fedeltà oggettiva della rappresentazione a quello di stupore e meraviglia per la fantasia dell’invenzione.
Giacomo Recco, (Napoli 1603 - prima del 1653) considerato dalla critica tra gli iniziatori della natura morta nella nostra città, ci è noto, più che per le sue opere, attraverso numerosi documenti d’archivio, che ci hanno permesso di puntualizzare i suoi dati biografici.
Citato da don Camillo Tutini tra i fondatori del genere a Napoli, viene poi ricordato in un manoscritto compilato tra il 1670 ed il ’75, reperito dal Ceci, come «pittore di fiori, frutti, pesci ed altro». Il De Dominici lo segnala come padre di Giuseppe. Il Prota Giurleo reperisce il contratto di matrimonio del 1627, da cui ricava la data di nascita ed il contratto di discepolato del 1632, con il quale viene messo a bottega presso Giacomo il quindicenne Paolo Porpora. Ed infine il Delfino ha pubblicato un documento del 1630, nel quale il Nostro entra in società con uno sconosciuto pittore, tale Antonio Cimino, con l’intento di esercitare la compravendita di dipinti e di eseguire «qualsivoglia quadri, et figure di qualsivoglia sorta ... ad oglio come a fresco».
Pur in assenza di tele certe e documentate, sulla base di queste poche notizie e di considerazioni di carattere stilistico, la critica ha ricostruito un catalogo dell’artista a partire da un «Vaso di fiori» in collezione Rivet a Parigi, su cui si legge la data 1626 e da una coppia di vasi di fiori in collezione Romano, di cui uno siglato «G.R.», di impostazione arcaica, tale da non generare dubbi con la sigla di Giuseppe Recco.
Negli ultimi anni, ad ulteriore conferma della confusione che regna sovrana in campo attribuzionistico, sono passati in asta numerose opere assegnate più o meno forzatamente a Giacomo Recco, che è così divenuto, da pittore senza quadri, artista di riferimento di una folla di anonimi autori di dipinti di fiori i più varii, nel cui ambìto contenitore di fiorante entrano ed escono le tele più disparate.
Le opere raggruppate sotto il nome di Giacomo Recco, pur nell’ipotesi che la critica cambi completamente le sue valutazioni da un momento all’altro, presentano una serie di caratteri distintivi molto particolari, che sono espressione di una personalità artistica ancora attirata dal repertorio cinquecentesco ricco di fregi e di decorazioni, poco o nulla toccata dai risultati delle indagini luministiche e nello stesso tempo fortemente influenzata dalla leziosità ed artificiosità dei fioranti fiamminghi.
Il vaso assurge a punto focale della composizione e, riccamente decorato, ha pari dignità con i fiori, disposti sempre simmetricamente ed illuminati in maniera innaturale, pur se definiti minuziosamente nella loro verità ottica, tanto da sfidare la precisione scientifica di uno Jacopo Ligozzi.
Delle caratteristiche che riscontriamo completamente nel dipinto che presentiamo ai lettori: un Vaso di fiori (tav.2) della collezione Terragno di Lecce.
La fama di Giacomo Recco è legata alla sua abilità di fiorante, quasi uno specialista nella specialità, e aumentò con ogni probabilità contemporaneamente a quella di Mario Nuzzi detto Mario dei fiori, a lungo erroneamente ritenuto regnicolo, il cui nome crebbe nei secoli, mentre il prestigio di Giacomo in poco tempo svanì quasi nel nulla, per riemergere faticosamente dopo oltre 300 anni di oblìo.
I tantissimi inventarî di collezioni napoletane raramente descrivono opere di Recco senior, quello del Vandeneynden riporta un suo quadro di frutti di mare e pesci. Altri documenti ricordano stranamente, uccellami e frutta, pesci ed una figura rappresentante la pietà, mai un vaso con dei fiori. 

 

tav. 2 - Giacomo Recco -
Natura morta di vaso con fiori (55x42) -
Lecce, collezione Terragno

 

 

martedì 8 febbraio 2022

Cosa (non) consente il possesso dei soldi


 Il Mattino, pag.38, 8 febbraio 2022

L’automazione, i computer, i robot quanto prima libereranno l’umanità dal fardello del lavoro ed anche il denaro, ad esso collegato, andrà in soffitta dopo millenni di baratti e secoli di moneta.
Sarà la più rivoluzionaria delle rivoluzioni alla quale non siamo assolutamente preparati, affezionati come siamo a quei​ simpatici pezzi di carta, sporchi e stropicciati che sono i soldi. Li desideriamo ardentemente, li conserviamo come reliquie nel portafoglio, per averli facciamo qualsiasi cosa, anche lavorare come matti per tutta la vita, per averne di più siamo disposti a tradire un amico, a scavalcare un debole, ad ingannare un avversario.
Crediamo ciecamente che con il loro possesso si possa comperare tutto ciò che si desidera: oltre a vestiti, auto, cibo ed oggetti lussuosi anche il favore degli altri, l’onestà delle donne, la giustizia degli uomini, la coscienza del prossimo.
Se non ne abbiamo la gente ci guarda con insofferenza e con disprezzo, mentre se mostriamo di averne tanto tutti si dimostrano amici.
Dimentichiamo che il denaro non ci permette di acquistare né la salute, né l’amore, né la vera amicizia e neppure la serenità. Con il loro possesso ci procuriamo soltanto l’invidia della gente, l’unica cosa di cui faremmo volentieri a meno.