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fig. 1 - Napoli, chiesa di S. Maria della Consolazione a Villanova (facciata) |
Nel casale di Villanova vi è la chiesa di Santa Maria della Consolazione (fig.1) dalla spettacolare pianta esagonale, realizzata nel 1737 da Ferdinando Sanfelice, regno incontrastato per oltre cinquanta anni del leggendario parroco Giuseppe Capuano, morto in odore di santità.
Una chiesa di grande interesse, fuori dagli itinerari turistici e sconosciuta anche ai cultori del nostro patrimonio artistico, frequentata solo dai fedeli, tra i quali le mie zie: Giuseppina, da poco centenaria, Elena e Adele ed alla quale sono particolarmente affezionato, perché il parroco di cui sopra era un mio pro zio e fra cento anni o poco più mi piacerebbe si celebrasse il mio funerale.
L’interno (fig.2) è allegro, molto luminoso e sembra sollecitare una preghiera di ringraziamento più che una supplica. Ha una storia alle spalle, ma soprattutto un segreto da svelare.
La storia è semplice e lineare: Eleonora Piccolomini, principessa di Bisignano, nel 1488 fece erigere nel suo fondo una cappella. In seguito nel 1537, a seguito di lasciti e donazioni, venne unita a due chiesette in rovina poco distanti: San Giovanni Battista fuori Porta Posillipo, già proprietà dei Guindazzo, donata agli Agostiniani intorno al 1500 e San Pietro.
La chiesa attuale sorge dunque da questo incontro e ne fa fede un pregevole bassorilievo di scuola del Donatello, conservato in sacrestia, datato 1510, che raffigura la Madonna tra San Giovanni Battista e San Pietro.
La veste attuale prese corpo poi nel 1737, dopo i danni causati da un terremoto, ad opera del celebre architetto già citato, il quale da tempo era impegnato con gli Agostiniani nella realizzazione del convento di San Giovanni a Carbonara.
Il risultato entusiasmò il De Dominici il quale affermò: ”che prospetto così vago e accordato, più bello non si può desiderare”. Infatti il Sanfelice adottò una soluzione rivoluzionaria per quell’epoca, collocando su sei pilastri, nell’interno esagonale con tre finestroni, un’unica struttura di copertura con tre capriate in legno, una finta volta incannucciata e tegole.
La facciata, col corpo centrale aggettante fra due rientranti, preannuncia l’andamento planimetrico interno e sicuramente fu modificata nel corso del restauro cui seguì la consacrazione nel 1853, per cui dello stile dell’architetto non conserva che il finestrone.
L’interno rappresenta invece un accattivante esempio di spazio, molto luminoso, modellato da forme geometriche ossequiose della lezione del Borromini. Si può osservare un alternarsi di pareti piane e di pareti curve che sottolinea il dinamismo plastico accentuato dalla presenza della doppia parasta, in modo che l’ordine architettonico accompagni il disegno planimetrico delle pareti: anche la trabeazione, allora, si incurva per accogliere la calotta che completa la piccola abside. Ampi finestroni inondano di luce l’ambiente illuminando i delicati stucchi (fig.3), di alta qualità e di gusto rococò, che decorano la bella volta esagonale, il cui disegno geometrico è accentuato dai bianchi costoloni che si affiancano sulle vele grigie.
A completare l’insieme concorreva il pavimento, in cotto e ceramica, non più presente e l’altare maggiore (fig.4) in lussureggianti marmi policromi, sovrastato da un’opera proveniente dalla chiesa precedente: una tavola della prima metà del Cinquecento, raffigurante la Madonna col Bambino (fig.5-6).
Alla vecchia chiesa appartengono anche i bassorilievi marmorei del lavabo conservato in sacrestia, ricomposti nell’attuale contesto nel 1575, ma risalenti ai primi anni di quel secolo.
Al momento della ricostruzione sanfeliciana risalgono i due spettacolari pendant eseguiti da Paolo Di Majo, che accolgono gioiosamente il visitatore. Essi raffigurano la Natività (fig.7) e la Madonna col Bambino con i santi Agostino, Monica, Gennaro ed Antonio. Ignorati nell’unica monografia sul pittore, scritta dall’illustre studioso Mario Alberto Pavone, sono due autentici capolavori, eseguiti negli anni in cui l’artista lavorava presso la bottega del Solimena, quando questi era intento ad approfondire la sua esperienza in senso classicista. Essi sono la testimonianza della predilezione del Di Majo per formule geometrizzanti e la ripresa di elementi culturali neocinquecenteschi, in opposizione alle contemporanee proposte di Domenico Antonio Vaccaro. L’adesione del pittore alle direttive ecclesiastiche, volte a depurare le immagini sacre da ogni pur minimo carattere di laicità e interessate alla diffusione del culto mariano, si manifesta pienamente nei due dipinti in esame.
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fig. 2 - Napoli, chiesa di S. Maria della Consolazione a Villanova (Interno) |
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fig. 3 - Napoli, chiesa di S. Maria della Consolazione a Villanova (stucchi della volta) |
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fig. 4 -Napoli, chiesa di S. Maria della Consolazione a Villanova (Altare) |
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fig. 5 - Napoli, chiesa di S. Maria della Consolazione a Villanova (tavola cinquecentesca) |
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fig. 6 -Napoli chiesa di S. Maria della Consolazione a Villanova (tavola cinquecentesca) |
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fig. 7 - Paolo di Majo - Nativitá - Napoli chiesa di S. Maria della Consolazione a Villanova |
Del 1639 sono due pannelli ad olio conservati ai lati dell'altare, entrambi siglati ed uno datato. A grandezza naturale rappresentano Sant'Agostino (fig.8) e San Giovanni Battista (fig.9). Di mediocre qualità, mostrano l'artista suggestionato dalle coeve esperienze di ambito iberico, soprattutto il Battista ricorda in qualche aspetto le affilate impostazioni disegnative di Zurbaran . Influsso della cultura spagnola che ritroveremo ancora in alcune delle tele del Marullo, come nella Pesca miracolosa, nella quale è tangibile lo stile del Greco nella definizione delle figure allungate e spigolose.
Dopo la storia e la descrizione dei dipinti passiamo a rivelare il segreto che nasconde la chiesa e che venne scoperto in occasione del terremoto del 1980, quando una parte del pavimento crollò, mettendo in mostra antiche mura, così descritte in una relazione che abbiamo reperito tra polverose carte nell’archivio della Soprintendenza: “ parte di una pavimentazione in cotto maiolicato e in marmo di età quattrocentesca, resti di murazione intonacata, frammenti di lesene cinquecentesche scolpite” e ancora decorazioni parietali che conservano il colore ed una lapide marmorea con stemma e sedile di pietra (fig.10). Sulla tomba si legge chiaramente Ioannes neapolitanus … 1545. Finalmente una data certa, oltre al pavimento della cripta simile a quello cinquecentesco della chiesa di San Giovanni a Carbonara(entrambe dell’ordine degli Agostiniani), sappiamo che Giovanni Napolitano giace lì dal 1545 e da una trentina d’anni in buona compagnia, perché quando nel 1982 i lavori di consolidamento misero alla luce una ventina di scheletri provenienti da una fossa comune, il parroco di allora, don Enrico, volle dar loro una più onorata sepoltura, mettendoli nella tomba del napoletano privilegiato, una decisione misericordiosa in aperto contrasto con le usanze secolari, che hanno sempre previsto un ossario comune per i poveri ed il monumento funebre per il nobile o quanto meno per il ricco.
Nella pianta Carafa del 1775 sono già ben visibili i villaggi di S. Strato, Portaposillipo e Villanova ed il percorso dell’attuale via del Marzano, all’epoca chiamata Malefioccolo. Poco è cambiato da allora, una certa atmosfera paesana sopravvive in queste stradine e nella piccola piazza antistante la chiesa di Villanova, mentre da sempre il parroco, che conosce tutti, termina il suo ufficio con la frase: “la Messa è finita, andate in pace e buona serata”.
Consigliamo, dopo la visita alla chiesa, percorrendo alcune centinaia di metri, di fare la conoscenza di un luogo mitico: il Canalone, del quale molti napoletani hanno sentito parlare, pochi sanno localizzarlo, quasi nessuno lo ha mai percorso.
Per me esso era leggendario perché mia madre, da bambina, siamo negli anni Venti del secolo scorso, lo scendeva e saliva ogni giorno per andare a scuola, cosa impensabile oggi che non facciamo un passo per nessun motivo, condannandoci anzi tempo ad obesità ed arteriosclerosi.
Questo tortuoso tragitto (per il Tuttocittà Salita Villanova) mette in comunicazione via Manzoni con via Posillipo, attraversando da sotto via Petrarca all’altezza della chiesa dei Gesuiti.
Il primo tratto (fig.11) è a gradoni, che dolcemente scendono a valle, costeggiando lussureggianti giardini dove il tempo pare si sia fermato, il secondo (fig.12) è una serie di ripidi scalini che in un battibaleno conducono all’arrivo.
Per tutta la passeggiata, che dura non più di quindici minuti, scorci di panorama mozzafiato ed angoli bucolici inaspettati. Bisogna però tollerare un po’ di rovi ed un po’ di spazzatura portata dalla pioggia, ma di monnezza, almeno in questi ultimi tempi, forse ne troviamo altrettanta nella elegante e centralissima via dei Mille.
Questa originale passeggiata ha costituito l’ultimo appuntamento della stagione 2008 per gli Amici delle chiese napoletane, i quali, dopo lo scarpinetto si rifocillarono abbondantemente, a prezzo fisso, in un famoso ristorante, brindando alla cultura, osannando il presidente (il sottoscritto) e dandosi appuntamento a settembre per un nuovo ciclo di visite delle bellezze napoletane; purtroppo hanno dovuto attendere 7 anni prima di godere di nuovo, apprendendo con gioia le bellezze della nostra amata Napoli.