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fig. 1 Giuseppe Recco - Natura morta di cacciagione 101x76 - firmata . Italia collezione privata |
Il 1656, l’anno fatidico della peste, fu fatale a Napoli per un’intera generazione di artisti, che venne falcidiata dal morbo; stranamente gli specialisti di natura morta superarono quasi tutti indenni questo evento luttuoso e continuarono a lavorare con identica lena senza particolari sussulti.
È dopo la metà del secolo che compare prepotentemente alla ribalta Giuseppe Recco (Napoli 1634 - Alicante 1695) la personalità più importante nel panorama della natura morta napoletana.
Egli fa parte di una grande dinastia di specialisti: suo padre Giacomo, tra i fondatori del genere, suo zio Giovan Battista, ineguagliabile nei suoi caratteristici soggetti di cucina e selvaggina, i figli Elena e Nicola Maria, che seguiranno degnamente le orme paterne.
A differenza degli artisti del settore, Giuseppe Recco spazia con abilità e padronanza tutti i soggetti, dai fiori ai pesci, dagli interni di cucina alla frutta senza contare un lungo periodo della sua attività in cui ritrae senza problemi squisiti dolciumi e preziosi broccati, vetri e tappeti, strumenti musicali e vasi antichi, maioliche e preziosi ricami, con una tale abilità da provocare, secondo lo spiritoso racconto del De Dominici un aborto per la «voglia» ad una donna gravida incantata alla vista dei suoi dolciumi su una tela, riprodotti con tale perfezione da parer veri; né più né meno che un moderno caso di «ekphrasis», cioè di frutta dipinta così bene, che gli uccelli si mettono a svolazzare sul quadro tentando di beccarla.
Il dipinto che vogliamo proporre all’attenzione dei lettori è una Natura morta di cacciagione (fig.1), un soggetto raro nella produzione di Giuseppe, chiaramente firmata in basso a destra (fig.2), che espone una serie di volatili di varie dimensioni dai colori sgargianti preda di un fucile che compare vittorioso nella composizione su una lastra di pietra dai bordi irregolari, mentre sullo sfondo una serie di alberi di alto fusto lascia intravedere uno scorcio di paesaggio con una collinetta dominata da una imponente costruzione.
L’altro dipinto che esaminiamo è una santa in compagnia di un teschio (fig.3), che presenta tutti i caratteri che contraddistinguono la produzione di Andrea Vaccaro dal famoso “sottoinsù”, il dolce girar degli occhi al cielo, derivato dalla lezione di Guido Reni, alle labbra carnose, dall’epidermide alabastrina, all’accurata definizione delle dita affusolate, mentre il corpo è castamente ricoperto da una veste elegante dalle pieghe curate in ogni dettaglio.
Il quadro fa parte di quella produzione per una clientela laica sia napoletana sia spagnola che il Vaccaro, in una tavolozza monotona con facili accordi di bruni e di rossicci, creava con scene bibliche e mitologiche e le sue celebri mezze figure di donne nelle quali persegue un’ideale femminile di sensualità latente; diviene così il pittore della "quotidianità appagante, tranquilla, a volte accattivante, in grado di soddisfare le esigenze di una classe paga della propria condizione, attenta al decoro, poco incline a lasciarsi coinvolgere in stilemi, filosofici letterari, o mode repentine, misurato nel disegno, consolante nell’illustrazione; Andrea ottenne il suo indice di gradimento in quella fascia della società spagnola più austera e di consolidate opinioni e per converso in quelle napoletane di pari stato ed inclinazione" (De Vito).
Tra i suoi dipinti "laici", alcuni, di elevata qualità, sembrano animati da un’agitazione barocca che raggiunge talune volte un coro da melodramma.
Le sue sante, martiri o non, in sofferenza o in estasi che siano, sono donne vive, senza odore di sacrestia, a volte perfino provocanti nel turgore delle forme e nell’espressione di attesa non solo di sposalizio mistico, «col bel girare degli occhi al cielo» (De Dominici) e con le splendide mani dalle dita affusolate a ricoprire i ridondanti seni. Il Vaccaro fu artista abile nel dipingere donne, sante che fossero, pervase da una vena di sottile erotismo, d’epidermide dorata, dai capelli bruni o biondi, di una carnalità desiderabile sulle cui forme egli indugiò spesso compiaciuto col suo pennello, a stuzzicare e lusingare il gusto dei committenti, più sensibili a piacevolezze di soggetto, che a recepire il messaggio devozionale che ne era alla base. Egli si ripeté spesso su due o tre modelli femminili ben scelti, che gli servirono a fornire mezze figure di sante martiri a dovizia tutte piacevoli da guardare, percepite con un’affettuosa partecipazione terrena, velata da una punta di erotismo, con i loro capelli d’oro luccicanti, con le morbide mani carnose e affusolate nelle dita. I volti velati da una sottile malinconia e con un caldo languore nei grandi occhi umidi e bruni, che aggiungono qualcosa di più acuto alla sensazione visiva delle carni plasmate con amore e compiacimento. Le sue sante, tutte espressioni di una terrena beatitudine. L’idea del martirio e della penitenza è sottintesa ad un malizioso compiacimento e venata da una appena percettibile punta di erotismo. Queste eterne bellezze mediterranee dal volto sensuale ed accattivante fanno mostra del loro martirio con indifferenza e con lo sguardo trasognato, incuranti degli affanni terreni e con gli occhi che, pur fissando lo spettatore, sembrano proiettati fuori dal tempo e dallo spazio. Dalle tele promana una dolcezza languida, serena, rassicurante, che ci fa comprendere con quanta calma queste sante, avvolte nelle sete rare delle loro vesti acconciatissime, abbiano affrontato il martirio, sicure della bontà delle loro decisioni, placando e spegnendo ogni sentimento e sensazione negativa quali il dolore, la sofferenza, lo sdegno ed esaltando la calma serafica, la serenità dell’animo, la certezza di una scelta adamantina. La pittura in queste immagini dolcissime e sdolcinate cede il passo alla poesia, che si fa canto soave ed incanta l’osservatore.
Achille della Ragione
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fig. 2 Giuseppe Recco - Natura morta di cacciagione 101 x 76 - Firma . Italia collezione privata |
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fig. 3 - Andrea Vaccaro - Santa in estasi 75 x 61 - Italia collezione privata |