giovedì 16 settembre 2021

Visite guidate ed elezioni comunali

  

 

fig.1 - Foto lista scheda elettorale

 

Amici ed amici degli amici esultate, riprendono le memorabili visite guidate dal celebre condottiero Achille della Ragione, ma prima di segnalarvi le date e cosa ammireremo (consigliandovi dei link per approfondire l’argomento) vi invitiamo a votare alle prossime elezioni comunali il nostro duce, al quale è stata promessa la carica di assessore alla cultura. State attenti al simbolo della scheda (fig.1) nel quale dovete scrivere il  cognome fatidico e non vi confondete con altre liste (fig.2) che appoggiano Bassolino, tenete inoltre presente le opportunità del voto disgiunto: se volete votare per un altro sindaco potete farlo, l’importante che come consigliere comunale votate della Ragione nella lista indicata nella fig.1. Diffondete la notizia ai 4 venti e coinvolgete nel voto amici, parenti, collaterali ed affini.

 

   

fig.2 - Attenzione a non confondersi con altre liste


E passiamo alle visite guidate: cominceremo 


sabato 11 settembre con la chiesa di Piedigrotta (appuntamento alle 10:30) per portarci poi alla chiesa di S. Maria del Parto.
Consultare il link
http://achillecontedilavian.blogspot.com/2012/04/la-fattura-ed-il-diavolo-di-mergellina.html

 
Il 18 settembre andremo per chiese, partendo alle 10:30 con S. Pasquale a Chiaia, poscia ci recheremo in S. Maria in Portico, da lì a S. Giuseppe a Chiaia per concludere nel verde, entrando gratuitamente nei giardini di Villa Pignatelli.


Il 25 settembre una lunga passeggiata in discesa lungo il Petraio con sosta per visitare la chiesa di S. Maria Apparente; appuntamento alle 10:30 al Vomero all’ingresso della funicolare centrale.
Consultare il link
http://achillecontedilavian.blogspot.com/2014/03/il-popolo-delle-scale.html



LA PITTURA DI BATTAGLIA A NAPOLI NEL SEICENTO

 

in copertina
- Carlo Coppola - Scena di Battaglia -
Italia, antiquario Maggio

 scarica il PDF

PREFAZIONE

Questo  libro  vuole  colmare  una  grave  lacuna  proponendo  ai  lettori  un  argomento interessante:  La  pittura  di  battaglia  a  Napoli nel  Seicento,  un  genere  che  incontrò larga affermazione e lusinghiero successo tra i collezionisti.  
La nobiltà amava adornare le pareti dei propri saloni con delle battaglie raffiguranti singoli  atti  di  eroismo  o  complessi  combattimenti  che  esaltavano  il  patriottismo  e l’abilità bellica, virtù nelle quali i nobili amavano identificarsi.  
Anche  la  Chiesa  fu  in  prima  fila  nelle  committenze,  incaricando  gli  artisti  di raffigurare gli spettacolari trionfi della Cristianità sugli infedeli, come la memorabile battaglia  navale  di  Lepanto  del  1571,  che  segnò  una  svolta  storica  con  la  grande vittoria  sui  Turchi,  divenendo  ripetuto  motivo  iconografico  pregno  di  valenza devozionale.
Altri  temi  cari  alla  Chiesa  nell’ambito  del  genere  furono  ricavati  dall’Antico  e  dal Nuovo Testamento, quali la Vittoria di Costantino a ponte Milvio o il San Giacomo alla battaglia di Clodio, argomenti trattati magistralmente da Aniello Falcone, che fu il più preclaro interprete della specialità, “Oracolo” riconosciuto ed apprezzato.  
A Napoli fu molto diffuso il sottile piacere della contemplazione delle battaglie presso masochistici voyeurs, che prediligevano circondarsi, non di procaci nudi femminili dalle forme  aggraziate  ed  accattivanti  o  di  tranquilli  paesaggi,  né  di  severi  ritratti  o  di languide nature morte, bensì di gente che si azzuffava a piedi o  a cavallo, usando spade sguainate ed appuntiti pugnali.  
Non  mi  resta  che  augurare  a  studiosi  ed  appassionati  buona  lettura  dando appuntamento al prossimo libro.

 Achille della Ragione


Napoli ottobre 2021

 
 

in 3° di copertina
- Monogrammista S. R. -
Napoli, collezione della Ragione


scarica il PDF

INDICE
 

  • Prefazione     
  • La pittura di battaglia a Napoli nel Seicento     
  • Battaglisti napoletani in trincea       
  • Pugnae: una memorabile rassegna di battaglisti      
  • Aniello Falcone l'indiscusso oracolo delle battaglie     
  • Una prorompente battaglia di Aniello Falcone        
  • Un Aniello Falcone curiosamente firmato         
  • Andrea De Lione in Mostra a Napoli           
  • I Graziani una dinastia di battaglisti napoletani    
  • Indice delle 48 tavole a colore   

 


1^ edizione - Napoli ottobre 2021



in 4° di copertina
- Salvator Rosa - Battaglia eroica -
Parigi, Louvre
 

 scarica il PDF

 

La Pittura Di Battaglia by kurosp on Scribd


scarica il PDF


Achille della Ragione narra la storia delle scuole mediche di Napoli e Salerno con il primato femminista di Trotula

 
 

 

Il Mattino 16-9-2021


Sifilide, il «il mal napolitain» dei Francesi portato a Parigi dai mercenari di Carlo VIII

Si può dire che la spinta al progresso della medicina nelle scuole salernitana e napoletana, che annoverano primati storici in ambito occidentale, abbia ricevuto un’accelerata quando sono state studiate le malattie sessuali e le pratiche legate al rapporto tra uomo e donna. È una delle conclusioni suggerite dalla lettura di “Una storia ospedaliera gloriosa” di Achille della Ragione.
La prima epidemia conosciuta di lue, la sifilide, scoppiò a Napoli nel 1495, quando la città fu attaccata e assediata dal re francese Carlo VIII, il cui esercito era composto per la maggior parte da mercenari fiamminghi, svizzeri, italiani e spagnoli, spesso puttanieri, se non stupratori.
Un medico Veneziano, che raccontò di malti che perdevano occhi, mani, naso e piedi, così descrisse i sintomi: «Al momento in cui pubblico la mia opera, tramite un contatto venereo è giunta a noi dall’Occidente una malattia nuova… Tutto il corpo acquista un aspetto così ripugnante, e le sofferenze sono così atroci, soprattutto la notte, che questa malattia sorpassa in orrore la lebbra, generalmente incurabile, o l’elefantiasi, e la vita è in pericolo». Salendo verso Nord l’esercito portò la malattia in tutt’Italia e poi tutta Europa, dove prese il nome di mal francese, mentre in Francia fu battezzata «mal napolitain», I medici napoletani studieranno la lue facendo ampi progressi, più che nel suo trattamento, nell’intuire che si trattava di una infezione trasmissibile per contatto.
La scuola medica salernitana, nata nel IX secolo, ha messo al centro delle proprie ricerche la salute femminile, grazie agli studi di Trotula de Ruggiero. la prima donna gi si preoccupava di aiutare quelle donne che soffrivano perché avrebbero desiderato avere rapporti sessuali, ma non potevano, avendo magari fatto voto di castità. Oppure, i medici tenevano in conto che una donna non volesse avere più figli. Accanto a questi rimedi le donne del tempo potevano avvantaggiarsi di tanti piccoli accorgimenti per la loro bellezza: per rinfrescare l’alito cattivo, per migliorare il colorito o per colorare i capelli».
Pur non essendo così avanti con questa «impostazione femminista», la scuola medica napoletana è nata prima di quella salernitana. Fin dai primi secoli dopo Cristo Napoli fu «»un centro medico di rilevanza straordinaria. Nelle sue scuole cenobitiche esistevano chierici eruditi che, favoriti dal fatto di aver conservata la lingua greca, traducevano Ippocrate, trascrivendo in quei mirabili Codici che, se non fecero progredire la scienza medica, furono certamente utili a conservarla».
C’erano case di cura vere e proprie scuole in cui il monaco medico insegnava i segreti della cura a decine di allievi. Intorno all’ anno Mille in città si contavano 75 ospedali, per lo più vicino alle chiese e di carità. Di questi solo alcuni sono rimasti attivi. Tra i più grandi d'Europa c’è quello degli incurabili, Fondato nel 15533, era tra i più grandi d’Europa con oltre 1500 posti letto suddivisi in specifici reparti, ed era dotato di tutti i servizi necessari a farne una struttura autonoma e avanzata. Della Ragione sottolinea che nella storia medica napoletana molti sono stati gli scienziati illuminati che spesso hanno anche lottato per la libertà del popolo, come Cirillo, Cotugno, Sarcone, Amantea, Chiari, Santoro, Boccanegra, Scotti e deHoratiis.

Ugo Cundari


Achille della Ragione
Una gloriosa storia ospedaliera
edizioni Napoli arte
pagine 211 euro 14


mercoledì 1 settembre 2021

Una guizzante natura morta di Giuseppe Recco

  

    

fig.1 - Giuseppe Recco
- Natura morta di pesci - 45x33 -
Berlino, collezione Thomas Gonzales


Il dipinto (fig.1) di cui ci interesseremo in questo articolo è stato eseguito da Giuseppe Recco e rappresenta il delicato momento del trapasso tra la  vita e la morte, una specialità nella quale il Nostro pittore era particolarmente abile.
Il 1656, l’anno fatidico della peste, fu fatale a Napoli per  un’interagenerazione di artisti, che venne falcidiata dal morbo; stranamente gli specialisti di natura morta superarono quasi tutti indenni  questo evento luttuoso e continuarono a lavorare con identica lena senza particolari sussulti. È dopo la metà del secolo che compare prepotentemente alla ribalta Giuseppe Recco (Napoli 1634 – Alicante 1695) la personalità più importante nel panorama della natura morta napoletana. Egli fa parte di una grande dinastia di specialisti: suo padre Giacomo, tra i fondatori del genere, suo zio Giovan Battista, ineguagliabile nei suoi caratteristici soggetti di cucina e selvaggina, i figli Elena e Nicola Maria, che seguiranno degnamente le orme paterne.      
A differenza degli artisti del settore, Giuseppe Recco spazia con abilità e padronanza tutti i soggetti, dai fiori ai pesci, dagli interni di cucina alla frutta senza contare un lungo periodo della sua attività in cui ritrae senza problemi squisiti dolciumi e preziosi broccati, vetri e tappeti, strumenti musicali e vasi antichi, maioliche e preziosi ricami, con una tale abilità da provocare, secondo lo spiritoso racconto del De Dominici un aborto per la «voglia» ad una donna gravida incantata alla vista dei suoi dolciumi su una tela, riprodotti con tale perfezione da parer veri; né più né meno che un moderno caso di «ekphrasis», cioè di frutta dipinta così bene, che gli uccelli si mettono a svolazzare sul quadro tentando di beccarla.
Il suo spessore culturale è poderoso ed i suoi riferimenti spaziano dalla pittura romana alla lombarda, dalla spagnola alla nordica. «Tutto il repertorio sperimentato dai maestri che lo hanno preceduto ritorna nella sfera ombrosa e scintillante della qualità visiva di Giuseppe: i fiori del padre Giacomo e la frutta di Luca Forte e del Maestro del Palazzo San Gervasio, ma forse soprattutto la luce cruda e macilenta  elo spessore vitale della verità di Giovan Battista Recco rifioriscono con un furore tumultuoso ed incessante nell’immaginazione di Giuseppe» (Volpe).
A lungo la critica ha contrapposto la sua figura a quella di Giovan Battista Ruoppolo, ritenendo l’uno specialista di pesci, l’altro di frutta, ma il progredire degli studi ha mostrato tutti i limiti di questa sterile dicotomia  e ci ha restituito un artista parimenti abile in tutti i settori della natura  morta. Ai due pittori ho dedicato una poderosa monografia (fig.2), più volte ristampata e consultabile in rete, digitandone il titolo e sulla copertina compare un dipinto (fig.3) della mia collezione, presentato in varie mostre ed al quale sono particolarmente affezionato.
La culla come apprendista di Giuseppe è presumibilmente nell’alveo della tradizione familiare, ove gli era agevole ammirare il gran bouquet luminoso di vaga ascendenza nordica del padre Giacomo, respirare aria di sughi prelibati cotti in antichi tegami di coccio nelle cucine dello zio Giovan Battista, senza però trascurare di osservare attentamente le grandi esplosioni luminose ed incontrollate di Paolo Porpora.
Il De Dominici gli assegna giovanissimo un viaggio in Lombardia al seguito del padre, ove avrebbe fatto la conoscenza della originale pittura del Baschenis, direttamente o tramite il Bettera.
Una serie d’elementi sui quali ritorneremo, quando parleremo del suo titolo di cavaliere e della sua pittura di sapore lombardo, fanno escludere l’ipotesi di questo viaggio. I suoi esordi sono viceversa nel segno di un rispetto assoluto del dato naturale di ascendenza caravaggesca, pur in un contesto culturale come quello napoletano che si avviava a cedere completamente alle novità del Barocco, portate al trionfo dal genio travolgente di Luca Giordano. Egli combatterà quasi da solo con grande dignità, novello  don Chisciotte contro i mulini a vento. Egli «respinge l’addolcimento del tonalismo, lo sgranarsi dorato delle superfici, il giuoco della vibrazione cromatica dell’insieme, vorrà farsi l’araldo di un richiamo all’ordine, contro questa dissoluzione dei tempi moderni, questa pittura che gli appariva facile, rapida, sciatta, così distante dagli eroici modelli di tanti illustri predecessori» (Causa).


Achille della Ragione 

 

fig,2 - Copertina monografia

 

 

fig3 - Giuseppe Recco -
Natura morta di pesci con gatto - 73x100 - siglato G. R -
Napoli, collezione della Ragione

 

 

 

Un capolavoro di Sebastiano Conca

  

fig.1 - Sebastiano Conca
- Tomiri riceve la testa di Ciro - 123x95 -
Italia antiquario Maggio

 

Il dipinto (fig.1) di cui tratteremo in questo articolo rappresentaTomiri, vissuta   nel sesto secolo a.C., una  regina dei Massageti, un popolo iranico stanziato in Asia centrale, ad est del mar Caspio con al suo fianco la testa dell’imperatore persiano   Ciro il grande, che invase il suo paese per cercare di conquistarlo, ma fu catturato e decapitato. Il quadro è stato a lungo di proprietà di una nobile famiglia di Avellino e da poco è passato nella collezione del celebre antiquario Andrea Maggio.
In relazione a questo soggetto, esiste un'altra versione assegnata a Sebastiano Conca, conservata all'Aquila presso la Cassa di Risparmio, della quale esiste una foto nell’ Archivio fotografico Fondazione Federico Zeri (fig.2).La versione dell'Aquila differisce dal dipinto qui trattato per inscritto all'interno del riquadro ovale e per le più ridotte dimensioni.
La struttura disegnativa di chiara derivazione classicista, lo schema compositivo svolto secondo la normativa accademica del ritmo centrale, l'elegante finitezza dei particolari pongono questa tela quale testimonianza emblematica della sua produzione di più elevata qualità.
Vogliamo ora fornire al lettore alcuni dati biografici di Sebastiano Conca, un pittore a cui fu dedicata alcuni decenni fa una esaustiva mostra nella natia Gaeta.  
Sebastiano Conca nacque a Gaeta nel 1680 e morì nella stessa città nel 1764. Chiamato anche "Il cavaliere" era il maggiore di dieci fratelli. Il papà Erasmo era dedito al commercio e il secondogenito Don Nicolò fu arcidiacono della cattedrale di Gaeta. Sebastiano frequentò per oltre 15 anni la scuola napoletana di  Francesco Solimena. Dal 1706 si trasferì a Roma col fratello Giovanni dove si affiancò a Carlo Maratta e svolse una proficua attività di affrescatore e di artista di altari fin oltre il 1750. A contatto con quest'ultimo, il suo stile artistico esuberante si moderò parzialmente. A Roma, patrocinato dal cardinale Ottoboni venne presentato a papa Clemente XI che gli assegnò l'affresco raffigurante Geremia nella basilica di San Giovanni in Laterano. Per il dipinto fu ricompensato dal papa col titolo di cavaliere e dal cardinale con una croce di diamanti.
Nel 1710 aprì una sua accademia, la cosiddetta Accademia del Nudo che attrasse molti allievi da tutta Europa, tra cui Pompeo Batoni, i siciliani Olivio Sozzi e Giuseppe Tresca e Carlo Maratta, e che servì per diffondere il suo stile in tutto il continente. Nel 1729 entrò a far parte dell'Accademia di San Luca e ne divenne direttore dal 1729 al '31 e dal 1739 al '41.
Nell'agosto 1731 il pittore fu chiamato a Siena per affrescare l'abside della Chiesa della Santissima Annunziata, per volontà testamentaria del rettore del Santa Maria della Scala, Ugolino Billò. Il lavoro venne terminato nell'aprile del 1732. Con la "Probatica Piscina" (o "Piscina di Siloan"), Conca si guadagnò la diffusa ammirazione dei contemporanei. In particolare, furono apprezzati l'ampio respiro dell'opera e la sapiente composizione, fedele al racconto evangelico e ricca di scrupolosi dettagli. Fu in seguito tra l'altro al servizio della corte sabauda, e lavorò all'oratorio di San Filippo e alla chiesa di Santa Teresa a Torino. Nel 1739 scrisse un libro dal titolo Ammonimenti, contenente precetti morali e artistici e dedicato a tutti i giovani che avessero voluto diventare pittori.
Dopo il suo ritorno a Napoli nel 1752, Conca passò, dalle esperienze classicheggiante, ai canoni, più grandiosi, del tardo barocco e del rococò e si ispirò soprattutto alle opere di Luca Giordano. Grazie all'aiuto del Vanvitelli, ricevette onori e incarichi da Carlo III di Borbone e dai più potenti ordini religiosi partenopei. Le sue opere più impegnative di questi ultimi anni sono andate distrutte, mentre sono rimaste numerose pale per altare di Napoli, tele inviate in Sicilia, i dipinti eseguiti per i benedettini di Aversa (1761) e le Storie di San Francesco da Paola, eseguite tra il 1762 e il 1763 per i Frati Minori del Santuario di Santa Maria di Pozzano a Castellammare. Con decreto regio fu elevato al rango di nobile nel 1757. Le ragioni del suo clamoroso successo si possono riconoscere nelle sue grandi capacità di mediare le diverse componenti artistiche del secolo: quella scenografia, magniloquente e grandiosa, appresa negli anni col Solimena, e quella più misuratamente composta del classicismo riformatore del Maratta. L'abilità del Conca fu dunque di sapersi misurare tanto con la tradizione quanto con le caute novità del momento, dosando e potenziando di volta in volta le diverse e molteplici componenti del linguaggio tardobarocco. Tra i suoi migliori allievi figura Gaetano Lapis, detto anche il Carraccetto. Una discreta celebrità ebbe anche il nipote di Sebastiano, il romano Tommaso Conca. Sebastiano Conca ha lasciato innumerevoli opere, che si stimano in circa 1200 pezzi.

Achille della Ragione

fig.2 - Sebastiano Conca
- Tomiri riceve la testa di Ciro - 24 x17 -
Bologna fondazione Federico Zeri





Un sensuale Rapimento di una fanciulla di Giacomo Del Po

 

tav. 1 - Giacomo Del Po
- Rapimento di una fanciulla - 60x73 -
Italia antiquario Maggio

Un sensuale Rapimento di una fanciulla di Giacomo Del Po Il dipinto di cui parleremo, raffigurante il Rapimento di una fanciulla (fig.1), di proprietà dell’antiquario Maggio, ha creato molto imbarazzo a diversi studiosi per una corretta attribuzione, fino a quando non è stato visionato dal sottoscritto, che ha subito riconosciuto la pennellata di Giacomo Del Po, un artista a me particolarmente caro a cui ho dedicato nel 2011 una corposa monografia (fig.2) più volte ristampata e consultabile in rete digitando il link http://www.guidecampania.com/dellaragione/articolo83/articolo.htm
Alcuni particolari (fig.3–4) sono ripresi da altri quadri dell’artista, il quale nei dipinti di cavalletto, più che nelle numerose decorazioni per le dimore patrizie napoletane mostra una variazione nello stile e nella cromia delle immagini, che diventano oniriche ed evanescenti, a dir poco sconvolgente. Il Del Po, attraverso una ripresa mediata delle più antiche fonti rubensiane e del Seicento genovese, poteva così dar vita ad un nuovo linguaggio, impostato su di un’ardita esperienza di capricciose levità cromatiche, inedite, rarefatte, ora asprigne ora preziosamente schiarite, volte alla dissoluzione del vincolo costruttivo in un processo che era, nello stesso tempo, di smaterializzazione delle immagini e di fantasiosa solidificazione di fluttuanti visioni di luce. Veramente un’immissione originale di grande portata per il rinnovamento della scuola napoletana ed il determinarsi dell’infinita serie delle divagazioni rococò. Il pittore modifica poi sensibilmente la sua maniera fondendo gli elementi seicenteschi romani del Gaulli con la lezione del Giordano e le sue formulazioni si svolgono con un gusto tutto personale parallelamente alle nuove sperimentazioni del Solimena, ma completamente distaccate da lui. La tavolozza degrada nei toni più fluidi con tinte grigio argentee, verdi tenui, violacei e amaranto nei toni bassi ed altre miscele di colori ardite ed originali.

 

tav. 2 - Giacomo Del Po - Copertina monografia

Forniamo ora al lettore alcuni cenni sulla sua vita: figlio del pittore e incisore palermitano Pietro del Po (tradizionalmente considerato allievo del Domenichino), si formò presso la bottega del padre e nel 1674 divenne membro dell’Accademia di San Luca. Durante gli anni romani Giacomo dipinse la Madonna col Bambino e i Santi Agostino e Monica della chiesa dei Santi Quattro Coronati e il Riposo durante la fuga in Egitto (1670-75), ora al Museo Civico di Pistoia. Nel 1683 lasciò Roma per trasferirsi a Napoli. Tra il 1685 e il 1688 dipinse le tele per la chiesa di Sant’Antonino a Sorrento (la Madonna col Bambino e San Gaetano, il Riposo durante la fuga in Egitto, la Peste di Sorrento e l’Assedio di Sorrento per mano di Giovanni Grillo). Nei primi anni a Napoli subì l’influsso dell’arte di Luca Giordano, che fu fondamentale per la formazione del suo stile maturo. Fu considerato una personalità di spicco della pittura tardo-barocca napoletana, grazie soprattutto alla fama ottenuta con i suoi dipinti a soggetto sacro (gli affreschi con Storie dell’Antico Testamento nella Cappella Palatina di Palazzo Reale, 1707) e profano (le tele per il soffitto del Palazzo del Belvedere di Vienna, 1722-23) e con le sue pale d’altare (l’Assunzione di San Pietro a Maiella, 1705).
Fu apprezzato anche per i piccoli dipinti a soggetto letterario, come Il paradiso perduto, ispirato all’omonimo poema epico di John Milton.

Achille della Ragione 

 

tav. 3 - Giacomo Del Po - Rapimento di una fanciulla
- 60x73 - (zona centrale) - Italia antiquario Maggio

tav. 3 - Giacomo Del Po - Rapimento di una fanciulla
- 60x73 - (zona centrale) - Italia antiquario Maggio

 

 


Una inedita cacciagione di Baldassarre De Caro

fig.1 - Baldassarre De Caro
- Cacciagione - 60x 93 -
Italia antiquario Maggio

Il dipinto di cui parleremo, di proprietà dell’antiquario Maggio, costituisce una importante aggiunta al catalogo di Baldassarre De Caro e rappresenta una Cacciagione (fig.1) che sembra parlare, soprattutto in alcuni particolari (fig.2) di notevole qualità.
La sua tavolozza a partire dal terzo decennio, in ossequio al magistero che Francesco Solimena imprimeva a tutta la pittura napoletana, si distinse per un cromatismo più greve e cupo, caricandosi di ombre dense e forti contrasti chiaroscurali, in contrasto con i colori vivaci e brillanti adoperati dai tanti fioranti attivi sul mercato all’ombra del Vesuvio nei primi anni del secolo XVIII.
Osservando con attenzione il dipinto in esame possiamo fare nostro il giudizio della Lorenzetti, che definì il De Caro: “un vivo temperamento di pittore, un pungente realista che, con la tecnica di un denso impasto di colore, rappresenta cacciagione, animali, fiori, e, sebbene alquanto ineguale, ebbe grande fama per il suo fervore di naturalista esasperato”.
Le fonti ci hanno tramandato poche notizie sull’artista (1689-Napoli 1750), ma l’abitudine di siglare o firmare le sue opere ha permesso alla critica di formulare un catalogo abbastanza corposo della sua produzione, soprattutto negli ultimi anni grazie alla frequente comparsa di tele nelle aste internazionali e sul mercato. Purtroppo è difficile stabilire una precisa cronologia, per la rarità di date (tra le poche eccezioni la tavola del Banco di Napoli eseguita nel 1715 ed una Natura morta con animali e fiori, firmata e datata 1740, in collezione privata a Barcellona, segnalata da Urrea Fernandez) e per uno stile sempre eguale, nel quale non si riesce ad evidenziare una coerente evoluzione.
Abbiamo anche un documento di pagamento reperito da Rizzo, una rarità per quanto riguarda i generisti napoletani; la polizza si riferisce alla cifra di 38 ducati incassata dal pittore per due quadri il 16 settembre 1720. Secondo il De Dominici: “dal quale apprese primieramente a dipingere fiori, de’quali molti quadri naturalissimi con freschezza e maestria ha dipinto” ed il Giannone, egli nasce nel 1689 e fu tra i più bravi allievi di Andrea Belvedere, per cui, almeno inizialmente pittore di fiori, una veste nella quale non abbiamo molti esempi ad eccezione della celebre serie di quattro vasi divisa tra il museo del Banco di Napoli e la pinacoteca di Bari ed un dipinto comparso nel 2000 presso l’antiquario Lampronti a Roma. Si dedicò in seguito alla rappresentazione di animali e selvaggina morta con uno stile, per quanto venato da ambizioni innovative, piuttosto anodino e monocorde.
Con i suoi dipinti incontrò il favore dell’aristocrazia locale e della nascente corte borbonica, come ci racconta il De Dominici: “Baldassar di Caro anch’egli ha l’onore di servire sua Maestà nei suoi bei quadri di cacce, di uccelli e di fiere, come altresì di altri animali, nei quali si è reso singolare, come si vede dalle sue belle opere in casa di molti signori, e massimamente in quella del duca di Mataloni, ove molti quadri di caccia egli ha dipinto… divenendo uno de’ virtuosi professori che fanno onore alla Patria”.


Achille della Ragione

fig.2 - Baldassarre De Caro
- Cacciagione - 60 x 93 - (particolare) -
Italia antiquario Maggio