giovedì 5 aprile 2012

Pittura del Seicento a Napoli da Caravaggio a Massimo Stanzione


26/3/2011

Ho ritardato la recensione dell’ultimo lavoro di Nicola Spinosa sulla Pittura del Seicento a Napoli da Caravaggio a Massimo Stanzione, perché ho voluto prima studiare con attenzione le quasi 500 pagine dell’opera, corredata da altrettante foto, purtroppo solo in piccola parte a colori.
Premetto che si tratta di un libro che non può mancare nella biblioteca sia dello studioso che dell’appassionato, anche se, a dire il vero, si possono avanzare alcune critiche e soprattutto molti attendevano un repertorio del tipo di quello pubblicato nel 1984 dalla Longanesi, questa volta a colori.
La qualità delle immagini talune volte lascia a desiderare, come pure la bibliografia, ampiamente incompleta (e non lo dico perché, a differenza di tutti gli altri libri usciti negli ultimi anni, non ho trovato citato alcun titolo mio).
Gli inediti presentati costituiscono una piacevole sorpresa anche per coloro che sfogliano i cataloghi delle principali aste internazionali o compulsano quei siti specializzati, come Art Price o Arcadia, che rappresentano un vero progresso ed un aiuto necessario per lo specialista.
Il libro era atteso e pubblicizzato da tempo e ad esso ne seguirà un secondo(pare a marzo, ma meglio non fidarsi) che dovrebbe concludere la carrellata nel secolo d’oro della pittura napoletana, trattando diffusamente di Luca Giordano e Mattia Preti, oltre che della natura morta. 
Cominciamo il nostro commento seguendo rigorosamente l’ordine alfabetico.
Ignorato Altobello, vengono trattati per la prima volta i tardo manieristi protrudenti nel Seicento, una piacevole novità perché nelle grandi mostre del passato questi artisti, alcuni molto validi come il Santafede o il Corenzio, erano stati semplicemente ignorati. Sono esaminati alcuni dipinti di Azzolino, Baglione e Balducci e del primo viene presentato un interessante Cristo risorto (01) transitato tempo fa sul mercato antiquario internazionale (sul libro foto in bianco e nero).


Dopo Barra e Bassante si passa al Beltrano del quale vengono presentati quattro inediti tra i quali spiccano: un’Adorazione dei Magi di una collezione privata spagnola, che richiama la grande pala eseguita per la cattedrale di Pozzuoli ed un Sacrificio di Isacco (02) dai colori smaglianti, molto vicino al dipinto di analogo soggetto conservato nella Galleria Nazionale di Palazzo Spinola a Genova.


La figura di Cornelio Brusco, vicina a quella di Filippo Napoletano e Scipione Compagno è stata identificata con precisione grazie agli studi della Nappi e finalmente gli viene dedicata una certa attenzione con ben cinque dipinti nel repertorio, tra cui, un affollato Paradiso (03) della raccolta De Giovanni.


Per il Caracciolo poche le novità, tra cui un’interessante Adorazione dei pastori, ma la cosa che più ha meravigliato è l’aver visto presentata come autografa la Santissima Trinità e Paradiso (04) della Chiesa del Gesù Nuovo, a lungo ritenuta da Spinosa del Beltrano(come indica ancora il cartellino alla base della pala) ed oggi spostata a Battistello, senza tener alcun conto di un mio articolo del 2005 (Un capolavoro ritrovato, consultabile sul web), ripreso due volte nelle mie monografie sul Beltrano e su Massimo Stanzione e la sua scuola, nel quale pubblicavo il documento di pagamento dell’opera ed il suo vero autore: Bernardo Azzolino.


Cavallino, uno dei pittori preferiti dall’autore, è trattato con competenza, attraverso numerosi dipinti transitati negli ultimi anni sul mercato. Mi ha intrigato molto una versione di Ester ed Assuero, ma propongo ad i lettori uno splendido Ratto di Europa (05), collocabile sul finire degli anni Quaranta, già pubblicato ma poco noto anche agli specialisti.  

Carlo Coppola è uno degli allievi più quotati della bottega del Falcone, in grado alcune volte di esprimersi a livelli notevoli, come nel caso della Decapitazione di San Gennaro nella Solfatara (06) della Galleria Canesso di Parigi.

Belisario Corenzio, per decenni ras incontrastato nel settore delle decorazioni ad affresco fino alla metà del secolo, è presente con una delle rare opere di cavalletto certe del suo catalogo: una Salomè con la testa del Battista(07) databile nel secondo decennio ed ispirata ai modelli resi celebri in città dal Caravaggio. 
Il De Bellis è un altro degli artisti più studiati da Spinosa e nel repertorio sono presentati numerosi dipinti, tra i quali spicca per lucentezza cromatica e delicatezza formale  un piccolo quanto prezioso rame raffigurante un Riposo durante la fuga in Egitto(08) proveniente dal mercato londinese.



Andrea De Lione viene tratteggiato con accuratezza con oltre 15 esempi dai più famosi ad alcuni inediti, tra i quali abbiamo scelto un soggetto dall’iconografia insolita un’Allegoria della medicina (09).
Anche a Pacecco De Rosa è dedicato uno spazio insolito per un minore e tra le varie tele, alcune certamente eseguite in collaborazione col patrigno Filippo Vitale, giganteggia una S. Barbara (010) dalla potente forza espressiva, che coniuga l’eleganza della Gentileschi alle esperienze del Guarino e dello Stanzione.



Di De Simone sono illustrati alcuni interessanti inediti, tra cui particolarmente interessante un’Adorazione dei pastori, una variante della tela che si conserva in Spagna nel monastero di Montserrat, ma vogliamo discutere di un altro più famoso dipinto: la Decollazione di San Gennaro (011) della quadreria del Pio Monte di Misericordia, che da tempo riteniamo debba essere espunta dal catalogo dell’artista per essere assegnata senza ombra di dubbio al Coppola, essendo presenti alcuni dei caratteri patognomonici del pittore, dal muso dei cavalli allungato e con gli occhi protrudenti alla lucentezza delle armature.
  

Di Juan Do finalmente è uscita una tela firmata e datata 1639: un Martirio di San Lorenzo, copia da Ribera, in un retablo conservato nella Cattedrale di Granada, che permette di conoscere meglio la figura di questo artista, ritenuto da una parte della critica il Maestro dell’Annuncio ai pastori. 
Il capitolo su Falcone è uno dei più densi del libro, ricco di inediti e di puntualizzazioni con 25 dipinti illustrati, ma tra questi abbiamo scelto l’unico che ci sembra dubbio: il famoso La tunica di Giuseppe portata a Giacobbe(012), già nella collezione D’Errico a Matera, il quale negli anni ha sopportato le più diverse attribuzioni da parte degli studiosi, oscillando da Baburen a De Bellis, per finire mestamente  nella recente mostra Ritorno al Barocco sotto la dizione di anonimo attivo intorno al 1635, con una corposa scheda di due pagine a firma dello stesso Spinosa, che non riusciamo a capire come abbia potuto in così breve tempo cambiare idea.

Finoglio è adeguatamente rappresentato, ma con opere già conosciute e pubblicate, mentre di Louis Finson, uno degli amici nordici del Caravaggio, attivo per alcuni anni a Napoli, vengono presentate alcune novità, da una sensuale Betsabea al bagno ad una cruenta Decollazione del Battista, ma la tela che maggiormente ci ha affascinato è stata una fantasmagorica Allegoria delle quattro stagioni (013), già presso l’antiquario Rob Smeets di Ginevra, che allude alla trasformazione circolare dei quattro elementi o, più probabilmente, allo scorrere inesorabile del tempo, dalla giovinezza alla vecchiaia.


I fratelli Fracanzano, Cesare e Francesco, sono indagati attraverso la discussione dei quadri più noti e  di numerosi inediti, come per il primo dei due germani un Pitagora dalla potente forza espressiva, oltre ad alcune tele in cui viene costantemente adoperata la stessa modella dal profilo aquilino e dai capelli di un biondo dorato. Tra queste, trascurando due importanti novità: una Maddalena in meditazione ed una S. Apollonia, abbiamo scelto un’insolita iconografia, confusa in passato con una Carità. Si tratta viceversa di una Madre morente(014) conservata nel Kunsthinstoriches di Vienna, la quale, ferita a morte, offre il seno al suo pargoletto, che invece del latte sugge il suo sangue.


Per Francesco abbiamo preferito La buona ventura(015), uno dei suoi primi lavori, vicino ai modi pittorici del Ribera e del Maestro dell’Annuncio ai pastori, resa con delicate stesure cromatiche e collocabile intorno al 1640, vicino alle famose composizioni site a Napoli nella chiesa di San Gregorio Armeno.



A Domenico Gargiulo, più noto come Micco Spadaro, sono dedicate 30 immagini, dai dipinti più famosi a più di un inedito, da una S. Maria Egiziaca in preghiera ad un Mosè salvato dalle acque.  Ci ha sbalordito una Incoronazione della Vergine(016) di una raccolta spagnola, intrisa di luce e di colori smaglianti, affine per eleganza formale e grazia espressiva alle soluzioni del Grechetto e del Poussin, ma pregno della delicatezza di un Cavallino. La presenza della sigla ci permette di aggiungere con certezza al catalogo del pittore un vero capolavoro del tutto alieno alla consueta produzione dell’artista.


Di Artemisia Gentileschi vengono documentati dipinti importanti, ma tutti già noti alla critica, mentre per Guarino si scoprono più di un quadro nuovo. Abbiamo privilegiato una S. Lucia(017) nella chiesa di San Giacomo degli Spagnoli, genericamente assegnata alla bottega stanzionesca, che un recente restauro ha permesso di assegnare al maestro solofrano nella sua fase giovanile, in contiguità con la S. Cristina della pinacoteca di Pesaro e la S. Caterina d’Alessandria del museo di Porto Rico  e prima della più matura Sant’Agata di Capodimonte, uno dei più alti raggiungimenti della pittura napoletana del Seicento.


Dopo Lanfranco e Filippo Napoletano, di Ascanio Luciani, un poco noto quanto abile quadraturista, viene presentata una coppia di Rovine architettoniche (018), firmate e datate 1669, veramente superbe, mentre del Largo San Domenico Maggiore, nel museo di San Martino, a lungo nel limbo degli ignoti, ne viene proposta, anche se con cautela, la paternità.


Denso il capitolo sul Maestro dell’Annuncio ai pastori, per il quale si mette in dubbio l’identificazione con Juan Do. La fase naturalista caratterizzata dal tremendo impasto è quella più rappresentata e le attribuzioni sono tutte cogenti ad eccezione del Perseo e Fineo che, a nostro modesto parere, è opera del De Simone. La fase pittoricistica, con avvicinamento ai modi luminosi e composti di Massimo Stanzione, si può apprezzare nel Lot e le figlie(019), una composizione piena di luce e di colore da collocare cronologicamente vicina alla Natività di Castellammare di Stabia.


La figura del Maestro dell’Emmaus di Pau viene distinta da quella del giovane Filippo Vitale ed a tal proposito lo Spinosa afferma che sia opportuno sospendere il parere su questa ipotesi avanzata dai curatori di una mostra sull’artista, recentemente tenutasi a Milano, in attesa di valutare con l’ausilio di dati documentari una vicenda complessa ed ancora confusa.
Diverso l’atteggiamento riguardo al Maestro di Fontanarosa da identificare non più, come propugnava Bologna, con Girolamo de Magistro, bensì, come sostiene Porzio, con Giuseppe di Guido. Di questo autore ancora misterioso, dal forte naturalismo e dall’impronta para battistelliana, proponiamo(con una nostro foto a colori) un San Sebastiano curato da sant’Irene(020) della collezione D’Antonio di Napoli, da datare dopo il 1632, l’anno in cui è documentato un intervento del di Guido nel cassettonato della chiesa di San Gregorio Armeno.

A Giuseppe Marullo, costantemente ignorato nelle grandi mostre sulla pittura napoletana,  finalmente viene dedicata attenzione, forse grazie anche alla monografia da me dedicata all’artista, ma non devo illudermi, l’autore non ha compulsato il mio testo, altrimenti non avrebbe indicato come sua prima opera la Sacra Famiglia della chiesa dei Santi Severino e Sossio (tra l’altro erroneamente datata 1631 al posto del 1633) invece della Madonna col Bambino e due sante della chiesa delle Pentite di Castrovillari in Calabria, firmata e datata 1631.
Il Marullo, sul quale pesa la definizione del Causa, che lo bollò “un ritardatario provinciale ispido e legnoso”, è viceversa un pittore in grado di esprimersi spesso ad un livello elevato, come nella tela di collezione Luongo a Roma o nel San Giovanni Battista(tav. 21), che presentiamo con una nostra foto a colori, nel repertorio illustrato in bianco e nero come inedito (è la quarta di copertina della nostra monografia del gennaio 2006!) e datato alla fine del quinto decennio, mentre è chiaramente firmato e datato 1635.

Caravaggio è presente con una miscellanea delle sue principali opere eseguite nei suoi due soggiorni napoletani, mentre di Onofrio Palumbo sono presentate alcune novità, tra le quali una sensuale Maddalena penitente(022), in un atteggiamento tra il devoto ed il contemplativo, tale però da esporre all’ammirazione dell’osservatore le forme aggraziate della conturbante fanciulla.

Ribera è uno dei cavalli di battaglia di Spinosa, riconosciuto universalmente come il massimo esperto del pittore. Negli ultimi anni il Papi ha spostato la produzione del Maestro del Giudizio di Salomone nel catalogo di Ribera giovane, attivo a Roma per alcuni anni, prima del definitivo trasferimento a Napoli nel 1616(documenti recentissimi hanno retrodatato al 1613 il suo arrivo nella città eterna), un’ipotesi che oramai è accettata da gran parte della critica e che, almeno per alcuni dipinti, è stata accolta dallo stesso Spinosa.
Tra le opere giovanili proponiamo una Susanna e i vecchioni(023) nella quale la fisionomia di uno dei due vegliardi, che cercarono di sedurre la casta fanciulla, si ripete in alcune composizioni successive.

Poca attenzione per Salvator Rosa di cui si discute brevemente di soli cinque quadri, mentre per Nunzio Rossi si presenta una splendida Adorazione dei pastori(024) di prepotente impatto cromatico.
Per Schonfeld si possono ammirare alcune novità, forse non tutte del periodo napoletano, al fianco di quadri già noti come la Madonna col Bambino della collezione Garzilli.

Sellitto, un pittore potente tra i primi seguaci del Caravaggio a Napoli, è spesso trascurato dagli studi e sarebbe necessaria una nuova monografia, essendo oramai superata quella del 1977, nella quale includere alcune importanti aggiunte, come ad esempio la Lavanda dei piedi, già in collezione Gaetani d’Aragona.
Van Somer è un altro dei “pallini” dell’autore, che non solo presenta alcuni inediti, come il Sacrificio di Noè(025), databile al quinquennio 1635 – ’40, ma opera autorevolmente anche alcuni cambi di attribuzione.
Anche Spinelli è stato più volte trattato da Spinosa in specifici contributi, che hanno messo in risalto il carattere originale di questo bizzarro artista, in grado talune volte di adoperare materie cromatiche rischiarate e preziose, come nella Giuditta si accinge a mozzare la testa ad Oloferne(026), uno dei raggiungimenti più alti del pittore.

Stanzione ha lo spazio che si merita con circa trenta quadri commentati, tra i quali, finalmente a colori, la straordinaria Cleopatra dell’Hermitage. Abbiamo però scelto una tela meno nota, da poco entrata nel catalogo del pittore ed esposta nella pinacoteca nazionale di Cosenza, che, anche se fuori dai grandi circuiti espositivi, merita una visita. Si tratta di un  Lot e le figlie(027), un soggetto più volte trattato da Stanzione, questa volta reso con una particolare attenzione alla resa espressiva delle figure.

Vaccaro, sul quale si reclama una monografia, più volte annunciata da vari studiosi, è trattato con competenza ed attraverso alcune nuove proposte attributive. Tra le composizioni di più ampio respiro con numerosi personaggi vi è il Pasce oves meas(028), con la figura del Cristo che si staglia poderosa, identica a quella della  tela della Galleria di Dresda, distrutta durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale.

Chiude la rassegna lo Zampieri, più noto come Domenichino con alcuni celebri affreschi ed i rami della Cappella del Tesoro di San Gennaro e prima di lui il Vitale, autore dal poderoso linguaggio naturalista, spesso attivo a quattro mani col figliastro Pacecco, come nel Suicidio di Lucrezia(029) di una raccolta privata, vicino ai modi pittorici del Guarino e del de Simone.

Concludiamo affermando che il libro di Spinosa rappresenta un contributo fondamentale sulla pittura napoletana del Seicento ed uno dei pochissimi di grande formato, assieme al catalogo della mostra Ritorno al Barocco ed al volume sui Dipinti del XVII secolo della scuola napoletana nelle collezioni borboniche e post unitarie, pubblicati negli ultimi anni, segnati da una crisi economica che ha investito anche l’editoria.

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