giovedì 5 aprile 2012

Accanimento legislativo


5/3/2011

Di nuovo torna alla Camera il disegno di legge sul testamento biologico, il quale dovrebbe definire il confine tra la vita e la morte, armonizzare il diritto all’autodeterminazione con l’obbligo per tutti i cittadini di sottostare alle leggi. 
La responsabilità dei parlamentari è tremenda: imbalsamare in uno o più comma il momento più tragico dell’esistenza.
Ma quanti si interrogano su quando la vita finisca? Fortunatamente della problematica la Chiesa non se ne è mai interessata e questo disinteresse ha favorito il progresso della scienza dei trapianti, a differenza delle tecniche di fecondazione assistita o dell’aborto, che cozzano contro il dogma dell’animazione coincidente con la fecondazione, sancito nel 1869 da Pio IX nella”Apostolicae sedis”. 
A questa conclusione si è giunti dopo che sulla spinosa questione si erano espressi tutti i maggiori studiosi cristiani, da Tertulliano a S. Agostino, fino a giungere a S. Alberto Magno, che candidamente asseriva che il maschio possedeva un’anima dopo 40 giorni dal concepimento, mentre la donna dopo 90 e S. Tommaso d’Aquino, sul cui pensiero si fonda la teologia e l’etica cristiana, che sosteneva la tesi dell’animazione ritardata, prima della nascita, ma molto tempo dopo la fecondazione.
Non mi dilungo perché vorrei invitare a meditare sul preciso momento della morte. 
Pochi sanno che il cuore adoperato per un trapianto è perfettamente pulsante, anche se il vecchio proprietario ha il cervello che non funziona più (elettroencefalogramma piatto). 
Una situazione identica a tanti ricoverati da anni, senza speranza, nei nostri centri di rianimazione, anche loro con il cervello distrutto, ma con un cuore o i polmoni malandati che non interessano per un trapianto. 
Se a questi soggetti asportassimo il cuore senza utilizzarlo sarebbe eutanasia? 
E come mai non lo è se l’organo serve per un trapianto? 
Alcune cellule resistono alla mancanza di ossigeno più delle altre, ad esempio le cellule pilifere vivono fino a 6 giorni dopo la morte ufficiale, anche dopo il seppellimento del corpo. In caso di morte traumatica in un giovane è impressionante, vegliando il cadavere, scoprire che al mattino ci vorrebbe il barbiere.
La delicata linea di confine tra l’inizio e la fine della vita mal si presta ad essere delineata con precisione, se si vuole trovare una risposta unicamente biologica, che non può soddisfare pienamente. 
Una verità difficile da accettare per il laico, che non voglia travalicare nella scienza come dogma. 
Un argomento che diverrà sempre più scottante, che ha costituito per oltre trent’anni per il sottoscritto, come medico e come libero pensatore, oggetto di studio e riflessione, senza speranza oramai di una risposta soddisfacente e definitiva. 

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