giovedì 5 aprile 2012

Una grandiosa festa dimenticata: le Quarant’ore

26/2/2011

Tra l’arrivo in città nel 1683, come viceré, del marchese del Carpio, che proveniva da Roma, dove era stato ambasciatore di Spagna ed il 1759, anno della partenza di Carlo di Borbone, Napoli è teatro di una stagione scintillante di feste di piazza, celebrazioni sacre, allestimenti all’aperto ed apparati effimeri di ogni genere, che per ottanta anni allietano la vita dei cittadini, dai più ricchi ai più poveri, lasciando un segno indelebile su tutte le forme di arte praticate in città, dalla pittura di paesaggio al capriccio architettonico, dalla natura morta alla decorazione d’interni, oltre alla stessa architettura.
Il modello seguito fu quello romano della travolgente festa barocca, tradotto in realtà da artisti regnicoli con in testa Luca Giordano, il suo allievo de Matteis ed una serie di specialisti di natura morta, mentre tra i mecenati committenti si distinse il viceré in persona.
Il luogo principale dove si svolgevano questi eventi fu Palazzo Reale, con l’ampio spazio davanti alla sua facciata, all’epoca chiamato Largo di Palazzo. 
Tra queste chiassose feste di popolo spiccava il Carnevale con l’attesissimo rito della Cuccagna, quando alla classe sociale più sfavorita, costituita dai lazzari, veniva consentito l’effimero ribaltamento della quotidiana emarginazione, secondo un costume paternalistico che, per quanto sapientemente ritualizzato, sfociava spesso in risse prima del saccheggio finale della macchina, carica di ogni ben di Dio.

La festa con i suoi mirabolanti apparati scenici, frutto del sapiente lavoro di artigiani specializzati, assomigliava ad una cometa luminosa che appare all’orizzonte per sparire rapidamente, lasciando però dopo di sé una corposa scia di cronache, immortalate da illustrazioni a stampa, ma anche da quadri che ci permettono di conservare un’idea abbastanza precisa di quelle feste tanto attese e vissute con ampia partecipazione emotiva dalla cittadinanza.
Un olio su rame di Tommaso Ruiz ci ricorda la spettacolare macchina di cuccagna innalzata nel 1740 in Largo di Palazzo in occasione dei festeggiamenti per la nascita dell’Infanta Reale, mentre una serie di tele di Joli, commissionate da un “milordo” durante un canonico Grand Tour, fissano i momenti culminanti di quelle indimenticabili feste.
Un reperto prezioso di macchina effimera è costituito da un apparato per la festa delle Quarant’ore, conservato in una chiesa di Castellamare di Stabia, che, con i suoi 10 metri di altezza e la sua sfavillante raggiera di legno dorato, chissà quante volte avrà svolto la sua funzione di far da spettacolare cornice al rito di veglia e preghiera durante l’esposizione pasquale del Sacramento.

Ma il nucleo più avvincente e singolare è costituito dalle quattro enormi tele dipinte da Luca Giordano in collaborazione con numerosi altri artisti, collegabili ad uno dei più straordinari apparati scenici promossi dal marchese del Carpio, quello allestito nel 1684, probabilmente nella Cappella di Palazzo Reale, in occasione della festività del Corpus Domini, uno dei più importanti episodi di committenza artistica della seconda metà del Seicento a Napoli, portando ad un grado di spettacolarizzazione mai concepito prima di allora la tradizionale metafora dell’eucarestia, che si basa sulla visualizzazione dell’abbondanza spirituale della grazia divina attraverso la ricchezza materiale dei frutti della terra, del mare e del cielo.
Il celebre pittore progettò un apparato che constava di ben 14 enormi tele, in cui le figure umane da lui dipinte svolgevano un ruolo di fatto sussidiario a fronte del dilagante protagonismo di fiori, pesci, ortaggi, armenti, cacciagione e frutta. A dipingere i quali chiamò i maggiori specialisti del momento: Abraham Brueghel, Giovan Battista Ruoppolo, Giuseppe Recco e Francesco della Quosta, mantenendo ben saldo il timone di tutta l’operazione, come testimonia il particolarissimo modo con cui si firma per l’occasione: Jordanus accordavit.
Quadri di altissima qualità, purtroppo finiti ad adornare lontane collezioni ed ancor più antichi musei stranieri dall’Olanda all’Australia, che si sono potute ammirare anni fa grazie ad una mostra organizzata da Riccardo Lattuada.

I sontuosi quadroni del Corpus Domini, qualcuno per fortuna visibile nel museo di Capodimonte, traboccano di vitalità ed estro decorativo e costituiscono senza dubbio oltre che una palpitante testimonianza, una vera e propria gioia per gli occhi, a dimostrazione lampante di quanto l’effimero barocco sia stato capace di sfuggire al suo destino di precarietà, riuscendo ad imprimere il suo sigillo nell’eternità dell’arte. 
Da queste grandi tele, adoperate fastosamente per un evento effimero, deriva la profonda svolta in senso scenografico, che mutò il corso della natura morta a Napoli, promuovendola a genere, una importante corrente nel mare esuberante del barocco napoletano.

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