domenica 22 settembre 2024

Prima visita guidata gratuita

Maschio Angioino

Esultate! venerdì 27 settembre vi sarà la prima visita guidata, gratuita per gli ultrasessantenni. Appuntamento alle ore 15:00 all'ingresso del Maschio Angioino, di cui approfondiremo gli infiniti dipinti custoditi nel museo Civico.

Oltre a leggere il mio articolo che segue, vi consiglio di recarvi sul mio blog www.dellaragione.eu e consultare l'articolo Museo civico di Castel Nuovo. 

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Castelnuovo una superba fortezza


Il cortile, con la scala della Sala dei Baroni;
e la capella di Santa Barbara

Nel 1266 Carlo D’Angiò, quando conquistò Napoli, non trovò adeguata la residenza reale di Castelcapuano, nonostante Federico II l’avesse resa sfarzosa, per cui volle costruirsi un castello fortificato che affacciasse sul mare. Scelse il “Campus Oppidi”, una località fuori dalle mura, dove sorgeva una chiesetta francescana, che venne demolita e ricostruita altrove. Affidò i lavori a due architetti francesi, Pierre De Chaule e Pierre D’Angicourt, che, lavorando alacremente, la completarono in soli 56 mesi, dotandola di 4 torri di difesa, un profondo fossato ed un ampio ingresso, al quale si accedeva da un ponte levatoio. Il re non riuscì mai ad abitarla perché impegnato nei Vespri Siciliani, scoppiati nel 1282, ed a sedare una sommossa popolare a Napoli.

 

Particolare dell'Arco di Trionfo

Ne prese possesso nel 1285 suo figlio Carlo II, il quale provvide ad abbellirla, affidando le decorazioni interne a Pietro Cavallini e Montano D’Arezzo, mentre il suo successore Roberto D’Angiò, detto il “Saggio”, si servì anche del sommo Giotto, a Napoli dal 1328 al 1333, il quale affrescò le pareti della cappella palatina con scene del Vecchio e del Nuovo Testamento, di cui rimangono piccoli lacerti, ma che all’epoca furono molto ammirate, anche dal Petrarca, che le descrisse nell’ ”Itinerarium Syriacum”.

Il re fu grande amante delle lettere e delle arti per cui creò un vero e proprio cenacolo con pittori, letterati e poeti, oltre ad una rinomata scuola di giuristi: da Andrea D’Isernia a Bartolomeo Caracciolo e Cino da Pistoia.

Tra le mura di Castelnuovo si consumò anche il “gran rifiuto” di Celestino V, uno dei pochi precedenti, in 2000 anni di Chiesa, dell’abdicazione di Benedetto XVI. Il 12 dicembre 1294, nella sala maggiore, da allora detta del “tinello”, il vecchio eremita, davanti alle alte cariche della Chiesa, lesse l’abiura, si sfilò l’anello, rimase in cotta bianca, benedì il popolo e si ritirò a vita privata. Dieci giorni dopo, nella stessa sala, il conclave elesse pontefice Benedetto Caetani, il famigerato Bonifacio VIII, che Dante collocò nell’Inferno.

  

Sala dei Baroni

Alla morte di Roberto I il Saggio, il “Maschio” fu abitato da Giovanna D’Angiò, donna dai costumi disinibiti, che fece uccidere il marito, fratello del re d’Ungheria, scatenando le ire del popolo guidato da Tommaso De Jaca, che fu eliminato dall’amante della regina. A vendicare il fratello intervenne personalmente il sovrano magiaro, il quale saccheggiò il castello, senza però catturare la regina, scappata prudentemente in Francia.

Il maniero fu ridotto in uno stato pietoso a tal punto che alcuni storici raccontano che divenne una sorta di lupanare. A consolidare questa leggenda collaborò anche la seconda regina di nome Giovanna, sorella di Ladislao, la quale consumò una serie frenetica di amplessi con giovani di ogni estrazione sociale, che, dopo la coniuxio, venivano eliminati attraverso una botola.

Nel 1442 vi fu un cambio di dinastia con la corona di Napoli cinta da Alfonso D’Aragona, detto il ”Magnanimo”, grande mecenate e protettore delle arti, sul modello di Lorenzo il Magnifico a Firenze. Fondò la celebre Accademia Pontaniana, che riunì i migliori ingegni del tempo, da Sannazaro a Summonte, fino a Masuccio Salernitano, autore del “Novellino”, una raccolta di novelle alla maniera del Boccaccio. Il re fece imponenti lavori di consolidamento ed anche gli ambienti interni furono abbelliti da maestri spagnoli, quali Guglielmo Segrera, a tal punto che il pontefice Pio II paragonò il castello alla reggia di Dario.

La sala maggiore è un miracolo di statica architettonica con il soffitto a costoloni. Essa prese il nome di “Sala dei Baroni” perché nel 1486 il figlio di Alfonso, Ferrante D’Aragona, riunì tutti i nobili del regno, che gli erano ostili e, fingendo una tregua, diede ordine di arrestarli in massa.

Alfonso volle lasciare un messaggio ai posteri del suo ingresso in città e fece erigere uno spettacolare Arco di Trionfo che rappresenta una delle più belle opere del Rinascimento, al quale lavorarono Guglielmo Da Majano, Luciano Laurana, il Pisanello e Pietro Da Milano, i quali realizzarono un delicato equilibrio tra volumi e spazi, coniugando valori plastici ed architettonici in un insieme estremamente armonioso.

La realtà storica è alquanto diversa  perché Alfonso conquistò la città non attraverso una battaglia, bensì introducendosi con i suoi guerrieri attraverso una cloaca, sbucando da un pozzo in un cortile di Santa Sofia: a conferma della verità, vi è una pensione annua di 36 ducati alla portiera dello stabile, le cui ricevute sono conservate nella Tesoreria Aragonese.

Grande interesse rivestono le porte di bronzo del castello, attualmente conservate nel Museo Civico del Maschio Angioino, che presentano degli squarci: in uno di questi fa bella mostra di sé una palla di cannone. I sotterranei del castello presentano tetre prigioni corredate da catene arrugginite e porte cigolanti.

Durante gli scontri tra Spagnoli e Francesi, Carlo VIII saccheggiò il maniero che, piano piano, perse d’importanza, nonostante Carlo V vi soggiornasse nel 1535 e Don Pedro Da Toledo lo circondasse con un’ampia cinta bastionata.

 

La volta della Sala dei Baroni

I Borbone preferirono altre sfarzose residenze, anche se Ferdinando I provvide, con un agile ponte, a collegarlo al Palazzo Reale.

Nel secolo scorso la decadenza ha raggiunto l’acme quando fu trasformato in uffici, tra i quali la Direzione della Nettezza Urbana, e soprattutto, la Sala dei Baroni, che aveva accolto Pontefici e Cardinali, Re e Regine, si trasformò in aula del Consiglio Comunale, dove gli eletti del popolo si abbandonavano ad insulti e scazzottate, mentre turbe di disoccupati esasperati lo assediavano reclamando il miraggio di un lavoro.

 

La porta bronzea



giovedì 19 settembre 2024

Museo civico di Castel Nuovo


Castel Nuovo 

Il museo civico di Castel Nuovo è un museo di Napoli inaugurato nel 1990 ed ubicato all'interno dell'omonimo castello, meglio noto come Maschio Angioino.

 il cortile del Castel Nuovo:
la cappella Palatina e l'ala sud,
oggi museo civico di Castel Nuovo.

La raccolta museale inizia con alcuni ambienti del castello quali la cappella Palatina e la sala dell'Armeria, per poi arrivare ai primi due piani nei quali sono esposti sculture, oggetti e dipinti dall'epoca medievale al tardo ottocento.

Cappella Palatina

La Cappella Palatina

La prima sala è costituita dalla cappella Palatina (dedicata a san Sebastiano o santa Barbara), risalente al 1307. La cappella presenta un portale rinascimentale con rilievi (Natività e Madonna e Angeli di Andrea dell'Aquila e di Francesco Laurana), sormontato da un rosone, opera di Matteo Forcimanya appartenente alla scuola catalana.

All'interno si conservano pitture giottesche, avanzi decorativi attribuiti a Maso di Banco e un ciborio quattrocentesco di Iacopo della Pila. Vi sono inoltre custoditi altri cicli di affreschi del XIV secolo provenienti dal castello del Balzo di Casaluce e il ciborio trecentesco di San Gennaro extra Moenia.

Di particolare importanza sono le pregevoli sculture effettuate da artisti che lavorarono anche all'arco trionfale di Alfonso V d'Aragona (XV secolo), esempi del rinascimento napoletano. Tra queste due Madonna in trono col Bambino di Francesco Laurana, una delle quali detta anche Madonna del Passero, proveniente da Sant'Agostino alla Zecca. Quest'opera fu fatta durante il primo soggiorno napoletano dell'artista e si avvicina di più, nello stile, all'arco alfonsino fatto dallo stesso Laurana. L'altra opera del Laurana, invece, fu scolpita durante il secondo soggiorno napoletano avvenuto nel 1474 e la scultura fu fatta proprio per la cappella Palatina.

Altre opere di primissimo ordine sono quelle di Domenico Gagini, allievo di Donatello e Brunelleschi, che di fronte uno all'altro, eseguì due Tabernacoli con la Madonna e il Bambino posizionati sulle pareti laterali ed una Madonna col Bambino proveniente dall'Annunziata Maggiore.

L'interno della cappella presentava affreschi di Giotto, eseguiti verso il 1330, che riprendevano le Storie del Vecchio e Nuovo Testamento. Il contenuto di questo ciclo di affreschi è quasi interamente perduto anche se ve ne rimangono parti decorative negli sguanci delle finestre che ricordano quelli della cappella Bardi in Santa Croce a Firenze. Sono infine esposti oggetti in argento che costituivano gran parte delle suppellettili della basilica della Santissima Annunziata Maggiore, tra cui spiccano candelieri di epoca barocca

Alcune opere della Cappella Palatina

 Madonna in trono col Bambino (o del Passero),
Francesco Laura

Tabernacolo con Madonna col Bambino,
Domenico Gagini


  • Anonimo Campana bronzea di santa Barbara (antica dedicataria della cappella)
  • Domenico Gagini Madonna col Bambino, due devoti ed angeli (Tabernacolo 78x204)
  • Madonna col Bambino (scultura in marmo)
  • Tabernacolo (scultura in marmo)
  • Giotto Scene bibliche (diversi frammenti del ciclo di affreschi della cappella)
  • Francesco Laurana Madonna col Bambino (scultura in marmo 147 cm)
  • Madonna in trono col Bambino (scultura in marmo 160 cm)
  • Arcangelo Michele (scultura in marmo)
  • Jacopo della Pila Ciborio (1481)
  • Terzo Maestro di Casaluce Storia di sant'Antonio Abate (affresco dal castello del Balzo)
  • Santo benedettino (affresco dal castello del Balzo)
  • Maria Maddalena (affresco dal castello del Balzo)
  • Niccolò di Tommaso Storie di san Guglielmo di Gellone (diversi frammenti del ciclo di affreschi provenienti dal castello del Balzo)
  • San Pietro Celestino (papa Celestine V) (affresco dal castello del Balzo)
  • Raimondo del Balzo presentato da san Guglielmo di Gellone (affresco dal castello del Balzo)

Sala dell'Armeria

Entrati nella sala, si nota subito una vasca di villa suburbana, del V secolo, rivestita da lastre di marmo bianco su cui si inserisce la cortina muraria angioina. La parte più antica di tali reperti, databili I secolo a.C., è localizzata nella parte orientale della sala ed è rappresentata da un'abside che si apre in cinque nicchie semicircolari. L'ipotesi più accreditata, è che si tratti di una piscina appartenente ad una villa dell'epoca, probabilmente quella di Licinio Lucullo.

Sono inoltre state rinvenute diverse decine di sepolture, risalenti al periodo in cui quell'area assunse il ruolo di necropoli (VI-XII secolo), con corredi funerari minimi e con alcuni oggetti personali quali anelli, orecchini ed una coppia di speroni in bronzo decorati da un felino.

Primo livello

Il primo piano offre la visita di opere di provenienza da chiese cittadine chiuse o da enti soppressi. Le sale sono in ordine cronologico e si trovano, così come quelle del secondo piano, nell'ala sud-ovest del castello.

Al questo piano è possibile ammirare dipinti del Quattrocento provenienti da Sant'Eligio Maggiore, come una Madonna col Bambino e santi, e numerose tavole del Cinquecento e del Seicento, come una Morte di san Giuseppe di Paolo De Matteis.

Dalla chiesa dei Santi Bernardo e Margherita a Fonseca invece provengono la Madonna in gloria di Paolo Finoglio, Abramo e i tre angeli di Pacecco De Rosa, una copia dell'Ercole e le figlie di Onfale di Bernardo Cavallino. La tela di Francesco Solimena, il Miracolo di San Giovanni di Dio, venne eseguita in occasione della canonizzazione del santo: per quest'opera l'artista si rifà agli affreschi della sacrestia di San Paolo Maggiore. Il Cristo e l'Eterno Padre è invece opera di Fabrizio Santafede.

Dalla basilica della Santissima Annunziata Maggiore proviene il busto reliquiario di santa Barbara in argento, rame e legno intagliato, la Santa Cecilia all'organo di ignoto autore napoletano, una Annunciazione di Andrea Malinconico. Il busto reliquiario di san Gennaro di argentieri napoletani, datato 1639 circa, proviene invece dalla basilica di San Gennaro fuori le mura. Infine, vi si può ammirare poi la quattrocentesca porta bronzea del castello.

Il San Nicola in gloria, firmato e datato 1658 da Luca Giordano, proviene dalla chiesa di San Nicola a Nilo; il Miracolo di san Giovanni di Dio di Francesco Solimena proviene dalla chiesa di Santa Maria della Pace; l'Adorazione dei Magi cinquecentesca fu eseguita per la cappella Palatina del castello da Marco Cardisco il quale, seguendo la lezione di Raffaello, raffigurò nel dipinto i ritratti di Ferdinando I, Alfonso II e Carlo V al posto dei re magi.

Sono presenti infine al pitture di scuola napoletana del Seicento, tra cui dipinti di Mattia Preti e del Domenichino.

Alcune opere del primo piano

Adorazione dei magi
Marco Cardisco

Abramo e i tre angeli
Pacecco De Rosa


Madonna con Bambino e san Mauro Abate
Francesco Solimena

  • Anonimo Busto reliquiario di san Gennaro (argento e rame - 1639)
  • Santa Cecilia all'organo (pittura 1660 circa)
  • Marco Cardisco Adorazione dei magi
  • San Sebastiano
  • San Rocco
  • Jacopo Cestaro San Luca ritrae la Madonna (1740-49 circa)
  • Paolo De Matteis Morte di San Giuseppe
  • Pacecco De Rosa Abramo e i tre angeli (1625–1649)
  • Giuliano Finelli Scultura dell'Immacolata (argento - 1637-40 circa)
  • Paolo Domenico Finoglia Madonna in gloria tra angeli musicanti, san Bernardo, sant'Antonio di Padova e santa Margherita (XVII secolo)
  • Francesco Fracanzano Santa Barbara condotta la martirio (1625-1649)
  • Vincenzo Gemito Testa di fanciullo (scultura in terracotta - 1868-71)
  • Lelio Gilberto Busto reliquario di santa Barbara (argento, rame e legno - 1607)
  • Luca Giordano San Nicola in gloria (1658)
  • Mattia Preti La Madonna con il Bambino e i santi Domenico, Caterina da Siena, Carlo Borromeo, Tommaso d’Aquino ed Agostino
  • Severo Ierace Madonna Immacolata con Dio Padre, san Francesco d'Assisi e san Girolamo (1537)
  • Andrea Malinconico Annunciazione (XVII secolo)
  • Guglielmo Monaco Porta bronzea (XV secolo)
  • Francesco Pagano Madonna con Bambino tra san Gregorio, san Benedetto e donatore (1475-1499)
  • Giuseppe Recco Natura morta con pesci (1665-70)
  • Fabrizio Santafede Cristo e l'Eterno Padre
  • Francesco Solimena Madonna con Bambino e san Mauro Abate (1725-30 circa)
  • Miracolo di san Giovanni di Dio

Secondo livello

Al secondo piano sono conservate opere pittoriche dell'Ottocento e del Novecento oggi di proprietà del Comune di Napoli. Sono inoltre esposte sculture di Vincenzo Gemito ed anche le opere di Francesco Jerace facenti parte della donazione Jerace, avvenuta proprio a favore del Comune.

Il tema delle opere esposte riguarda essenzialmente contenuti patriottici risorgimentali e di valori rivoluzionari improntati al coraggio e al sacrificio per l'Italia. Si registrano inoltre dipinti del genere paesaggistico della scuola di Posillipo, tra cui opere di Federico Rossano.

Alcune opere del secondo piano

Cesare Mormile e la rivolta napoletana del 1547
Vincenzo Marinel


Un rigoroso esame del Sant'Uffizio
 Gioacchino Toma

  • Michele Cammarano Le stragi di Altamura (1863 circa) 
  • Vincenzo Caprile Scena di mercato (1910 circa)
  • Wenzel Franz Ingresso di Garibaldi a Napoli il 7 settembre 1860 (1860-1875)
  • Vincenzo Gemito Il Pescatorello (scultura in bronzo)
  • Francesco Jerace Victa (busto in marmo)
  • Carlotta d'Asburgo a Miramare (busto in marmo)
  • Guappetiello (scultura in gesso)
  • Ritratto di donna (busto in terracotta)
  • Giambattista Vico (busto in terracotta)
  • Miriam (busto in marmo)
  • Antonio Mancini Ritratto della principessa Tina Pignatelli (1905-1917)
  • Francesco Mancini "Lord"
  • Marina di Amalfi (acquerello - 1883)
  • Scontro fra bersaglieri e fanti austriaci
  • Vincenzo Marinelli Cesare Mormile e la rivolta napoletana del 1547
  • Nicola Parisi Carlo Poerio condotto all'ergastolo
  • Giovanni Serritelli Inaugurazione dei bacini di carenaggio
  • Gioacchino Toma Un rigoroso esame del Sant'Uffizio (1864)
  • Carlo Vanvitelli Veduta della nuova strada della Riviera di Chiaia (disegno acquerellato - 1778 circa)


Per concludere in bellezza mostriamo ai nostri lettori una serie di foto di dipinti che si possono ammirare nelle sale del museo 

  Alcuni capolavori del museo civico di Castel Nuovo 

Severo Ierace 
 Immacolata con i Santi
Francesco d'Assisi e Girolamo


Dirk Hendricksz
Martirio di Santa Caterina d'Alessandria
   
Battistello Caracciolo
Crocifissione


Paolo Finoglio
Madonna in gloria tra angeli musicanti
 ed i santi Bernardo,
Antonio di Padova e Margherita

Johan Heinrich Schonfeld
 I tre martiri di Nagasaki

 
Mattia Preti
Madonna del Rosario con San Domenico,
 Santa Caterina da Siena, San Carlo Borromeo
 ed altri santi
 
Luca Giordano 
 San Nicola in gloria

 

Francesco Solimena
Madonna con il Bambino e San Mauro Abate

Andrea Malinconico
Annunciazione

Paolo De Matteis 
 Morte di San Giuseppe

 
Argentieri napoletani
Busto reliquario di San Gennaro

  
 Franz Wenzel
L'ingresso trionfale di Garibaldi a Napoli


 
Vincenzo Caprile
Veduta con la fontana delle zizze

 
Teofilo Patini
Innanzi al bello ogni ferocia è spenta

Camillo Miola
Plauto mugnaio


Nicola Parisi 
 Carlo Poerio condotto all'ergastolo



Gioacchino Toma
 La messa in casa

Vincenzo Gemito
Pescatore

mercoledì 18 settembre 2024

Castel Capuano


Castel Capuano
Parte della facciata principale su via dei Tribunali

Castel Capuano è, dopo il Castel dell'Ovo, il più antico castello di Napoli. Di origine normanna, è situato allo sbocco dell'attuale via dei Tribunali ed è stato sede della sezione civile e penale del tribunale di Napoli (oggi al Centro direzionale). È sede operativa della Scuola Superiore della Magistratura dal 15 maggio 2023. Deve il suo nome al fatto di essere ubicato a ridosso di Porta Capuana, che si apre sulla strada che conduceva all'antica Capua, di cui parleremo in seguito.

La storia

La sua costruzione fu avviata nel 1160 dall'architetto Buono per volere del re di Sicilia Guglielmo I detto il Malo, figlio di Ruggero il Normanno. L’edificio aveva funzioni difensive caratterizzato da robuste fortificazioni, dall'austerità degli ambienti e la sua vocazione naturale di presidio militare. Scavi effettuati nel XIX secolo hanno dimostrato che il castello fu eretto sull'area in cui nella Napoli romana sorgeva una fortellezza presso il Gymnasium e trasformato in un cimitero nei secoli successivi, come è riportato nella Cronaca di Partenope, un trattato anonimo di storia di Napoli compilato al principio del secolo XIV (Libro I, e. 14) e come provano le numerose tombe rinvenute.

Buono, architetto del Castel Capuano


Nel 1231, per iniziativa di Federico II, si ebbe il primo intervento di trasformazione del castello, che pur conservando le sue indispensabili fortificazioni, fu reso più ospitale e meglio rispondente ad ospitare momentaneamente il sovrano di passaggio da Napoli. Ne nominò castellano il suo uomo di fiducia Dipoldo di Dragoni, e usò il castello per custodire importanti prigionieri politici.

Il periodo angioino

Con l'avvento degli Angioini iniziò l'edificazione (1279-82) di una nuova fortezza, Castel Nuovo (o Maschio Angioino), che divenne dimora dei sovrani di Napoli. Castel Capuano continuò ad ospitare fra le sue mura alcuni membri della famiglia reale nonché funzionari e altri illustri ospiti come Francesco Petrarca, che vi soggiornò nel 1370 in qualità di legato di Clemente VI. Durante il regno di Giovanna I (1343-1382) il castello fu sottoposto a nuovi restauri, resi necessari dalle conseguenze del devastante saccheggio subìto ad opera delle truppe di Luigi I d'Ungheria, che furono poi costrette ad abbandonare la città per l'arrivo della peste nera.

Pur rimanendo in secondo piano rispetto alla maestosa sede della corte reale, l'imponente Maschio Angioino, il castello capuano fece da cornice a molti importanti eventi, come lo sfarzoso matrimonio di Carlo di Durazzo, che tanta impressione suscitò negli osservatori del tempo. Fu proprio il figlio di Carlo, Ladislao il Magnanimo (1399-1414), a riprendere brevemente Castel Capuano come propria residenza, mentre sua sorella Giovanna II (1414-1435) fu costretta a rifugiarsi fra le sue mura durante lo scontro con Alfonso V d'Aragona, che aveva stabilito la propria corte in Castel Nuovo. La fortezza subì in questo periodo l'assedio dell'Aragonese, che dovette però arrendersi di fronte all'inespugnabilità della residenza in cui Giovanna aveva trovato riparo. Da qui, la sovrana partì poi alla volta di Aversa, dove nominò suo erede Luigi III d'Angiò in opposizione al ripudiato Alfonso.

Sempre in Castel Capuano, il 23 agosto 1433 morì assassinato il favorito della regina Sergianni Caracciolo, mandato a morte dalla stessa sovrana.

Periodo aragonese e trasformazione da reggia a tribunale

Castel Capuano nel XVII secolo

Sotto il regno degli Aragonesi, il Castel Capuano venne inglobato dentro la nuova cinta muraria, perdendo il ruolo di baluardo difensivo. Negli anni successivi alla conquista della città, Alfonso d'Aragona, nell'attesa del completamento della ricostruzione del Castel Nuovo, lo usò come principale dimora dinastica, facendolo abbellire con cicli di affreschi commissionati al quotato pittore valenciano Jacomart Baco. Il castello visse certamente la sua ora più splendida nella veste di edificio di rappresentanza tra gli anni '70 e '90 del XV secolo, quando Alfonso II di Napoli, duca di Calabria ed erede al trono, profuse enormi somme nel dare vita a un sistema di dimore di "svago" interconnesso nell'area orientale della città, comprendente anche le ville di Poggioreale e della Duchesca e il cui "fulcro" era proprio il grande maniero di fondazione normanna. L'architetto a cui fu affidato il compito di costruire le due ville (oggi non più esistenti) con i loro grandi giardini e la nuova Porta Capuana e di modificare ulteriormente il Castello fu probabilmente Giuliano da Maiano. La documentazione rinvenutaci sui molteplici interventi decorativi è purtroppo molto frammentaria, tuttavia è certo che vi lavorarono gli stessi artisti (Antonello del Perrino, Giacomo Parmense, Calvano da Padova, Luigi La Bella) attivi nell'adiacente Villa della Duchesca.

Nei decenni a cavallo tra i secoli XV e XVI, fu anche scenario di memorabili eventi mondani, come i festeggiamenti delle nozze tra Federico III d'Asburgo e Eleonora d'Aviz (risalenti all'anno 1452), quelli delle nozze tra Sigismondo I di Polonia e Bona Sforza (risalenti al 1517), e alcune rappresentazioni teatrali di opere del Sannazaro accompagnate da fastosi apparati scenografici.

Con l'annessione del Regno di Napoli alla corona di Spagna e la sua costituzione in Vicereame (1503), tutte le dimore abitate in precedenza dai sovrani e dai principi aragonesi (castelli, palazzi e ville) andarono incontro a un inesorabile destino di decadenza. Per il Castel Capuano il canto del cigno nel suo ruolo da reggia lo si ebbe nel 1535, anno nel quale Carlo V d'Asburgo vi dimorò per alcuni mesi di ritorno dalla memorabile impresa della Riconquista di Tunisi, ricevendovi varie delegazioni da altri stati italiani e celebrandovi un ulteriore matrimonio sontuoso di quell'epoca, quello tra il principe di Sulmona, Filippo di Lannoy (a cui lo donò nel momento della partenza) e Isabella Colonna.

Un cambiamento di funzione che inaugurò una nuova epoca nella storia dell'edificio lo si ebbe nell'anno 1537, quando il viceré don Pedro de Toledo, dopo averlo confiscato al proprietario, decise di trasformarlo nel tribunale del Regno, riunendovi tutte le corti di giustizia sparse in diverse sedi in tutta la città: il Sacro Regio Consiglio, la Regia Camera della Sommaria, la Gran Corte Civile e Criminale della Vicaria e il Tribunale della Zecca. Per adattarlo al suo nuovo ruolo di grande palazzo di Giustizia, fu radicalmente modificato dagli architetti Ferdinando Manlio e Giovanni Benincasa: furono eliminate tutte le strutture tipicamente militari e fu ripensato nei suoi spazi interni, mentre i sotterranei furono destinati a prigione dotata di attrezzatissime camere di tortura.

Trasformazioni e restauri

Particolare di una decorazione del soffitto con ritratto lo stemma dei Borbone di Napoli

Nella sua lunga storia, Castel Capuano ha subito numerosi interventi di trasformazione e restauro che ne hanno profondamente cambiato la fisionomia. Già sotto Federico II furono rifatte le mura esterne, con l'apertura delle finte finestre della facciata principale. Durante il periodo aragonese, come è stato detto sopra, venne inglobato dentro la nuova cinta muraria cittadina ed ebbe, prima sotto Alfonso il Magnanimo e poi sotto il duca di Calabria, consistenti interventi di abbellimento prettamente legati alle decorazioni dei saloni, delle logge e del giardino. Il grande rifacimento commissionato da Don Pedro de Toledo utilizzò l'antico impianto della fabbrica, mantenendone la monumentalità, ma privandolo del giardino e di tutti gli abbellimenti decorativi e strutturali fatti appore dagli Aragonesi. Nei decenni successivi vi furono commissionati molteplici interventi decorativi, legati alla sua nuova funzione di tribunale; come non citare al riguardo gli affreschi eseguiti dallo spagnolo Pedro de Rubiales (in precedenza collaboratore del Vasari a Roma) negli ambienti della Regia Camera della Sommaria nel biennio 1547-1548 (pervenutici oggi sono nello spazio dell'Oratorio) e quelli realizzati nel 1608 dal greco-napoletanizzato Belisario Corenzio in quattro "rote" del Sacro Regio Consiglio, visibili ancora in ben tre sale. Nel breve periodo vicereale-austriaco (nonostante la scarsità di notizie) è certo che vennero commissionate ulteriori aggiunte decorative, ispirate nell'esecuzione al nascente gusto rococò, come testimoniato da un superstite boudoir del 1725 affrescato sulle volte e sulle pareti da Antonio Maffei e Tommaso Alfano, sotto la direzione di Ferdinando Sanfelice. Anche nel periodo borbonico gli interventi si limitarono all'aggiunta di nuovi affreschi di carattere prettamente profano: nel 1752 il Salone del Sacro Regio Consiglio venne dipinto negli ornati parietali (tuttora sopravvissuti) da Carlo Amalfi e Giovan Battista Natali, mentre della volta (perduta e sostituita nei primi decenni del '900 da un cassettonato ligneo) se ne occupò il solimenesco Leonardo Olivieri; nel 1770 Antonio Cacciapuoti affrescò insieme ad una squadra di pittori "ornamentisti" il Salone della Sommaria (oggi noto come Salone dei Busti).

Al triennio 1856-1858 va ricondotta l'opera di modifica del castello più profonda dai tempi di Don Pedro: sotto la guida dell'ingegnere Giovanni Riegler, intervenuto originariamente per riparare un dissesto, fu rinnovata la facciata principale e i balconi furono ritrasformati in finestre, scomparvero le arcate del pianterreno e fu costruito un marciapiede lungo tre lati. Il Salone dei Busti che aveva perso gli affreschi della volta a causa di infiltrazioni d'acqua non contrastate per decenni, venne ridecorato (rispettando le parti superstiti) dai pittori pugliesi Biagio Molinaro e Ignazio Perricci. Dopo l'Unità d'Italia sulla facciata esterna fu affisso lo scudo di Casa Savoia, in sostituzione di quello borbonico. Nel corso di ulteriori e meno significativi lavori d'inizio Novecento furono eseguiti presso le fondazioni del castello alcuni scavi, che portarono alla luce dei frammenti di iscrizioni lapidee che hanno confermato la presenza nei pressi dell'antico Gymnasium. Da scavi effettuati nel 1913 sono emerse invece delle tombe con vasi in terracotta e lapidi con iscrizioni latine, che proverebbero il successivo adattamento dell'area alla funzione di cimitero.

Attualmente il castello è interessato da complessi restauri conservativi (finanziati da fondi europei), al termine dei quali verrà riaperto al pubblico.

L'architettura Esterno

Prospetto laterale

Sul portale d'ingresso di Castel Capuano campeggia una lapide che celebra la vittoria di Carlo V a Tunisi e la data in cui il castello divenne sede della Corte di Giustizia. Il portale è poi sormontato da una grande aquila bicipite, stemma della casa reale di Spagna, opera di Francesco Sangallo, e da colonne d'Ercole binate col motto Plus ultra. A un livello superiore domina lo stemma dei Savoia, affisso dopo l'Unità d'Italia in sostituzione di quello dei Borbone. L'orologio della facciata risale invece al 1858.

Superato il portale si accede ad un cortile circondato da un portico sostenuto da pilastri di ordine dorico. Questo spazio rappresenta il nucleo del castello: è qui che si riunivano avvocati, giudici, imputati, testimoni e le folle di cittadini coinvolti nelle vicende giudiziarie o semplicemente curiosi. Da qui si aprono le scalinate che conducono agli ambienti interni del castello.

Sul retro del Castello sorge infine la fontana detta del Formiello. Costruita nel 1490 come abbeveratoio per i cavalli, fu rifatta nel 1583 da Michele de Guido che vi appose gli stemmi del viceré Pedro d'Aragona. La fontana fu chiamata così in quanto alimentata dalle acque dell'omonimo acquedotto.

Interno

Panoramica di una sala che con in vista l'ingresso alla salone dei Busti

Fra le sale interne di Castel Capuano, una delle più interessanti è certamente il Salone della Corte d'Appello, con affreschi di Antonio Cacciapuoti e altri artisti, eseguiti alla fine del XVIII secolo. Il ciclo raffigura allegorie delle province del regno: la provincia dei Marsi, dei Vestini, dei Picentini, degli Irpini, la Lucania, il Brutium Citerius e il Brutium Ulterius.

La sala dei Busti, situata al primo piano, ospita oggi i busti in marmo degli avvocati più famosi del foro di Napoli. In precedenza era la sala dove si tenevano le udienze pubbliche della Camera della Sommaria. Considerato il cuore del castello, oggi vi si celebrano gli avvenimenti solenni e si convocano riunioni straordinarie. Anche in questa sala gli affreschi ripropongono dodici figure femminili rappresentanti le province del regno: le figure poggiano su altrettanti piedistalli, intervallati fra loro da finte colonne. Il soffitto fu affrescato da Ignazio Perricci e Biagio Molinaro ed è diviso in tre campi, ciascuno dei quali celebra la forza ed il trionfo della Giustizia.

Compianto su Cristo morto,
dipinto sull'altare della Chiesa della Sommaria

Dalla sala dei Busti (o salone dei Busti) si accede alla cappella della Sommaria, una sala a pianta quadrata con pareti cieche realizzata verso la metà del Cinquecento.

La sala che oggi ospita la biblioteca fu sede del Gran Consiglio durante il regno degli Angioini, poi sala di udienza della Gran Corte Criminale nel periodo borbonico. Qui furono processati anche i patrioti che parteciparono alla rivoluzione del 1848 contro Ferdinando II. La Biblioteca, trasferita qui da ambienti adiacenti, fu inaugurata il 19 luglio 1896 ed ospita circa 80.000 volumi tra cui rarissime opere dei secoli XVI, XVII e XVIII che costituiscono nel loro insieme il cosiddetto Fondo Antico.

La storia di Castel Capuano si Intreccia con quella di Porta Capuana, per cui vogliamo continuare proponendo un mio articolo che fu pubblicato anni fa a puntate su Il Roma

Porta Capuana e dintorni.

Porta Capuana

La più famosa delle porte napoletane è certamente Porta Capuana, che prende il nome dalla via che conduceva a Capua. Ancora in perfetto stato di conservazione, a differenza dell’affresco di Mattia Preti, commissionato come gli altri nel 1656 a mo’ di gigantesco ex voto per la fine della peste, il quale, complici noncuranza e gas di scarico, è oramai illeggibile. 

Nel ventre di Porta Capuana si cela il mistero dell’antico fiume Sebeto e quanta storia vi è da recuperare tra il Tribunale della Vicaria e Piazza De Nicola. Lì dove scorre l’acqua, dove i Greci scavarono la Bolla, dove il Carmignano inserì i canali del nuovo acquedotto seicentesco, lì, cioè accanto a Porta Capuana, forse scorre ancora, sepolto dalla città moderna, antico fiume Sebeto. Oggi in un’antica struttura di archeologia industriale sorge la sede di “Lanificio 25”, una benemerita associazione, fondata dal chirurgo Franco Rendano e dalla sua nuova compagna, la pittrice Mary Cinque, la quale si propone un recupero dal degrado di luoghi sacri per la storia della città. In un cortile adiacente gli spazi dove da anni si fanno spettacoli ed incontri culturali si accede ad un antro e poi, scendendo scale e gradini, si arriva ad un ipogeo dove il terreno sotto i piedi è sempre umido.

Ci sono giorni, non collegati alle maree o alle fasi lunari, in cui l’acqua sale di livello, e anche molto. Un odore umido e una sensazione lagunare, un po’ come se fossimo nelle fondamenta di Venezia, si intrufola sotto le suole delle scarpe. Nel terreno morbido e intriso si affonda. È questo il Sebeto? L’antico fiume cantato dai poeti romani e dai letterati umanisti? O è uno dei mille canali non censiti dell’acquedotto greco a portare l’acqua sotto il lanificio? La cultura, come l’acqua, scorre a Napoli invisibile: sotto tutta quest’area ancora da recuperare, che include Porta Capuana, la bellissima e assai malridotta chiesa di Santa Caterina a Formiello, il tribunale della Vicaria, e piazza Enrico De Nicola – questa sola, sì, recuperata e ammodernata . c’è un invaso antico, scavi da approfondire, aree da rimettere in sesto e adibire a un rinnovato uso comune.

fontana del formiello
fontana del formiello

La grande bellezza trascurata di via San Giovanni a Carbonara, con la chiesa omonima, fra le più importanti e straripanti tesori della città, la chiesa di Santa Caterina già nominata, l’edicola di San Gennaro disegnata dall’architetto Ferdinando Sanfelice e la fontana detta del Formiello dovrebbe costituire un obiettivo di grande interesse turistico e culturale. Intanto, veniamo alla lapide che testimonia la presenza dell’acqua pubblica, ovvero la bellissima, semplice, elegante, fontana del Formiello: «Philippo regnante siste viator acquas fontis venerare Philippo Sebethus regiquas rigat amne parens hic chorus Aonidum Parnassi haec fluminis unda has tibi Melpomene fonte ministrt acquas Parthenope regis tanti crateris ad oras gesta canit regem fluminis aura refert. MDLXXXIII» Ovvero«Regna Filippo. Fermati o viandante a venerare Re Filippo, presso le acque di questa fonte, che il padre Sebeto alimenta con la sua corrente. Quegli è il coro delle Aonidi, questa è l’acqua del fiume Parnasso. Melpomene stessa ti elargisce da un fonte le sue linfe, Partenope celebra presso le sponde della vasca le imprese di sì grande sovrano ed il mormorio delle onde loda il nostro re. Anno di grazia 1583». Questa elegantissima fontana che porta, come la piazza e la chiesa, la dicitura del Formiello, ovvero «ad formis», ai canali, è ben più antica della lapide che oggi ricordiamo: ve n’è traccia nei documenti trecenteschi – e forse c’era già assai prima – ma prende ufficialmente il suo nome nel 1458, quando re Ferrante d’Aragona decide l’ampliamento delle mura della città.

Un banale abbeveratoio per cavalli dapprincipio: inoltre, il punto di uscita dell’acqua, incanalata dall’acquedotto, non era l’attuale, questa lapide testimonia dunque lo spostamento della fontana stessa dieci anni prima, nel 1573, quando viene commissionata la sua belle veste marmorea (travertino e marmo di Carrara) a tali Maestro Joseppe e Michel De Guido, incaricati dal Tribunale delle Acque. Le parole di pietra incise sulla lapide furono volute dal vicerè d’Ossuna, ovvero Pedro Tellez de Giròn, a seguito di un restauro per il terremoto del 1582. Quando, un secolo dopo circa, si volle inserire in questa bella fontana una statua del re Filippo IV di Spagna, ai Napoletani l’idea non piacque, come già non piaceva il viceregno – continue rivolte. dal 1501 fino a Masaniello lo testimoniano – e si dovette rinunciare. Ne resta il basamento, a corredo degli stemmi reali, delle quattro stagioni e delle teste leonine che ornano il monumento. Per questo la bella fontana appare alta e nuda, decorata ma priva di un protagonista, così che solo l’acqua, oggi ingabbiata, sia pienamente padrona del campo. Ma il mormorio delle onde dovrebbe rievocare agli abitanti del quartiere e della città tutta che qui molta storia è passata, non solo le feroci giostre che disgustavano Petrarca in visita a San Giovanni a Carbonara, ma anche gli allievi di Giotto e Giotto stesso, i grandi pittori del Seicento, che in massa decorarono Santa Caterina a Formiello, i martiri d’Otranto, i famosi quattrocento (ma i resti dei martiri sono di duecentoquaranta corpi) aggrediti dai saraceni che il re di Napoli arrivò tardi a soccorrere, ogni anno rievocati nella favolosa Cattedrale di Otranto, e che sono qui sepolti, a compenso di una grave mancanza. E ancora le storie delle due sante, Caterina d’Alessandria e Caterina da Siena, che intrecciano i loro nomi e la devozione nella chiesa che fu affidata prima ai padri Celestini e poi ad altri ordini. La Caterina d’oriente e quella d’occidente, arrivata seconda ma integrata, conservano la devozione secolare che avvolge la grande insula sacra prossima agli abbeveratoi, alle acque, alle porte della città, insomma a tutte le soglie, da sempre luogo mistico e iniziatico. Ci sarebbero, quindi, fin troppe ragioni per dare nuova forma a quest’intera area urbana: i palazzi, gli scorci di tempi diversi e strati che dal “Lanificio 25” si osservano, recentissimi ed obbrobriosi o modernisti, frutto di archeologia industriale o antichi e antichissimi, elementi di archeologia vera e propria . Come è sempre in quasi tutta Napoli, i tempi coesistono e le pietre, come le persone, ne sono viva e non immobile testimonianza: il difficile – anzi pare bisogna dire: impossibile – è averne cura con coscienza e consapevolezza.

Castel capuano
antica fortezza di Napoli,
 risale al 1160

A breve distanza da porta Capuana sorge Castel Capuano, il più antico maniero napoletano voluto da Gugliemo I, figlio di Ruggero il Normanno e completato nel 1154. All’inizio fu una reggia fortificata, poi con l’avvento degli Svevi, Federico II incaricò Giovanni Pisano di trasformarlo in una sfarzosa dimora. Durante il periodo angioino, i reali alloggiavano nel Maschio Angioino, mentre a Castel Capuano venivano ospitati personaggi illustri come Francesco Petrarca o si svolgevano lussuosi ricevimenti, come in occasione del matrimonio di Carli Durazzo.

Ripetutamente ristrutturato, Pedro di Toledo lo destinò ad accogliere tutte le corti di giustizia sparse per la città, funzione che ha conservato fino a pochi anni fa, mentre i sotterranei furono destinati a carcere. Fino alla costruzione al centro direzionale del discutibile grattacielo, opera di un celebre architetto giapponese, che ospita il nuovo palazzo di giustizia, Castel Capuano era visitato quotidianamente da un fiume di visitatori, che assistevano alla celebrazione dei processi, perché a Napoli da sempre la Giustizia è spettacolo, in ogni caso, quasi costantemente non è una cosa seria!

Gli avvocati distinti in “Paglietta” e “Principi del Foro” hanno costantemente prediletto il gusto di un’oratoria forbita e di un’arringa dai toni drammatici. Generazioni di celebri avvocati si sono alternate nell’agone del Tribunale, da Bartolomeo di Capua ad Andrea D’Isernia, per arrivare a Porzio, Pessina, Leone, De Marsico e ultimi epigoni di una lunga nobiltà forense, Enzi Siniscalchi ed Ivan Montone.

Al primo piano vi era la corte d’appello e ad ancora oggi la spettacolare quanto negletta Camera della Sommaria con sei splendidi dipinti di Pedro De Ruviales, studiati e pubblicati da Ferdinando Bologna.

La memoria di tanta illustre attività forense è racchiusa nel salone dei busti, uno degli spazi più prestigiosi e mirabili di Castel Capuano, luogo familiare per magistrati ed avvocati, il quale ricorda i più eminenti giuristi della insuperata scuola napoletana e rappresenta un vero e proprio museo della scultura partenopea della seconda metà dell’ottocento e del primo novecento con opere di artisti famosi come Francesco Jerace e Filippo Cifariello. Un vero e gioiello che, unito ai molteplici aspetti artistici ed architettonici, deve essere quanto prima restituito alla pubblica fruizione, a rinsaldare il legame tra un monumento straordinario e la città.

Gli uffici al terzo piano di Castel Capuano sono abbandonati da anni. Sul pavimento ci sono polvere, cicche di sigarette, i resti dell’arredo delle cancellerie della sezione fallimentare del Tribunale che lì aveva sede prima del trasferimento al nuovo Palazzo di Giustizia. Sui soffitti ci sono crepe evidenti. A terra, nei corridoi, i faldoni ammassati, che si sta provvedendo gradualmente a de localizzare.

Circa millecinquecento metri quadrati da strappare al’incuria e destinare a nuova vita, ospitando gli uffici del comando provinciale del Corpo Forestale dello Stato. Un progetto importate non soltanto sul fronte dell’impegno economico (i lavori costeranno circa due milioni di euro), ma soprattutto sul fronte della legalità. La presenza del Corpo Forestale nella storica sede di Castel Capuano mira a potenziare la tutela della sicurezza dell’edificio e a lanciare un messaggio alla città, creando un binomio arte e ambiente nel rispetto della legalità. Si inserisce nel più ampio progetto di recupero affinché si apra su Castel Capuano un nuovo capitolo di storia. Nei locali restaurati troverà spazio anche l’esposizione sui “corpi di reato”, è la cultura che esce dall’oblio, la storia che si riappropria dei propri spazi. Così rinasce Castel Capuano. «Abbiamo progetti ambiziosi – spiega il presidente della corte d’appello Antonio Bonajuto – pensiamo di realizzare un museo delle regole per ripercorrere la storia delle leggi, a partire dal codice di Hammurabi, creando un percorso della legalità fino ai giorni nostri. Sarà l’unico museo al mondo di questo tipo.». Con il direttore dell’ufficio speciale del ministero della Giustizia e presidente della Fondazione Castel Capuano, Floretta Rolleri, Bonajuto è tra le anime di questa rinascita. «L’assegnazione dei locali alla Fondazione è stata già fatta – aggiunge Rolleri _ Sono i locali al piano terra adiacenti a quelli dove oggi c’è la mostra sulla storia del castello e i progetti di restauro. C’è anche l’idea di affiancare un museo dei corpi di reato. Abbiamo qui gli archivi con quadri, tra l’altro bellissimi, di falsi d’autore, antiche pistole. Sarebbe un modo per approcciare da un diverso punto di vista alla legalità. Non dimentichiamo che questo castello è stato anche una prigione, ci sono stati i vecchi patrioti. È simbolico anche per questo».

salone dei busti di Castel Capuano

E con un museo il castello sarà aperto ai cittadini, alle scolaresche, ai turisti. Restituito alla città come patrimonio non solo della cultura della giustizia napoletana ma monumento di storia e di arte.

Le scale che dal promo piano, dove c’è il Salone dei Busti, conducono al “Bagno della Regina Giovanna”, murate nell’ottocento, saranno ripristinate. Sarà restaurato lo scalone, il saloncino, e antichi locali dai soffitti affrescati. «Tutto rientra in un progetto che fa parte del grande programma Unesco per il recupero del centro antico – spiega Amalia Scielzo della Soprintendenza per i beni architettonici di Napoli – Con gli interventi previsti, tra l’apertura della porta bassa e l’accesso dal cortile alto al centro antico verso via Tribunali, sarà possibile riscoprire collegamenti che esistevano attraverso una torre che ha un’ antica scala».

E se arrivano i fondi del Pon energia, si investirà anche nell’ottica del risparmio energetico, come già previsto per il nuovo Palazzo di Giustizia: investimento da 40 milioni di euro, speriamo che una volta tanto i buoni propositi non rimangano fantasia e si trasformino in piacevole realtà.


Camera della sommaria


martedì 17 settembre 2024

Castel dell'Ovo Castrum Lucullanum

 

Castel dell'Ovo 

Il Castel dell'Ovo (in latino Castrum Ovi) è il castello più antico della città di Napoli ed è uno degli elementi che spiccano maggiormente nel celebre panorama del golfo. Si trova tra i quartieri di San Ferdinando e Chiaia, di fronte a via Partenope.

Un'antica leggenda vuole che il suo nome derivi dall'aver il poeta latino Virgilio nascosto nelle segrete dell'edificio un uovo magico che aveva il potere di mantenere in piedi l'intera fortezza. La sua rottura avrebbe però provocato non solo il crollo del castello, ma anche una serie di rovinose catastrofi alla città di Napoli. Durante il XIV secolo, al tempo di Giovanna I, il castello subì ingenti danni a causa del crollo parziale dell'arco sul quale è poggiato e, per evitare che tra la popolazione si diffondesse il panico per le presunte future catastrofi che avrebbero colpito la città, la regina dovette giurare di aver sostituito l'uovo.

veduta del castello

Come racconta Bartolomeo Caracciolo detto Carafa (1300-1362) al cap. XVII delle sue ''Chroniche de la inclyta cità de Napole etc.'' - una storia di Napoli che fu in un primo tempo erroneamente attribuita a Giovanni Villani in quanto ne riportava alcuni brani, in realtà Virgilio, divenuto amico dell’allora ''magister civium'' (‘sindaco’) della città, un nipote dell’imperatore Ottaviano Augusto di nome Marcello, era stato da questi ingaggiato come suo consigliere per i lavori di bonifica che urgevano alla città, agglomerato urbano allora molto infetto perché mancante di chiaviche e oppresso da zone paludose, quindi infestato da roditori e insetti apportatori di pestilenze.

Virgilio, buon conoscitore della materia perché istruito in ciò soprattutto dagli insegnamenti del padre, il quale era stato proprietario terriero, agricoltore, apicultore e allevatore, indirizzò e guidò vasti e molteplici lavori di bonifica, anche se, come ricorda l’ubicazione della sua tomba, fu ricordato soprattutto per aver promosso lo scavo originario (o l’allargamento) della lunga galleria sotterranea che portava da Mergellina verso Bagnoli e che evitava ai viaggiatori sia il faticoso scavalcamento della collina di Posillipo sia in alternativa la lunga deviazione per utilizzare l’altro passaggio sotterraneo, quello di Seiano, per raggiungere il quale bisognava però percorrere tutta la costiera di Posillipo.

Poiché tutti quei lavori ebbero grande e straordinario successo, essendosi eliminati così tanti disagi che avevano da secoli reso molto più difficile la vita civile dei napoletani, questi incominciarono appunto a considerare Virgilio una specie di mago, a ciò forse anche indotti dall’appartenere la famiglia di sua madre alla gens Magia. Ma questa diceria dell’uovo nel castello venne fuori in verità non prima del Basso Medioevo, probabilmente inventata per spiegare in una maniera fantastica come il Castrum Lucullianum si fosse guadagnato quel nome popolare di ‘castello dell’ovo’, nome che già si legge nei documenti del secolo tredicesimo relativi al regno di Carlo I d’Angiò e dovuto alla sua forma appunto ovulare, forma che gli era stata data da Ruggiero il Normanno nel secolo precedente quando questo re lo aveva ricostruito sulle rovine preesistenti. Il predetto Carafa riportò quella leggenda con dovizia di particolari e unitamente a diverse altre che riguardavano Virgilio (Era in nel tempo delo dicto Virgilio uno Castello edificato dentro mare sopra uno scoglio come per fino mò; el quale se chiamava ‘lo Castello Marino’ ouero ‘di mare’… Ib. Cap. XXXI).

Vedi a tal proposito Angelo Antonio Scotto (Syllabus Membranorum ad Regiae Siclae Archivum pertinentium. Vol. I, pp. 35-36. Napoli, 1824), il quale, citando il doc. n. 4 del Fascicolo VII, alla nota 2 scrive: … Immo temporis progressu factum est, ut ab OVI figura (nam deridicula est Villani Iohannis fabella Lib. II. cap. 3o.) CASTRUM OVI ipsum Neapolitani nuncuparint, quod et adhuc auditur. Vedi inoltre Mariano de Laurentiis (Antiquitates Campaniae Felicis a Mariano de Laurentiis elucubratae. Pars altera, pp. 146-150. Napoli, 1826), il quale scrive: Gulielmus autem I. Malus nomine arcem Normandicam ibi aedificavit anno MCLXX; hinc ex ea tempestate Ovi Castrum ab insulae rotunditate audiit. Iam ante insula Maior, et Salvatoris insula per patrios auctores fuit compellata, ut inter alios probat Claritus loco ante citato pluribus scriptorum Medii Ævi auctoritatibus. Ma ufficialmente era detto Castrum Salvatóris ad Mare…

La curiosità fu che gli spagnoli del Gran Capitán Gonzalo Fernández de Córdoba che nel 1503 conquistarono il Regno di Napoli, sentendo chiamare il castello ‘Castel dell’Ovo’, capivano, a causa della quasi uguale pronuncia, Castillo del Lobo (‘Castello del Lupo’) e così per un paio di secoli continuarono pertanto a chiamarlo in Spagna e in Fiandra (… Castel del Ovo: a que corruto o nome, çhaman Castel del Lobo. In João de Castro, Discurso da vida do sempre bem vindo et apparecido Rey Dom Sebastiam etc. p. 4 verso. Parigi, 1602.  

Alcuni resti della villa di Lucullo
 al Monte Echia

La Villa di Licinio Lucullo era una villa romana edificata nel I secolo a.C. ed appartenente al ricchissimo Lucio Licinio Lucullo. 

L'estensione della villa andava dall'isolotto di Megaride fino al monte Echia sul lato sud e, molto probabilmente, stando agli ultimi rinvenimenti archeologici, sul lato sud-est anche fino al circondario del Maschio Angioino, nei pressi di piazza Municipio.

La villa era dotata di laghetti di pesci e di moli che si protendevano sul mare, di una ricchissima biblioteca, di allevamenti di murene e di alberi di pesco importati dalla Persia, che per l'epoca erano una novità assieme ai ciliegi che il generale aveva fatto arrivare da Cerasunto. La villa divenne così celebre per i suoi banchetti, tanto che ancora oggi esiste un aggettivo in lingua italiana "luculliano", che sta ad indicare un pasto particolarmente abbondante e delizioso.

Scorcio della "sala delle colonne"
del castel dell'Ovo

Questa architettura antica, data la sua enorme dimensione, è visibile in diversi punti della città di Napoli. Il nucleo più ampio e forse anche più rilevante è quello posto nei sotterranei del castel dell'Ovo, mentre altre tracce della struttura sono visibili sulla collina di Pizzofalcone e molte di esse nei pressi di piazza Municipio, grazie agli ultimi ritrovamenti.

Nel sottosuolo del castel dell'Ovo, vi è la cosiddetta "sala delle colonne", ovvero un antico ambiente della fortezza risalente appunto all'epoca in cui sorgeva sull'isolotto la villa romana di Lucullo. Il nome della sala deriva proprio dalle colonne romane rimaste in piedi.


 scavi di piazza Municipio

Nel corso del tempo la villa ha vissuto comunque rimaneggiamenti che ne hanno fatto perdere sostanzialmente l'antico aspetto sia per mano dell'uomo, che più volte ne ha cambiato la destinazione d'uso modificando tutta l'architettura, sia per le vicissitudini militari susseguitesi nel corso dei secoli e, infine, sia per i vari terremoti che hanno modificato drasticamente la morfologia di quell'area.

Alla morte di Lucullo la villa passa all'imperatore romano, perdendo così di rilevanza, mentre con Valentiniano III, verrà trasformata in una fortezza. Da allora chiamato castellum Lucullanum, questo stato imperiale fu il luogo dell'esilio di Romolo Augustolo, l'ultimo imperatore romano d'Occidente.

Durante il medioevo i monaci bizantini prendono il possesso della villa-fortezza, facendola diventare un monastero. Le sale che edificarono furono fatte sui resti della villa romana, infatti proprio nella sala delle colonne del castel dell'Ovo, costituita da quattro navate con delle volte ad arco rialzato, sono presenti numerose colonne romane che sostengono la struttura. Altre sale sono state destinate poi negli anni successivi a refettori, a luoghi di scrittura, dove venivano trascritti i libri, o ancora a cimiteri per i monaci.

Ulteriori perdite di tracce della villa avvennero alla fine del X secolo, quando il monastero fu distrutto dagli stessi napoletani per paura che potesse essere utilizzato dai Saraceni come avamposto militare. Dopo questo evento, il castello fu ricostruito dai normanni così come lo vediamo oggi, pur conservando nei sotterranei, non aperti al pubblico, ancora alcuni resti dell'abitazione di Lucullo.

Oltre al castel dell'Ovo, altri resti della villa sono ammirabili nella collina di Pizzofalcone, dove nell'VIII-IX secolo a.C. era stato fondato il primo nucleo della città e nei recenti scavi rinvenuti nei pressi di piazza Municipio.

Vista dal mare


Antichità

Il castello sorge sull'isolotto di tufo di Megaride (greco: Megaris), propaggine naturale del monte Echia, che era unito alla terraferma da un sottile istmo di roccia. Questo è il luogo dove venne fondata Partenope nell'VIII secolo a.C., per mano cumana.

Nel I secolo a.C. Lucio Licinio Lucullo acquisì nella zona un fondo assai vasto (che secondo alcune ipotesi andava da Pizzofalcone fino a Pozzuoli) e sull'isola costruì una splendida villa, Villa di Licinio Lucullo, che era dotata di una ricchissima biblioteca, di allevamenti di murene e di alberi di pesco importati dalla Persia, che per l'epoca erano una novità assieme ai ciliegi che il generale aveva fatto arrivare da Cerasunto. La memoria di questa proprietà perdurò nel nome di Castrum Lucullanum che il sito mantenne fino all'età tardoromana.

In tempi più oscuri per l'Impero - metà del V secolo - la villa venne fortificata da Valentiniano III e le toccò la sorte di ospitare il deposto ultimo Imperatore di Roma, Romolo Augusto, nel 476.

Successivamente alla morte di Romolo Augusto, sull'isolotto di Megaride e su monte Echia, già alla fine del V secolo, si insediarono monaci basiliani chiamati dalla Pannonia da una matrona Barbara con le reliquie dell'abate Severino. Allocati inizialmente in celle sparse (dette "romitori basiliani"), i monaci adottarono nel VII secolo la regola benedettina e crearono un importante scriptorium (avendo probabilmente a disposizione anche quanto restava della biblioteca luculliana).

Il Medioevo: il Ducato di Napoli, i re normanni, svevi e angioini


Interno del castello 


Nell'872, sull'isolotto al tempo denominato di San Salvatore i Saraceni imprigionano il vescovo Atanasio di Napoli, ma lo sforzo congiunto delle flotte del Ducato di Napoli e della Repubblica di Amalfi permette di liberare il vescovo e scacciare i musulmani Il complesso conventuale venne però raso al suolo all'inizio del X secolo dai duchi di Napoli, per evitare che vi si fortificassero di nuovo i Saraceni usandolo come base per l'invasione della città, mentre i monaci si ritirarono a Pizzofalcone. In un documento del 1128 nel sito viene nuovamente citata una fortificazione, denominata Arx Sancti Salvatoris dalla chiesa di San Pietro che vi avevano costruito i monaci. Testimone dell'insediamento dei monaci basiliani è proprio quanto resta di questo luogo di culto, fondato dagli stessi monaci e le cui prime notizie risalgono al 1324. L'unico elemento architettonico di rilievo rimasto è l'ingresso preceduto dai grandi archi del loggiato.

Ruggiero il Normanno, conquistando Napoli nel 1140 costruì il castello che venne portato a termine dall'architetto Buono. L'uso abitativo del castello tuttavia veniva sfruttato solo in poche occasioni dato che, con il completamento del Castel Capuano, furono spostate lì tutte le direttrici di sviluppo e di commercio verso terra. Con i Normanni, iniziò un programma di fortificazione sistematica del sito, che ebbe nella torre Normandia il suo primo baluardo, ed era quella su cui sventolavano le bandiere.

Con il passaggio del regno agli Svevi attraverso Costanza d'Altavilla, castel dell'Ovo viene ulteriormente fortificato nel 1222 da Federico II, che fa costruire altre torri - torre di Colleville, torre Maestra e torre di Mezzo. In quegli anni, il castello divenne una residenza e anche prigione di stato.

Il re Carlo I d'Angiò si insediò a Castel Nuovo (Maschio Angioino). Mantenne tuttavia a castel dell'Ovo - che proprio in questo periodo comincia ad essere denominato chateau de l'Oeuf o castrum Ovi incantati - i beni da custodire nel luogo meglio fortificato: ne fece quindi la residenza della famiglia, apportandovi allo scopo numerosi restauri e modifiche, e vi mantenne il tesoro reale. In questo periodo, in quanto prigione di stato, nel castello vi fu rinchiuso Corradino di Svevia prima di essere decapitato nella piazza del Mercato, e i figli di Manfredi e della regina Elena Ducas.

Dopo un evento sismico che nel 1370 aveva fatto crollare l'arco naturale che costituiva l'istmo, la regina Giovanna lo fece ricostruire in muratura, restaurando anche gli edifici normanni. Dopo avere abitato il castello come sovrana, la regina qui venne imprigionata dall'infedele nipote Carlo di Durazzo, prima di finire in esilio a Muro Lucano.

Gli Aragonesi, i viceré, i Borbone

Romitorio Basiliano

Alfonso V d'Aragona, iniziatore della dominazione aragonese a Napoli (1442 – 1503), apportò al castello ulteriori ristrutturazioni, arricchendo il palazzo reale, ripristinando il molo, potenziando le strutture difensive e abbassando le torri.

Successogli al trono il figlio Ferrante I, ricevuti saccheggiamenti dalle milizie francesi, egli per riappropriarsi del castello dovette bombardarlo con l'artiglieria.

Torre dei Normanni

Il castello fu ulteriormente danneggiato dai francesi di Luigi XII e dagli spagnoli di Gonzalo Fernández de Córdoba, che spodestarono per conto di Ferdinando II di Aragona, re di Spagna, l'ultimo re aragonese di Napoli. Nel 1503 l'assedio di Ferdinando il Cattolico demolì definitivamente quanto restava delle torri. Il castello fu allora nuovamente e massicciamente ristrutturato, assumendo la forma che oggi vediamo. Mutati i sistemi di armamento - dalle armi da lancio e da getto alle bombarde - furono ricostruite le torri ottagonali, ispessite le mura, e le strutture difensive furono orientate verso terra, e non più verso il mare. Sconfitti i francesi per due volte, a Cerignola e sul Garigliano, avvenne la completa conquista dell'intero Regno di Napoli in favore della Spagna.

Durante il regno dei Viceré spagnoli e successivamente dei Borbone il castello fu fortificato ancor più con batterie e due ponti levatoi. La struttura perse completamente la funzione di residenza reale e dal XVIII secolo anche il titolo di "fabbrica reale", e venne adibito ad accantonamento ed avamposto militare - dal quale gli spagnoli bombardarono la città durante i moti di Masaniello - e a prigione, dove fu recluso fra gli altri il filosofo Tommaso Campanella prima di essere condannato a morte, e più tardi alcuni giacobini, carbonari e liberali fra cui Carlo Poerio, Luigi Settembrini, Francesco De Sanctis.

Dall'Unità d'Italia a oggi

Durante il periodo del cosiddetto "Risanamento", che cambiò il volto di Napoli dopo l'Unità d'Italia, un progetto elaborato dall'Associazione degli scienziati letterati e artisti nel 1871 prevedeva l'abbattimento del castello per far posto ad un nuovo rione. Nel dopoguerra alcune famiglie della marina militare andarono ad abitare lì, finendo poi di essere sfrattate nel 1980 per il risanamento del castello e per farlo diventare un luogo di cultura per Napoli.

Oggi è annesso allo storico rione di Santa Lucia ed è visitabile. Nelle grandi sale si svolgono mostre, convegni e manifestazioni. Alla sua base sorge il porticciolo turistico del "Borgo Marinari", animato da ristoranti e bar, sede storica di alcuni tra i più prestigiosi circoli nautici napoletani.

La leggenda dell’uovo di Castel dell’Ovo

Ulisse e il canto delle sirene

La leggenda racconta che tanto tempo fa, nel mare di Napoli, vivevano delle sirene (metà donne e metà uccello) e tra queste vi era la sirena Partenope.

La sirena Partenope era una delle tre sorelle che, insieme a Ligia e Leucosia, tentarono con il loro canto melodioso di incantare e far naufragare Ulisse che, scaltramente, per resistere, si fece legare all’albero maestro della nave. Le tre sirene, prese dallo sconforto per il fallimento, si lasciarono, per così dire, andare alla deriva. La leggenda narra che Partenope rimase impigliata tra gli scogli di Megaride, e lì, prima di morire ed essere sepolta, depose un uovo.

Un giorno, il grande poeta latino Publio Virgilio Marone, da tutti considerato anche grande mago e taumaturgo, raccolse l’uovo della sirena in prossimità dell’isolotto di Megaride. Virgilio, credendo che l’uovo raccolto fosse veramente magico e incantato, lo sistemò in una cameretta nei sotterranei di Castel Marino, mettendolo in una caraffa di vetro piena d’acqua protetta da una gabbia di ferro, ed appesa a una pesante trave di quercia. Per questa ragione il Castello fu poi chiamato dell’Ovo.

Secondo la leggenda, se l’uovo fosse stato ritrovato o se si fosse rotto, tutto il castello sarebbe sprofondato in mare ed una serie di sventure avrebbe colpito la città di Napoli.

Fino ad oggi nessuno ha ancora rinvenuto l’uovo e quindi, a tutt’ora, la leggenda tiene legati il destino dell’uovo unitamente a quello del Castello e dell’intera città di Napoli.

La leggenda è di origine medioevale e risulta fosse già in circolazione dal 300 d.C.

La collocazione nelle segrete dell’allora “Castel Marino” di un uovo magico equivaleva a mettere al sicuro e nascondere l’anima della città; dall’integrità di quest’uovo custodito in una caraffa di vetro, a sua volta racchiusa in una gabbia metallica, sarebbe dipeso il destino del popolo partenopeo.

La stanza in cui si trova quest’uovo, secondo altre fonti, si identifica con lo stesso ipogeo nel quale dovrebbe essere sepolta la sirena Partenope.

Nel mondo dell’esoterismo con il termine “uovo” (o meglio nel simbolo dell’uovo filosofico) ci si riferisce all’elemento alchemico dell’Athanor, piccolo contenitore di metallo o di un particolare vetro, utilizzato per la lenta trasmutazione degli elementi primari in metallo prezioso, ovvero in oro. Gli esperimenti esoterici e magici avvenivano nel segreto di alcuni monasteri e anche sull’isolotto di Megaride si ha notizia della presenza di monaci alchimisti.

La verità sulla reale identità dell’uovo è però andata perduta: le pergamene su cui erano annotati gli studi alchemici di Virgilio furono rubate dalla sua tomba da un medico inglese, durante l’assedio di Ruggiero il Normanno. E da allora non se ne ha più notizia.

La leggenda e il legame tra Virgilio e Napoli

Publius Vergilius Maro

A Napoli, anche grazie a questa leggenda, la figura di Virgilio è nota e tramandata soprattutto come immagine di mago e taumaturgo, oltre che di poeta (forse per aver aderito al neopitagorismo, corrente filosofica e magica molto diffusa in tutta la Magna Grecia, o per la passione per la religione e la divinazione). È quasi riconosciuto come un nume tutelare, protettore della città con la sua aura magica, e per questo addirittura considerato come patrono di Napoli prima di San Gennaro.

Secondo la tradizione partenopea, in tutto il territorio che va dai Campi Flegrei a Napoli ci sono i segni del suo intervento prodigioso, come la costruzione dei bagni termali di Baia e Pozzuoli, la prodigiosa perforazione della Crypta Neapolitana, realizzata con l’aiuto di una schiera di demoni, e il prosciugamento di paludi insalubri che portavano la peste. Si narra anche che incantò le acque sorgive della spiaggia platamonia, dandogli la potenza per guarire ogni malattia.

Gli sono stati attribuiti anche una serie di atti magici, come la creazione di una mosca e una sanguisuga d’oro capaci di tenere lontani i loro fastidiosi consimili naturali che infestavano Napoli, oppure la creazione di un cavallo in metallo, con la virtù di sanare quelli veri, che assurse a simbolo nelle insegne cittadine.Ai pescatori della città fece ottenere ricchissima pesca grazie ad un piccolo pesce scolpito in una pietra.

La mitizzazione della sua vita gli valse l’appellativo di parthenias, “vergine”, e i suoi libri si trasformarono in fonti divinatorie, le cosiddette sortes virgilianae. Le sue opere, piuttosto che essere considerate come pagane, vennero tramandate e interpretate cristianamente, e così il Virgilio oracolare assunse una veste profetica, in particolare con l’annuncio, nella quarta egloga delle Bucolicae, della nascita di un divino puer in grado di far sorgere in tutto il mondo l’età dell’oro di pace e di serenità. Questo quaranta anni prima della nascita di Cristo.

È a partire poi dal V sec. d.C. che, nella vita virgiliana scritta da Donato, si fondono indissolubilmente le notizie biografiche con le leggende, oggetto poi di rinnovata e crescente attenzione a partire dal XII secolo. Il vescovo di Hildesheim, Corrado di Querfurt in una lettera del 1196 ad Arnoldo di Lubecca, attribuiva la conquista di Napoli al fatto che il palladio, costruito da Virgilio a sua protezione e consistente un piccolo modello della città contenuto in una bottiglia di cristallo, si fosse incrinato.

Nella “Cronica di Partenope”, testo anonimo del XIV secolo, l’ignoto autore dedica ben diciassette capitoli alla descrizione dei prodigi compiuti da Virgilio per proteggere i napoletani.