domenica 30 marzo 2014

Buone notizie


29 marzo 2014 ore 18:10


 SQUILLA IL TELEFONO É SUOR ANCILLA CAPPELLANA DI REBIBBIA:


 -----------------LA FINE DI UN INCUBO-----------


Gianfilippo della Ragione



sabato 29 marzo 2014

IL PADRINO DELLA D.C.


Ciriaco De Mita


Ciriaco De Mita, nato a Nusco nel 1928, è stato uno degli uomini più potenti d’Italia a partire dagli anni Ottanta. E’ stato segretario della Democrazia Cristiana, più volte ministro ed infine Presidente del Consiglio. Figlio di un sarto e di una casalinga, nato e cresciuto a Nusco, in provincia di Avellino, dopo aver frequentato il liceo nella vicina Sant’Angelo dei Lombardi, vince una borsa di studio nel Collegio Augustinianum e si iscrive all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove si laurea in giurisprudenza per poi iniziare a lavorare presso l’ufficio legale Eni di Enrico Mattei. 
Nel 1956 De Mita venne eletto consigliere nazionale della DC al congresso di Trento. In quella sede si fece notare perché criticò Fanfani e contestò i criteri organizzativi del partito. Eletto deputato per la prima volta nel 1963, per il collegio di Benevento, Avellino e Salerno, nel 1966 alla Camera lanciò l’ipotesi di un accordo con  i comunisti a proposito dell’attuazione dell’ordinamento regionale. Nel 1968 entrò a far parte del governo come sottosegretario all’interno. Fu tra i fondatori della corrente di “sinistra” della DC, chiamata “Sinistra di base” (o “la Base”), sostituendosi a Fiorentino Sullo come capo corrente irpino negli anni in cui la DC Irpina si andava affermando a livello nazionale. Fu vicesegretario del partito durante la segreteria di Arnaldo Forlani ma si dimise da tale carica nel febbraio del 1973 dopo il patto di Palazzo Giustiniani. Ricoprì poi diverse cariche ministeriali tra il 1973 ed il 1982. Nel 1982 è De Mita a nominare Romano Prodi, già suo consigliere economico, ai vertici dell’Iri, dove rimarrà fino al 1989. Dopo essere riuscito a smantellare le correnti interne alla DC facendo prevalere la sua, De Mita ne venne eletto segretario nazionale nel maggio 1982. Il partito subì un grave calo nelle elezioni politiche del 1983; nonostante ciò, de Mita restò in carica, venendo ripetutamente confermato fino al congresso del 1989. É in questo periodo che Gianni Agnelli disse di De Mita: «É un tipico intellettuale della Magna Grecia». Gli replicò Indro Montanelli dicendo: «Dicono che De Mita sia un intellettuale della Magna Grecia. Io però non capisco cosa c’entri la Grecia». Nel 1985, nella classifica degli uomini più potenti d’Italia, compilata come ogni anno dal settimanale “Il Mondo”, De Mita risultò al terzo posto dopo Gianni Agnelli e Bettino Craxi. Dopo la caduta del governo Craxi, di cui De Mita fu in parte responsabile, ed un breve incarico a Giovanni Goria, nell’aprile del 1988 il presidente della repubblica Francesco Cossiga gli affidò l’incarico di formare un nuovo governo. De Mita si trovò così a guidare un pentapartito, sostenuto dai democristiani, dai socialisti, dai repubblicani, dai socialdemocratici e dai liberali.
I detrattori di De Mita parleranno del suo governo come del “clan degli Avellinesi”. In quegli, infatti, anni si trovarono a essere originari della provincia di Avellino oltre al capo del governo, nonché segretario del maggiore partito: il numero due del maggiore partito, il Ministro degli Affari regionali e Problemi istituzionali Antonio Maccanico, il direttore generale della Rai Biagio Agnes, il capogruppo al Senato del Partito di maggioranza Nicola Mancino ed il vicepresidente della Camera Gerardo Bianco. Il 22 febbraio 1989 Arnaldo Forlani venne nominato nuovo Segretario della DC. Un mese dopo il Consiglio Nazionale della Democrazia Cristiana, riunito a Roma, nominò De Mita Presidente del partito. Nel maggio De Mita rassegnò le dimissioni dal suo primo governo. Riottenne l’incarico l’11 giugno, dopo il fallimento del mandato esplorativo affidato a Spadolini. Il 6 luglio 1989 De Mita rinunciò all’incarico di formare un nuovo governo, incarico che Cossiga conferì poi a Giulio Andreotti. Il Governo De Mita rimase in carica fino al 22 luglio 1989. 
É uscito indenne dal terremoto giuridico ed istituzionale di Tangentopoli grazie all’amnistia del 1990 che, eliminando i risvolti penali dei reati di corruzione e concussione commessi sino al 1989, ha impedito la sua processabilità relativamente  ai finanziamenti illeciti confessati dal tesoriere del partito, Severino Citaristi. De Mita, in seguito, si schierò con i Popolari di Gerardo Bianco, corrente di sinistra del partito, contro Rocco Buttiglione che, difformemente alle decisioni congressuali, aveva deciso di allearsi con Forza Italia, partito di centro-destra. Nel 2002 contribuì all’ingresso del Partito Popolare nella Margherita ed alla nascita del Nuovo Partito di Centro.
Al secondo congresso della Margherita De Mita comunicò la sua adesione al Partito democratico. 
Nel 2008 si ritira dal PD, in polemica con lo Statuto del partito. 
Alle elezioni del 13 e 14 aprile 2008 si è candidato capolista al Senato in Campania per l’Unione di Centro ma non è stato eletto.   
In totale è stato deputato ininterrottamente dalla IV alla XI legislatura e dalla XIII alla XV.
Alle elezioni europee del 2009 è stato eletto al Parlamento Europeo nell’UDC con 56.575 preferenze nella circoscrizione Sud. De Mita continua ad avere una forte influenza sulla vita politica della Campania per la capacità di attrarre voti e, di riflesso, sulla politica nazionale. In un’intervista il Sindaco di Salerno Vincenzo De Luca, già deputato dell’Ulivo, ha dichiarato: « In Campania da 40 anni siamo alle prese con un problema politico che si riassume in un nome ed un cognome: Ciriaco De Mita» e possiamo essere certi che Ciriaco ci riserverà ancora delle sorprese.

1° governo De Mita, 14 aprile 1988
Gianni Agnelli e Ciriaco De Mita
Ciriaco De Mita e Giulio Andreotti
Biagio Agnes e Ciriaco De Mita
Nicola Mancino e Ciriaco De Mita

giovedì 27 marzo 2014

ARTE NASCOSTA, ARTE DISPREZZATA

01-Teatro romano di Neapolis
Napoli ha migliaia di anni di storia e potrebbe, solo per questo, costituire una meta ambita del turismo internazionale, ma le testimonianze di un glorioso passato giacciono in gran parte sepolte e, quando riscoperte, vengono abbandonate preda di ladri e vandali e rimangono sconosciute agli stessi napoletani.
Potremmo citare infiniti esempi ma ci limiteremo a quanti possono contare le dita di una mano, seguendo un criterio cronologico che, partendo da 5000 anni fa, giunge ai nostri giorni.
Vi è una Napoli antica che, molto prima che i Greci fondassero Palepolis, ha lasciato le sue tracce in vico Neve, nel cuore dell’odierna Materdei, con una serie di tombe neolitiche.
Nel 1950, all’altezza del civico 30, durante lavori di costruzione di un edificio, furono casualmente rinvenute due cavità artificiali “a forno”, due tombe preistoriche nelle quali vi era ancora un corpo quasi integro rannicchiato, cinque vasi intatti ed un pugnale di bronzo.
Gli archeologi datarono a cinquemila anni fa, quando, dove oggi  vi sono vicoli brulicanti di vita,  erano accampati gli Osci, che costituivano la cosiddetta cultura del Gaudo ed avevano il loro epicentro a Paestum.
Oggi è tutto scomparso senza lasciare tracce e senza alcun rispetto per i nostri Penati: infatti, lì dove erano tombe e reperti, ora troneggia un orto coltivato con cura da un contadino ottantacinquenne.
Delle esibizioni canore dell’imperatore Nerone nel suo teatro, a due passi dall’agorà, abbiamo già parlato diffusamente a pag.80 del 1° tomo del nostro “Napoletanità, arte, miti e riti a Napoli”, al quale rinviamo (consultabile in rete). Ritorniamo sull’argomento per segnalare che qualcosa si muove e nuovi scavi stanno facendo affiorare antiche strutture del teatro dove il celebre personaggio amava recitare accompagnandosi con una cetra.

02-Teatro romano di Neapolis, capitello
03-Baia di trentaremi dalla Grotta di Seiano
04-Anfiteatro romano della Gaiola


Cosa lega i “bassi” di Napoli a Nerone? Era lì il teatro in cui debuttò l’imperatore romano che amava recitare. Finora solo una porzione è visibile, come spuntata per miracolo fra gli altri caseggiati che lo circondano, ma a breve ricominceranno gli scavi ed entro il 2015 avremo una visione più completa.
Riportare alla luce quello che tutti chiamano “il teatro di Nerone” è particolarmente difficile proprio perché, a cominciare dai Greci, che qui avevano l’acropoli e l’agorà, tutti si sono insediati in questi vicoli. Non c’è casa che non nasconda in un vano sotterraneo qualche traccia del teatro. La “media cavea”, il settore centrale dell’edificio, è stata riportata alla luce con relativa facilità perché spuntava da uno spazio libero diventato discarica. Se ne conosceva l’esistenza dall’Ottocento ma solo nel 2004 il Comune e la soprintendenza sono intervenuti insieme per acquisire locali tutt’intorno ed eseguire una ricerca sistematica, disegnando quella che era l’estensione originaria: un edificio che poteva ospitare circa 5000 spettatori.
Quanto oggi è visibile comprende uno spicchio della “media cavea”, tre gradini della sottostante “ima cavea” ed i grandiosi vani di accesso. Si entra da via San Paolo e si prosegue nel cortile di un palazzo cinquecentesco per sbucare infine all’aperto dove ci sono le gradinate. Tutto intorno, tracce di marmi colorati, di affreschi e resti riconducibili a scuderie, cisterne, tipografie, forni: vecchie e nuove botteghe che si sono avvicendate tra via San Paolo e vicolo dell’Anticaglia. «E’ uno di quei monumenti attraverso il quale si può leggere gran parte della stratificazione edilizia partenopea. Secondo il progetto di recupero il teatro non verrà isolato da quanto è stato costruito intorno; cortili, archi, soffitti, resteranno a testimoniare l’evoluzione di un intero complesso urbano, con uno scopo ambizioso: riqualificare il centro storico e consentire agli abitanti di riappropriarsi della storia del quartiere e della città».
Per tutti questo è il teatro di Nerone (al potere dal 54 al 68 dopo Cristo). Ma lo è davvero? Le fonti letterarie concordano nel collocare a Napoli la prima esibizione in pubblico dell’imperatore, che interpretava brani di tragedie accompagnandosi con la cetra. Aveva scelto per il suo esordio questa città perché manteneva tradizioni greche e vi si apprezzava chi preferiva arte e musica alle guerre di conquista, lontano dai severi senatori dell’Urbe che ritenevano poco virile l’educazione ellenica per i giovani romani, e ancor di più le esibizioni sul palcoscenico dell’imperatore. L’edificio in corso di scavo però non è quello che ospitò Nerone perché le tecniche edilizie e le ceramiche risalgono a qualche decennio più tardi. Tuttavia «non si può escludere l’esistenza di un edificio precedente, forse di dimensioni più ridotte e con un diverso orientamento».

05-Anfiteatro romano di Pausylipon
06-Purgatorio ad Arco
07-Purgatorio ad Arco, Lucia

I prossimi interventi riguarderanno uno scavo di circa sei metri per raggiungere il piano dell’orchestra e, grazie ad espropri di ambienti che si affacciano di fronte ed a lato della cavea, si potrà ritrovare ciò che si è conservato della scena originaria. Il “fronsscenae” era una quinta prospettica rivestita di marmi colorati che comprendeva nicchie e statue. Di sicuro i materiali pregiati saranno stati asportati già anticamente ma, in passato, è stato ritrovato un bel capitello e «dalle nuove ricerche potrebbero emergere ulteriori elementi architettonici delle decorazioni».
Un’altra struttura teatrale misconosciuta è sita a Posillipo, in proprietà privata, e, nonostante sia perfettamente conservata, nessuno può visitarla. Una rarità archeologica negata alla fruizione. Quanti napoletani conoscono la misteriosa Grotta di Seiano o hanno mai sentito parlare del grandioso teatro della Gaiola?
Solo da qualche anno la grotta è stata restaurata ed i visitatori hanno così potuto riscoprire l’intatta bellezza della Cala di Trentaremi, la suggestione del percorso nella penombra della cripta fino alla luce della verdeggiante valletta della Gaiola, l’imponente mole del teatro, il paesaggio straordinario del golfo che si domina dal porticato accanto all’Odeon.
Un altro percorso affascinante è costituito dalla parte sottostante alla chiesa del Purgatorio ad Arco, ricca di dipinti barocchi, dedicata al culto delle anime del Purgatorio.
Questo è probabilmente l’edificio napoletano più affascinante e misterioso del centro antico, riconoscibile per la presenza, davanti alla facciata principale, di tre teschi in bronzo intrecciati, come da tradizione, con altrettante coppie di tibie (il quarto fu rubato e mai più ritrovato agli inizi del secolo scorso), sistemati su quattro paracarri di pietra.
Importanti sono i tesori contenuti nel sottostante ipogeo: un’area cimiteriale del XVII secolo dove sono conservati teschi, ossa, nicchie sepolcrali ed antiche sepolture nella terra, oltre ad un’innumerevole quantità di “ex voto”, cioè lettere ed oggetti vari lasciati in dono, per esaudire una richiesta o come ringraziamento per una grazia ricevuta. E non mancano, tra questi, le richieste di suggerimenti molto più prosaici di numeri da giocare o da suggerire nel sempre popolare gioco del Lotto. L’itinerario serale, indubbiamente all’insegna della fugace e labile frontiera tra religiosità e superstizione e tra fede e credenza popolare, non potrà che avere il suo massimo motivo d’attrazione nella cosiddetta Terrasanta, cioè il terreno dove venivano seppelliti i defunti in attesa del Paradiso. Vi domina, in un  loculo appena illuminato, il piccolo teschio, coperto da un velo nuziale, della giovane Lucia D’Amore, figlia del principe di Ruffano Domenico D’Amore, morta nel 1798 in un naufragio abbracciata al suo sposo, il marchese Giacomo Santomago, o deceduta, più banalmente, di tubercolosi.

08-Tempio della Scorziata
09-tempio della Scorziata, opera di  Zilda

Quella che in dialetto è stata battezzata come la “capuzzella”, e che si presenta adagiata su di un cuscino color avorio, ha ricevuto nei secoli gli omaggi, soprattutto femminili, di quante vorrebbero veder soddisfatte le proprie ansie amorose, più o meno consacrabili in un matrimonio. E li riceve ancora oggi, vista la gran quantità di candele accese e di fiori freschi di cui è omaggiata (nonostante il divieto di onorare i resti umani “ignoti” decretato dal tribunale ecclesiastico negli anni Sessanta). Un tuffo nella religiosità e nella superstizione, ma anche nella storia visto che la Chiesa delle Anime del Purgatorio contiene resti e stemmi delle più importanti famiglie nobili di Napoli, dai Mastrilli, che la fecero costruire, ai Carmignano, i Caracciolo ed i Muscettola.
La chiesa della Scorziata, in vico Cinquesanti, è dedicata alla presentazione di Maria al Tempio. Fu fondata con annesso conservatorio nel 1579 da tre nobildonne napoletane, Giovanna Scorziata e Lucia ed Agata Paparo.
Nel XVIII secolo il complesso fu oggetto di rifacimento che le conferì l’attuale aspetto e nel XX secolo fu affidato all’Arciconfraternita del Santissimo Sacramento all’Avvocata.
Già dal 1993 tante le devastazioni ed i furti all’interno della chiesa, dove furono razziate opere d’arte di gran valore.
In alto, sull’altare in totale degrado, che un tempo doveva ospitare l’immagine di una Vergine, s’erge l’icona dipinta di una donna. Una figura inquietante, il ritratto di una ragazza seduta, ricoperta  di abiti ottocenteschi, nello sguardo un che di diabolico, i capelli corvini, il seno nudo ed un crocifisso nero tra le dita. Un’icona che si staglia su un enorme drappo all’interno del semidistrutto Sacro Tempio della Scorziata, una delle tante chiese negate del centro storico di Napoli. L’opera è stata installata diversi giorni fa e porta la firma di Zilda, noto streetartist di Rennes, considerato il “Bansky francese”. Lo stesso Zilda, già presente a Napoli con diversi “graffiti“ tra piazza Bellini e Santa Chiara - oggi distrutti o rimossi dal maltempo - ha confermato che l’opera è la sua e che si tratta di una rielaborazione del quadro “Meditazione” di Francesco Hayez.
Si svela così l’enigma legato ad recente raid nella Scorziata da parte di alcuni giovani stranieri. L’allarme era scattato lo scorso 21 gennaio quando due ragazzi avevano chiesto aiuto a carabinieri e polizia dopo  che un gruppo di “strani turisti” s’era intrufolato nell’edificio con telecamere e macchine fotografiche. Il gruppo era composto da quattro ragazzi ed una ragazza, d’origine francese.
Gli intrusi nel monumento alle spalle di piazza San Gaetano, già devastato da un incendio il 17 gennaio 2012, avevano dunque “fini artistici” e non erano né predatori d’arte, né satanisti. Anche all’esterno della chiesa, sulla cancellata, è stato appeso un ritratto di donna, più piccolo di quello all’interno, alla cui base è stato avvolto un drappo verde. Un’altra immagine straniante, il cui significato è tutto da interpretare.
Un tentativo, forse, di dare un po’ di “colore” ed una briciola di senso ad un luogo d’arte lasciato nella più vergognosa distruzione da più di trent’anni, con infiltrazioni d’acqua ovunque, macerie sparse al suolo, ed alle cui spalle si ergono le rovine di un ospizio per anziani abbandonato durante il sisma dell’80. Un regno di devastazione capace, ad ogni modo, di far restare ancora a bocca aperta.
A lasciare stupiti non c’è solo il dipinto sull’altare ma, soprattutto, vi è un affresco raffigurante la Crocifissione di Cristo, ritratto in mezzo alla Madonna e San Giovanni dolenti, d’autore ignoto, che sta letteralmente scomparendo nell’umido e pericolante ipogeo della chiesa.
L’edificio della Scorziata è forse l’emblema del degrado nel centro storico. Nonostante questo, nessuno ha pensato di andare a guardare o a salvare quell’immagine antica che potrebbe raccontare un’altra storia di Napoli, fatta d’arte antica, ben prima dell’avvento dei moderni streetartist.

10-Affresco Tempio della Scorziata
11-Farmacia Fra' Nicola
12-Spezieria della Sanitá

Concludiamo questa carrellata giungendo ai nostri giorni, quando un’antica spezieria, dovendosi trasferire a Soccavo, dopo esserestata per secoli punto di riferimento per i malati della Sanità, è costretta ad abbandonare i preziosi arredi e non trova nessun ente che li accetti per preservarli, nemmeno regalati.
Un accorato appello del titolare è stato raccolto dalle pagine de “Il Mattino” e Piero Treccagnoli, in un articolo, ha ripercorso la storia gloriosa della bottega: «Ne hanno visto passare di ammalati e anime sofferenti, mamme in lacrime e giovani donne che assistevano parenti allettati. Se gli arredi della farmacia di Fra’ Nicola a via Stella, laddove la Sanità sta per sfociare a Santa Teresa degli Scalzi, potessero parlare ne verrebbero fuori dei romanzoni popolari.
Le scansie, le vetrate, gli specchi, i marmi hanno custodito prima, per decenni, i segreti degli speziali, sciroppi, piante officinali, estratti chimici, poi hanno ospitato le asettiche confezioni di Aspirine e Maalox. E ora devono essere rimossi. L’antica spezieria, da decenni moderna farmacia, ma con una cornice d’epoca che mette ancora un po’ soggezione, si trasferisce.
Per il piano di decentramento regionale si sposta a Soccavo, da un quartiere che si va spopolando a uno più popoloso, dal centro alla periferia. I mobili appartengono al farmacista, Luciano Attanasio, che li ha acquisiti, insieme al titolo dell’attività sanitaria, un quarto di secolo fa, quando è subentrato ai vecchi speziali. «Ma ora mi è impossibile portarli via, non saprei come utilizzarli», spiega il dottore. E allora? «lancio un appello». Prego. «Invito un ente pubblico, istituzionale, a prenderli gratuitamente e a collocarli in un ambiente adeguato». Un museo? «non solo».
In un museo, magari in un’università, non ci starebbero male. Anzi. Gli arredi della Fra’ Nicola dal 1997 sono vincolati dal ministero dei Beni Culturali per il «loro valore documentario» e per l’’ «eccezionale interesse artistico e storico». I mobili ricoprono tre della quattro facciate del locale. Sono in mogano con particolari decorativi in bronzo dorato. Anche il banco di vendita  è un pezzo d’antiquariato: ha una sottile balaustra intagliata e un piano sempre in mogano e marmo bianco. «Abbandonarli sarebbe impossibile e anche un delitto contro l’arte».
Questo piccolo tesoro di falegnameria risale alla seconda metà del Settecento. E, come racconta la relazione di vincolo della Soprintendenza, provenivano dalla Spezieria del convento di Santa Teresa degli Studi. Il locale, al civico 102 di via Stella, notissimo ai residenti, è stato adibito a farmacia dai primi decenni dell’Ottocento, al tempo del re Borbone. Apparteneva ai monaci e diventò il punto di riferimento per i sofferenti, sostituendo la Spezieria, scomparsa con l’abolizione degli ordini religiosi. Gli arredi provengono proprio dall’antico convento, grazie a un contratto, stipulato nel 1883 tra i carmelitani di San Francesco di Paola e gli affittuari di allora.
Fino agli anni Settanta, la Fra’ Nicola era condotta proprio da frati. Gli ultimi sono stati fra’ Gennaro, vero e proprio farmacista con tanto di laurea, e il suo aiutante, frate Alfonso. Una loro foto è conservata amorevolmente da Attanasio che l’ha decorata con la coroncina di un rosario. «Li ho sempre tenuti qui con me» confessa. «Questa loro foto la porto a Soccavo dove, tra qualche giorno, i nuovi locali saranno già pronti e potrò quindi trasferirmi». I tempi per salvare gli arredi che, sempre secondo la relazione della soprintendenza, «rappresentano un interessante esempio di artigianato locale in stile Impero», stringono. «Diciamo che abbiamo tempo fino a fine mese» chiarisce il dottore. «Chi vuole non perda tempo, si faccia avanti». Anche il pavimento, marmo raro ormai introvabile, andrebbe salvato. Potrebbe essere  più difficile collocarlo, ma è anch’esso un pezzo della storia del quartiere Stella. Chissà quanti passi incerti, frettolosi e ansiosi, l’avranno calpestato, cercando e aspettando un rimedio che scaturisse da quelle scansie, alleviando il dolore di un giorno o di una vita».


13-Farmacia Fra' Nicola, particolare
14-Fra' Nicola


mercoledì 26 marzo 2014

Il monarca di Ceppaloni

Clemente Mastella


Clemente Mastella, nato a Ceppaloni nel 1947 è il fondatore dell’UDEUR e dopo essere stato per oltre dieci anni il sindaco del paese natale attualmente è europarlamentare nelle liste del PDL.
E’ stato membro del Parlamento dal 1976 al 2008, prima come Deputato e l’ultimo biennio come 
Senatore.
Ministro del Lavoro col governo Berlusconi e poi della Giustizia con Prodi dal 2006 al 2008.
Laureato in filosofia, è giornalista professionista. La sua carriera come giornalista e i suoi esordi nella vita politica sono stati ampiamente descritti da lui stesso in varie interviste, citate ad esempio nel recente libro “La casta” di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, dove si legge come l’assunzione di Clemente Mastella alla Rai sarebbe stata agevolata da una raccomandazione del democristiano Ciriaco De Mita. La redazione locale ove Mastella prese servizio proclamò tre giorni di sciopero contro l’ingresso in ruolo di un giornalista assunto senza regolare concorso e per nomina politica diretta.
In vista delle elezioni politiche del 1976, come racconta lui stesso, nelle pause pranzo dei dipendenti della Rai, chiedeva “ai centralinisti di telefonare nei comuni del mio collegio elettorale. Mi facevo introdurre come direttore della Rai e segnalavo questo nostro bravo giovane da votare: Clemente Mastella. Funzionò”.
Mastella fu quindi eletto deputato, nelle file della Democrazia Cristiana. E’ deputato alla Camera ininterrottamente del 1976, riconfermato per otto legislature consecutive.
Dopo un lungo trascorso politico nella Democrazia Cristiana, fonda nel 1994 il CCD di cui diviene presidente, condividendone la leadership con Pier Ferdinando Casini.
Dopo la vittoria del Polo delle Libertà alle elezioni del 1994, diventa ministro del Lavoro nel Governo Berlusconi I.
Nel febbraio 1998 è protagonista di una scissione interna al CCD, raccogliendo l’appello dell’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga di costituire una nuova formazione politica di centro, alternativa alle due coalizioni.
Mastella fonda così i CDR, Cristiano Democratici per la Repubblica, che si uniscono al CDU nella formazione di gruppi parlamentari unitari.
Dopo vari trasformismi nel 1999 fonda l’UDEUR, un partito collocato al centro, pronto a convergere a destra o a sinistra a secondo delle esigenze.
Nel 2000 fu, insieme a Salvatore Cuffaro, testimone di nozze, Francesco Campanella, l’uomo che fornì a Provengano i documenti falsi per andare in Francia a operarsi alla prostata. Campanella era il segretario dei giovani dell’UDEUE.
Wikipedia arbitrariamente definisce il Campanella come braccio destro di Provengano, ipotesi smentita dagli atti processuali.
Alle elezioni 2006 Clemente Mastella è stato eletto al Senato della Repubblica come candidato dell’EDEUR. Dopo la vittoria elettorale dell’Unione, Mastella ricopre l’incarico di Ministro di Grazia e Giustizia nel Governo Prodi II. Mastella aveva chiesto per sé il Ministero della Difesa contrapponendosi a Emma Bonino; la Difesa era infine assegnata ad Arturo Parisi.
A luglio 2006 viene varato dal Parlamento un provvedimento di indulto, che a causa di divergenze tra Mastella ed il collega Antonio Di Pietro, ministro delle Infrastrutture. Mastella – in qualità di ministro della Giustizia – è tra i favorevoli alla misura, che prevede la scarcerazione circa 15000 carcerati; Di Pietro è aspramente contrario e lo definisce “un colpo di spugna immorale e inaccettabile”. Nello stesso periodo si esprime a favore della completa impunità per tutti i personaggi e le società coinvolte nell’inchiesta Calciopoli. Il 29 luglio, dopo l’approvazione definita da parte del Senato, che sancisce l’entrata in vigore dell’indulto come legge, Mastella dedica questo provvedimento al papa Giovanni Paolo II che, in occasione di una sua visita al Parlamento, chiese un provvedimento di clemenza per i carcerati.
Il 23 ottobre 2006, la Camera dei deputati ha approvato in via definitiva la legge 24 ottobre 2006 n.269 (meglio nota come Ddl Mastella) che modifica e sospende alcuni aspetti della riforma dell’ordinamento giudiziario licenziata nella XIV legislatura, in particolare per quanto riguarda le disposizioni sulla separazione della carriere dei magistrati e sull’accesso in magistratura.
L’8 marzo del 2007 partecipa ad Anno Zero, trasmissione televisiva condotta da Michele Santoro. Dopo un acceso dibattito con il presentatore, decide di abbandonare lo studio, tacciando Santoro di uso improprio della televisione pubblica. Successivamente, ha deciso di intraprendere un’azione legale contro Rai 2. Il 10 aprile dichiara: “Se c’è referendum si rischia la crisi di governo”.
A settembre 2007 ha chiesto al Consiglio Superiore della Magistratura di disporre il trasferimento cautelare d’ufficio nei confronti del pubblico ministero di Catanzaro Luigi de Magistris, il magistrato stava indagando su un presunto comitato d’affari composto da politici e magistrati lucani. Il 16 gennaio 2008 la Corte Costituzionale da’ il via libera al referendum, e lo stesso giorno Clemente Mastella annuncia le sue dimissioni dalla carica, motivate dalla “mancata solidarietà politica” da parte del centro-sinistra rispetto alla vicenda che lo vede indagato. Le dimissioni sono respinte dal Presidente del Consiglio.
Mastella ha presentato le sue dimissioni dalla carica di Ministro della Giustizia il 16 gennaio 2008, a seguito dell’inchiesta giudiziaria nella quale erano coinvolti lui e la moglie Sandra Lo nardo, in quel momento Presidente del Consiglio regionale della regione Campania.
Il 17 gennaio 2008 conferma le sue dimissioni e concede in un primo momento l’appoggio esterno al governo. Il 21 gennaio 2008 apre la crisi di governo durante un comunicato stampa dalla sede dell’UDEUR dichiarando di lasciare la maggioranza dopo 2 anni. Il 23 gennaio 2008 l’UDEUR si astiene sul voto di fiducia alla Camera dei deputati. Il 24 gennaio 2008 il governo cade a seguito del voto contrario alla fiducia. Votano contro la fiducia due dei senatori dell’UDEUR (tra cui Mastella stesso), due dei senatori dei Liberal Democratici, Domenico Fisichella, Franco Turigliatto e Sergio De Gregorio, tutti eletti nello schieramento di centro-sinistra.
Il 6 febbraio 2008, nel corso della trasmissione televisiva Porta a porta, Mastella si dichiara pronto a partecipare alle elezioni politiche indette per il 13 aprile 2008 con il Popolo della Libertà anche a costo di rinnegare il simbolo del suo partito, affermando: “Quando c’è una evoluzione nel corso delle cose, bisogna saperle prendere per il verso giusto e andare avanti in quella direzione”. Berlusconi aveva già fatto trapelare nei mesi precedenti contatti con Matella che ora parevano concretizzarsi nella promessa del leader di Forza Italia di una posizione di rilievo all’interno della nuova formazione politica del PdL. Ancora una volta Mastella cambia coalizione passando dal centro sinistra al centro-destra. Il capogruppo della Lega Nord al Senato, Roberto Castelli, tuttavia, si dichiara immediatamente contrario. Nei giorni a seguire Berlusconi, nonostante la sua iniziale disponibilità a collocarlo in una posizione di rilievo, decide di escluderlo dal suo schieramento affermando che, secondo alcuni sondaggi, la sola presenza di Mastella nelle liste dell’alleanza avrebbe fatto perdere quasi il 12% dei consensi; analogo trattamento gli viene riservato nella neonata formazione di centro Rosa Bianca, rimanendo così completamente isolato.
Il 6 marzo, dopo un paio di giorni di riflessione, decide quindi di non candidarsi alle elezioni politiche 2008, per la prima volta dopo 32 anni, e ciò nonostante l’offerta di un posto nelle liste del Partito Socialista fattagli dal segretario Enrico Boselli.
A febbraio 2009 cambia nuovamente schieramento ed a giugno è eletto al Parlamento Europeo tra le file del PDL.
Il 25 giugno 2010, nella sala dell’Assunta della Chiesa del Gesù a Roma, Clemente Mastella ha annunciato la fine della storia ultradecennale dell’UDEUR e la nascita di un nuovo soggetto politico denominato Popolari per il Sud. Il movimento, secondo quanto detto dallo stesso Mastella, “intende colmare il vuoto politico nel sud a livello locale, confermando al contempo la strategica alleanza con il Pdl”. Il 18 settembre 2010, in una manifestazione a Napoli, ufficializza l’intenzione a candidarsi a sindaco della città alle prossime amministrative.
Alle elezioni comunali di Napoli del maggio 2011 l’Udeur ottiene il 2,48%. Mastella, candidato a sindaco con l’appoggio anche di una lista civica, ottiene il 2,17%. Mastella non viene eletto neanche in Consiglio Comunale.
Alle elezioni politiche italiane del 2013 non riesce a farsi candidare in nessuna lista dei principali schieramenti e rimane fuori dalla campagna elettorale.
Procedimenti giudiziari
Il 14 ottobre 2007 Clemente Mastella viene iscritto nel registro degli indagati della procura di Catanzaro nell’ambito dell’inchiesta Why Not del sostituto procuratore Luigi De Magistris: l’ipotesi di reato è abuso di ufficio. Il ministro è sospettato di essere coinvolto in una “rete” costituita da politici, imprenditori, giudici e massoni finalizzata ad ottenere finanziamento dallo Stato e dall’Unione Europea.
Il 16 gennaio 2008, dopo il provvedimento di arresti domiciliari nei confronti della moglie Sandra Lonardo, da parte della procura di Santa Maria Capua Vetere, Mastella presenta le sue dimissioni da ministro, sostenendo di essere vittima, insieme alla sua famiglia, di un attacco della magistratura. Le dimissioni vengono respinte dal Presidente del Consiglio Romano Prodi e nel tardo pomeriggio della stessa giornata le agenzie di stampa scrivono che anche lo stesso Mastella sarebbe indagato nell’ambito dell’inchiesta riguardante la moglie.
Il giorno seguente Mastella conferma le proprie dimissioni ed annuncia che il suo partito, l’UDEUR, dara’ “appoggio esterno” al governo. Il 21 gennaio Mastella modifica la propria posizione dichiarando di uscire dalla maggioranza e di voler votare no alla questione di fiducia. Il governo Prodi cade il 24 gennaio in seguito al voto di sfiducia.
Nel marzo 2011 Clemente Mastella viene rinviato a giudizio, assieme alla moglie Sandra Lonardo, per tre capi di imputazione: truffa e appropriazione indebita, in merito all’acquisizione al patrimonio familiare di due appartamenti a Roma di proprietà dell’Udeur e della testata giornalistica  Il Campanile; abuso d’ufficio, per l’assegnazione di incarichi da parte dell’Arpac.
Curiosità ed aspetti controversi
Il caso “Il Campanile”
Il giornale di partito Il Campanile è stato oggetto di diverse indagini giornalistiche che ne hanno evidenziato la funzione “privata”. In altri termini, oltre un milione e trecentomila euro di finanziamenti pubblici (limitandosi al solo 2005) sono serviti per pagare il contributo fattivo di Clemente Mastella, viaggi e trasferte della famiglia Mastella (98.000 euro nel 2005), liberalità e spese di rappresentanza (141.000 euro), liberalità (22.000), pacchi, dolciumi e torroni (17.000).
In sostanza, secondo un’inchiesta de l’espresso, “all’ombra del “Campanile” Clemente Mastella, i suoi familiari e le loro società hanno ottenuto soldi e vantaggi grazie a un giornale finanziato con i soldi dei contribuenti”.
Il film “Il Caso Moro”
Nel 1986 a Clemente Mastella, allora nell’ufficio stampa della Democrazia Cristiana, venne mostrato in una proiezione privata il film di Giuseppe Ferrara Il caso Moro. Terminata la proiezione Mastella inveì contro la produzione. Il giorno successivo la stampa riportò l’opinione negativa di Mastella, grazie alla quale il film, in un primo momento accolto freddamente dal pubblico, divenne un successo.
La svolta sulla tematica delle coppie gay
Dopo anni in cui Mastella si era sempre opposto a qualsiasi forma di riconoscimento delle coppie omosessuali, il 23 marzo 2012 ha dichiarato di condividere quanto affermato dalla sentenza n.4184/2012 della Cassazione ossia che le coppie gay hanno diritto ad un trattamento famigliare uguale a quello delle coppie sposate e di aver, quindi, cambiato la sua posizione sulle tematiche omosessuali.

lunedì 24 marzo 2014

Angela Luce: un’artista dal multiforme ingegno

Angela Luce

Angela Luce, nata a Napoli nel 1938 è una cantante, ma ha lavorato anche per il teatro, il cinema e la televisione.
Giovanissima esordisce nella Piedigrotta Bideri con la canzone Zì Carmilì. Tra i suoi successi So’ bambinella ‘e copp’ ‘e quartiere, di Raffaele Viviani nello spettacolo Napoli notte e giorno , diretto da Giuseppe Patroni Griffi e presentato al Festival dei Due Mondi di Spoleto. Grazie a questa canzone, Angela Luce è l’unica artista al mondo ad essere presente nell’ Archivio Storico della Canzone Napoletana con la doppia esecuzione dello stesso brano. Ha partecipato ad Un disco per l’estate 1973 con La casa del diavolo e a Un disco per l’estate 1975 con Cara amica mia.
La canzone Ipocrisia  le è valso il secondo posto al Festival di Sanremo 1975 (in quella occasione fu anche l’unica partecipante al festival ad entrare in classifica oltre la vincitrice); ha inoltre vinto la “Maschera d’Argento” per l’interpretazione de L’ultima tarantella ed il secondo premio al Festival di Napoli 1970 con “’O divorzio”. Ha cantato La leggenda del lupino  in mondovisione dalla Basilica di Santa Chiara di Napoli.
Per quanto riguarda l’attività cinematografica, Angela Luce ha interpretato circa 80 film accanto ai maggiori attori italiani, da Totò ad Eduardo De Filippo, da Aldo Fabrizi a Marcello Mastroianni, ad Alberto Sordi, Vittorio Gassman, Nino Manfredi, Ugo Tognazzi, Giancarlo Giannini e diretta da molti noti registi, tra i quali Pier Paolo Pasolini, Luchino Visconti, Franco Zeffirelli.
L’interpretazione ne L’amore molesto di Mario Martone le è valso il David di Donatello e la nomination per la Palma d’oro a Cannes; La seconda notte di nozze di Pupi Avati le è valsa la nomination per il Nastro d’Argento; con Malizia di Salvatore Samperi ha vinto la Medaglia d’oro all’Anteprima del Cinema Mondiale di Saint Vincent; per il film Il Decameron di Pier Paolo Pasolini ha vinto il premio Reggia d’Oro della città di Caserta. 
Tra i tanti film interpretati ricordiamo anche La Sfida 1958 di Francesco Rosi, Il Vedovo 1959 di Dino Risi, Letto a tre piazze 1960 di Steno, Signori si nasce 1960 di Mario Mattoli, Lo Straniero 1967 di Luchino Visconti, Dove vai tutta nuda? 1969 di Pasquale Festa Campanile, Il Decameron 1971 di Pier Paolo Pasolini, Il Contratto 1981 di Eduardo De Filippo, La seconda notte di nozze 2005 di Pupi Avati, Passione 2010 di John Turturro. 
Nel teatro entra dalla porta principale, scritturata da Eduardo De Filippo non ancora ventenne, interpreta ruoli tra i più significativi del grande drammaturgo, fino ad arrivare ad essere protagonista con lo stesso Eduardo alla registrazione televisiva della commedia il Contratto, e anche nel teatro la sua attività è stata una continua ascesa: ha recitato per due anni con La Scarpettiana, per quattro anni con Eduardo De Filippo, per quattro anni con Peppino De Filippo e altri quattro anni con Nino Taranto, fino ad arrivare ai più importanti festival della prosa: quello di Wiesbaden in Germania con Napoli notte e giorno di Raffaele Viviani, quello di Parigi con Sarah Bernhardt con Le metamorfosi di un suonatore ambulante di Peppino De Filippo, quello di Londra al teatro Old Vic, ancora con Napoli notte e giorno e le metamorfosi di un suonatore ambulante, quello di Buenos Aires al teatro Coliseum, con Rugantino di Garinei e Giovannini e quello di New York al teatro Mark Hellinger, ancora con Rugantino, dove ha sostituito Bice Valori nella parte di Eusebia.
Frequenti le partecipazioni alla prosa radiofonica e televisiva della RAI, ad iniziare dalla fine degli anni Sessanta; tra le altre sue cose figurano: Storie della camorra, sceneggiato televisivo di RAI 1 del 1978, diretto da Paolo Gazzarra; Il cappello del prete, sceneggiato televisivo di RAI 1 del 1970, diretto da Sandro Bolchi; è anche protagonista dell’operetta Al cavallino bianco, cono Paolo Poli, Gianrico Tedeschi e Tony Renis con la regia di Vito Molinari; il celeberrimo Peppino Girella, scritto da Eduardo De Filippo e interpretato dallo stesso Eduardo, Luisa Conte, Enzo Cannavale Giuliana Lojodice, il ruolo di Angela Luce era quello di Donna Clotilde, proprietaria del Bar Stella, lo sceneggiato fu trasmesso nel 1963, in sei puntate su RAI 1.
Nel dicembre 2008 ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie, dal titolo Momenti di…Luce, per l’editore Guida di Napoli, con presentazione guidata dal regista Pupi Avati. Alcune poesie inserite nel libro sono già divenute canzoni, grazie alle musiche di Leonardo Barbareschi e con questo ha vinto il premio speciale del Presidente (unitamente a Sergio Zavoli e Guido Ceronetti), assegnato nell’ambito del Premio Letterario Camaiore 2009.
Il 3 Aprile 2013, al Teatro Mercadante di Napoli, il Comune di Napoli ha organizzato una Serata d’onore per Angela Luce, un concerto-evento per celebrare i suoi sessanta anni di carriera, nel teatro gremito, presenti molti artisti e personaggi della cultura, intervenuti per renderle omaggio, presente il Sindaco De Magistris.
Tra le muse della canzone napoletana, Angela Luce è stata senza dubbio una delle massime interpreti, con la sua voce calda e sensuale e con la sua personalità appassionata e sincera fino alla sfida, che incarna veramente l’essenza della femmina partenopea. Per lei il successo arrivò prestissimo, quando in Italia c’era la prima donna ambasciatrice, l’americana Claire Booth Luce, Angela ne rimase affascinata e decise di cambiarsi il cognome.


sabato 22 marzo 2014

Il Moloch del consumismo


di Marina della Ragione


Se potessi comprerei il mondo intero

In questi ultimi decenni abbiamo vissuto in una sorta di trance ipnotica, comprando e consumando senza alcun reale bisogno. Tutti ambiscono ad avere l’iphone ultimo modello,  30 paia di scarpe, 50 cravatte, televisori in ogni camera, 100 vestiti. Una mania che ha contagiato anche i ceti meno ricchi, che si indebitano fino al collo pur di poter cambiare ogni anno frigorifero e lavatrice.
La voglia spasmodica di viaggiare e di visitare paesi lontani e possibilmente caldi, senza conoscere la loro precisa localizzazione geografica.  Decine di milioni di persone in delirio, che si recano al Louvre o nei Musei Vaticani senza capire ciò che vedono. Per oltre cinquanta anni, banchieri, politici, economisti ed intellettuali, hanno cercato di farci credere che il progresso ed il benessere fossero in crescita continua, senza preoccuparsi dell’esaurimento delle risorse e del disastro ambientale. I cinesi e gli indiani, moltiplicando all’infinito fabbriche, porti ed aeroporti, ambiscono a gioielli e vestiti, mentre le ciminiere  e le auto sporcano il cielo ed i diritti umani sono considerati poco più che un optional. Oggi siamo sommersi dagli oggetti che straripano da armadi e cassetti e da un desiderio incessante di riempirne di nuovi.  Abbiamo smarrito il senso delle cose che ci circondano. 
Non diamo alcun valore ad una vecchia giacca o ad un automobile ancora perfettamente funzionante. Cerchiamo sempre la novità e desideriamo seguire l’ultima moda. Dobbiamo recuperare invece le virtù della civiltà contadina: la sobrietà, la parsimonia, il risparmio. Non dobbiamo ascoltare la martellante pubblicità che non saremo felici se non cambieremo ogni sei mesi la lavatrice o la televisione. Se consumiamo di meno saremo più ricchi come dice l’antico proverbio  “Ogni soldo risparmiato è un soldo guadagnato” 
Non vi è altra strada da percorrere per l’Occidente e per il mondo. La catastrofe ambientale è imminente, ne respiriamo da tempo i miasmi e fra poco sentiremo squillare le trombe di Gerico che annunciano l’Apocalisse.  Sarà uno spettacolo imbarazzante e non riguarderà i nostri figli o nipoti, ma la nostra generazione.



Gravi responsabilità




L’accorato appello al Parlamento del Presidente della Repubblica di valutare un provvedimento di Amnistia ed Indulto, unico modo per risolvere il gravoso problema del sovraffollamento carcerario e delle disumane condizioni dei penitenziari, ha trovato, dopo oltre 5 mesi, un’accoglienza ostile nelle aule sorde e grigie, ma soprattutto deserte di Montecitorio, per cui i cittadini, quando fra pochi mesi lo Stato dovrà far fronte alle pesanti sanzioni comminateci dalla Corte di Strasburgo, via via crescenti, sapranno chi sono i responsabili e potranno fare le loro valutazioni e comportarsi di conseguenza nel segreto dell’urna.


mercoledì 19 marzo 2014

Mostra a Ferrara di Matisse



Il colore che porta la gioia di vivere

Fino al 15 giugno a Ferrara, al Palazzo dei Diamanti si potrà ammirare l’opera di uno dei giganti del Novecento Henri Matisse in una retrospettiva con oltre 100 opere tra dipinti, sculture, disegni e collages.
L’artista al Salon d’Automne di Parigi del 1905 con un gruppo di colleghi, espose un gruppo di opere con un uso spregiudicato del colore e l’abbandono dei requisiti formali della figurazione.
La critica parlò con disprezzo di aberrazione cromatica, al punto che i pittori seguaci del nuovo verbo furono definiti fauves, cioè belve.
Tale movimento intese il colore in funzione espressiva e non più come imitazione della realtà. Colori puri, applicati in larghe stesure con pennellate sciolte tali da esaltare la loro innata potenzialità, per divenire automa fonte di sensazioni ed emozioni. Nessuno tuttavia, partendo dall’esperienza “fauvista”, spinse poi tanto avanti e tanto in alto la propria ricerca, quanto Henri Matisse (Le Cateau 1869-Cimiez, Nizza 1954), la cui opera, insieme a quella di Picasso e di Klee, forma le principali direttrici dell’arte contemporanea. Già nell’ambito del movimento Fauvisme la sua pittura, pur nell’esaltazione del colore, si distingue per un’innata tendenza all’ordine compositivo e alla chiarezza formale, come mostra il Ritratto con la riga verde del 1905 in cui egli ottiene una sorta di modellato cromatico per mezzo di inversioni e opposizioni di colori complementari.
Successivamente lo stile di Matisse evolve verso una stesura pittorica più liquida e trasparente in cui le zone di colore puro sono arginate dalla linea sottile di un raffinato disegno che tende a ricomporre forme di dichiarato effetto decorativo (Figura decorativa su sfondo ornamentale, 1927). Tra le sue fonti d’ispirazione sono, oltre Cézanne, le stampe giapponesi, l’arte musulmana e bizantina, i primitivi italiani, tutto ciò che lo conduce a organizzare per mezzo del colore e della linea quello “spazio spirituale” in cui si dispongono con poetica armonia oggetti e figure. “Ciò che sogno – egli scriveva nel 1908 – è un’arte di equilibrio, di purezza, di tranquillità, senza oggetto inquietante e preoccupante…”. Sogno che egli sempre perseguì con costanza e coerenza, dalle opere giovanili eseguite alla maniera puntinista (Luxe, calme et volupté, 1904, Parigi, Musée d’Orsay) ai quasi astratti profili ritagliati su campiture monocrome (bianco e blu) delle “gouaches découpées” prodotte dopo il 1950.
La nascita precoce dell’artista (1869-1954) ha rischiato di imprigionarlo per sempre nell’intimismo fin-de-siècle, quasi confuso tra i Nabis da cui separavano solo pochi anni, e dunque gliene è venuto un compito analogo a quello toccato a Vuillard e a Bonnard di saltar fuori dalle spire di “interni” colmi di mobili e carte da parato e vasi di fiori, pur nell’atto di rispettarli.
A dire il vero, Matisse, subito all’inizio di secolo, è riuscito a sottrarsi con forza da quelle spire, tuffandosi risolutamente nella prima avanguardia, quella detta a ragione dei “fauves”, delle belve, che affrontavano le parvenze della “Belle époque” a scudisciate, con forti sbattimenti cromatici, maltrattando in sostanza le sagome, anche femminili. Anzi, in quella fase Matisse, oltre ad affidare la sua furia ai pennelli, la svolse ben di più con la scultura, in cui sembrava proprio voler strozzare le figure muliebri, allungandole, torcendole, o squartandole come in macelleria. Ma poi, quando, con le picassiane Demoiselles d’Avignon, nel 1907, si prospettò la vera avanguardia che voltava pagina, trattando le forme con i cubi del mondo delle macchine, il Nostro avvertì un impaccio, su quella strada, cui invece aderì senza riserve un compagno di via delle esperienze fauviste quale Georges Braque. Matisse sembrò appartenere alla categoria di “quelli che restano”, per usare una famosa etichetta di Boccioni, rifiutando in sostanza di applicare alle sembianze umane, o dei fiori e frutti, gli schemi astratti della geometria.
Matisse fu un “resistente”, quasi che avesse già violentato in eccesso le vecchie figure. Ma in realtà egli aveva una ricetta che lo salvava, consistente in una maestria sovrana nel tinteggiare gli spazi, dentro, fuori, attorno alle figure, o alle tavole onuste di chincaglieria varia. Quelle pennellate, spesso magre, rade, libere, riuscivano magicamente a ristabilire le distanze, le varie sagome balzavano avanti-indietro sulla tela, quasi col potere di saltarne fuori.
E’ stato detto, giustamente, che quelle stesure sapienti valevano come “repoussoirs”, noi diremo “respingenti”. Si può fare riferimento alla legge dei liquidi, e dunque, grazie alle diverse gradazioni cromatiche, alcuni corpi, nelle tele matissiane, vengono a galla, mentre altri affondano nelle retrovie, o si inabissano, ma in acque terse che ne consentono comunque la leggibilità. Seduto sulle sponde di quel suo stagno di nuovo conio, l’artista attese paziente di veder passare le spoglie dell’avversario, che ovviamente altri non era se non Picasso, in cui i cubi, a un certo punto, andarono in crisi, nel dopoguerra in cui il meccanomorfismo non fu più di moda, nella nostra società, e dunque, nel dopoguerra, tanti si affidarono a stesure liquide e sciolte, si pensi a Rothko, negli USA, o addirittura all’arrivo dei Graffisti, capeggiati da un Jean-Michel Basquiat che può sembrare davvero il magnifico erede della virtù matissiana, di andar via leggero, di far danzare le figure attraverso emersioni minime, ma sicure, da una incantata tappezzeria multicolore. Le imperiose erezioni macchiniste del Cubismo e derivati si sono afflosciate su se stesse, come Matisse in qualche misura aveva previsto, mettendosi ad attendere con pazienza di essere raggiunto dall’avversario di un tempo.
Nei dipinti di Matisse oggetti e figure sembrano annidarsi in un paesaggio concavo. Tutto si trasforma in colore il problema, negli anni Dieci come nelle Odalische degli anni Venti e come nei Papier Decoupes dei Quaranta e dei Cinquanta è l’equilibrio della composizione che si coniuga con l’impertinenza colorata delle masse.
L’esposizione a Ferrara ripercorre le tappe di questa ossessione che accompagna il pittore fin dagli esordi. A partire dalla centralità della figura in grado di esprimere un sentimento.
La Serpentina (1909) costituisce il primo esempio di questo approccio, una riflessione sulla curva, sulla figura sinuosa dove tutto deve essere visibile, indipendentemente dal punto di vista.
E’ indubbiamente il colore a corroborare questo approccio originale. Lo possiamo osservare nel Vaso con pesci rossi (1914) e nelle stesse Odalische.
Vi è il trionfo di una sensualità, che scaturisce dal tracciare i contorni delle forme.
Le linee si intersecano, si oppongono, si spostano in un’esplosione che congiunge verità e interpretazione: sentimento e concetto devono trovare un equilibrio, colore e linea, movimento e arresto, musica e silenzio.
“La maggior parte dei pittori – sottolinea nel 1930 – ha bisogno del contatto diretto con gli oggetti per sentirne l’esistenza e non può riprodurli che nelle loro condizioni strettamente fisiche. Cercano una luce esterna per vedere chiaro in se stessi. Invece l’artista o il poeta possiedono una luce interiore che trasforma gli oggetti per creare un mondo nuovo, sensibile e organizzato, un mondo vivo che è di per se stesso il segno infallibile della divinità, del riflesso della divinità”.
L’ardore del colore fauve non tramonta, l’analitica cubista non sfonda. Eppure le radici giovanili sembrano dialogare con gli esiti formali dell’avanguardia. Solo che la figura e il colore sono sottoposti al rigore di una musica dove la sensibilità del reale impone una misura originale: la musicalità non tanto della forma quanto dell’espressione del soggetto, a sua volta subordinata al controllo di un temperamento creativo fatto di riflessione come nel Nudo rosa seduto (1935). Ma quel che più affascina nel percorso di questo artista alla ricerca costante – è stato spesso sottolineato – di un “capolavoro borghese” che potesse superare le litigiosità faziose delle avanguardie, è la devozione nei confronti della sorpresa che le interazioni del colore definiscono; è lo stupore che il ritmo delle linee può generare. E tutto questo nulla ha a vedere con l’imitazione: la pittura è frutto di accordi, esattamente come nella musica, resi possibili da una costante tensione che l’artista crea con il proprio modello, sia una natura morta o una figura umana. Un modello espresso instancabilmente: forme divorate, dettagli che l’artista trasforma in monumentalità. Carne e sostanza, silenzio e voluttà, pulsione e quiete, istante e durata. La Natura morta con donna addormentata (1940) è uno degli esempi più sottili di questo stile inimitabile.
Una mostra che non lascia delusi e trasferisce al visitatore la gioia di vivere.

Matisse autoritratto
Figura decorativa su sfondo ornamentale
Giovane donna in bianco, sfondo rosso 
Le due sorelle
Natura morta
Ragazze in giardini

Odalisca
Ritratto con la riga verde

martedì 18 marzo 2014

Rivedere la legge 194/78 sulla I.V.G.




I giornali si interessano spesso al problema della obbiezione di coscienza praticata da un numero di sanitari talmente alto da rendere vana la 194.
La soluzione è semplice e ci allineerebbe alla legislazione vigente in tutta Europa: liberalizzare l’interruzione di gravidanza, permettendo che venga eseguita nelle cliniche private, mettendo così fine all’ipocrito compromesso alla base della normativa attuale, un vero aborto giuridico, che considera lecito l’intervento in ospedale e reato esecrabile se eseguito altrove, anche se seguito da valenti specialisti.
Vorrei aggiungere alcuni dati pregnanti: una interruzione in ospedale costa alla comunità oltre 2000 euro tra analisi, anestesia, ricovero etc., mentre entro le 9 settimane di gestazione, applicando l’ancora poco conosciuto Karman (aspirazione) necessitano 40 secondi e dopo 5 minuti la donna ritorna a casa senza problemi. Parola di chi ha una casistica di 60.000 casi e che decenni fa introdusse in Italia il metodo Karman.

sabato 15 marzo 2014

I Quartieri Spagnoli tra tradizione e tentazione



I Quartieri Spagnoli, con la loro forma squadrata a reticolo, stretti tra via Toledo e corso Vittorio Emanuele, nascono nel Cinquecento per decisione dell’illuminato Vicerè Don Pedro di Toledo, che stabilì di acquartieravi le sue truppe, lì dove era tutto un trionfo di gelsi(‘e cieueze), luogo ideale, tra le fresche frasche di appuntamenti clandestini e mercenari.
Una sorta di predestinazione del suo futuro, caratterizzato da una sessualità promiscua. Più che il cuore della città, come spesso vengono definiti, ne costituiscono le visceri, ribollenti delle passioni di una popolazione viva e solare. Il terremoto del 1980 ha costituito una sorta di cesura tra passato e presente, con i segni del sisma ancora presenti come una cicatrice sanguinante ed una mutazione antropologica dei residenti, che hanno lasciato il passo a numerosi immigrati.
Una strada dal nome accattivante la percorre parallelamente a via Toledo, da via Sergente Maggiore, dove erano localizzati i più rinomati casini della città, fino alle propaggini di Piazza carità.
Le numerose traverse restituiscono l’anima più segreta della napoletanità e molte portano nomi graziosi: Giardinetto, Tre Re, Tre Regine.
In passato, quando in tutta Europa i palazzi avevano pochi piani ed i grattaceli nessuno nemmeno li immaginava, i forestieri rimanevano stupiti per l’altezza degli edifici, che davano l’impressione di voler sfidare il cielo.
Lauro, dopo la costruzione del nuovo Rione Carità voleva trasformare i Quartieri Spagnoli in una nuova City, ma non vi riuscì e dopo di lui hanno tentato altri speculatori in veste di filantropi, ma le antiche case stanno ancora lì incastonate l’una al fianco dell’altra, con uno spazio utile alla circolazione, che si riduce giorno dopo giorno, tra la spazzatura ubiquitaria, cassette della frutta e vasche di pescivendoli, oltre allo spazio di cui si appropriano abusivamente gli abitanti dei bassi, che limitano con paletti e catene lo spazio per parcheggiare auto a motorini. Una stretta mortale che impedisce di accorrere alle ambulanze ed ai mezzi dei pompieri, come quando nel 1985 un rovinoso incendio sterminò una famiglia senza che nessuno potesse aiutarli.
Durante l’ultima guerra affluivano in massa i militari Americani in cerca di prostitute, sono gli ultimi “turisti” che si sono avventurati tra questi vicoli, anche se sono sorti alcuni Bed & Breakfast ed ogni tanto si avventura qualche forestiero alla ricerca di emozioni.
I Napoletani si spingono meno timorosi e frequentano i due antichi teatri: Il Nuovo e la Galleria Toledo o degustano cibi tradizionali in alcune accorsate trattorie. Il massimo che può capitare è uno scippo, mentre del tutto assenti sono le sparatorie, per il serrato controllo sul territorio operato dal clan Mariano.
Da poco, con l’apertura della stazione Toledo della Metropolitana, con l’ardita uscita svincolo di Montecalvario, ci si sente più legati alla mobilità, anche se i passeggeri che sfruttano questa opportunità sono un numero esiguo, non più di 200 al giorno, a fronte dei 10000 della stazione a valle. Vi sono più persone (bel 1600) nella gigantesca installazione  fotografica di Oliviero Toscani che adorna la piattaforma mobile, che utenti del nuovo mezzo di comunicazione.
Una presenza momentaneamente simbolica, ma che rappresenta un valido investimento per far sentire il quartiere come presenza viva e palpitante della città.
Napoli ha ora la stazione più bela d’Europa, un luogo magico ed affascinante da cui non vorresti mai uscire, che ti folgora per il tripudio di colori presi dal mare, dal cielo, dal sole. Anche tutte le altre stazioni sono luoghi di bellezza ed arte che stupiscono e coinvolgono, favorendo incontri e riflessioni. Non ascolteremo mai questa notizia in televisione, né la leggeremo sui grandi quotidiani, impegnati quotidianamente a sottolineare solo gli aspetti negativi.
Il quartiere è stato sempre famoso per i Femminielli, personaggi leggendari, fragili e sfacciati allo stesso tempo.
I femminielli, appunto. Eroi di vita e di leggenda. Esseri fragili e forti che ancora resistono in questo labirinto per altri versi (e ci arriveremo) dedicato ai riti strazianti ed esaltanti della fertilità. Qui c'è ancora la Tarantina, vive in un basso di vico Lungo Gelso. È stato il mito della sconnessa dolce vita napoletana, ma anche di quella cinematografica romana, quella di Federico Fellini, Marcello Mastroianni, Pier Paolo Pasolini, Alberto Moravia, ma anche di un distinto Goffredo Parise. La Tarantina, al secolo, Carmelo Cosma, a marzo compirà 78 anni ed è stata l'ape regina dell'universo LGBT, lesbiche, gay, bisessuali e transgender, quando ancora non li chiamavano così, ma, se andava bene, solo e sempre femminielli. La Tarantina ha raccontato la sua vita di misteri gloriosi in un libretto uscito in autunno (stampato da Onde Corte: «La Tarantina e la sua"dolce" vita»). E niente altro vuole aggiungere su quel mondo trasgressivo e tollerante, popolare e aristocratico, trucido e intellettuale che si è dissolto da decenni. La frattura fu il terremoto dell' Ottanta, con una camorra accecata dall’arricchimento immediato e dall’arrivo a vagonate di eroina e poi di cocaina. Anche Esmeralda, molto più giovane della Tarantina, rimpiange il tempo perduto, come un’Albertine lacera e lacerata. È seduta al tavolino di un caffè e sorseggia l'ennesima tazzina, insieme alle arniche di segreti e di pettegolezzi, in un vicolo dove si fanno strada gli scooter, in sciame ronzante e i furgoni affumicanti dei commerci senza sosta.
È difficile sfuggire all’oleografia a buon mercato quando si mescola una dose di Patroni Griffi, un'altra di Mastriani, qualche frame di Quentin: Tarantino o di un poliziottesco anni Settanta, una spruzzata di note dell' archiviata new wave vesuviana, si agita con  lo sciroppo neomelodico e l’aperitivo è servito.
Si vedono le sale scommesse che spuntano come funghi. Si vedono gli altarini popolari che si alternano alla street art di Cyop&Kaf. Si vedono auto parcheggiate in spazi privatizzati che non lasciano un angolo libero dove piazzare un bidone della raccolta differenziata. Si vedono scalini alternati a basolato, e insieme s’inerpicano verso San Martino che spunta, come in uno stordente gioco a nascondino, un vicolo sì e uno no. Si vede l'alveare che di sera si svuota di ragazzi tatuati con la cresta e ragazze alliccatissime con una preferenza per il corvino e lampadato: si avventano in scooter su Chiaia e Toledo a far vasche da centauri senza casco. L'altra città o la vera città.
Ma poi, se ti aggiri in questa foresta pietrificata di tufo e piperno, vedi che il crollo è all' ordine del giorno, gli edifici storici sbarrati sono più di quelli aperti. È chiusa persino la stessa Speranzella in un mondo che di speranze ne avrebbe bisogno assai. Ii nome ufficiale dell'anagrafe storico-ecc1esiatica è Santa Rita della Speranzella, perché qui si venera la risolutrice dei casi impossibili. «E sbarrata da mesi per lavori. Ora è chiusa, ma prima quante messe e quante feste, soprattutto per santa Rita. La monaca di Cascia è invocata da chi vuole un figlio, sebbene la vera salvatrice delle donne apparentemente sterili ha il suo tempio poco lontano: è santa Maria Francesca delle Cinque Piaghe, patrona dei Quartieri, nata e vissuta qui nel Settecento. Fatta santa da Pio IX, poco dopo l'Unità d'Italia, è festeggiata il 6 ottobre. In quel giorno, ma anche il 6 di ogni mese, nella piccola chiesa di vico Tre Re a Toledo, un edifico ad angolo che, se non lo cerchi, passerebbe inosservato, c'è la processione delle aspiranti puerpere. Tutte smaniose di accomodarsi per qualche minuto sulla sedia che fu della santa. È ritenuta miracolosa. Vi si sedeva Maria Francesca per cercare sollievo ai dolori e alle piaghe. Chi si accomoda ora chiede, invece, una grazia, recita la sua preghiera e poi a casa, presumibilmente, non si astiene dalle pratiche umane, troppo umane, necessarie, ma evidentemente non sufficienti. «Ne arrivano da tutt'Italia. Si sfogano narrando della loro inesauribile voglia di maternità. Si confrontano. Le hanno tentate tutte. Proviamo anche con le Cinque Piaghe, non si sa mai. E non poteva esserci luogo più appropriato dei Quartieri per i riti della fertilità, perché la vita qui è prorompente e bambini, soprattutto di pomeriggio, ne vedi dovunque. Nascono tutti qui. Qui, dove le mamme ,le matriarche che non la fanno buona a nessuno, sono giovanissime e le nonne, spesso e volentieri, hanno passato da poco i quarant’anni, hanno la stessa età delle pellegrine che, sedute, invocano la grazia di poter preparare pappine e cambiare pannolini. 
Sacro e profano sono pane quotidiano in questo scorcio della Napoli devota alla vita. Fino a non molti anni fa era consuetudine affidare i neonati alle braccia dei femminielli, perché era ritenuti di buon augurio: una forma antifrastica di iniziazione? E chi lo sa? Non bisogna farsi troppe domande. La verità, quassù, ama travestirsi. L'apparenza può tutto. Del resto anche la Lili Kangy della canzone omonima, che tutti pigliavano per francese o per spagnola, era nata al Conte di Mola, uno dei leggendari vicoli appesi a mezza collina. L'insegna della strada è quasi nascosta dai tubi di un palazzo in restauro, uno dei pochi, perché ne avrebbero bisogno tutti, per eliminare, almeno dalle facciate, la patina della zella. Alle targhe toponomastiche fanno concorrenza i cartelli scritti a mano o stampati che, gentilmente o minacciosamente, invitano a non depositare monnezza in ogni angolo. Anche perché, dicono in coro da ogni basso, 'e scupature, quando pure vengono, stanno seduti a leggere il giornale. Gli spazzini hanno sempre gli occhi puntati addosso. Le avvisaglie di ogni crisi della monnezza sono avvertite prima nei Quartieri. Epicentro delle emergenze. E allora gli abitanti fanno scivolare la zella giù a Toledo, restituiscono con gli interessi quanto hanno preso. Per quanto possano essere spagnoli, sono pur sempre quartieri napoletani. Ne hanno viste di ogni colore e hanno imparato qualsiasi lingua, a cominciare da quella bastarda dei marinai americani che, fino a buona parte degli anni Ottanta, si addentravano nei vicoli ruffiani, in cerca di piaceri carnali ambosessi, per finire ubriachi e in mutande sotto un androne. E mentre tra i vicoli il sound neomelodico è sommerso dai ritmi meticci l’allegria trionfa sulla malinconia e la vita, faticosamente, continua.
Consiglio di consultare in rete “Il misterioso mondo dei femminelli” e “I riti della fertilità” contenuti nei tomi I e II del mio libro: Napoletanità, arte, miti e riti a Napoli.

devozione in fila davanti la sedia di santa maria francesca delle cinque piaghe
femminielli in pensione
foto di Oliviero Toscani nel metrò Montecalvario