sabato 26 ottobre 2024

Achille versa in condizioni terrificanti


Achille da alcuni giorni è immobilizzato a letto con una frattura all'omero ed inoltre con una grave infiammazione alle gengive, che non gli permettono di parlare.

Tutto nasce lo scorso venerdi 18, alle ore 17:05 mentre Achille scendeva le scale della sua villa per recarsi ad aprire il cancello della villa agli ospiti. Purtroppo scivola sulle scale e cade lungo il viale del giardino, dove rimarrà in sosta sotto la pioggia battente per circa 40 minuti. Fino a quando non arriveranno degli ospiti subsettantenni, in grado in cinque di porgerlo su una sedia e poscia all'interno della villa. Egli rimarrà in attesa degli ospiti e solo dopo un'ora si deciderà a chiamare il 118, che lo condurrà al Fate Bene Fratelli. Lì venne sottoposto ad esami clinici e radiologici che diedero come esito una frattura composta alla testa dell'omero destro. Fu eseguita una fasciatura mastodontica e fu invitato il paziente a ritornare munito di altri esami di laboratorio dopo alcuni giorni che grazie all'inefficienza delle nostre strutture sanitarie, saranno pronti tra circa sette giorni.

Nel frattempo il destino di Achille è ignoto anche alle divinità celesti.

Vogliamo spargere la notizia ai suoi centomila followers, sperando che arrivi anche ai frequentatori del suo Salotto culturale, che sarà chiuso per almeno un mese.

Invito tutti a pregare per Achille ed Amen.

Elvira Brunetti  

  

Achille col tutore!!!!


domenica 13 ottobre 2024

Ecce Homo di Giovan Bernardo Lama


Fig.1 - Ecce Homo -
Giovan Bernardo Lama
 (Napoli, notizie dal 1560 al 1600) 
 olio su tela (80x60)

Sul finire del Cinquecento Giovanni Lama è, a Napoli e nell'Italia meridionale, l'interprete sincero della tendenza "devozionale", egli infatti è l'autore di celebri immagini "controriformate" di forte effetto pietistico. Egli prende ispirazione dai toni crudi e reali degli Spagnoli Morales e Vargas. A Napoli fece bottega con il suo collega Silvestro Buono ed ebbe parecchi allievi. Numerose sono le sue opere, tutte di soggetto religioso, tra queste ricordiamo "La Pietà" per San Giacomo degli Spagnoli, "La Decollazione del Battista" per San Gregorio Armeno, la piccola "Pietà" del Louvre, "la Pentecoste" per S. Caterina a Formello ed il "Noli me tangere" ora in Francia a Chantilly.

Dipinto di qualità eccelsa, questo Ecce Homo (fig.1), è fornito di una bella cornice antica, e proviene come altre tele della collezione dalla raccolta delle opere pie di Napoli.  Esso rappresenta la figura di Gesù in meditazione con le braccia conserte ed il volto sofferente su di un fondo scuro sul quale domina il colore della veste del Cristo, un rosa dalla tonalità molto calda e delicata .

Di fatto i più recenti interventi della critica sul dipinto ribadiscono il suo grande impatto visivo, la composizione solenne, dal colorito forte e dal disegno squisito, in grado di profilare classicamente le figure con tratto scultoreo.

Il professor Pavone aveva sottolineato, con una certa sicurezza, il particolare effetto luminoso del dipinto sulla esecuzione delle pieghe delle maniche e sulla definizione delle dita affusolate del Cristo.

Dopo l'opinione del professor Pavone,  il professor Leone de Castris, nel ribadire l'autografia del dipinto, ha ritenuto che  il prototipo raffigurativo viene fatto derivare da Sebastiano del Piombo dal quale passa poi in Spagna ove Luis Morales lo trasforma parzialmente per pervenire di nuovo a Napoli alla fine del 500 per trasferirsi nei modi pittorici di Giovan Bernardo Lama e di alcuni suoi imitatori. Che il dipinto derivi dallo stile pittorico del Morales è anche il parere del professor Spinosa.

Il quadro è descritto anche dal De Dominici, il quale adopera delle parole ancora oggi pertinenti: "Forza di colorito e gravità di componimento accompagnato da esquisito disegno".

Achille della Ragione

sabato 12 ottobre 2024

Carlo Carafa un illustre personaggio della Napoli seicentesca

  

 – Ignoto pittore napoletano del XVIII secolo –
Carlo Carafa – olio su tela (100x75)

Era il 1977, sembra ieri, invece è trascorsa gran parte della mia vita, la professione andava a gonfie vele, per cui con mia moglie Elvira decidemmo di poter acquistare un po’ di quadri del Seicento napoletano, del quale eravamo appassionati. Avevo l’abitudine di acquistare il Mattino il sabato notte per poter leggere in anteprima la rubrica delle vendite. All’epoca i tanti giornali come Bric brac o Fiera città non esistevano e l’unico modo per fare un affare era quello di telefonare prima degli altri. Fui attratto da un annuncio originale: ”Vendo 13 quadri del Seicento 13 milioni”. Pareva una vendita a peso e la curiosità si mischiò alla meraviglia quando scoprimmo che l’ignoto venditore abitava nella Pignasecca, uno dei tanti quartieri diseredati della città. Preso l’appuntamento esitavamo a salire. Era un palazzo buio e puteolente alle spalle dell’ospedale dei Pellegrini, senza ascensore e bisognava raggiungere il quinto piano. Ci facemmo coraggio e salimmo. Ci ricevette uno zotico dal volto patibolare, che ci mostrò le tele accantonate in un angolo della cucina. Scoprimmo che il personaggio era un impiegato dell’istituto delle Opere pie di Napoli ed aveva acquistato i quadri per una mangiata di fave ad un’asta giudiziaria provocata dalla richiesta della giunta Valenzi di tributi arretrati. I dipinti erano in pessimo stato di conservazione, ma avevano delle cornici molto appariscenti. Chiedemmo di poter tornare con un esperto e l’improvvisato venditore ci ingiunse di fare presto, perché aveva bisogno di spazio dovendo a giorni fare le bottiglie di pomodoro. Tempo ventiquattro ore ed eravamo di nuovo alla carica accompagnati dal dottor Ciro Fiorillo, funzionario della sovrintendenza, che ci fece scegliere sei quadri. Ricordo uno in particolare che disse di comprare, anche se si sarebbe dovuto buttare la tela, ne sarebbe uscito uno splendido specchio, invece poi il restauro riesumò un lavoro di Giovan Bernardo Lama. Tra questi acquisti ero stato attratto da un austero personaggio  che contavo di spacciare con gli amici per un celebre antenato, ma la pulitura evidenziò una scritta in latino dalla quale trapelava l’identità del soggetto: Carlo Carafa, il fondatore della Congregazione dei Padri Pii Operai. Il nobiluomo è raffigurato nell’atto del comando con l’indice della mano sinistra rivolto verso l’alto e con nella mano destra una bacchetta impugnata in senso d’autorità. Non potendo trasformarlo in un trisavolo mi dedicai a studiare la sua vita, raccogliendo qualche notizia inedita che voglio ora trasmettere ai miei pochi ma affezionati lettori. Carlo Carafa apparteneva alla famosa famiglia napoletana, che con i Caracciolo ed i Capece, costituirono le famose tre ”C” (non quelle del caffè) del vicereame, che ora alleate, ora nemiche del popolo, crearono la leggenda di Napoli fedelissima alla corona di Spagna. Egli nacque nel 1561 a Mariglianella di Nola da don Fabrizio Carafa e da donna Caterina di Sangro. Rimase orfano a cinque anni e stette in collegio dai Gesuiti. Entrò poi nella Compagnia di Gesù, ma dovette uscirne perché malato di tubercolosi. Ristabilitosi dopo energiche cure si dedicò sorprendentemente alla carriera militare. A 23 anni divenne capitano di fanteria nella guerra contro i Luterani nelle Fiandre e contro i Turchi, liberando la città di Patrasso. Ritornato a Napoli, dopo essersi lasciato trasportare, per un periodo, dal “bollore delle passioni” e dai cattivi esempi tipici delle milizie, decise di prendere l’abito di Chiesa; ritornò a studiare Filosofia e Teologia: il primo Gennaio del 1600 venne ordinato sacerdote. Dopo aver a lungo meditato in solitudine in una grotta di tufo naturale ai piedi della collina di San Martino fu nominato dall’Arcivescovo di Napoli, nel 1602, Visitatore generale della sua Diocesi.  I mesi di isolamento e preghiera gli fornirono la forza necessaria per travolgere la città con la sua battaglia in favore dei poveri, dei diseredati e delle donne perdute. In questo periodo fondò il Conservatorio delle Illuminate, detto poi del Soccorso.  Si distinse per la dedizione che dava agli ammalati dell’Ospedale degli Incurabili di Napoli, impegno che continuò per tutta la vita, anche se non più a tempo pieno. Insieme ad alcuni sacerdoti napoletani, iniziò nel 1602 la predicazione di missioni rurali, percorrendo a piedi i paesi e le contrade dei dintorni di Napoli, sollevando gli oppressi, istruendo gli ignoranti, confortando i moribondi, istituendo conservatori e orfanotrofi, fondando chiese e conventi in Napoli e provincia. Istituì così nel 1602 la Congregazione della Dottrina Cristiana, che nel 1621 cambierà il nome in Congregazione dei Pii Operai, con lo scopo dell’assistenza e istruzione della gente rurale delle campagne e dei sobborghi della città, che era maggiormente abbandonata.Nel 1606 costruì il Santuario della Madonna dei Monti ai Ponti Rossi in Napoli, che divenne la culla della nascente Congregazione e il noviziato dei Pii Operai. Lo sviluppo della Congregazione permise l’apertura di altre case e di chiese a loro affidate, come la chiesa di S. Giorgio Maggiore in via Duomo a Napoli, di S. Nicola alla Carità in via Toledo nel centro di Napoli e a Roma S. Balbina, S. Maria ai Monti e S. Giuseppe alla Lungara.Nella sua molteplice attività padre Carlo Carafa evangelizzò le tribù di zingari accampati, allora come oggi, nella periferia della città, assisteva i condannati a morte; cercò inoltre di istruire e convertire gli schiavi maomettani e di far cambiare vita ad infinite meretrici, per le quali fondò appositi ricoveri. Fu l’artefice della grande processione penitenziale da lui guidata per le strade di Napoli, per impetrare la cessazione della disastrosa eruzione del Vesuvio del 1631, fu tanta la partecipazione a quella penitenza, che moltissimi peccatori si convertirono e presero a confessarsi in massa dai Pii Operai nella Chiesa di S. Giorgio Maggiore, altrettanto fecero un gran numero di meretrici, per le quali fu necessario fondare un altro conservatorio detto poi dal popolo “delle Pentite”. Sembrava non avesse mai un momento libero; la sua vita era spesa interamente per il prossimo; fu più volte Preposito Generale del suo Ordine, ma quando nel 1633 lo volevano rieleggere, egli rifiutò, dicendo che voleva prepararsi da suddito alla morte, che profetizzò doveva avvenire in quell’anno, infatti morì l’8 settembre 1633 a 72 anni fra il compianto generale dei Napoletani. Il suo corpo riposa nella Chiesa di S. Nicola alla Carità in Napoli ed è meta tuttora di numerosi devoti. La sua Congregazione ebbe uno sviluppo notevole fra Napoli, Roma e dintorni nei secoli XVII e XVIII; nel 1656 sfiorò l’estinzione, quando tutti i suoi membri, nell’assistere gli appestati, contrassero la malattia morendo, solo quattro sopravvissero. Con le soppressioni napoleonica e post-garibaldina, l’Istituto perse le fonti di sostentamento dell’immensa opera caritatevole che svolgeva e dovette chiudere le varie Case e Opere; nel 1943 la Santa Sede univa ai Pii Operai la Congregazione dei Catechisti Rurali (Missionari Ardorini), fondata dal servo di Dio don Gaetano Mauro. Oggi la Congregazione ha assunto il nome di Pii Operai Catechisti Rurali (Missionari Ardorini), per continuare nel presente e nel futuro, le gloriose tradizioni di santità e di servizio alla Chiesa ed alle anime che nei secoli l’ha contraddistinta. Un napoletano illustre le cui gesta pochi oggi conoscono e che merita di essere ricordato. Sul bordo superiore del dipinto vi è una scritta in latino che il tempo lentamente tende a cancellare dalla quale gli studiosi hanno recuperato importanti notizie biografiche su l'illustre personaggio. Vorremmo concludere ricordando che i resti mortali del Carafa giacciono nella prima cappella entrando a destra della chiesa di San Nicola alla Carità dove non esiste nessun quadro che lo raffigura, per cui il parroco, disponendo di cospicui fondi pubblici, ha più volte tentato di comperare il mio dipinto. L'ultima volta nel 2021 mi offrì 40.000 euro da me sdegnosamente rifiutati

Achille della Ragione


venerdì 11 ottobre 2024

Scorci di paesaggio di Giuseppe Carelli

 


I due acquerelli in esame  fanno parte della produzione migliore di Giuseppe Carelli. Quella approntata per soddisfare le richieste dei numerosi turisti, che dopo aver ammirato Napoli e dintorni ed averne apprezzato le bellezze naturali, in un'era pre fotografica, volevano portare con sé in patria un ricordo tangibile dei luoghi visitati. Per soddisfare queste esigenze anche i pittori più bravi e famosi affiancavano ad una produzione più ispirata, delle opere improntate ad una cartolina mistica a volte anche di buon livello, come è il caso dei due acquerelli in questione, che rappresentano scorci di una Napoli che purtroppo non esiste più devastata da una cementificazione selvaggia che ha subito il paesaggio. In tutte e due le opere fa da sfondo il Vesuvio con il suo imponente pennacchio, l'azzurro mare del Golfo solcato da qualche imbarcazione con le vele spiegate, la ferrace campagna con le sagome tranquille degli antichi contadini, i grossi pini mediterranei che dominano il panorama. Sono contenuti ciò che gli elementi caratterizzanti della oleografia paesaggistica napoletana quegli elementi cari agli occhi dei visitatori stranieri che tornavano spesso a casa innamorati segretamente di Napoli e dei suoi dintorni . 

Giuseppe Carelli nacque a Napoli nel 1858, fu prima allievo del padre Gonzalvo, in seguito seguì gli insegnamenti di Mancinelli e di Marinelli e riuscì a soli 18 anni a diplomarsi maestro d'arte presso l'Accademia napoletana. Si trasferì poi a Roma ove frequentò a lungo i Musei Vaticani nei quali potete approfondire lo studio dei classici ed esercitarsi nel disegno e nelle copie dei grandi maestri del passato. Egli fu prevalentemente un pittore di paesaggi ed in questo genere può essere considerato uno dei più abili vedutisti del tardo '800 napoletano si occupò anche di incisione, acquaforte e litografia. Amò lavorare dal vero e in questo carattere egli rappresentò un'ideale continuazione con la scuola di Posillipo a cui appartenevano il nonno, che fu uno dei fondatori ed il padre che fu uno degli interpreti più abili. Tra le sue opere più note ricordiamo il: capo Palinuro, Golfo di Napoli con il palazzo Donn'Anna, Marina di Posillipo che ricevette un premio nel 1889 ed i pescatori al largo di Capri già in collezione Lemmerman. Le sue opere si trovano in numerose collezioni private italiane e straniere. Tra queste la più ricca è la collezione Doria a Genova

Achille della Ragione 

  



giovedì 10 ottobre 2024

Napoli vista dal mare

 

Teodoro Duclère (Napoli 1855–1869)
 - Napoli vista dal mare -olio su tela (47x64),
firmato in basso a destra ”Th Duclère”
Provenienza collezione Serracapriola,
 Sorrento 1995


La tela proviene dalla collezione Serra-capriola di Massa Lubrense ove era presente da molti decenni ed è firmata in basso a destra Th. Duclere.

Lo scorcio del Golfo di Napoli visto dal mare è dipinto con stile naif e con una Cher e con un’attenta cura della resa cromatica: azzurro scuro per il mare azzurro, azzurro chiaro per il cielo, bianco madre perla lascio per le nuvole, verde per i giardini che ricordano Castel sant’Elmo ed il museo di San Martino, varie tonalità di grigio e di beige per gli edifici.  Il mare calmo è solcato da numerose barche di pescatori che tornano dal duro lavoro e da un vascello che, carico di mercanzie, si dirige a vele spiegate verso il molo, dominato dalla famosa lanterna. Alle spalle il turrito Maschio Angioino. Altri famosi monumenti solo riconoscibili nella tela, dal Castel dell'Ovo, alla guglia della Chiesa del Carmine dalla Nunziatella, all'Eremo dei Camaldoli.  Una larga e luminosa via Marina con una spiaggia lambita da un mare pulito percorsa da rari passanti e non come oggi da un inferno di auto a tutte le ore ci fa pensare a come era bella Napoli nel secolo scorso e com’è malridotta oggi a causa del progresso

mercoledì 9 ottobre 2024

Una Madonna col bambino di Francesco Solimena

  

Francesco Solimena - Madonna col Bambino
olio su tela - Provenienza collezione Fuchs Perrucci, Napoli 1978

il dipinto raffigurante una Madonna con il bambino proviene dalla collezione di un'antica e famosa famiglia tedesca un cui ramo è presente a Napoli da circa ottanta anni.

Questa tela nel tempo è stata esaminata da più esperti. Alla fine la questione è stata risolta dal professor Bologna che, già a conoscenza del quadro che aveva visionato negli anni 50, presso la famiglia precedentemente proprietaria, ha stabilito con sicurezza che la tela è replica autografa del Solimena ed ha identificato il prototipo, databile al 1715,  nel dipinto conservato presso la collezione Harrach nella residenza Schloss Rohau nei pressi di Vienna. Dopo l'illuminazione del professor Bologna un certo collegamento può a nostro parere farsi anche con la Madonna centrale del dipinto Madonna con il bambino l'arcangelo Raffaele e San Francesco di Paola, un quadro del primo decennio del 700 conservato a Dresda presso la Staatliche Gemalde Galleria. Il professor Bologna dichiara altresì che la qualità del dipinto è molto elevata, molto dolce lo sguardo della Madonna e ciò potrebbe far pensare ad uno dei suoi quadri più belli. 

Achille della Ragione.

  

Il quadro nella camera da letto
della villa Fuchs Perrucci
 prima della guerra




martedì 8 ottobre 2024

Una Madonna del latte di Pacecco De Rosa

 

Pacecco De Rosa – Madonna del latte
– olio su tela (75x60) –
Provenienza Opere pie Napoli 1977


A Napoli la fantasia popolare ha creato varie iconografie della Madonna, da quella del Rosario a cui è attribuita la vittoria delle truppe cristiane su quelle musulmane nella famosa battaglia di Lepanto nel 1571, a quella delle Grazie che si occupa delle anime del Purgatorio, a quella del Carmine di provenienza orientale. Poi la Madonna della Purità e la Madonna dei nodi, sono meno conosciute ma stanno acquistando notorietà negli ultimi tempi. Inoltre c'è la Madonna del Latte che soccorre i neonati, e di cui ci occuperemo in questo breve articolo. Fu proprio tra le donne che si diffuse maggiormente la devozione alla Madonna del Latte, soprattutto tra le madri e le partorienti, che si rivolgevano alla Vergine per avere il latte per nutrire i loro bambini e la forza per proteggerli. 

Il dipinto di cui parleremo raffigurante una Madonna nel gesto di allattare fa parte con altri cinque quadri della collezione (15-27-54-55-56) dal quarto gruppo di Opere pie di Napoli con sede in via Carlo Carafa alla Pignasecca.

L'esattoria comunale di Napoli a seguito di un pignoramento, tenne una vendita all'asta il 4 luglio 1977 ove vennero acquistati i dipinti prima citati, che costituiranno il nucleo iniziale da cui è partita la collezione della Ragione, e la Madonna in questione ha l'altissimo onore di assistere da decenni al sonno del celebre intellettuale.

All'epoca i quadri furono acquistati su consiglio del dott. Ciro Fiorillo, che vide nella madonna allattante la mano di Pacecco De Rosa.

In seguito fu eseguito un restauro da parte del prof. Graziadei, il quale ha ripristinato in maniera consistente la leggibilità del dipinto, che in parte rovinato, conservava nel manto della madonna varie tonalità di rosa molto gradevoli.

Giudicato su foto dai professori Pacelli e Pavone è stata confermata l'autografia del dipinto, di cui di recente in una mostra è stato esposto un dipinto identico firmato e datato.

Achille della Ragione

lunedì 7 ottobre 2024

Una coppia di interessanti dipinti erotici di Giacinto Diano

fig.1- Dio fluviale tenta una ninfa - 81x120
Napoli collezione della Ragione 


I due dipinti di cui parleremo in questo articolo furono presentati alla mitica asta dei beni appartenuti al comandante Achille Lauro, tenutasi il 25 ottobre del 1984 nei fastosi saloni della villa dell’illustre personaggio. Presentati come autografi di Giacinto Diano (lotto353A–B), provenivano da una prestigiosa raccolta napoletana, che possedeva un expertise scritto da Raffaello Causa, che, oltre a descrivere minuziosamente le due tele, ne definiva l’autore, il Diano, “il maggiore tra i pittori attivi a Napoli nella seconda metà del Settecento”. Battitore Marco Semenzato, abile, alternando variazioni nel tono della voce a brevi pause che invitavano alla meditazione, a far lievitare i prezzi di aggiudicazione dei quadri, come avvenne nel caso dei dipinti in esame, che raggiunsero una quotazione molto alta. Quando nel 1997 fu stilato il catalogo  della collezione ove erano pervenuti I dipinti sono stati visionati da celebri docenti da Pacelli a Pavone, da Fiorillo a Di Loreto ed esperti antiquari come Porcini, Gargiulo e Datrino, il quali hanno tutti affermato perentoriamente trattarsi di autografi di Giacinto Diano. I due pendant di raffinato effetto decorativo, ideati probabilmente come sovrapporte, mostrano una grazia lineare nelle figure dei personaggi che si dipana garbatamente, rappresentando un esempio pregevole dell’eleganza formale a cui l’artista era pervenuto nella sua pittura con un felice compromesso tra la tradizione locale e le nuove istanze neoclassiche. La materia pittorica viene resa dall’artista in maniera tersa e trasparente per effetto di una felice apertura al clima classicheggiante instauratosi a Napoli nella seconda metà del Settecento. Le due scenette mitologiche sono ambientate in un recesso idillicamente ameno, di sapore dolcemente arcadico. Nella prima (fig.1) è la divinità che si accosta premurosa verso la ninfa discinta ed apparentemente assorta in altri pensieri, per reclamare imperiosamente il dono dell’amore, nella seconda (fig.2) è la ninfa che si avvicina maliziosa, protesa ad accarezzare e provare godimento e a darne. Nella prima Cupido è pronto a scoccare la sua freccia erotica e birichina, per favorire il dio fluviale nell’espletamento del suo progetto penetrativo, nella seconda assiste dall’alto un angioletto pronto, con delle corone di alloro a cingere e suggellare il compimento del gesto amoroso. Il turrito paesaggio sullo sfondo si sposta da sinistra verso destra come se dipendesse dalla prorompente forza dinamica che emana da colui che presiede all’iniziativa amorosa, compenetrandosi nelle sofferte pene del cuore e fornendo così una partecipazione d’assieme in concerto con il fluire copioso dell’acqua, che pare simboleggiare con la sua fresca e piena abbondanza il completamento e l’esecuzione dell’atto d’amore. 

Achille della Ragione 

 

fig.2- Dio fluviale tentato da una ninfa - 81x120
Napoli collezione della Ragione

   




martedì 1 ottobre 2024

NAPOLI città dai tanti CASTELLI

In copertina
Castel Capuano 



Prefazione  

Napoli è città con tanti castelli costruiti negli ultimi mille  anni, che hanno funzionato per difendere Napoli dagli  attacchi dei nemici e come dimora privilegiata per le  dinastie regnanti.  

Costituiscono un'attrazione per i turisti, che da alcuni  anni sono aumentati di numero e costituiscono l'unica  risorsa economica sulla quale si può contare. 

Purtroppo alcuni come Castel dell'Ovo sono da tempo  chiusi per lavori di manutenzione e di recente Castel  Capuano è stato assegnato al Touring per le visite  guidate, un'organizzazione poco efficiente della quale non  ci si può fidare. 

Il libro ha 150 foto a colori e la sua lettura provoca una  gioia infinita. 

Il volume è disponibile in PDF su questa pagina. Chi volesse una copia cartacea può contattare l'autore

tel 081 7692364

Nel dare appuntamento per il mio 163° libro non mi resta  che augurare buona lettura ai lettori. 

Achille della Ragione 

  

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In 3^ di copertina 
 Castel dell’Ovo

INDICE

  • Prefazione 
  • Castel Capuano  
  • Castel dell'Ovo Castrum Lucullanum  
  • Castelnuovo una superba fortezza 
  • Museo Civico di Castelnuovo 
  • Alcuni capolavori del museo di Castelnuovo 
  • Il castello del Carmine, un antico maniero
  • Castel Sant’Elmo 

  

In 4^ di copertina
Maschio Angioino

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Napoli 1^ edizione ottobre 2024