Serena Autieri ed Achille della Ragione |
“Grand Hotel: carcere di Rebibbia” di A. della Ragione il girone infernale
e il viaggio nell'esperienza umana di Achille della Ragione.
di Elisabetta Pedata Grassia
“Grand Hotel: carcere di Rebibbia” , il girone infernale e il viaggio nell’esperienza umana di Achille della Ragione.
Nato a Napoli, classe ’47, laureato in Medicina nel 1972 e specializzato in ginecologia, si Laurea poi anche in Lettere Moderne.. Achille della Ragione è un appassionato studioso dai molteplici interessi, si dedica con dedizione e impegno alla storia dell’arte divenendo uno dei massimo cultori della pittura del Seicento napoletano. Ma non solo, Achille della Ragione è uno scrittore indefesso e ” Grand Hotel: Carcere di Rebibbia” è il suo centoventisettesimo libro.
Segue l’intervista:
-Possiamo considerare la Sua esperienza come una sorta di viaggio in un girone infernale, ma nonostante tutto Lei ha sempre infuso grande ironia e leggerezza anche a quell’esperienza. Come e quando nasce la volontà di scrivere questo libro?
–Quali sono le differenze che si stagliano tra questi due ‘gironi’, che sono da un lato Rebibbia e dall’altro Poggioreale?
-Rispetto a quanto accaduto di recente durante l’emergenza sanitaria: qual è il suo pensiero circa le proteste avvenute nelle carceri italiane?
“Grand Hotel: carcere di Rebibbia” , il girone infernale e il viaggio nell’esperienza umana di Achille della Ragione.
Nato a Napoli, classe ’47, laureato in Medicina nel 1972 e specializzato in ginecologia, si Laurea poi anche in Lettere Moderne.. Achille della Ragione è un appassionato studioso dai molteplici interessi, si dedica con dedizione e impegno alla storia dell’arte divenendo uno dei massimo cultori della pittura del Seicento napoletano. Ma non solo, Achille della Ragione è uno scrittore indefesso e ” Grand Hotel: Carcere di Rebibbia” è il suo centoventisettesimo libro.
Segue l’intervista:
-Possiamo considerare la Sua esperienza come una sorta di viaggio in un girone infernale, ma nonostante tutto Lei ha sempre infuso grande ironia e leggerezza anche a quell’esperienza. Come e quando nasce la volontà di scrivere questo libro?
<< Come accennato nella prefazione
del libro, anni fa, alla soglia dei settantanni ho elaborato una corposo
autobiografia e nel tempo ho aggiunto capitoli su capitoli,
raggiungendo un corpus di circa 500 foto e 300 pagine. E mancava
qualunque accenno, a quel periodo della mia vita. Durante il periodo
della pandemia, ho messo a punto questo libro che da un lato si presenta
come un amarcord, e da un lato vuol essere anche un’elaborazione sulla
vita nelle carceri . Elaborazione che avevo precedentemente scritto
anche attraverso un altro scritto ” Tribolazioni di un innocente’‘ con
la prefazione dell’ On. Amedeo Laboccetta.>>
–Quali sono le differenze che si stagliano tra questi due ‘gironi’, che sono da un lato Rebibbia e dall’altro Poggioreale?
<<
C’è una differenza sostanziale dovuta al rapporto tra capienza e
numeri di detenuti. Napoli soffre di un sovraffollamento costante. A
Rebibbia invece c’è un intero reparto dedicato ai ” vip”, intendo
ironicamente ergostolani o personaggi realmente famosi come il
governatore della Sicilia, Salvatore Cuffaro, truffatori in cravatta
bianca, parlamentari ecc. Poco dopo esserci entrato fui destinato anche
io a questo reparto, che godeva della possibilità di poter uscire dalla
cella, dopo un certo orario per poter usufruire di un’infinità di
attività che si svolgevano. Particolare attenzione la dedicai alla
facoltà di Giurisprudenza sostenendo anche metà degli esami , un teatro
che due o tre volte a settimana ci intratteneva con spettacoli di
musica, canto. C’erano anche scuole medie e superiori; a questo si
aggiungeva la possibilità diffusa di poter lavorare a seconda della
proprie attitudini. Mentre Napoli è dimenticata da Dio, Rebibbia era un
via vai di visite da parte di tantissime autorità, tra Rettori
universitari come quello della Luiss. Attori, ministri in visita
ufficiale. Spesso proprio io ero in prima linea nell’accoglienza di
queste personalità, e molte delle mie dichiarazioni venivano poi
riportate dai maggiori quotidiani. Per questo motivo all’interno di ”
Grand Hotel” ho inserito una appendice documentaria con foto per
attestare quanto realmente accaduto.>>
-Rispetto a quanto accaduto di recente durante l’emergenza sanitaria: qual è il suo pensiero circa le proteste avvenute nelle carceri italiane?
<<Purtroppo
durante la pandemia, sono state necessarie delle misure di emergenza
che per i normali cittadini hanno creato un certo disagio, per i
detenuti, che l’isolamento lo vivono quotidiamente, il non poter più
avere neanche più un contatto sporadico con i propri familiari ha creato
un disagio sicuramente portato all’estremo. Soltanto in questi giorni,
si sta cercando con mille precauzioni di ripristinare questo filo
importante verso l’esterno. La mancanza che io voglio sottolineare è
quella che all’epoca di Rebibbia trovai in collaborazione con la
ministra Severino, per l’uso di Skype. Nelle carceri Skype è
sconosciuto, ma non è da sottovalutare l’apporto che dà nel contatto
visivo tra il detenuto e i suoi familiari. Potrebbe essere una soluzione
alternativa anche per i detenuti stranieri che hanno le famiglie
dall’altro capo del mondo.>>
-Ricordiamo anche gli accadimenti di Santa Maria Capua Vetere di alcuni detenuti pestati.
<<Sì, sarebbe appropriato mettere a punto ulteriori soluzioni alternative
per permettere ai detenuti di avere contatti anche durante emergenze
così gravi>>
–Umanamente, cosa ha appreso da quell’esperienza così dura?
<<Dietro le sbarre ho constatato che esistono delle regole di solidarietà
eccezionali che se trasferite alla società esterna, cosiddetta civile,
cambierebbe di certo. Nelle carceri si è tutti fratelli, si divide tutto
a metà è una regola non scritta, ma assolutamente rispettata. Il
rispetto e la solidarietà che ho appreso lì sono incomparabili.>>
-Un’esperienza memorabile di questa parte della Sua vita?
<<Al di là di un solo episodio, ricordo con piacere che ero continuamente
impegnato in mille attività. Sono appassionato di scacchi e lì
dedicavamo un paio d’ore in qualche partita. Ho cercato di convogliare
tutte le energie ponendo il focus su qualcosa di produttivo: a partire
dall’università, cineforum, teatro. Quel che mi ha colpito maggiormente è
che la sera, da maggio a ottobre, nel nostro reparto, le celle
chiudevano la sera dopo le 22. Ci organizzavamo con gli altri detenuti
dopo la cena con gli sgabelli nel corridoio e desideravano che io li
intrattenessi. Leggevo per loro i passi della Divina Commedia, poesie di
Totò, spaziando con interesse da un argomento all’altro. La cosa
curiosa è che anche i secondini erano interessati a queste
dissertazioni. Mi è rimasta una certa nostalgia di quell’attenzione così
appassionata. Con alcuni sono rimasto in contatto, cercando anche di
indirizzare alcuni sulla retta via. >>
-Fuori da un certo moralismo, è possibile una redenzione secondo Lei?
<<
Sì se i percorsi non sono esclusivamente punitivi, il carcere dovrebbe
portare alla redenzione. Cercare di riportare gli esseri umani su una
strada migliore rispetto a quella di partenza. La pena deve tendere alla
redenzione, ripristinando un minimo di riabilitazione.>>
–Dove è possibile trovare il libro ”Grand Hotel: Carcere di Rebibbia”?
<<
E’ consultabile integralmente sul blog www.dellaragione.eu , mentre
per il cartaceo, che sarà in vendita in tutte le librerie italiane,
bisognerà aspettare settembre, dato che la prima edizione è in sold
out.>>