12/7/2011
Come finirà la crisi economica
Un domani i nostri figli e nipoti dovranno pagare l’enorme debito da noi accumulato. Ci malediranno e nello stesso tempo si chiederanno il perché di questa vigliaccata. Leggeranno i libri di storia alla ricerca di una risposta e vedranno come negli anni Ottanta del Novecento il capitalismo cambiò volto e, caduto il muro di Berlino, stabilì di liberalizzare i movimenti di capitali, i quali cominciarono a spostarsi da un angolo all’altro della Terra, alla ricerca della migliore redditività, una cosa fino ad allora impensabile, in un epoca ispirata agli storici accordi di Bretton Woods, contrari a qualsiasi trasferimento di risorse monetarie lontano dal luogo dove erano state prodotte.
Tali limitazioni, da tutti accettate, avevano permesso una tregua nell’ eterna lotta tra capitale e lavoro; infatti si rinunciava alla volontà del massimo profitto in cambio di una sorta di pace sociale, contraddistinta dall’ affievolirsi della lotta di classe, dalla diminuzione degli scioperi e dalla ricerca congiunta dell’aumento di produttività, condizione indispensabile per incrementare la redditività del capitale ed in proporzione la crescita di stipendi e salari. I politici chiamarono questo accordo tra le parti politica dei redditi e per alcuni decenni essa fu contrassegnata da una drastica riduzione della disoccupazione e da una ragionevole distribuzione dei benefici economici. Questo virtuoso equilibrio tra le parti saltò in breve non appena ingenti risorse monetarie cominciarono ad indirizzarsi verso i paesi poveri, dove diedero luogo a tumultuosi processi di sviluppo, travolgendo però antiche tradizioni, sedimentate nei secoli e creando le condizioni per repentini quanto devastanti fenomeni di deflusso economico.
Nel frattempo in Occidente questi spostamenti monetari provocarono una mutazione genetica del capitalismo, che assunse il suo volto più feroce, con una ricerca spasmodica del massimo profitto, in dispregio dell’ambiente e dei limiti dello sviluppo consentiti dal pianeta; inoltre si cominciò ad assistere ad una prevalenza della finanza sull’economia e della speculazione sulla produzione. Le conseguenze furono disastrose con uno spostamento dei guadagni dalla tangibile realtà della produzione agli artifici truffaldini della finanza, un aumento delle diseguaglianze sociali ed un incremento del divario tra ricchi e poveri. Inoltre venne a crearsi un effetto paradossale con il risparmio realizzato nei paesi emergenti, il quale, invece di sostenere i consumi locali, aumentando l’ infimo livello di vita delle popolazioni locali, va alla ricerca di un buon rendimento e di una ragionevole sicurezza, andando a finanziare i consumi spropositati dei cittadini dei paesi ricchi, istaurando una cronico squilibrio nelle loro bilance di pagamento e perpetuando la scellerata consuetudine di vivere alle spalle delle future generazioni di un regime economico nel quale l’ indebitamento cresce giorno dopo giorno ed un consumismo sfrenato, esaltato da una pubblicità martellante, induce il cittadino a ricercare benessere e felicità nel vacuo possesso di una miriade di oggetti privi di senso.
Poi sopraggiunse una spaventosa crisi provocata dall’esplosione di una gigantesca bolla immobiliare negli Stati Uniti e dalla scoperta della truffa insita nei derivati ed in altri prodotti finanziari spazzatura. Per effetto perverso della globalizzazione dall’America il crack si trasferì in tutto il mondo travolgendo i mercati. La depressione del 1929 apparve ben poca cosa, anche perché si riuscì faticosamente a superarla grazie alla politica, che ancora prevaleva sull’economia, alla tutela degli interessi pubblici in contrasto agli egoismi privati. I governi davanti alla vastità della catastrofe si mostrarono deboli ed accondiscendenti con i responsabili: ripianarono i bilanci delle banche insolventi con denaro prelevato dalle tasche dei contribuenti ed aumentando a dismisura il debito pubblico. Furono necessari gravi e duraturi sacrifici, mentre le agenzie di rating si permettevano di criticare i bilanci deficitari degli Stati che, abdicando impudicamente ad esercitare la sovranità, si erano prostrati davanti a multinazionali e potentati finanziari. Riprese spavaldamente il gioco della rapina finanziaria ai danni dei cittadini fino a quando….
E qui la storia può prendere due diversi svolgimenti, tutto dipenderà da come noi ci comporteremo. Ci avvieremo verso un governo mondiale, obbligatoriamente di natura dittatoriale(le democrazie sono il regno della corruzione dove il potere del denaro trionfa), auspicabilmente illuminata, in grado di regolare lo straripante potere della finanza, riportando il capitalismo a più miti consigli e dedicando la giusta attenzione all’uomo ed ai suoi bisogni. Al limite alla divisione del mondo in due blocchi contrapposti, regolati però da leggi dipendenti dalla politica e non dall’economia. Oppure (ed in tal caso dubito che i nostri discendenti possano leggere il finale) il denaro continuerà ad essere la misura di tutti i valori, la disoccupazione dilagherà, mentre il capitale sfrutterà sempre più il lavoro, incurante di disastri ambientali e dell’esaurimento delle risorse fino all’ apocalisse prossima ventura.
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