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Micco Spadaro, cronista e narratore nella Napoli del Seicento
7 dicembre 2018 - 7 febbraio 2019
piazza vittoria, 6 Napoli 081 18671407
baroq.it |
Questo mio articolo potrebbe anche essere intitolato: Sacro e profano a cena da Baroq, dal nome del nuovo locale aperto a Napoli in piazza Vittoria, nel quale, oltre a bere un buon bicchiere di vino o addentare un gustoso panino, si può, anzi si deve, ammirare una serie di dipinti esposti alle pareti ed illustrati da schede esaustive.
Ogni mese cambieranno i capolavori esposti.
Si comincia con 4 dipinti inediti di Domenico Gargiulo, alias Micco Spadaro e si proseguirà con artisti di pari livello.
Nel 1839 Louis Daguerre presenta il dagherrotipo, una specie di specchio dotato di memoria. È l’inizio della fotografia, che si svilupperà e perfezionerà lungo tutto il secolo.
Ma prima di allora come si faceva a fissare le immagini e a raccontare i fatti che accadevano?
Naturalmente era compito dei pittori, in particolare di alcuni, abilissimi a fermare il tempo con il pennello per consegnare alla storia frammenti di vita.
Il pittore Domenico Gargiulo amatissimo dalle grandi famiglie dell’aristocrazia napoletana ed anche dalla corte vicereale, può essere considerato un grande fotoreporter ante litteram.
Nato a Napoli (1609/1610-1675 [?]), venne soprannominato Micco Spadaro perché figlio di un fabbricante di spade.
Le fonti raccontano che fin da ragazzo manifestasse questa sua predisposizione alla pittura e al disegno, e ben presto, grazie al suo talento e non senza screzi con il padre, riuscì a realizzare questo suo proposito.
Cominciò la sua carriera nella bottega del famoso Aniello Falcone, detto l’Oracolo delle battaglie per la sua particolare inclinazione nel dipingerle, dove fu in contatto con numerosi altri significativi artisti. Particolarmente importante fu il sodalizio stretto con il bergamasco Viviano Codazzi, uno specialista della scenografia con cui inventerà una formula professionale a quattro mani di ampio e riconosciuto successo (di cui abbiamo qui un esempio visibile).
Micco non abbandonò mai la sua città, neppure durante lo scoppio della peste del 1656, che falcidiò oltre i due quinti della popolazione napoletana tra cui molti suoi colleghi e dalla quale riuscì a salvarsi, lavorando al riparo presso la Certosa di San Martino.
Proprio a lui, nel 1657, scongiurato il pericolo del morbo, i certosini commissionarono un grande ex voto in omaggio alla Vergine e ai Santi protettori di Napoli.
Con occhi curiosi ed uno stile da narratore paziente ed attento, Micco Spadaro praticò tutti i generi. Raccontò la Bibbia e i miti con quel suo facile linguaggio rigorosamente descrittivo, tra immagini e argo- menti appropriati per le sue favole, in un connubio artisticoletterario denso di contenuti. Fotografò fatti storici e di cronaca documentandoli, descrisse palazzi e luoghi del passato poi sventuratamente scomparsi, delineò ritratti, costumi sociali, squarci urbani ed appunti di vita cristallizzandoli e donandoli alla storia dell’umanità.
opere in mostra
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Domenico Gargiulo e Viviano Codazzi
Preparativi per una festa nella Villa di Poggioreale
olio su tela, cm 97 x 137 |
La Villa di Poggioreale, situata fuori le mura della città, fu uno degli edifici più importanti del Rinascimento napoletano. Intorno al 1487, il Duca di Calabria e futuro re Alfonso II d’Aragona decise di realizzare una residenza reale extra moenia.
Il progetto venne affidato all’architetto fiorentino Giuliano da Maiano, che diresse il cantiere fino alla sua morte nel 1490; in breve la Villa fu poi terminata, divenendo il luogo privilegiato per i ricevi- menti della corte.
La struttura era caratterizzata da un impianto molto originale e contaminato: appariva come una villa antica circondata da un porticato, protetta come un castello medievale ed arricchita da giardini, fontane e una grande peschiera riempita d’acqua e di pesci guizzanti.
Le cronache ricordano il festino organizzato dal duca Medina de las Torres, quando la corte su dieci barchette si dilettò a pescare ed anche lo spettacolare convito che il duca di Ossuna vi organizzò per diecimila persone, con i nobili a pranzare nel casino ed i giardini imbanditi per il popolo.
Entrambi i pittori frequentarono certamente la Villa (che ora non esiste più), fotografandola mentre erano in atto i preparativi per una festa e lasciando scorgere sul fondo il profilo di Castel S. Elmo sulla collina del Vomero.
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Domenico Gargiulo
L’imprevisto
olio su tela, cm 37,5 x 48,5 siglato DG |
Questo simpatico e raro dipinto, che ferma il momento preciso in cui una puledra bianca sta calciando le avances di un focoso cavallo spaventando e mettendo in difficoltà i presenti, rientra in quella particolare rosa di dipinti tratti dalla realtà di tutti i giorni, di cui il pittore fu grande interprete.
In città, percorsa quotidianamente da muli e cavalli indispensabili all’epoca per gli spostamenti ed i trasporti, scene del genere dovevano essere sotto gli occhi di tutti, soprattutto nella stagione primaverile della monta.
Infatti, anche nell’importante dipinto raffigurante Il Largo del Mercato, custodito presso il museo del Hospital de Afuera a Toledo e considerato un raro documento per lo studio del costume e della vita sociale dell’epoca, vi è rappresentata la stessa scena, in una piazza del Carmine gremita di persone intente a mercanteggiare.
È verosimile che anche questa pruriginosa immagine dovette essere suggerita al pittore dal vero.
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Domenico Gargiulo
Santa Maria Egiziaca
olio su tela, cm 100 x 128 siglato DG |
Questo suggestivo dipinto, di devozione privata, rappresenta Santa Maria Egiziaca, alla quale a Napoli sono dedicate due chiese: Santa Maria Egiziaca a Forcella (anche detta Santa Maria Egiziaca all’Olmo) e Santa Maria Egiziaca a Pizzofalcone.
Maria, di origine egiziana, sin da fanciulla aveva sentito stretti i vincoli della famiglia, della società e della morale. Precoce ed avvenente, fuggì dalla casa paterna e si recò ad Alessandria, dove dette sfogo al suo temperamento sensuale, vivendo per diciassette anni una vita di disordine e peccato.
Imbarcatasi con molti pellegrini, volle raggiungere Gerusalemme e la festa dell’Esaltazione della Croce, ma appena giunta in prossimità di varcare la soglia del tempio fu come trattenuta da una forza invisibile, che le ripeteva di non essere degna.
Convertitasi, andò a vivere solitaria nel deserto oltre il Giordano, dove restò per tantissimi anni.
La Santa è inginocchiata in preghiera, protetta in cielo da una nuvola di angioletti. Nuda e coperta solo da un telo di iuta, secondo la tradizione, rimase lì a meditare. Alle sue spalle sono appoggiati il teschio, simbolo della riflessione dell’uomo sulla brevità della vita terrena, e dei tozzi di pane, che sarebbero miracolosamente bastati a sostenerla per tutto il tempo di penitenza.
Lo spiccato sintetismo di Micco fotografa l’ambiente con un velutato accordo cromatico verde muschio e si concentra sugli scarni oggetti del racconto e sull’espressione ispirata e pentita della Santa.
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Domenico Gargiulo
Il Buon Samaritano
olio su tela, cm 102 x 123 |
Nata come “Biblia pauperum” (Bibbia dei poveri), la rappresentazione delle pagine religiose diventa nel Seicento un prezioso medium comunicativo con i fedeli di tutte le estrazioni sociali, soprattutto con quelli che non potevano conoscere diversamente le Sacre Scrit-ture perché analfabeti. E’ bene ricordare, infatti, che anche le messe, celebrate esclusivamente in latino, non erano di facile comprensione.
Tutti gli inventari delle collezioni di quel secolo presentano dipinti e oggetti sacri, una preferenza accordata per lanciare un messaggio ben preciso, sia in termini di autentico rapporto protettivo e spirituale con la fede, sia come più opportunistico simbolo ideologico e sociale.
Con la sua tipica grafia veloce, da narratore che ha tanto da racco tare, Gargiulo affronta spesso anche il tema sacro. Qui traduce la celebre parabola evangelica (Luca, 10:25-37) sulla fratellanza umana.
«Un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: […] «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall’altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui».
La tela coglie il cuore del racconto, quando il Samaritano si avvicina all’uomo per medicargli le ferite, andando ad affiancarsi a tante altre opere di iconografia religiosa dipinte da Micco nel corso della maturità.
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Domenico Gargiulo
Eruzione del Vesuvio del 1631
olio su tela, cm 126 x 177, Napoli, Museo di San Martino |
Il dipinto raffigura la processione svoltasi il 17 dicembre 1631, per implorare la fine dell’eruzione del Vesuvio verificatasi la notte precedente.
Alcune testimonianze, riportate in letteratura, ricordano durante il tragitto dal Duomo di Napoli fino a Porta Capuana l’apparizione di San Gennaro, che qui è rappresentato in cielo su una nuvola.
Insieme alla folla ammassata ma descritta nei particolari, sono ben visibili il busto reliquiario di San Gennaro e le ampolle con il sangue trasportate sul baldacchino, mentre in corteo si riconoscono le figure del viceré spagnolo, del cardinale Boncompagni e di tutti i rappresentanti dell’aristocrazia napoletana.
Sui tetti dei palazzi la gente guarda la scena e nel fondo il Vesuvio incombe ed appare ancora fumante.
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Domenico Gargiulo
La rivolta di Masaniello
olio su tela, cm 126 x 177, Napoli, Museo di San Martino |
Il dipinto rappresenta uno dei documenti figurativi più interessanti della sommossa antispagnola verificatasi a Napoli tra il luglio del 1647 e l’aprile del 1648.
La scena si svolge in piazza Mercato, ripresa dalla chiesa di Sant’Eligio. Sul lato destro, evidente è il campanile della chiesa del Carmine, preceduta dalla cappella del Re Corradino, poi abbattuta nel Sette- cento. Al centro si erge, invece, il basamento del monumento, mai completato e poi distrutto, che Masaniello aveva ordinato a Cosimo Fanzago, dove appaiono come trofei le teste mozzate dai rivoltosi.
Leggermente più in basso, Masaniello, in groppa al suo cavallo e con un cappello rosso sul capo, accende la rivolta.
La minuzia dei dettagli e delle scene rappresentate suggerisce, anche in questo caso, una partecipazione diretta agli avvenimenti.
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Domenico Gargiulo
Punizione dei ladri ai tempi di Masaniello
olio su tela, cm 29 x 38, Napoli, Museo di San Martino |
L’opera è un documento storico importante perché rappresenta la particolare modalità con cui venivano puniti i ladri nella metà del Seicento. Il colpevole, dopo essere stato cinto sul capo con una corona di cartone, veniva fatto girare per la città a cavalcioni su un mulo.
La scena è ambientata nel Largo del Mercatello, l’attuale piazza Dante, davanti alla scomparsa porta dello Spirito Santo che apriva su via Toledo. Il dipinto è databile intorno al 1647 e fa parte di un gruppo di quattro dipinti citati dal biografo Bernardo De Dominici e raffiguranti particolari episodi della rivolta di Masaniello. Il piccolo formato ed il taglio moderno e trasversale rendono quest’immagine, insieme alla successiva, un’anticipazione delle fotografie di reportage.
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Domenico Gargiulo
Uccisione di Don Giuseppe Carafa
olio su tela, cm 29 x 38, Napoli, Museo di San Martino |
Anche in questo caso, l’immagine attesta un documento storico i portante perché vi è rappresentata la crudele e spettacolare uccisione di Don Giuseppe Carafa, fratello del Duca di Maddaloni, Diomede, avvenuta il 10 luglio 1647 in piazza del Carmine.
Il Duca aveva organizzato un complotto ma viene smascherato e la folla inferocita, non potendo raggiungerlo, si accanisce contro il fratello.
La testa recisa ed infilzata viene portata come un trofeo al cospetto di Masaniello, che appare in piedi su un podio sul lato sinistro della scena ad arringare la folla.
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Domenico Gargiulo
Largo del Mercatello a Napoli durante la peste del 1656
olio su tela, cm 126 x 177, Napoli, Museo di San Martino |
Il Largo del Mercatello, posto all’epoca fuori le mura della città, è l’attuale Piazza Dante.
In alto, sul lato destro del dipinto compare la Porta dello Spirito Santo, chiamata anche Porta Reale, che dava l’accesso a via Toledo. Dietro alle mura si scorgono la cupola della chiesa di San Sebastiano, crollata nel 1939, ed il campanile della chiesa del Gesù.
Nella piazza, proprio perché esterna alla città, venivano raccolti i moribondi e i cadaveri provocati dalla terribile peste che colpì la città di Napoli nel 1656.
Mettendo a fuoco i particolari, la tradizione vuole ricondurre alcune figure ritratte a personaggi ben noti. Tra tutti, dando ascolto ad una testimonianza dello storico Dalbono, sembra spiccare Massimo Stanzione, che moribondo appare sul margine basso a destra mentre gli viene offerta l’ultima eucaristia.
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Domenico Gargiulo
Rendimento di grazia dopo la peste del 1656
olio su tela, cm 207 x 305 Napoli, Museo di San Martino |
Questo
scenografico e grande ex voto fu dipinto da Micco nel 1657, in
ringraziamento alla Vergine e ai Santi Bruno e Martino, patroni della
Certosa, come si legge sulla ben evidente lapide marmorea.
Dinanzi ad
una veduta spettacolare di Napoli, che è la stessa che ancora oggi si
va ad ammirare da lassù, una settantina di certosini sono accorpati nel
centro della tela, ciascuno con la propria fisionomia. Accanto, ben
distinguibili appaiono il cardinale Filomarino, il Priore Cancelliere ed
il pittore con la sua tavolozza.
Svolazza in alto la Vergine, circondata da quattro putti, e San Bruno che le porge la Regola.
Sul
margine sinistro, sopra una grossa nuvola, compare Gesù Cristo,
affiancato da San Giuseppe, San Giovanni Battista e i Santi Gennaro e
Martino in abiti vescovili.
Vestito di rosso ed armato di spada, San
Martino respinge la peste, personificata in una vecchia che ricorda le
streghe dipinte in quegli stessi anni da Salvator Rosa.