lunedì 2 aprile 2012

Il genio di Leopardi rivisitato in un libro di Pietro Citati

25/9/2010

Pietro Citati è uno dei nostri più grandi scrittori, ottanta anni portati con disinvoltura e la mente di un giovane maturo, come quella di Leopardi, un genio incontrastato che costituisce l’argomento della sua ultima fatica letteraria e di fatica si tratta, perché ha dedicato molti anni per scandagliare il mistero della sua anima, esplorando le correnti impetuose del poeta e del filosofo.
La prosa di Citati è affascinante, ricca di aggettivi e di metafore, costituisce una palestra per chiunque voglia imparare a scrivere. Confesso di aver letto numerose volte i suoi libri, tra i quali amo soprattutto l’Armonia del mondo, un testo che consiglio a tutti di leggere e meditare e dal quale ho rubacchiato tante belle frasi e tanti aurei concetti, adattandoli al mio stile.
Leopardi (Mondadori editore) conta ben 444 pagine, ma si legge con impeto, per poi tornare ad approfondire i passi più interessanti. Scorrono le Poesie, i Canti, le Operette morali, lo Zibaldone e si penetra nell’atmosfera della celebre biblioteca di Recanati, dove molti di questi lavori sono nati. Un carcere dorato, un laboratorio ideale predisposto dal padre Monaldo per la fertile penna di Giacomo. 
Si parla anche di un argomento scottante, spesso trascurato dalla critica: la morbosità di alcune lettere indirizzate dal Leopardi a Pietro Giordani ed Antonio Ranieri, nelle quali si è voluto leggere una tensione omosessuale, ma Citati sgombra il campo da ogni equivoco, affermando che si tratta semplicemente dell’atmosfera sentimentale che contraddistingue molti scritti dei primi decenni dell’Ottocento, nei quali domina un amore platonico, che non ha niente di concreto.
Affianco alle straordinarie poesie, che tutti noi conosciamo, il grande lavorio intellettuale dello Zibaldone dove straripano le sue letture, che abbracciano ogni campo dello scibile umano. 
E poi i suoi spostamenti per fuggire da Recanati verso Roma, verso Pisa e soprattutto a Napoli dove soggiornò a lungo e chiuse il suo breve percorso terreno entrando nell’immortalità. 
Leopardi sperimentò sulla sua pelle come il mondo dei sogni, tanto vagheggiato, di cui aveva letto nell’Odissea, fosse vicinissimo all’Ade, ai luoghi della morte.
Si parla della malattia di Giacomo, il morbo di Pott, una tubercolosi ossea, che lo aveva trasformato in uno sgorbio di un metro e quarantuno centimetri con due gobbe, che all’ombra del Vesuvio gli permettevano di dare i numeri del lotto al popolino.
Il rapporto con Napoli fu contraddittorio: odio ed amore come spesso capita. Non riusciva a sopportare i lazzaroni, i truffatori, i baroni falliti, mentre ammirava il paesaggio, il mare, il cielo stellato.
Sembra incredibile come un essere così fragile, vissuto a lungo in un lembo della sperduta provincia sia divenuto uno dei massimi poeti di tutti i tempi,  un grandissimo  moderno, perché fuori dal tempo, da stare alla pari di Baudelaire o di Nietzsche. 
Un mistero che Citati cerca di spiegarci con le sue frasi eleganti dopo aver scandagliato per noi il pianeta Leopardi.

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